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Autore: Sherry Jane Myers    13/07/2014    5 recensioni
L’amore ha tre ombre: il Passato, il Presente e il Futuro.
La prima è l’ombra che ci siamo lasciati alle spalle. Diffida di chi amerà la prima delle tre ombre, poiché desidera l’immagine di te che i suoi stessi ricordi hanno distorto.
L’ultima ombra è quella che ancora dobbiamo raggiungere. Diffida di chi amerà l’ultima delle tre ombre, poiché vuole solo una delle tante persone che puoi diventare, precludendoti le altre.
L’ombra di mezzo è l’ombra che ci accompagna dal primo istante, quella che vediamo tutti i giorni. È un’ombra proiettata dalla luce.
Chi amerà l’ombra di mezzo delle tre ombre amerà la vera te stessa, poiché sei tu, e non un amore cieco e volatile a proiettarla.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Kentin, Nathaniel
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Three shades of love
Falsi sorrisi e preoccupazioni nascoste
Alla fine, sono crollata. Me ne accorgo solo quando mi sveglio, sdraiata sull’altro lato del letto rispetto a Nathaniel e con un braccio formicolante per l’essere stato usato come cuscino. Nath non dà l’impressione di essersi mosso di una virgola da quando mi sono seduta qui ieri; sempre sdraiato a pancia in giù, la testa girata dall’altra parte.
Mi lascio andare ad un lungo sospiro, mentre scendo dal letto, rischiando quasi di inciampare sul giaciglio di emergenza che avevo costruito sul pavimento, prima di addormentarmi di straforo con Nathaniel… ringrazio il cielo di avere insistito tanto per avere un letto a una piazza e mezza.
Lancio uno sguardo all’orologio sulla scrivania: la scuola è già iniziata da due ore. Affondo il volto fra le mani; avrò pure dormito, ma mi sento uno straccio. Il mondo è ancora in piedi, mentre ieri avrei giurato che sarebbe crollato insieme a me per la tensione. Non sono abituata a riflettere sul giorno prima o sul giorno dopo, e se adesso penso a ieri mi sembra impossibile che siamo ancora qua, che dalle tende che ho scordato di tirare stia davvero filtrando un debole raggio di sole e che l’orologio sia andato avanti.
Quando mai mi è servito pensare ad altro che all’”oggi”, per andare avanti?
Afferro una tuta da ginnastica dal cassetto, avendo ben cura che Nath stia ancora dormendo, e mi infilo in bagno per cambiarmi il pigiama stropicciato. Quando esco, mi inginocchio vicino a lui e gli scosto i capelli, che hanno riacquistato il colore ed il volume di prima, e gli poggio una mano sulla fronte per sentirgli la temperatura. Tiro un altro sospiro, di sollievo stavolta, quando sento che è solo un poco più caldo del normale.
Proprio quando sto per allontanare la mano, sento la sua fronte corrugarsi un poco sotto le mie dita. Non volendo che la prima cosa che vedrà al risveglio sia la mia faccia, mi scosto un po’ da lui, abbastanza per garantirgli un risveglio tranquillo ed abbastanza poco per poter intervenire nel caso facesse movimenti improvvisi. Non voglio sangue sulle lenzuola.
Lo osservo aprire un poco gli occhi e tentare di mettere a fuoco dove si trovi, poi di riconoscere il posto, ma senza risultati. Non credo nemmeno di avergli mai parlato fuori dalla sala delegati.
Muove un poco la testa per guardarsi intorno, ed ecco che dopo qualche istante i suoi occhi sono fissi su di me, un po’ più spalancati di prima, dorati e ancora un po’ lucidi per la febbre.
«Kimberly…?» domanda, con la voce roca. Che sfiga, è svenuto sotto la pioggia e non gli è nemmeno rimasta la bocca aperta per berne un po’.
«Così parrebbe» rispondo io, scuotendo le spalle. Nath assottiglia lo sguardo, quasi sospettoso.
«Sono… a casa tua?».
«Risposta esatta!» esclamo «Dieci punti a Grifondoro!».
