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Autore: Ida90    15/07/2014    1 recensioni
Una ragazza cresciuta in una locanda scoprirà nuova gente, alcuni che saranno gentili altri che la useranno per i propri scopi. Sarà corteggiata e aiutata ritrovando un amore perduto in tenera età che creerà con lui la famiglia a cui era stata strappata.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Era sola quella mattina nella locanda, tutti dormivano ancora e il silenzio regnava assoluto sulla valle. Non vi erano forestieri da giorni e la locanda era diventata un cimitero a porte chiuse. Poi un giorno di fine inverno entrò nella locanda uno straniero, indossava abiti pesanti e un cappuccio che gli copriva per intero la testa nascondendo anche il suo volto.
Una ragazza di poco più di venticinque anni, lunghi capelli rosso fuoco e pelle diafana, stava spazzando il pavimento mettendo in ordine il salone quando la voce profonda e ferma di quello straniero la fece trasalire di colpo. Lei si voltò e fissandolo incantata per alcuni istanti, chiese all’uomo cosa desiderasse.
«Vorrei da mangiare, un bagno caldo e un letto dove riposare le mie stanche membra.» fu gentile, anche se il suo aspetto faceva pensare al contrario e lei essendo ancora sola si affrettò ad accontentarlo.
L’uomo aveva un fisico grosso quasi tozzo e l’unica cosa che incantò la ragazza furono i suoi occhi rossi come il fuoco. Lei sistemò sul tavolo un bicchiere e una caraffa di vino e accanto, una più piccola di latte caldo e poi gli servì solita colazione della locanda; si congedò da lui con garbo e gli andò a preparare un bel bagno caldo. Una volta che lui ebbe finito, lei lo accompagnò nell’unica stanza disponibile portandogli degli asciugamani puliti per lavarsi.
«Qual è il tuo nome?» le chiese l’uomo con tono gentile avendo notato la sua agitazione.
Lei in un primo momento non rispose ma vedendo che l’uomo non aveva insistito gli rispose: «Dalia. Mi chiamano Dalia, mio signore.».
L’uomo restò immobile seduto sul bordo del letto, mentre cercava di porle un’altra domanda. Esitò per qualche istante e poi la formulò: «Non sei di queste terre, il colore dei tuoi capelli è differente da quello di queste persone e anche la tua pelle è diversa… da dove vieni?».
La ragazza si piegò verso l’interno della vasca per costatare se la temperatura dell’acqua fosse calda al punto giusto e solo quando alzò il volto verso di lui, gli rispose: «Da Samjra, mio signore… dalle terre del Nord, un piccolo villaggio fra i ghiacciai.».
La curiosità dell’uomo, che ancora non aveva un nome, continuò e proseguì nelle sue domande: «Perché ti trovi così lontana da casa?». Questa volta però la ragazza non rispose e lo lasciò solo.
L’uomo restò nella sua stanza senza vedere nessuno e solo l’indomani uscì; si recò verso il bancone, chiese all’oste un boccale di birra della migliore qualità e, quando fu servito, lui cominciò a sorseggiare. Aveva bevuto un boccale di birra tutto di un fiato e poggiandolo sul bancone pagò l’oste più di quanto doveva.
Si voltò verso l’uscita e incontrò lo sguardo della ragazza… restarono in silenzio entrambi e senza muoversi poi l’uomo si coprì la testa con il cappuccio e andò via, lasciando la locanda. Se ne andò all’alba, sul suo cavallo, con la sacca piena di viveri e di quelle sole parole che in pochi minuti si erano detti.
Attese giorno dopo giorno il suo ritorno, non seppe neppure più per quanto tempo, finché una mattina giunse alla locanda la notizia della morte di un capitano. Alcuni clienti dissero che si trattava dello straniero giunto alla locanda tempo prima… pur non conoscendolo il suo cuore, si fermò nel suo petto per un istante, ma in realtà sembrava fosse un’eternità.
Disperata, raggiunse il lago per porre fine alla sua esistenza che, senza di lui, sarebbe stata insopportabile. Perché comportarsi in quel modo? Non lo conosceva, eppure era colma di dolore… era stata l’unica persona che l’aveva trattata con gentilezza da quando si trovava in quelle terre, e lui era solo uno sconosciuto ha cui non aveva rivelato nemmeno il suo nome.
Sulla riva vi trovò una vecchia che sembrava aspettarla. «Ti attendevo da qualche tempo. Sapevo che il tuo dolore ti avrebbe condotto qui. Non puoi porre fine alla tua vita, il tuo destino ti porterà lunga vita. Aspetta….». Non sapeva cosa successe né quanto tempo trascorse. Sapeva solo che si svegliò sulla riva del lago sapendo che avrebbe vissuto una lunga esistenza.
Ritornò alla locanda, era già notte fonda e se ne andò a dormire, poiché l’indomani sarebbe stato un lungo ed estenuante giorno.
Trascorse gli anni successivi come aveva fatto fino a quell’incontro, però tutto cambiò quando un giorno di primavera arrivò alla locanda un mercante di schiavi che si fermò per qualche giorno. L’oste era strano, restava spesso in compagnia del mercante e spesso e volentieri le lanciavano occhiate peccaminose. Capì che cosa sarebbe accaduto quando l’oste, la vendé al mercante per poche monete d’oro.
