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Autore: ilovebooks3    17/07/2014    0 recensioni
La storia ripercorre l'episodio 6x22, raccontato dal punto di vista dei due protagonisti.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Say what again?” (P. Jane)
 
Evidentemente, il capo ha affidato all’agente Ross l’arduo compito di compilare la mia deposizione. Oltre a quello di controllarmi a vista.
Ora il viscido piedipiatti in questione mi sta fissando con l’aria di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte.
Devo ammettere che è stato il suo cartellino a rivelarmi il suo nome perché, per quanto io sia abile, a questo non sarei mai arrivato.
Per il resto resto, però, ho fatto tutto da solo. Modestamente. Occhi sfuggenti, dita inquiete e piede che batte ritmicamente sul pavimento. Wow. Sarà divertente.
«Non ha molta voglia di parlare con me, vero agente Ross?», inizio, con voce suadente.
Silenzio.
«Le assicuro che neanche io ce l’ho», ci tengo a precisare.
Silenzio. L’avevo già intuito che qui alla TSA non sono molto loquaci.
«Possiamo evitare tutto questo, non è d’accordo?», azzardo.
«Certamente no. Il capo ha detto di raccogliere attentamente la sua deposizione ed è quello che farò». Eppure, per un attimo, è stato tentato dalla proposta. Ha sbattuto gli occhi più rapidamente, l’indice della sua mano sinistra si è mosso in un tic involontario e la bocca si è increspata in una smorfia di disgusto. Lo devo irritare davvero tanto.
«Fa sempre quello che dice Wilson?», chiedo candidamente.
«Certo. E’ il capo», risponde velocemente. Troppo velocemente.
«Spera di fare carriera così?», insinuo.
Vorrebbe resistere alla provocazione, ma è curioso. «Così come?», mi chiede con un tono di voce acuto. Troppo acuto.
«Facendo favori. Inchinandosi ai potenti, pur disprezzandoli. Annullando la sua identità. Seguendo le regole».
Si irrigidisce. Ho toccato il tasto dolente. «Le regole sono fatte per essere seguite», sentenzia.
«O per essere infrante. Dipende dal punto di vista».
Lisbon segue le regole. E’ davvero brava a farlo. Io le infrango, e anch’io sono piuttosto bravo. I nostri metodi funzionano meglio quando collaborano. Noi due ci siamo sempre completati in un modo perfetto. Questa, però, è un’altra faccenda.
Ross mi sta guardando con odio. E’ facile capirne il motivo.
«E a lei piace fare tutto quello che dice il capo, giusto?», continuo.
«Di solito sì», replica brevemente.
«Di solito sì, ma ora no. Perché?», insisto. Alcuni trovano irritanti i miei metodi. E’ proprio quello il mio intento. Innervosire l’avversario per renderlo vulnerabile.
Silenzio. Così mi rende il compito ancora più semplice.
«Non le sono simpatico. Lo vedo dalla sua smorfia di irritazione. Beh, se la può far stare meglio, nemmeno lei lo è a me», dichiaro, sfoderando un sorriso freddo.
Mi fissa con un’espressione torva. «Lei mi è del tutto indifferente».
«Non è vero. Lei non mi sopporta. Wilson le ha fatto leggere qualche piccola notizia su di me. Sa che ho fatto soldi truffando la gente. Sa che ho ucciso un uomo e che l’ho fatta franca. Sa che ora lavoro con l’FBI. Sa che invece di rigare dritto combino guai; anzi, sono pagato proprio per combinare guai. Mentre lei è rinchiuso qui dentro e a stento arriva a fine mese, perché buona parte del suo misero stipendio finisce nell’assegno di mantenimento per la sua ex moglie; e l’altra parte finisce nei casinò, sperando in una vittoria che non arriva mai. La cosa più eccitante che le capita sul lavoro è controllare bagagli sospetti e arrestare idioti come il sottoscritto. Idioti che buttano all’aria le regole per seguire un capriccio. Devo continuare?»  Il mio tono di voce è volutamente ipnotico. Dopotutto, sono uno showman.
Lui annuisce. E’ in mio potere.
«Io penso che sarebbe pronto a uccidere il suo caro Wilson, pur di prendere il suo posto», continuo. «Gli lecca i piedi ma è pronto a fargli le scarpe». Rido della mia sagace battuta. Il rumore della mia risata sveglia il mio nuovo amico dal suo torpore.
«Non è stato divertente?», lo provoco.
«Cosa mi ha fatto? Cosa vuole da me?». E’ spaventato. Occhi sbarrati, colorito pallido, sudorazione profusa, iperventilazione, tachicardia. Le mie letture a freddo sono sempre efficaci e ottengono questo effetto.
«Voglio aiutarla», rivelo con tono pacato.
Mi guarda con sospetto. «E sentiamo, come pensa di aiutarmi?»