Nath sospira e chiude gli occhi, ora assolutamente sicuro che non sia un sogno. Il che mi fa sospettare che sia il momento di ricordarmi della situazione in cui ci troviamo, e che dovrei essere un po’ più seria.
Non c’è gusto a scherzare con Nathaniel già di solito, figuriamoci con un Nathaniel ferito.
«E questo ci riporta al fatto che ho un paio di domande da farti» inizio. «Ad esempio, sul motivo per il quale hai scelto la parete del mio condominio per farti un pisolino sotto la pioggia».
Lui chiude gli occhi con fare assente, per un attimo che sembra eterno. «Sono svenuto?» chiede infine.
«Oppure qualcuno ti ha narcotizzato e abbandonato nel vicolo a fianco casa mia perché siamo tutti pedine di un suo piano malvagio, ma propenderei per lo svenimento, sì» commento, sarcastica.
Nath è di nuovo esasperato, il che significa che sta bene perlomeno. Sospira di nuovo, come se avesse voluto ringraziarmi ma semplicemente non ci fosse riuscito, e tenta di alzarsi, ma io scatto avanti e lo fermo in tempo.
«Stai sdraiato, hai una brutta ferita sulla schiena» che non so esattamente se sia brutta, ma meglio spaventarlo per ogni evenienza.
Lui prima mi fissa come se gli avessi appena detto qualcosa di incomprensibile. Poi un lampo di comprensione gli attraversa gli occhi, ed io capisco tre cose: si ricorda quello che gli è successo, sa esattamente cos’ha sulla schiena e, terzo, non voleva che qualcun altro lo sapesse.
Mi siedo di nuovo per terra per lasciargli il suo spazio, fiduciosa che non proverà di nuovo ad alzarsi, e sbuffo, come faccio quando sto per diventare seria e non ne ho voglia.
«Allora, carte scoperte. Tornavo da scuola sotto la pioggia, sono arrivata a casa e ti ho scorto in un vialetto laterale, svenuto, febbricitante e con vestiti poco abbinati» ok, non riesco a fare un intero discorso senza battute. «Ti ho portato a casa, dove i miei ti hanno sistemato un po’ e sei rimasto svenuto tutta la notte. Ora sono le dieci e credo proprio che andrò a prendere la colazione per entrambi. La febbre è scesa, ma hai bisogno di mangiare qualcosa».
Poi mi alzo in piedi, sgranchendomi un po’ i muscoli nel movimento. «C’è qualcosa in particolare che ti va di mangiare? Praticamente qui non ci sono due persone a cui piaccia la stessa cosa, quindi abbiamo praticamente di tutto».
Nathaniel gratifica la mia spiegazione con un sorriso stanco «Va bene tutto, non preoccuparti».
Alzo gli occhi al cielo mentre mi volto e mi avvio alla porta. Quando sto per uscire però, lo sento aggiungere più imbarazzato di prima. «Però… potrei avere qualcosa da bere?».
Non è una gran richiesta ma è già tanto che abbia chiesto qualcosa, educato com’è. Mi giro e gli faccio l’occhiolino «In arrivo!» rispondo.
Arrivo in sala, dove mio padre sta leggendo il giornale. Al mio passaggio commenta sarcastico «Toh guarda, uno dei due begli addormentati si è svegliato».
Senza degnarlo di risposta faccio capolino in cucina «Colazione per due! Nath si è svegliato e ha sete!».
«Buone notizie allora!» esclama mia madre, che aveva probabilmente intuito il mio risveglio dal rumore, ed estrae prontamente dal microonde una tazza di latte al cacao. «Lui cosa vuole?».
Mia madre non ha avuto modo di conoscerlo, altrimenti non domanderebbe. Guardo la tazza di latte e ricordo la faccia disgustata che Nath ha fatto l’ultima volta che ho portato merendine al cioccolato in sala delegati. «Niente cioccolato per lui» dico, con un tono di voce normale questa volta, per non farmi sentire. Non mi va che si sappia che sono meno menefreghista di quanto sembri, anzi, Nathaniel si meriterebbe una tazza di cioccolata calda per aver lasciato a me il casino di scegliere per lui… ma nemmeno io sono così cattiva da bistrattare un delegato in malattia.
O da sprecare cioccolata innocente.
