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Autore: Fannie Fiffi    18/07/2014    3 recensioni
[Raven Reyes]
Volti la testa dall'altro lato e ti dici che no, non esiste un mondo nello Spazio o sulla Terra in cui lui non ti voglia.
Quinta classificata e Premio "Interior Drama" secondo il contest “Zapping Addict - Flash Contest ”.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Raven Reyes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: A Million Miles Away
Fandom: The 100
Rating: Verde
Numero di parole: 1.272
Personaggi: Raven Reyes, (Finn Collins; Clarke Griffin.)
Note: La storia partecipa al "Zapping Addict - Flash Contest" indetto da Giuns sul forum di EFP.




 




 
I’m lying on the moon
My dear, I’ll be there soon
It’s a quiet and starry place
In space, we’re here
a million miles away

The Moon Song, Her.









 
A Million Miles Away



 
 









All'inizio è facile mentire a te stessa.

Riesci quasi a convincerti di quello a cui vuoi credere a tutti i costi, di quello che vuoi vedere tu.

All'inizio uno sguardo, due mani che si sfiorano, quel pezzo di metallo così simile a quello che tu porti appeso al collo sono cose che riesci a ignorare.

Non è che lui non ti guardi più allo stesso modo o non ti sfiori più le guance.

Non è che i suoi baci arrivino sempre dopo i tuoi, non è che la sua pelle sembri sempre un po' troppo fredda quando lo tocchi.

No, non è così.

Va tutto bene.

È quello che ti ripeti quando i suoi occhi non sono su di te e il suo corpo sembra oscillare più lontano quando ti avvicini. All'inizio ti dici che stavano guardando insieme i razzi che avete lanciato per pura casualità, che lei si sarebbe benissimo potuta affiancare a qualsiasi altra persona, che non c'è niente che non vada.

Ti viene estremamente facile pensare che sia tu quella che lui cerca in mezzo alle altre persone.

Anche se tu sei lì accanto a lui e gli basterebbe semplicemente voltarsi verso di te per capire che, come sempre è stato e sempre sarà, il tuo posto è proprio al suo fianco e non c’è nessun' altra direzione in cui dovrebbe guardare per trovare ciò di cui ha bisogno.

All'inizio riesci a non vedere i piccoli segnali, così minuscoli da sembrare solo frutti della tua paranoia, che ti dicono che il ragazzo di cui ti sei perdutamente innamorata – il ragazzo che per primo ha avuto il tuo cuore e il tuo corpo – ormai è diventato un uomo che prende decisioni importanti, e che forse quest'uomo potrebbe non amarti allo stesso modo in cui ti amava il ragazzo di prima.

Tu non dici niente. Non gli dici che hai capito, che non potrebbe mai mentirti 
– tu gli guardi dentro, l'hai sempre saputo fare –, che sai ciò che desidera prima che lo sappia lui stesso. Tu mangi le tue stesse parole e le ingoi, le butti giù, respingendole lontano da te, in basso, perché, se le dicessi ad alta voce, poi tutto sarebbe reale.

Volti la testa dall'altro lato e ti dici che no, non esiste un mondo nello Spazio o sulla Terra in cui lui non ti vuole.

Lui è sempre lo stesso, continui a ripeterti, e ti aggrappi a quel ricordo per sfuggire all'immagine di lui che cerca il suo sguardo, che brama la sua approvazione.

All'inizio ci riesci, mandi giù l'amaro boccone e fai finta di sentirlo ancora tuo, anche se ti ritrovi a pensare che fosse più vicino quando era imprigionato ed erano passati mesi senza vederlo, toccarlo, baciarlo, ed era lì, lontano da te.

Perché ora è qui, ma non c'è davvero.

Ti sorprendi delle tue capacità di sopportazione quando entri nella sua tenda e ti accorgi che c'era già lei, ma fingi comunque di non vedere le loro espressioni e i loro volti, di non sentire l'intimità che li avvolge, una bolla da cui tu, paradossalmente, rimani chiusa fuori.

All'inizio ignori con tutte le tue forze lo sguardo pregno di compassione che lei ti rivolge ogni volta che parlate, o anche solo ogni volta che ti avvicini a lui.

È senso di colpa, vergogna, dolore, ma tu continui ostinata a voltarti dall'altro lato e dimenticare.