«Lei spera che farmi da badante le faccia guadagnare punti agli occhi del capo Wilson. Ma non li guadagnerà se io non parlo. Se, invece, le faccio fare bella figura mi merito un po’ di riconoscenza, non crede?». Il mio ragionamento non fa una piega.
«Cosa intende dire?», domanda con diffidenza.
«Le dirò tutto. Le farò scrivere la più bella deposizione che abbia mai fatto», prometto con una punta di sarcasmo.
«E in cambio cosa vuole?», mi chiede sospettoso.
«Una telefonata». Sorrido con noncuranza, come fosse la cosa più scontata del mondo.
«Non se ne parla».
«Allora non dirò nulla. Mentirò. Non riuscirà a compilare una deposizione che abbia senso. Non farà colpo su Wilson, che, anzi, la riterrà un idiota. E non avrà tutti i torti», sentenzio strabuzzando gli occhi.
Ross mi punta un dito contro. «Se non parla sarà peggio per lei».
«Io non ho niente da perdere. Lei sì». Sfoggio uno dei miei sorrisi manipolatori.
«Mi sta ricattando? Ringrazi il cielo che non la chiuda in una cella e butti via la chiave. Cominciamo. Abbiamo già perso troppo tempo. Mi dica il suo nome e perché è salito su quell’aereo». Il viscido agente è partito all’attacco.
Ma anch’io. «Sono un extraterrestre. Sono salito sull’aereo perché speravo mi riportasse su Marte». Roteo gli occhi in quel modo da folle che spaventa tanto i miei interlocutori.
«Guardi che se non mi dice la verità la terremo qui a vita», mi minaccia.
Che paura. «Io no parlare vostra lingua. No capire», biascico portandomi la mano all’orecchio.
Sospira. L’ho irritato almeno quanto volevo. «E va bene». Sparisce per poi ricomparire dopo pochi minuti. «Faccia quella telefonata. Una sola». E’ stato più facile del previsto. Mi restituisce il cellulare.
Nessuna chiamata. Nessun messaggio. Certo, cosa mi aspettavo? Chiamo il primo nome della mia rubrica.
«Ciao Abbot. I colleghi della  TSA mi dicono di salutarti».
«Jane. Sei in aeroporto? Dov’è Lisbon?». Sembra seriamente preoccupato.
«Lisbon è su un aereo. A quest’ora sarà già a Washington». Il mio tono di voce si è abbassato. Mi fa male dirlo. Ma dovrò abituarmici.
«Non hai fatto in tempo?», chiede con impazienza. Ha sempre capito tutto. Lui.
«Ce l’ho fatta. L’ho vista. E gliel’ho detto. Stop». Non ho alcuna voglia di parlarne.
«E lei è partita lo stesso?», chiede.
«Non penso avesse un motivo per non farlo». E non ha tutti i torti.
«Di motivo ne avrebbe uno bello grosso. Irritante e combina guai, forse. Ma, d’altronde, i gusti sono gusti».
Sorrido, mio malgrado.
«Ma sei sicuro che abbia preso davvero quell’aereo?», insiste Abbot.
Una parte di me ne è sicura. L’altra parte si ricorda dell’espressione enigmatica dei suoi occhi e pensa che non tutto è perduto. «Non ti ho chiamato per parlare di Lisbon. Chiederò la tua spalla se dovessi averne bisogno. Ma non ne avrò bisogno». Il mio momento di espansività si è esaurito su quell’aereo.
«So che non la chiederai. Ma so anche che ne avrai bisogno», ribatte.
«Forse», ammetto a malincuore. Cambio discorso. «Mi chiedevo se puoi dire ai nostri amici qui che non sono un terrorista, ma un valido collaboratore dell’FBI».
«Ti hanno arrestato? Cos’hai combinato?». Il suo vocione sembra rassegnato. Non sono nuovo a situazioni del genere, in effetti. Non so perché ma innervosisco sempre qualcuno.
«Per parlare con Lisbon diciamo che ho dovuto fare un po’ di cosucce considerate non del tutto legali», spiego.
«Ok. Non lo voglio sapere. Chiudo il caso qui e tra qualche ora arrivo».
Butta giù. Abbot è diventato qualcosa di pericolosamente simile a un amico.
Restituisco il cellulare all’agente. Non mi servirà più.
«Ha finito? Ora risponderà alle mie domande?», mi chiede Ross con un’ipocrita voce in falsetto.
«Sì». Dico sul serio. Avevo dato la mia parola e devo mantenerla. Questo è l’influsso della persona più onesta che io conosca. Riesce sempre a rendermi una persona migliore. Anche quando non c’è.
Sparisci dalla mia testa, Lisbon. Quante volte tu l’hai detto a me. Ora è il mio turno.
Ma la sua vocina invadentemente saggia non sparisce. Mi ci dovrò abituare.