«Tè, allora» decide mia madre.
Per quanto riguarda il cibo, mi accorgo che qualsiasi cosa io sia solita mettere nella mia colazione è estremamente ed irrimediabilmente dolce, così mi ritrovo a rubare un po’ della pancetta di mio padre, che probabilmente non è la cosa più leggera da dare a un malato, del pane, formaggio, succo d’arancia e poche altre idee scopiazzate dalle colazioni abituali dei miei.
Il tutto viene raccolto su un vassoio insieme alla tazza di tè preparata da mamma, in cui ha infilato una cannuccia per permettergli di non alzarsi dal letto. Con me non lo ha mai fatto!
Comunque sia rientro in stanza, sopraffatta dalla pace mattutina. È stranamente assurdo come stia per fare una normale colazione con un ragazzo nel mio letto. Nathaniel ha gli occhi chiusi, ha di nuovo quella sua espressione stanca che gli vedo ogni tanto, quando crede che nessuno lo guardi. Se ne riscuote quando si accorge di me, sorridendomi di nuovo «Grazie» dice quando appoggio il vassoio sul pavimento a portata di braccio. È sdraiato sul bordo del letto, che è una delle mie posizioni preferite per mangiare; dubito che lui sia abituato a mangiare in posti che non siano una tavola apparecchiata, ma dato che non prova in alcun modo a tirarsi su sospetto che ci abbia provato mentre ero di là, e la sua schiena gli abbia intimato di lasciar stare.
Tiro via il vassoio più piccolo con la mia colazione al cioccolato ed inizio a smangiucchiare la mia brioche.
«A te non piace, no? Lì ce n’è una alla ciliegia… e l’altra credo sia vuota, invece. E se non ti piace il tè ho del succo, e lì c’è una bottiglia di spremuta… se hai bisogno chiedi, non sono esattamente la persona più empatica che trovi qui intorno» borbotto.
Un altro sorriso, ma questa volta accompagnato da una lievissima, quasi impercettibile risatina. «Lo terrò a mente» risponde. «Grazie ancora».
Non parliamo molto mentre mangiamo, e anche se lui più del tè, il succo e un po’ di pane non butta giù, sembra comunque soddisfatto. Il silenzio è allo stesso tempo pesante e tranquillo, la stanza illuminata dalla luce che contrasta in modo assurdo con la tempesta di ieri. E noi che mangiamo qui, tranquilli. Penso ai miei genitori che ieri erano già preparati al giorno dopo, ad aspettare, e penso a ciò di cui dovremo parlare dopo, di quello che Nath non voleva sapessimo.
È così piacevole ora, mangiare in silenzio senza preoccuparci di quello che ci sarà dopo. Anche se in fondo, io ci sto pensando, e probabilmente anche Nathaniel; ecco perché preferisco pensare ad adesso, alla mia gigantesca fetta di nutella e a lui che risucchia pigramente il succo, in cui ora ha spostato la cannuccia.
«Come ti senti?» dico ad un certo punto, vagando fra i miei pensieri. Appoggio per terra la tazza ed inizio a raccogliere i residui della mia colazione, finendo di ripulire il cucchiaio usato per la nutella.
Lui mi allunga il bicchiere. «Sto bene, grazie per l’interessamento» risponde, e sorride ancora.
«4-1» dico, con un sospiro, appoggiando il cucchiaio sul piatto.
Lui mi fissa perplesso. «Parli di calcio…?».
Lo fisso di sottecchi. «Quattro sorrisi di cortesia e un sorriso vero, e sei sveglio solo da mezz’ora» commento. «Seriamente, già che siamo qui potresti almeno dirmi come stai davvero, no? Non è un problema se ti lamenti, se mi dici cosa vuoi mangiare o mi mandi a quel paese».
Nathaniel arrossisce «N-non è v-vero» borbotta. «Mi stai aiutando, e probabilmente mi hai salvato la vita… non erano sorrisi falsi, ti sono grato».
«Ma non sei nello stato d’animo di sorridere» replico. «Sei preoccupato, e lo sei da quando ti ho detto della ferita… sul serio, dimmi che non sono affari miei, che non ne vuoi parlare, scusati, insultami… fa quel che vuoi, ma non rifilarmi i tuoi sorrisi patacca».
