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Autore: Donixmadness    13/07/2014    2 recensioni
Non ho idea di cosa mi sia saltato in testa!! Sono nei casini e metto pure a scrivere una storia!!
Va beh! Spero almeno di farcela, premettendo che ho molto da fare comunque ecco alcuni indizi:
"Lo sapevi che era solo un riflesso, perciò non ti sei stupito più di tanto quando non ci hai trovato nulla in quella pozza sporca. Ma perché l’hai fatto? Non vorrai mica controllare le tue condizioni, mi auguro!
Ciò che fai dopo conferma i miei timori. Persino il tuo inconscio ti intima di non farlo: gli hai già disobbedito una volta perché vuoi farlo ancora? Maiale testardo!!
Troppo tardi ti sei sporto sulla superficie stagnante e ti sei visto … "
Genere: Malinconico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matt, Mello, Near, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Glory smells like Burnt
 

-Capitolo 13-
 
 
 



Agosto 1997. Il pesante cielo plumbeo romba di tuoni. Gli animali dimoranti in quello scorcio di foresta pluviale si mettono a riparo in attesa dell’eminente pioggia. I pescatori si apprestano a raggiungere le sponde del fiume Chi* per ritornare nelle loro case.
Le reti non sono state molto redditizie, poiché già a metà giornata piccole stille si sono infrante sulla superficie del grande corso d’acqua. È la stagione delle piogge, trasportate dai monsoni sud-occidentali, i quali spirano sino a giungere nel sud-est asiatico.
Quegli uomini dall’incarnato olivastro attraccano le sottili barche al terreno e raccolgono le lance di legno, utilizzate per infilzare i pesci nelle zone più paludose. Uno del gruppo si ferma a contemplare gli alberi giganti stagliarsi davanti a sé, mentre l’ultimo stormo di uccelli tropicali plana e si immerge nella fitta vegetazione. Lo sguardo si sofferma un attimo su quella lastra grigia che è il cielo: tra poco si scatenerà una forte precipitazione torrenziale, tipica del periodo.
Tutto sembra come al solito, fin quando gli occhi a mandorla non vedono una grossa cosa fumante provenire proprio da quel triste cumulo nebuloso. Gli altri pescatori alzano le teste cinte dai nón lá**, attirati da un fragore peggiore delle nubi. Rimangono immobili come statue a guardare quell’oggetto, a loro sconosciuto, precipitare nel cuore della foresta scatenando un fracasso assordante che spaventa gli animali. Degli uccelli di elevano stridendo nei loro versi, dopo di ché cala un silenzio tombale. Si ode solo lo sgocciolio della pioggia che comincia a infittirsi.
Curioso e sgomentato da quell’evento sconvolgente e mai visto prima, il pescatore si inoltra nella insidiosa vegetazione tropicale per verificare la situazione. Gli altri tentano di richiamarlo –parlano la lingua locale–,  ma infine si trovano costretti a seguirlo. Il luogo dell’atterraggio non è così lontano dalla riva del fiume e dopo qualche minuto giungono a destinazione.
Il pescatore di Chiyaphum*** scosta circospetto un ramo di foglie e uno spettacolo allucinante si presenta davanti a tutti loro. Gli alberi giganti, alti più di quaranta metri, sono letteralmente piegati in due, anzi, alcuni completamenti sradicati. Le radici emerse dal sottosuolo sembrano braccia di scheletri alla ricerca del perdono.