«Cominciamo con la deposizione?» fingo un tono allegro.
Brevemente spiego che la mia presenza su quell’aereo non ha nulla a che vedere con atti terroristici. Spiego molte cose, le parole escono automaticamente dalla mia bocca.
Finalmente finiamo con questa farsa.
«Visto? Non è stato poi così complicato. Basta intendersi», gli dico mentre gli strizzo l’occhio. «Ah, le consiglio di fare un po’ di sport, tonifica i muscoli e aiuta la mente a liberarsi di tutta questa rabbia repressa».
L’agente Ross mi fissa con disapprovazione, poi prende le sue scartoffie ed esce dalla stanza senza una parola. Immagino che riprenda la sua postazione di vedetta dietro al vetro. In fondo so che si è divertito anche lui. O forse no. Non mi importa. Non mi importa nemmeno che ne sarà di me. Non più ormai.
Non ho idea di cosa farò una volta uscito da qui. Ammesso, ovviamente, che mi facciano uscire.
Non ho nessuna intenzione di lavorare all’FBI. Come avevo detto a Lisbon, questo è stato il nostro ultimo caso insieme. E sarà anche il mio ultimo caso in generale. Se lei non c’è, non ha più senso.
Dovrò comunicarlo ad Abbot, usando per la seconda volta la mia finta lista di nomi come arma di ricatto.
Oppure sparirò.
Oppure continuerò a usare le mie capacità per aiutare i federali, perché così vorrebbe una piccola poliziotta dagli occhi verdi che mi ha insegnato che cos’è la giustizia.
Vorrei non pensare a nulla. Ma, come avevo detto più di una volta a Lisbon, non si può non pensare a nulla.
Lisbon. Eccola, che si fa strada prepotentemente nella mia mente. Di nuovo. Basta.
Cerco di concentrarmi su altre stanze del palazzo della memoria, sugli acronimi che mi servono per ricordarmi un’infinità di cose.
Fisso un punto indefinito nella stanza e comincio a elencare tutte le specie animali di cui conosco l’esistenza. Poi passerò al mondo vegetale, dopo ancora a quello minerale. Poi a tutte le opere di Shakespeare in ordine cronologico, ai presidenti degli Stati Uniti e alle ere geologiche.
All’inizio non sento il rumore sordo alle mie spalle.
Quando mi accorgo della porta che ha sbattuto, penso che probabilmente sia Ross che ha dimenticato di chiedermi qualcosa. Non alzo lo sguardo di proposito, non voglio dargli questa soddisfazione. Ma una forza irresistibile mi costringe ad alzare la testa.
Quello che vedo mi lascia senza parole. E chi mi conosce sa che succede raramente.
Lisbon. Teresa.
L’unica e inimitabile.
E’ qui. Per un attimo penso che sia un miraggio, come lo è un’oasi per un assetato.
Per un attimo penso che sto sognando o che ho battuto la testa.
Lisbon dovrebbe essere a Washington a quest’ora.
Dopo un secondo di smarrimento, realizzo che è davvero qui. In carne ed ossa. Poca carne e piccole ossa. Lo capisco dal suo profumo. Sa di fresco. Di vaniglia e frutta. Di Lisbon.
E’ riuscita a stupirmi. Ritiro tutto ciò che ho detto riguardo la sua prevedibilità.
Non riesco a ragionare. So che dovrei farlo. Ma non posso.
Oh, al diavolo la razionalità. Lei è qui davanti a me ed è bella come un fiore.
Si morde un labbro. Mi fa impazzire quando lo fa.
«Ehi», mi dice. Così, semplicemente. Come se ci fossimo incontrati per caso a un supermercato. E’ incredibile, questa donna.
«Ciao», rispondo, cercando di imitare la sua stessa nonchalance.
Ho la bocca semiaperta per lo stupore e l’espressione da tonto, me ne rendo conto. Non contribuisce di certo al mio fascino.
Io sono sempre il primo a capire le cose. Eppure ora mi sento l’ultimo degli stupidi. Non ho idea di cosa significhi la sua presenza qui.
L’unica cosa che so è che Lisbon non è tra le braccia di un altro uomo; e non posso che rallegrarmene.
Non riesco a valutare tutte le possibilità. Di solito lo faccio molto bene. Valutare le varie possibilità e poi scegliere la meno scontata. Anche se, a volte, la risposta più semplice è la più probabile.
Ma ora il mio cervello è intorpidito, come raramente è. Avrei disperatamente bisogno della mia consueta lucidità. Ma non c’è verso. Gli ingranaggi neuronali sembrano essersi inceppati.
Eppure, stavolta, non sono sotto l’effetto della belladonna. Ho solo una bella donna davanti.
Sorrido al mio mentale gioco di parole. Vorrei dirglielo e rompere la tensione, ma forse è meglio evitare. E aspettare. Nel frattempo, spero di ritornare padrone di me stesso.