Raccolgo il vassoio e lo appoggio sulla scrivania con uno sbuffo, mentre Nathaniel sta zitto. Mi infilo in bagno a lavarmi le mani e poi torno in stanza. Nath ha di nuovo gli occhi chiusi, e io ne approfitto per avvicinarmi e sentirgli di nuovo la temperatura. Lui apre gli occhi di scatto e mi fissa, come se si fosse aspettato di non vedermi più.
«Se penso a com’eri ieri, è un miracolo che tu sia sotto i quaranta gradi» borbotto. «Credo che entro un paio di giorni, la febbre sarà andata… vuoi qualcosa per abbassarti la temperatura?».
«Ho solo la testa un po’ pesante, passerà» risponde. Poi esita un istante «Non mi va di parlarne… è… complicato» mormora. Dopo qualche momento aggiunge piano «Scusa».
Ridacchio, giocherellando con la treccia che mi scende sulla spalla. «Tipo quelle cose “Se te lo dicessi dovrei ucciderti” no? Tranquillo, ci tengo alla pelle». Sono abbastanza sicura che se fossimo stati di nuovo noi due, nell’aula dei delegati mi avrebbe semplicemente ignorato o detto che non erano affari miei, ma così va già meglio di prima.
«Kimberly…» sbuffa, con l’aria di chi vuole iniziare un rimprovero ma non ne ha le forze.
Smetto di ridere e gli sorrido a mia volta, finalmente. «Ti preferisco quando mi rimproveri, quindi, per l’ennesima volta… chiamami Kim!».
Il viso di Nathaniel è seminascosto dalle coperte, ma in questo momento scommetterei la mia treccia che sta sorridendo sul serio. 4-2, palla al centro.
Mentre mi preparo a punzecchiarlo di nuovo qualcuno bussa alla porta. Sento la voce di mia madre chiedere «È permesso?». Rispondo di sì e poi entra, salutando me e Nath con un gesto della mano. Poi mi fissa in cagnesco.
«Vai a portare quella roba in cucina, forza» dice, indicando il vassoio della colazione.
La fisso sospettosa «L’ultima volta che ti ho lasciata sola con un mio amico, l’ho trovato stordito sul pavimento per le troppe domande».
Lei ridacchia «Ma ti pare? Io?».
Alzo gli occhi al cielo, esco, riporto il vassoio in cucina e lo mollo sul tavolo. Prima di tornare in stanza, ne approfitto per afferrare un succo di frutta da sorseggiare. Riesco a far durare un succo di frutta per ore, se ho altro per la testa.
Quando entro in stanza mia madre sta cambiando le bende sulla schiena di Nath, il che implica che lui è a torso nudo. Per un maschio dovrebbe essere una cosa normale, ma lui arrossisce come un idiota.
«Insomma, Kim, si bussa!» Mi rimbrotta mia madre.
«Questa. È. Camera. Mia» replico, scandendo le parole una per una.
«Ma ora c’è lui, quindi per un po’ sarà camera di Nathaniel. Fila in sala!».
Al che Nath diventa, se possibile, ancora più rosso «N-no, n-non è necessario…» prova a dire, ma non posso certo rimproverargli di non riuscire a imporsi su mia madre. Nemmeno io ci riesco, e vivo qui da sedici anni. Inoltre, mamma ha uno sguardo da “Adoro-questo-ragazzo” che non le ho mai visto per nessuno dei miei amici, il che ha qualcosa di preoccupante.
Per la terza volta questa mattina, esco da camera mia alzando gli occhi al cielo.
Incrocio mio padre, nella stretta anticamera che separa camera mia dall’ingresso, cosa che significa “Sta per iniziare la parte seria della giornata”.
«In che rapporti sei con lui?» domanda, con quella sua aria severa e meditabonda come se sospettasse che in realtà uno dei due abbia organizzato tutto.
«Lo aiuto con delle scartoffie a scuola, null’altro» rispondo, poi gli lancio un’occhiata annoiata. «Si vergogna già solo perché lo chiamo Nath, non hai motivo di preoccuparti».
