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Autore: Yanothing    14/07/2014    1 recensioni
Tutto questo è nella mia testa, è solo un sogno, nulla è reale, è tutto troppo effimero. La terra crolla sotto i miei piedi, devo tornare a casa, le menzogne di una vita e quel volto, quegli occhi azzurri, di quell'azzurro glaciale. Musica, birra, sigarette, la vita scivola via troppo velocemente, devo correre.
Qual'è la verità? Cosa sono? Chi sono?
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrienne Nesser Armstrong, Billie J. Armstrong, Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Il silenzio aleggiava attorno a lei, nella sua testa scorrevano ancora le fresche parole dell'uomo che l'aveva rovinata.
Si era ridotta ad essere una figura invisibile, nessuno la notava nonostante i suoi polsi sanguinassero e il suo viso presentasse scure tumefazioni.
Sentiva il vento passarle tra i capelli, sentiva l'odore dei pini bagnati dalla pioggia che era caduta per tutto il giorno, ma che ora era cessata, almeno così credeva poiché non riusciva più a sentire nulla sulla sua pelle consumata dalla pazzia e dalla violenza. Correva stringendosi un polso con la mano, cercando di fermare quel fiume di sangue color cremisi, denso, scuro, ma senza tanto successo, l'acqua sporca delle pozzanghere schizzava da tutte le parti ogni volta che ci metteva il piede dentro con i suoi pesanti anfibi neri. Era scappata, ce l'aveva fatta e ora stava correndo senza una meta ben precisa da raggiungere, forse avrebbe semplicemente corso fino a quando non sarebbe stata abbastanza lontana e finché le poche forze che le stavano gocciolando fuori dai polsi gliel'avrebbero permesso.
La luna alta in cielo e il rumore delle macchine che sfrecciavano sulle strade lontane da quelle piccole vie periferiche che stava percorrendo erano le uniche cose che facevano da cornice a quella scena così cinematografica da sembrare quasi irreale pure ai suoi occhi, delle volte si convinceva di star sognando, si convinceva che quella non era la sua vera vita, che fosse crollata in un sonno profondo e che quello era solo un mondo parallelo dove il suo cervello l'aveva scaraventata, invece poi arrivava il dolore carnale a convincerla che quella era la triste realtà, quella era la sua vita, quella era la merda che portava avanti ogni giorno.
Si guardò alle spalle, la paura che la scintillante lama del coltello con la quale si era ferita ai polsi la seguisse era ancora presente, aveva paura che lui la potesse trovare, aveva paura che non c'era via di scampo da quella prigione, se non con l'ultimo dei rimedi che, se sarebbe rimasta lì per qualche altro giorno, avrebbe di sicuro sperimentato. Sentiva di non avere più le forze per andare avanti, sentiva che l'asfalto accidentato del parcheggio del Tric, il pub più rinomato di Oakland, le stava crollando sotto i piedi, sentiva che il buio la inghiottiva, sentiva che non c'era più speranza per andare avanti, e a quel punto le sue ginocchia cedettero, abbandonandola nel momento peggiore, il sangue aveva smesso di uscire a fiotti, ma ancora scorreva, imperlandole i polsi di gocce purpuree, mischiandosi alle particelle acide che produceva la pelle della ragazza.
Cadde, ai piedi di una macchina, un'alta jeep nera dai finestrini neri, impossibile da scrutare nell'ombra della notte, arrancò nel fango di una pozzanghera cercando di tirarsi fuori da quella stradina desolata che non prometteva nulla di buono, cercava di piantare le unghia nell'asfalto che semplicemente si sgretolava mentre i polpastrelli della ragazza, già sporchi di sangue, si riempivano di graffi. Era ormai a pochi metri dall'angolo quando la portiera della jeep si aprì, la ragazza si girò a guardare due scarpe da uomo scendere da quello che si immaginava essere un confortevole abitacolo dai sedili in pelle, si passò velocemente la lingua sulle labbra gonfie e sentii il ferruginoso sapore del sangue invaderle le papille gustative, sentiva le palpebre cominciare a diventare pesanti mentre piccoli ruscelli di sangue si mischiavano alla pioggia battente che, ora che era ferma, riusciva a notare mentre batteva incessante sul nero asfalto, l'uomo scattò verso di lei e si inginocchiò al suo fianco, muoveva le labbra, ma non sentiva più alcun rumore, se non la pioggia che si andava affievolendo fino a scomparire anch'essa, serrò le palpebre e lasciò cadere malamente la testa.

Al suo risveglio non ricordava nulla di ciò che successe dopo che la sua nuca aveva sbattuto contro l'asfalto, sentiva un forte dolore all'occhio sinistro ed ebbe difficoltà ad aprirlo, aveva anche un forte mal di testa che le premeva contro le tempie, fece per poggiarsi una mano in fronte, ma qualcosa glielo impedì, deglutì a fatica, la gola era secca e asciutta e le labbra incollate tra loro, alzò un po' la testa e finalmente capì cosa le impediva di portarsi le mani alla fronte.
Grosse manette imbottite di gomma piuma le tenevano i polsi ben saldi ad un letto d'ospedale, attorno ad essi c'erano spesse e morbide fasciature che in alcuni punti sembravano più rosee per via del sangue che cominciava ad impregnarsi nelle garze.
Si era salvata di nuovo, era di nuovo salva e forse, per la prima volta da mesi, al sicuro.

  
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