Lui è tutto ciò che hai, lo urli mentre torturi un uomo pur di salvargli la vita, e in nome di quello che avete, di quello per cui avete lottato, tu fingi.

All'inizio riesci a fare tante cose, sei forte, sei così felice di poter nuovamente sfiorare la sua pelle ché nulla conta; nemmeno i suoi occhi distanti, nemmeno le sue mani tremanti su di te.

Lo percepisci perfino mentre fate l'amore – e la prima volta che è successo ti sfiora dolcemente i pensieri –, ma sprofondi nel suo collo e sopprimi tutto con il sussurro del suo nome.

E sai che non sei tu quella a cui pensa.

All'inizio senti che forse è solo l’aria della Terra a farvi sembrare diversi, ma poi quell'inizio a cui ti aggrappi tanto sembra così lontano da non essere mai esistito e la realtà tutto a un tratto è troppo pesante persino per te.

Tutto crolla quando lo vedi esitare: interminabili secondi passano prima che lui dica che lo farà, piazzerà la bomba su quel dannato ponte. E tutto sembra così sbagliato.

Perché esitare?

Crede forse che tu abbia esitato a salire su una navicella vecchia di secoli e catapultarti nello Spazio infinito, attraversare le galassie e gettarti a braccia aperte in un nuovo, folle mondo solo per rivederlo?

Forse è quello, il punto di arrivo? La fine? Il momento in cui l'inizio non conta più niente?

Perché non ricordi di averlo visto esitare quando Clarke era malata e stava cadendo a terra.

No, lui non ha esitato.

Si è gettato su di lei e se l'è stretta al petto, indifferente del rischio di essere contagiato e, per quanto ne sapevano, di morire.

Ed è in quel momento che capisci.

Non puoi più fingere, non puoi più sorridere e mandare via quelle immagini, non puoi più ritenerti così stupida da non capire. Dio, tu non sei stupida.

Sei l’ingegnere più giovane e brillante di tutta l’Arca e non puoi continuare a comportarti come una stupida.

Lui è la tua famiglia, il primo ragazzo di cui ti sei innamorata, il tuo primo amico, tutto ciò per cui hai combattuto e resistito, ma allo stesso tempo tutto ciò che stai perdendo.

Lo hai raggiunto in capo al mondo, sulla Terra. E quanto eri terrorizzata, e quanto hai creduto di morire. Il solo pensiero di rivederlo ancora una volta, però, ti ha salvata. Ti ha spinta e supportata.

Cosa ti rimane, ora?

Ora che né i suoi occhi né il suo cuore t’appartengono più, e tu sei semplicemente quella manciata di secondi di esitazione, cosa pensi di fare?

Tutto ciò che siete stati, quello che avete costruito, la vita che avete immaginato insieme sono ridotti e racchiusi in pochi attimi di indecisione.

Tu non puoi accettarlo. Come all’inizio, vorresti fare finta che tutto vada bene, che voi vi amiate ancora e che sarete felici, vivrete una nuova vita sulla Terra e nonostante le battaglie, la carenza di cibo e acqua, il freddo, gli animali, i nemici, voi rimarrete insieme.

Ma non è così.

Non può esserlo, se lui sembra soffrire fisicamente al solo pensiero di vedere lei, l’altra, anche solo parlare con qualcun altro.

Non può esserlo, quando ogni attimo che trascorrete vicini è un attimo in cui lui vorrebbe stare con lei; tu vorresti dire di non sentire questo suo desiderio, ma non riesci, lo senti e brucia dentro.

All’inizio potevi sopportarlo, potevi ingannarti e ripeterti fermamente che l’avreste superato, che in fondo non sapevate neppure come esistere divisi, ma ora senti di non poter nemmeno più lottare.

Con tutte le tue forze e la tua più potente determinazione avevi tentato di mantenere a galla ciò che vi teneva assieme e vi faceva vivere in sincrono, e avevi pensato che se avessi continuato a combattere poi lui si sarebbe accorto di ciò che stava lasciando morire e avrebbe remato con te per raggiungere la vostra meta – uno stupido per sempre –, ma poi non ce l’hai fatta.

Non puoi più opporti e contrastare con tutta te stessa quello che è nato lontano da te e che non ti  riguarderà mai, perché ora i protagonisti sono loro.

E, nonostante i tuoi sforzi, la tua sofferenza, il profondo amore, è ora che tu ti faccia da parte.
  
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