Nel mezzo di tutto quel caos, sotto la pioggia battente, c’è un aereo quasi totalmente distrutto. Gli ignari autoctoni non possono saperlo, ma si tratta di un Vickers VC10. Solo l’ala sinistra è sopravvissuta al terribile schianto, mentre la coda, a partire dalla fusoliera, e l’altra ala sono andate a pezzi. Probabilmente si sono staccate a causa del duro scontro con i fusti secolari. La turbina destra esala fumo nero, ma pare non essere pericolosa. Il dorso del velivolo è praticamente lacerato, strappato e vi rimane solo un intreccio di metalli e altri pezzi ormai inutili.
I sedili dei passeggeri sono praticamente a cielo aperto e corpi senza vita giacciono in quell’inferno di lamiere. Scie di sangue si confondono sui volti delle vittime come lacrime di morte.
Moltissimi malcapitati non sono presenti in quel sepolcro di leghe e saldature: nella peggiore delle ipotesi, sono stati sbalzati via quando si è staccata la parte posteriore. Forse con l’esplosione del motore, durante il volo.
I cinque thailandesi si avvicinano di soppiatto al relitto e lo osservano da vicino. Sbarrano gli occhi scioccati e inorriditi di fronte alle carni mutilate e sanguinolente, per non parlare dei vestiti fradici e sporchi di scarlatto che aderiscono su quelli come un pietoso sudario.
Tre di loro, i più coraggiosi, si arrampicano sul mezzo alla ricerca di qualche sopravvissuto, mentre gli altri due restano a terra sotto la pioggia.
Distolgono lo sguardo quando intravedono una donna con una sbarra di metallo conficcato nel petto, il capo reclinato all’insù, gli occhi spenti e la bocca aperta in un urlo spezzato. Uno dei tre si spinge sino alla cabina di pilotaggio, in cui trova due uomini accasciati sui comandi dell’aereo. Il pilota ha ancora stretto in mano il microfono della radio, da cui proviene un suono disturbato. Sta per prenderlo in mano, ma un suo compagno lo richiama, così torna indietro.
Il primo testimone della tragedia, il pescatore che per primo ha notato l’aereo precipitare, scosta un cumulo di macerie. Lì sotto ci sono un giovane uomo ed una giovane donna che stringono un bambino tra le loro braccia.
Il candido pargolo, di circa sei o sette anni, è placidamente adagiato sul petto della donna e protetto dalle spalle larghe dell’altro.
I lunghi capelli bianchi di quella ricadono in parte sulle gote perlacee dell’infante. Il thailandese li scosta leggermente per osservarlo meglio: neanche una goccia di sangue imbratta il viso pallido e marmoreo. Gli uomini lo guardano sorpresi, poiché non avevano mai visto qualcuno così bianco. I riccioli nivei sono leggermente sporchi di caligine, ma per il resto non sembra ferito in qualche modo. È miracolosamente illeso.
Gli occhi –probabilmente– del padre e della madre del bimbo sono semichiusi, come se avessero voluto assicurarsi che il piccolo stesse bene fino all’ultimo.
Le iridi di lei sono due rubini oscuri coronati da ciglia chiarissime, mentre quelle di lui appaiono nere e profonde come gli abissi più remoti, senza nessuna scintilla di vita ad animarli.
È ovvio che siano entrambi deceduti, tuttavia resta da capire se il bambino sia ancora vivo. Lo scuote delicatamente e il giovane viso si contrae in una lieve smorfia. Subito il pescatore si volta verso i suoi compagni, cercando assenso. Allora i tre si fanno più vicini.
Dopo un po’ apre lentamente gli occhi, rivelando i suoi pozzi di ossidiana al mondo. I tre sorridono sollevati e il thailandese gli poggia una mano sulla spalla. Il piccolo sbatte lentamente le palpebre, confuso. Al momento non riesce mettere bene a fuoco. È abbagliato da una luce insopportabile e non riesce a vedere nulla. Scorge l’ombra sfocata di una mano che si tende verso di lui. Ma poi tutto si fa buio. Vuoto.
 