Oh, al diavolo i ragionamenti. E’ bello vederla e basta.
Lei abbassa per un attimo lo sguardo, poi lo tuffa su di me. Due grandi smeraldi colmi di bontà.
Sorrido, istintivamente. Mi fa sempre questo effetto. Mi fa stare dannatamente bene.
«Un altro piccolo guaio in cui ti sei cacciato?», dice ironicamente, alzando le sopracciglia e increspando le labbra in un mezzo sorriso accennato dei suoi.
Parlare, dopotutto, ci viene naturale. Come sempre. Nonostante ora ci siano quelle paroline impegnative appese su di noi.
Distolgo per un attimo lo sguardo da lei, spero mi aiuti a concentrarmi. Poi lo ripunto sul suo viso.
«Ho visto di peggio, lato guai», confermo, nicchiando. Gliela metto lì su un piatto d’argento. Non rinuncerà all’occasione di usare un po’ del suo adorabile sarcasmo.
«Sì, infatti». Continua a sorridere. E’ stranamente accondiscendente. Non mi lancia nessuno sguardo assassino. Nessun oggetto contundente. E’ tranquilla. Io no. Mai abbassare la guardia con Lisbon.
Respiro ritmicamente e cerco di ricordare al mio cuore di battere. Riesco a rimettere in moto il cervello. Più o meno. I miei neuroni cercano di incamerare il difficile concetto che lei è qui. Con me.
Mi chiede come va la caviglia. Le rispondo che va bene. Non è importante, quella.
E’ dolce a preoccuparsi per me, però. Si preoccupa sempre per me. A volte troppo. Ma mi piace quando lo fa. E’ un buon segno.
No, un attimo. E’ qui, ma questo non vuol dire niente. O, almeno, non dev’essere per forza qui per il motivo che spero io.
Quella poca lucidità che sono riuscito a recuperare è consapevole che si tratta di un’eventualità molto improbabile. Stava per raggiungere il suo fidanzato. Stava, quasi sicuramente, per sposarlo.
Però ora è qui. In una squallida sala interrogatori dell’aeroporto di Islamorada. Niente Washington e niente pancake. Per ora.
Non è da Lisbon fare qualcosa di avventato. E’ una persona estremamente razionale o, per lo meno, le piace fingere di esserlo. Cerca sempre di fare in modo che la mente guidi il suo istinto.
A volte sbaglia, glielo dico sempre che dovrebbe lasciarsi un po’ più andare.
A volte, però, lo fa inaspettatamente, spiazzandomi.
Aveva deciso in quattro e quattr’otto di seguire un uomo appena conosciuto. Poi, evidentemente, ha deciso in una frazione di secondo di scendere da quell’aereo. Penso di avere il diritto di essere un po’ spaesato. Ho bisogno di sapere.
«Non sei andata a Washington». La mia non è una domanda e lei lo sa. E’ il resto che mi interessa. Voglio sapere se ci andrà. O se resterà qui. Con me.
Un buon mentalista, per essere tale, non deve essere coinvolto. Io lo sono, eccome se lo sono; quindi non riesco a intravedere nemmeno un indizio nelle sue microespressioni facciali che mi possa rivelare quello che le passa per la testa. Pensare che l’ho sempre definita addirittura traslucente. Ora pagherei per entrare nella sua mente.
Eppure ho paura. Una paura fottuta di sapere.
Può essere qui perché è troppo onesta per non desiderare un confronto normale tra due persone civili.
Può essere qui in nome della nostra amicizia.
Può essere qui perché vuole farmi una bella ramanzina e darmi un ceffone. Molto probabile.
Può essere qui perché è qui che vuole stare. Improbabile. E folle. Io scapperei da me.
«No», mi dice, con una buona dose di sicurezza nella voce.
In effetti, lo dicevo che si sarebbe annoiata a Washington.
Un’ondata di calore mi travolge. I suoi occhi e il suo colorito sembrano promettermi cose che due minuti fa non potevo nemmeno osare sperare.
Rifletto su quello che ha fatto per me in questi anni.
Mi ha coperto mettendo a repentaglio la sua carriera, mi ha salvato la vita milioni di volte incurante della sua, mi ha sempre supportato, perfino nella vendetta, andando contro se stessa. Nessun altro al mondo l’avrebbe fatto.
Ha creduto in me quando nemmeno io ci credevo più.
Ha deciso che non ero un folle quando perfino io ero arrivato a ritenerlo.
Penso alla sua salda stretta di mano che mi ha sempre riportato nella giusta direzione; una mano così piccola e incredibilmente forte. Come lei.
Penso alla lieve tensione con cui il suo corpo ha sempre accolto i miei abbracci e alla dolcezza con cui, dopo qualche secondo, vi si abbandonava.
Penso ad alcuni sorrisi speciali che mi ha riservato.