«Hm…» è tutto quello che dice.
Passa qualche minuto, poi entra in stanza ed io ne approfitto per seguirlo. Se ci cacciano, posso dire che stavo tentando di fermarlo.
Non succede niente, invece, perché Nath è di nuovo vestito e mia madre sta riavvolgendo le bende non usate. Lui sembra piuttosto tranquillo, ma quando vede mio padre mi pare di vederlo irrigidirsi un poco. Difficile dire se mio padre se ne sia accorto, più intellegibile del suo sguardo c’è poco.
«Come sta la tua schiena?» gli domanda, e giurerei che Nath sia sobbalzato. Beh, non è il primo: il povero Armin praticamente si mette sull’attenti ogni volta che incrocia mio padre.
«N-non fa troppo male, se non mi muovo» risponde, incespicando sulle parole, al che la sua reazione mi pare esagerata rispetto a quanto si trovava a suo agio con mia madre. Ovviamente, la sola aura di mio padre stronca qualsiasi bugia per gentilezza lui potesse aver preparato.
Mio padre non sospira, non lo fa mai, ma rilassa le spalle e chiude gli occhi esattamente come se l’avesse fatto. Solo senza rumore. «Lo immaginavo» commenta, e nessuno nella stanza ha dubbi sul fatto che non si sta riferendo alla schiena di Nathaniel. «Kim, puoi uscire?».
Non credo, dato che Nath è praticamente terrorizzato da te. Vorrei dirglielo, ma nemmeno io oso con mio padre. Non quando è così mortalmente serio. E poi dire terrorizzato è un’esagerazione forse, perché anche Nathaniel è un tipo razionale in fondo; mio padre non gli ha dato motivo di essere spaventato, al massimo un po’ in ansia. Gli lancio un’occhiata apprensiva, come per dirgli “se hai bisogno ci sono” ed esco, apparentemente rassegnata.
Neanche dieci secondi dopo, sento la voce di mio padre: «Cara, puoi occuparti di insegnare a Kim che non si origlia?».
Al che, mia madre apre la porta a cui ero appoggiata, facendomi inciampare goffamente, e mi guarda male. Molto male. Poi mi piglia per la treccia e mi tira via dalla porta, chiudendola dietro di noi e portandomi in sala.
E così, io sono sola con mia madre e Nath è solo con mio padre.
Non prevedo niente di buono.






Rieccomi qui!
Questo è stato un capitolo forse un po' di passaggio, ed ho avuto le mie difficoltà a descrivere Nath *Credeteci o no, l'avevo fatto anche più timido di com'è in questa versione xD* Per ora c'è solo lui, ma nel prossimo capitolo iniziano i problemi anche con Castiel :P
In realtà questo capitolo è importante perchè è dedicato a mia cugina Ciaohello *Saluta cugi* che mi ha costretta convinta a scrivere e pubblicare questa FF, dopo tanti anni che ero scomparsa dai vari fandom del sito.
Qualcuno potrebbe chiedersi: perchè dedicare il terzo capitolo? Perchè non il primo? Semplice: perchè non si può far una dedica a quella golosona di mia cugina senza inserire una GROSSA fetta di nutella :P La colazione di Kim te la dedico tutta, ciaohello! xD TVTB, cugi <3
Un ultimo annuncio: domani parto, perciò potrei aver difficoltà ad aggiornare la storia prima del 28/29. Farò del mio meglio per riuscirci ma, si sa, paese che vai, wi-fi che trovi!
Un grazie a tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo e a quelli che hanno inserito la storia fra le preferite/seguite/ricordate! Se vi è piaciuto il capitolo, lasciatemi un commento per rallegrarmi le vacanze :P
^.* Shè





Nel prossimo capitolo di Three Shades of Love:
Quando si inizia scherzando, è facile finire piangendo.
E se qualcuno ti tiene nascosto qualcosa, diventa difficile parlarci.
A volte capita che una persona non ti veda allo stesso modo in cui tu vedi lei.
Il prossimo capitolo di Three Shades of Love: Empatia.
“Ho un sacco di problemi. E tu al momento sei quello più grande.”

 
  
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