 
Il giorno successivo, militari e volontari giungono sul luogo della tragedia. Ben tre elicotteri sono stati mobilitati per la ricerca dei dispersi e, perlustrando l’intera area, le squadre hanno ritrovato i pezzi staccatisi violentemente dall’aeroplano. Nelle vicinanze, come era d’altronde prevedibile, sono stati rinvenuti solo quattro delle vittime, con le ossa totalmente fracassate e i colli spezzati a causa di una caduta da oltre trecento metri dal suolo, o anche più. Considerato che la parte anteriore del velivolo –quella precipitata– conta solo 62 passeggeri (piloti compresi) è pochissimo per un aereo che può ospitare un massimo di 135 persone. Gli investigatori thailandesi  si domandano quale forza distruttrice abbia mai potuto dividere a metà un mezzo di quella stazza.
Si presume un attacco terroristico ben studiato, ma è chiaro che bisognerebbe prima esaminare la scatola nera per accertarsene. In ogni caso, la parte posteriore ha tutta l’aria di aver preso fuoco e i poverini che si sono accomodati nelle retrovie sono finiti carbonizzati.
Tutti morti … tranne uno.
Non appena fu ritrovato, il piccolo albino fu portato a Chiyaphum avvolto in un telo, per proteggerlo dalla pioggia scrosciante. La famiglia di quel pescatore lo accolse nella loro modesta dimora, tuttavia era ancora privo di conoscenza quando giunse lì. E il giorno dopo le forze armate e le squadre di soccorso arrivarono nella città.
Quando l’albino apre gli occhi, però, non trova il volto olivastro e l’espressione gentile di quell’uomo –di cui ha solo un pallido ricordo–, ma solo stoffa verde scuro a fare da soffitto. L’unico superstite, infatti, fu trasferito nell’accampamento dei soccorritori per verificare le sue condizioni di salute.
Focalizza meglio il tetto e lo osserva, confuso. Immediatamente tutte le sue percezioni sensoriali si destano: infatti, al tatto avverte di essere steso su qualcosa di morbido, come una brandina; mentre le narici vengono punte da un fastidioso odore di bruciato. Volta il capo a sinistra, come a distogliersi da quella puzza, e nota inevitabilmente alcuni particolari: ad esempio, che c’è un tavolo pieghevole in un angolo con delle boccette e delle carte. Poi più niente, è completamente solo in quel posto sconosciuto. Debolmente, gira la testa anche dall’altra parte e viene abbagliato da un raggio di luce che filtra dall’apertura di quella tenda. Gli opali oscuri fanno un po’ di fatica prima di abituarsi, ma dura poco poiché nota qualcosa lì fuori. Non riesce a distinguerli perfettamente, ma sembrano delle gambe che calzano lunghi stivali neri. Qualcuno sta camminando là fuori e solo adesso riesce a sentire il brusio della gente. Non capisce cosa dicono, è una lingua strana che non conosce, eppure questo non sembra angosciarlo affatto. Si sente sospeso in una realtà a cui non si sente di appartenere, è come se fosse un passivo spettatore.
Continua a fissare attraverso quell’apertura il mondo esterno, senza capire effettivamente come sia fatto. Non ricorda nulla di ciò che gli è successo, il vuoto più assoluto c’è nella sua testa. Non si rammenta di nessuno in particolare. Un grande manto bianco ha coperto i colori delle sue memorie, celandole per sempre.
A un certo punto, qualcuno entra nella tenda e non appena lo vede caccia un’espressione stupita. Lo sguardo del bambino si posa sullo sconosciuto senza timore alcuno. Quando si avvicina alla brandina può notare un lieve sorriso increspargli le labbra.
-Finalmente ti sei svegliato! Meno male.- esordisce sollevato, come se gli importasse davvero della salute del superstite, cosa che di primo acchito l’albino ha trovato piuttosto inusuale. Perché mai una persona estranea dovrebbe preoccuparsi di come sta lui?