Lo so che in passato aveva provato qualcosa. Me l’ha confessato lei stessa sull’aereo col suo “E’ troppo tardi”. E io, per anni, ero stato cieco, o avevo finto di essere cieco, per comodità. Per paura. Per la mia vendetta.
Ma ora?
Qualche settimana fa le avevo chiesto se le piaceva davvero Pike e aveva eluso la domanda.
Le avevo chiesto se era felice e mi aveva risposto con una voce troppo acuta; i suoi occhi sembravano voler dire tutt’altra cosa rispetto a quello che diceva la sua bocca.
Penso alle sue lacrime su quell’aereo, durante la mia teatrale dichiarazione.
Penso che, dopotutto, posso ancora sperare.
Per il momento, bypasso le innumerevoli volte in cui ha provato il desiderio di spararmi, di strozzarmi o di colpirmi con un fermacarte. Se mi ha sempre perdonato, un motivo ci sarà.
Dopotutto sono sempre stato presuntuoso.
L’espressione di Lisbon è indecifrabile. Ha le braccia appoggiate sul tavolo, le mani intrecciate. Posa rilassata. Sicura. Mi piace quando fa la donna decisa.
Non sembra arrabbiata. Né delusa. Né felice. Né triste. Sembra…curiosa. Di cosa?
Sorride. Ma ci si può aspettare di tutto dai sorrisi dell’agente Lisbon. Anche di essere strangolati un secondo dopo. E lei avrebbe tutte le ragioni per farlo.
Silenzio. A me va benissimo, mi basta guardarla. Per ora.
Non sono mai riuscito a capire come faccia a essere così esile e, allo stesso tempo, così forte. Così femminile e così decisa. Così dolce e così ferma.
E’ la prima cosa che ho pensato quando l’ho conosciuta, una dozzina di anni fa. Mano di ferro in guanto di velluto.
Teresa Lisbon è in grado di avere la meglio in uno scontro a fuoco, incastrare un assassino, e, un minuto dopo, consolare una madre che ha perso il figlio. E riesce a fare bene tutte queste cose.
Come facesse era un mistero, per me. Almeno all’inizio. Poi, a furia di starle accanto, ho cominciato a risolvere l’enigma e quello che scoprivo via via mi piaceva sempre di più.
La soluzione è semplice: è una brava agente e una persona buona.
L’istinto mi ha suggerito di fidarmi di lei fin dal primo momento; fin da quando mi ha aiutato a rimettermi in piedi dopo il pugno che ero riuscito a ricevere al CBI il primo giorno che vi ero entrato.
Non abbiamo mai smesso di farlo: io di fidarmi di lei e lei di sorreggermi. E’ una roccia. La mia roccia.
Le ho rivelato cose di me che nessuno ha mai saputo.
L’ho ammirata, ancora prima di affezionarmi a lei.
Poi le ho voluto bene senza nemmeno accorgermene, perché era la cosa più naturale del mondo. Quello strano e dolce sentimento che mi faceva così paura, e che oggi ho capito che è amore, è venuto dopo, giorno dopo giorno. Mi ha invaso, come l’alta marea; senza averne coscienza, mi sono trovato con l’acqua fino al collo.
Ma non posso pensare a questo, adesso. Non ora che lei è qui. Potrebbe andarsene da un momento all’altro. E io voglio bearmi della sua presenza, finché me la concederà.
Povero ex mentalista infallibile, in balia degli eventi.
Il silenzio continua. Non voglio dire nulla che possa rovinarlo. Ci guardiamo, è bello guardarla.
E’ lei la prima a romperlo.
Deglutisce e si inumidisce la labbra. «Intendevi davvero quello che hai detto?», mi chiede, un po’ esitante, ma non troppo.
Eccola la mia Lisbon. Combattiva. Diretta. Coraggiosa. Non si fida delle mie parole, potrebbe essere stato uno dei miei trucchetti. Vuole andarci a fondo. Forse è un buon segno.
O forse vuole solo parlare chiaramente della nostra situazione e darmi due di picche. Le è sempre piaciuta la chiarezza.
Sono fiera di lei. Anche adesso. Anche se mi dovesse chiedere se sono impazzito e rifilarmi un bel pugno sul naso.
Per un attimo, però, sotto la sua facciata da donna tutta d’un pezzo, intravedo l’ingenuità di una bimba. Una bimba spaventata e curiosa. L’ho sempre vista. Mi sono innamorato anche di lei.
«Sì, certo», rispondo in un soffio.
«Bene», mi risponde. Sbatte gli occhi e sorride. Sembra sollevata. Non capisco perché. Non oso credere che sia per il motivo che sto pensando io. Normalmente sono presuntuosetto, ma stavolta non voglio illudermi; se non fosse così non credo di poterlo sopportare.
In realtà, una parte di me le consiglierebbe di scappare da qui a gambe levate. Di scappare da me finché è in tempo.