Così abbandonò quel luogo, che per lei era stato per molto tempo la sua casa e cominciò a esplorare quelle terre in cui era stata obbligata a vivere. Arrivò in una città non molto grande situata vicino al porto e lì il mercante acquistò altre giovani ragazze. Le quattro ragazze da poco comprate furono vendute in un bordello chiamato la “Casa dei Piaceri” il più famoso di tutta la regione dove si fermavano i criminali di ogni specie e dove anche i nobili non sdegnavano la pregiata mercanzia.
Anche Dalia era in procinto di essere venduta, ma il proprietario non la volle poiché era troppo grande, così il mercante la portò via sperando di non aver fatto un brutto affare. Poiché in città non poteva restare per via dei decreti emanati contro i mercanti di schiavi che li condannava ai lavori forzati, si stabilì poco fuori dalla città in una piccola radura circondata dal bosco.
Dopo vari giorni, il mercante fece ottimi affari, compensando la perdita del suo denaro con l’acquisto di Dalia che non aveva ancora fruttato. Arrivò al pomeriggio con due persone, un uomo e una donna, che gestivano insieme una locanda, la più bella della città, e la comprarono soprattutto per toglierla dalle sporche mani di quell’uomo.
Ritornati in città alla ragazza, fu concessa una camera, molto più grande di quella che aveva avuto nella vecchia locanda, e degli abiti nuovi. La sua mansione era di occuparsi esclusivamente delle camere per gli ospiti e nient’altro, tuttavia la ragazza volendo dimostrare la sua gratitudine si occupò anche di altro. I due locandieri erano fieri di lei e gli ricordavano la loro figlia che era morta anni addietro.
Era contenta e sperava di non dover più essere trattata come un cane…. Dopo alcuni mesi, in città giunsero alcune guardie che scortavano un ragazzo che indossava bellissimi abiti ricamati a mano e che sembrava dovesse sposarsi.
«Chi è il ragazzo?» chiese Dalia rivolgendosi al locandiere che si chiamava Frank.
L’uomo si schiarì la voce e rispose: «È il figlio di un ricco possidente della città vicina, è qui per sposare la figlia del nostro capo città. L’unione delle nostre due città porterà prosperità.».
La ragazza guardò il futuro sposo e sospirò. «Deve essere meraviglioso sposare una donna che si ama.».
L’uomo rientrò e aggiunse: «Oh ma quei due non si conoscono neanche è tutto un matrimonio combinato dalle loro famiglie.».
Dalia non replicò ed entrò anche lei. Avrebbero avuto molto da fare per ospitare alcune delle guardie che scortavano il futuro sposo e altri stranieri che erano arrivati in città proprio quello stesso giorno. Ebbero molto da fare e c’era un forte via vai che non smise se non verso tarda notte.
Quando non c’era più nessuno in piedi, Dalia decise di dare una ripulita al locale e di lasciare che locandieri si riposassero dalla fatica della giornata. Sistemò i tavoli e le sedie in modo che vi fosse più spazio per lei per spazzare il pavimento. Le bastarono pochi minuti per rimettere a posto l’intero locale e proprio allora che sentì la porta della locanda aprirsi e chiudersi pochi secondi dopo.
Dalia si voltò e in quell’istante si rivolse alla persona entrata: «Che cosa posso fare per voi?». Si pietrificò nel vedere la persona alla porta e così lasciò cadere la scopa che rimbalzò sul pavimento fino a fermarsi.
L’uomo avanzò e si fermò a qualche passo da lei prima di rispondere: «Una stanza e un bagno caldo per favore.».
Lei scosse la testa per riprendersi e lo invitò ad avvicinarsi al bancone dove lo fece firmare per l’occupazione della stanza. Prese una lampada e lo accompagnò al terzo piano dell’edificio, dove si trovava l’ultima stanza vuota. Aprì la porta e lo fece accomodare mentre accendeva altre lampade. Gli preparò il bagno, gli diede asciugamani puliti e lo lasciò.
L’indomani e i giorni successivi trascorsero normalmente e senza che lei potesse di nuovo rivederlo, fino al giorno del matrimonio. La festa cominciò poco dopo all’alba e solo a metà della festa l’uomo la lasciò per recarsi alla locanda e riposare. Si era fermato sulla soglia della locanda a salutare un amico e non appena questo se ne andò, lui sentì una voce di donna gridare.
Irruppe nella locanda con eleganza e vide che un uomo robusto, un topo di fogna, aveva afferrato da dietro Dalia e la stringeva cercando di baciarla. Lei si dimenava, scalciava e morse un paio di volte quell’uomo, ma lui era più forte e lo stringere troppo le faceva male. “Lasciami” continuava a gridare la ragazza, ma l’uomo finiva di stringerla.
L’uomo fece un ultimo errore, le diede un morso sulla spalla facendola gridare dal dolore e fu in quel momento che il capitano si diresse verso i due afferrando l’uomo per i capelli e scagliandolo con forza sul pavimento. «State bene?» chiese rivolgendosi alla ragazza.
«Sì.» rispose lei massaggiandosi il punto sul morso.
Il capitano sbatté fuori dalla locanda l’uomo e poi ritornò dalla ragazza per vedere cosa quel bastardo gli aveva fatto. In quel momento arrivò di corsa la locandiera che era stata avvertita da un ragazzino. Il capitano uscì e la ragazza fu medicata.
   
 
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