Il tizio prende uno sgabello –il piccolo non ha fatto caso all’oggetto– e si siede accanto a lui. Allora l’infante si sofferma sul camice indossato dall’uomo: “E’ un dottore” pensa, perfettamente conscio di che cosa sia un “dottore”. Quindi questo spiega anche l’interessamento nei suoi confronti.
Intanto, l’uomo lo scruta con minuzia per esaminare le sue reazioni.
-Come ti senti?- domanda il medico, cauto.
Lo comprende, rispetto alle voci che aveva udito prima da fuori, riesce a capirlo alla perfezione perché parla la sua stessa lingua. Eppure non gli sembra inglese.
Non risponde, non sa nemmeno lui come si sente poiché non avverte dolore da nessuna parte. Non sente nulla, ecco.
-Allora? Ti ricordi almeno qualcosa?- cerca di spronarlo.
Il bimbo nega con un lieve cenno del capo e l’uomo aggrotta la fronte.
-Non ti ricordi dell’incidente, Nate?
L’albino schiude le sottili labbra in un attimo di incertezza a quella parola.
-Nate?- mormora in un filo di voce.
-E’ il tuo nome, non te lo ricordi?- prosegue il dottore e l’albino fa scena muta.
La situazione è più grave del previsto.
-Che cosa è successo?- chiede poi, Nate, cercando di mettere insieme i pezzi.
Stavolta è l’altro ad esitare: non sa da dove cominciare e soprattutto teme di scioccare il fragile equilibrio mentale del sopravvissuto.
-C’è stato un grave incidente … Un aereo è esploso e parte di esso è atterrato nella foresta.- fa una pausa. Si sente nervoso, teme di aver parlato in modo troppo diretto per un bambino così piccolo.
Nate sposta lentamente gli occhi ossidiana verso l’ingresso della tenda: ora riesce a vedere perfettamente dei soldati trasportare una brandina coperta da un lucido telo azzurro.
-Io ero in quell’aereo.- sembra più un’affermazione che una domanda. Il medico annuisce.
Nate non distoglie lo sguardo dall’esterno, anzi insiste con ostinata fissità.
Là fuori c’è una vera e propria processione, la quale pare non finire mai: i soldati vanno avanti e indietro per trasportare i sacchi celesti.
-Purtroppo non ci sono superstiti oltre te … vedi anche i tuoi genitori … - serra le labbra improvvisamente, ma sobbalza quando si accorge che la sua attenzione è altrove. Si gira seguendo la direzione del suo sguardo.
-Genitori. Si chiamano così le persone che contribuiscono alla nascita di un individuo.- afferma in maniera telegrafica, come se qualcuno gli avesse chiesto la definizione.
Il dottore lo guarda stupito per la precisione con cui ha esposto a parole qualcosa che normalmente un bambino della sua età non saprebbe spiegare.
-Sono morti.- dice Nate mentre un’altra brandina gli passa davanti.
L’uomo socchiude le palpebre e pronuncia un: -Sì.
Ha capito, semplicemente osservando. Il thailandese è sorpreso e, allo stesso tempo, inquieto per la fredda consapevolezza dell’infante. Pensava che ci avrebbe messo più tempo per spiegare con cautela come stanno le cose, non si aspettava di dover affrontare il discorso in maniera così cruda. Forse è scioccato e ha bisogno del tempo per riprendersi.
-Non mi ricordo di loro.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
*Chi: fiume che scorre a nord-est della Thailandia.
** nón lá: tipico cappello a cono, fatto di bambù. Usato dai vietnamiti è comunque abbastanza diffuso (es: in Giappone, Cina e Taiwan), ma chiamato con nomi diversi.
***Chiyaphum: città thailandese nord-orientale, vicina al fiume Chi.

 
 
 
 
 
Ed eccomi con un altro capitolo, che stavolta spero vi piaccia di più del precedente. Mi auguro con tutto il cuore di essere riuscita a rendere al meglio Near e la dinamica degli eventi.
Ringrazio comunque i recensori e coloro che continuano a seguire questa storia! Senza di voi la fic non sarebbe niente!!
A presto!! <3<3
  
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