Ma, nel frattempo, non posso rinunciare a un piccolo e innocuo giochetto dei miei. La voglio provocare. Farlo mi diverte molto. Dalla sua reazione potrò capire cosa le sta passando per la testa. Forse. E poi è ancora più carina quando si arrabbia.
«Tanto per essere chiari, stiamo parlando di guai, vero?», le chiedo, con finta noncuranza.
«No. No». Replica. I suoi occhioni verdi stanno lanciando dei lampi. Eppure la sua espressione rimane ironicamente dolce. Non accenna a pizzicotti, sparatorie o pugni sul naso. Strano, molto strano.
«L’altra cosa», mi suggerisce. Ci giurerei che sta per scoppiare a ridere.
«Oh, quella», fingo stupore.
«Non si scherza su questo». Arriccia le labbra in un leggero sorriso. E’ divertita, ma c’è un lieve rimprovero nel suo tono di voce. Mi piace quando fa l’autoritaria con me.
Intravedo anche un’ impalpabile ombra di paura.
No, Teresa, non farò come l’altra volta. Basta, non ho più voglia di giocare e perdere tempo. Non ritratterò.
Anche quattro anni fa quelle due parole che mi erano sfuggite prima di fingere di spararti erano vere, ma non ero pronto ad accettarle.
Ora sì. Costi quel che costi. Anche se tu me le butterai in faccia e ci riderai su. Così per dire, eh. Conoscendoti, non lo faresti mai. Hai il cuore grande, anche per quello ti amo.
Mi fa ancora un po’ strano pensarlo, ma è proprio così. Ti amo. E ho bisogno che tu lo sappia.
Al massimo mi dirai che per te non è così e ti avrò perso per sempre. Che bella prospettiva. Urrà.
Ritorno serio. «Sì. Intendevo quello che ho detto, ogni parola».
La fisso intensamente. Contatto visivo. Spero che capisca che è la verità. Sono convinto che lo farà. Ha imparato dal miglior mentalista in circolazione.
«Bene». I suoi occhi si fanno improvvisamente lucidi. Sorride, più apertamente adesso. Le sue fossette sono irresistibili, ma lei non credo se ne accorgerà mai.
«Perché io provo la stessa cosa», mi rivela. Sicura, ma con un velo di timidezza.
Il mio cuore perde un battito. Forse più di uno. Forse rischio un arresto cardiaco. Ma ne sarebbe valsa la pena.
Un’ondata di calore che non provo da molti anni attraversa il mio corpo. Sorrido. Posso rilassarmi, adesso.
Una parte di me l’ha sempre saputo. Sono irresistibile e Lisbon non può fare a meno di me.
«E’ una fortuna», sentenzio. La mia fortuna, in realtà.
Lei sorride. Ma non sa in che guaio si sta cacciando. Lei si merita una persona migliore di me. Soffrirà. Anche se non vorrò, la deluderò. E’ nella mia natura. Improvvisamente penso che la sua vita sarebbe stata migliore con un uomo come Pike.
Ah, giusto. «E Pike?», le chiedo, tornando serio. Mi dispiace davvero avergli fatto questo, dopotutto non se lo meritava. Mi era quasi simpatico, a volte. Come possono stare simpatici gli ornitorinchi o i moscerini.
Lui, però, si sarebbe preso cura di lei. Forse sarebbe stato meglio non mettermi in mezzo e lasciare le cose come stavano. Rovinerò tutto. Teresa, prima o poi, si pentirà di averlo lasciato per me e non lo sopporterò.
«Capirà», mi rassicura lei, con leggerezza.
E’ in questa parola che capisco davvero tutto.
Lei ama me, non lui. Lei ha scelto me.
Incredibile.
Non so cosa ho fatto per meritarmi questa donnina meravigliosa, sempre pronta ad affidarmi la sua vita. Pazza. La deluderò e sto già male alla possibilità che accada.
Ho paura.
Paura di perderla.
Paura di distruggere, per la seconda volta, la cosa più bella che mi sia capitata.
Voglio proteggerla. A costo della mia vita. Ma non so se ne sarò all’altezza. Dodici anni fa non lo sono stato. Avevo  tutto e l’ho perso. Per colpa mia. Nessuno mi assicura che non accadrà di nuovo. Sono cambiato, lo so, ma sono sempre io. C’è del marcio in me, malgrado quello che pensa Teresa. Sono una cattiva persona.
E poi c’è quel dolore anestetizzato che può risvegliarsi in qualunque momento. Nessuno mi assicura che il peso di un passato ingombrante come il mio non annienti anche lei piano piano.
La guardo. Nelle sue esili spalle c’è tanta forza; sembrano voler trasportare il peso del mondo, anche quello della mia tragedia. L’ha sempre fatto. So che vorrà farlo ancora.
So che confessare i suoi sentimenti le è costato un enorme sforzo di volontà. Anche lei si è costruita una barriera intorno a se’.
Penso al suo passato di bimba cresciuta troppo in fretta, senza una madre e in mezzo alla violenza.
Vorrei cancellare quegli anni difficili, restituirle quell’infanzia spensierata che non ha mai avuto; quel dolore, però, l’ha resa la donna forte di cui mi sono innamorato.
Aprirsi le costa quasi come costa a me. Eppure ora sta mettendo in gioco se stessa, il suo passato e il suo futuro. Forse perché pensa che ne valga la pena.
Lo pensa ora, però. Nessuno mi può garantire che lo continui a pensare per sempre.
Nessuno mi garantisce che, in cuor suo, non si sentirà mai messa in ombra dal ricordo di una donna che non c’è più. L’ultima cosa che vorrei è che lei si sentisse amata meno di quello che vorrebbe. Perché io la amo con tutto me stesso.
Ma, mentre la guardo, so che non accadrà. Lei è serena. Lei sa tutto, meglio di me. Sa quanto ho amato e amerò sempre la mia famiglia perduta.
Ma ora sa quanto amo lei. E le basta. E’ in pace con se stessa. E un po’ di quella pace, lei non lo sa, è riuscita a trasmetterla anche a me. Anche adesso.
Teresa, ormai ho tutto il diritto di chiamarla così, almeno nella mia mente, è leggermente arrossita e mi sta guardando con un’aria maliziosa. Mi fa impazzire quando fa la birichina.
«Dillo ancora». Ho sempre detto che ogni sette anni le cellule cambiano e ci si trova davanti una persona completamente diversa. Noi ci conosciamo da dodici anni. Lei è sempre la stessa, eppure riesce a essere diversa ogni minuto.
«Dire ancora cosa?», le chiedo. Ho capito, ma voglio sentirglielo dire. Metterla in imbarazzo è la mia specialità.
Ma lei non è affatto in imbarazzo. Strano, a volte lo è per molto meno. Alza le sopracciglia, come per dire che so benissimo di cosa sta parlando.
Io, improvvisamente, non ho più voglia di parole.
C’è una cosa che muoio dalla voglia di fare da quando questa donnina combattiva dagli occhi verdi è entrata in questa stanza. Probabilmente, da quando è entrata nella mia vita.
Mi alzo dalla sedia. Non appoggio la caviglia perché intuisco che mi possa fare ancora male. Lo immagino, perché in realtà non provo affatto dolore. Sento solo un’ondata di desiderio che mi scalda il cuore e mi brucia lo stomaco.
Mi sporgo verso l’altro lato del tavolo. Verso di lei.
Appoggio la mano sinistra sul tavolo, vicino alle sue mani intrecciate. Con l’altra mano mi avvicino al suo viso, fino ad sfiorarlo.
Lei è immobile. E’ sorpresa. Accarezzo la sua pelle morbida e calda. E’ davvero di porcellana come sembra. Costellata di alcune piccole deliziose lentiggini. Vorrei accarezzarla ovunque, ma mi concentro sul suo mento.
Mi avvicino sempre di più. I suoi occhi mi rivelano che lo desidera anche lei. E’ bello respirare la sua stessa aria.
Quando i nostri visi sono ormai vicinissimi, chiudo gli occhi. So che l’ha fatto anche lei. La bacio. Anche le sue labbra sono morbide e calde. Sanno di fragola. O forse è una suggestione. In ogni caso sanno di buono. Le assaggio per un attimo, timidamente. Poi ricomincio ad assaporarle, con dolcezza e determinazione, e realizzo che non posso già farne a meno. Si completano perfettamente con le mie, è un peccato non averlo scoperto prima.
Sono abituato ad avere il controllo della situazione. Sono abituato a fare più cose contemporaneamente. Dormire, bere il mio the, leggere un libro, scherzare, stuzzicare i miei interlocutori e smascherare un assassino. Eppure, ora, non posso prestare attenzione a qualunque cosa non sia Teresa Lisbon.
Quasi non mi accorgo delle lamentele che provengono da dietro il vetro.
Mi accorgo solo della piccola mano che accarezza la mia guancia. Sono scosso da un brivido sotto il suo tocco.
Eh no, decisamente non sono abituato a sentirmi come mi sento ora: in balia delle mie sensazioni.
Quando cominciamo a sentire mancanza di ossigeno, ci stacchiamo, anche se fermarmi è estremamente difficile.
Desidererei abbracciarla e tenerla stretta a me, teneramente.
Desidererei prenderla per la vita e baciarla ovunque. E qualcosa mi dice che lo vorrebbe anche lei.
Ma il tavolo ci separa. Ci sarà tempo per quel tipo di cose.
Apriamo gli occhi contemporaneamente. Pochi millimetri ci separano e devo fare un enorme sforzo di volontà per non ricominciare a baciarla.
I nostri nasi si toccano, è una sensazione di intimità che mi scalda il cuore.
I suoi smeraldi brillano più del solito. Perfetti nella loro imperfezione. Sono puri, proprio come lei. Mentre li guardo, penso che non esista il male nel mondo. John il Rosso non esiste più, da molto tempo ormai. Io sono libero. Il mio passato farà sempre parte di me, Teresa lo sa. Ora, però, un futuro con lei è ciò che desidero sopra ogni cosa.
Sto al suo fianco da anni (lei direbbe che, più che altro, sono la sua spina nel fianco), eppure non ho mai capito che è quello l’unico posto in cui non mi stancherò mai di stare.
Dannazione. Improvvisamente mi ricordo che il male esiste ancora. Lo vediamo tutti i giorni nelle scene del crimine. Vorrei sconfiggerlo, vorrei chiuderlo in una scatola e buttare via la chiave. Non voglio che tocchi Teresa.
Un brivido di paura mi percorre la schiena. Ho affidato la mia vita a questo scricciolino. Non potrei sopportare l’idea che le accada qualcosa di brutto.
Vorrei proteggerla.
Vorrei stringerla tra le mie braccia e non lasciarla più andare.
Anche se lei non la prenderebbe affatto bene e premierebbe il mio romantico senso di protezione con un bel pugno sul naso. Perché lei è un poliziotto, perché lei non ha bisogno di essere salvata, bla bla bla…
Sciocchezze. Sono già terrorizzato da quello che potrebbe succederle.
Mi passano per la testa mille catastrofi. Terremoti, uragani, frane, tsunami, malattie, incidenti.
Penso al suo lavoro, sempre in prima linea a combattere il crimine. Scontri a fuoco, operazioni sotto copertura, assassini a piede libero, delinquenti desiderosi di vendetta, mafiosi, gang, terroristi e ladri di biciclette. Dovrò convivere con il terrore di perderla.
Vuole salvare il mondo, questa piccola guerriera. Lei è forte, lo so. Lo è molto più di me. Ma potrebbe non bastare.
Mi sento terribilmente impotente. Dentro di me rinnovo la mia promessa. Proverò sempre a salvarti Lisbon, che tu lo voglia o no. Ma, siccome non sono infallibile e un aiuto sarebbe gradito, spero che i nostri angeli, tua madre, Angela e Charlotte, ovunque siano, ti proteggano.
Non ho mai creduto in queste cose. Tu sì, e mi sforzerò di farlo anch’io.
Teresa, la mia Teresa, mi sta guardando come se io fossi a cosa più preziosa del mondo. Non le ho mai visto il sorriso che ora le sta illuminando il volto: è tutto per me.
Tra un minuto forse dirò qualcosa che la innervosirà e mi tirerà un pizzicotto. Non importa, mi diverte quando si innervosisce. Mi piace quella rughetta che compare sulla sua fronte quando ne combino una delle mie.
Ora, però, sono il centro del suo mondo.
E’ bello essere guardati così. Nessuno mi ha mai più guardato così, dopo mia moglie.
Non penso di meritarmelo. Non so davvero cosa veda in me. Sono un ex truffatore che sfruttava le tragedie della gente; sono un assassino dal cuore malconcio. Lei dice che sono una brava persona. Cercherò di crederci.
Se la faccio sorridere in questo modo, qualche merito ce lo devo avere anch’io, tutto sommato. Lei ha visto il peggio di me e mi ama ugualmente.
Wow. Lisbon mi ama. Fa un certo effetto pensarlo. Beh, non posso darle torto. In effetti sono estremamente affascinante. E intelligente. E presuntuoso, lo so.
Ok, lei mi ama, ma questo non mi terrà al sicuro dalla sua pistola o dai suoi proverbiali pugni sul naso. Mai abbassare la guardia con l’agente Lisbon.
Sarà strano essere una coppia. Anzi no. In effetti, a modo nostro, lo siamo sempre stati. Sarà la cosa più naturale del mondo. Vedremo quanti guai riusciremo a combinare insieme. Non vedo l’ora di scoprirlo. Sarà divertente.
Non potrò mai assomigliare a un normale essere umano, ne sono consapevole.
Però posso provare a essere felice.
Mentre ammiro il bellissimo viso a pochi millimetri dal mio, penso che la felicità ha gli occhi verdi e non è poi così lontana.
 
 
 
 
 
 
  Angolino dell'autrice: Eccoci arrivati alla fine. Mi sono divertita molto a cercare di entrare nella mente dei nostri Jane e Lisbon, spero di non avervi annoiato troppo!
Grazie di cuore a chi ha recensito e a chi recensirà (i vostri riscontri sono preziosissimi), a chi ha seguito/ricordato/preferito questa storia, a chi l’ha letta e a chi la leggerà.
Ciao a tutti! A presto :)
  
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