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Autore: PerseoeAndromeda    02/09/2008    4 recensioni
Un'altra vecchia storia, che ripubblico a distanza di tempo. Gli ultimi pensieri di un guerriero in punto di morte, gli ultimi dubbi, le ultime speranze, un ultimo messaggio da lasciare ai suoi discepoli, uno in particolare, nel quale ha creduto, a dispetto di tutti, fin dal principio.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cepheus Daidalos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allievo e maestro

 

 

Una noticina unicamente per dire che le ultime righe, quelle in cui parla Redha per intenderci, non sono opera mia ma del mio amico del cuore e collaboratore di sempre, nonché impagabile beta, Aphrodite dei Pesci, al quale mando un bacio immenso^*^

 

 

Allievo e maestro

In lui è Giustizia

 

 

 

Le onde… sento la loro carezza sulla mia pelle ormai prossima al gelo eterno della morte, sento la schiuma gentile che si mischia al mio sangue, portandolo in parte con sé, lontano… ma sì… che almeno il mio sangue diventi fluido vitale per la terra, che il mare, magari, riesca a condurlo da lui, lo rinvigorisca e gli porti il mio pensiero, il mio ultimo pensiero, tutto per lui, per quel piccolo Santo dall’animo nobile… io gli ho insegnato a crescere, a lottare, gli ho mostrato come far valere le sue immense potenzialità e lui, in cambio, ha donato al mio spirito la sua nobiltà, quella nobiltà che nessuno poteva insegnargli, perché lui è l’emblema stesso della nobiltà e io, solo io, l’avevo capito… questo il mio maggior merito: averlo aiutato a guardarsi dentro, a conoscersi… non mi sbagliavo, ancora adesso non mi sbaglio, ancora adesso che sono stato condannato a sommaria giustizia, per accusa di tradimento, io so dove sta Giustizia, io non mi pento, io so che Giustizia è lui! E dove c’è Giustizia, regna la Dea che di essa è sovrana.

E così coraggio, figlio di cui sono tanto fiero, porta avanti questo ideale nel quale nonostante tutto ancora credo, come credo in te; per prestarvi fede io sto morendo… per prestarvi fede tu vivi e combatti come sai, con il cuore più puro dell’intero universo, combatti versando le tue lacrime preziose per l’avversario caduto, combatti con il tuo spirito di sacrificio per un amico da salvare… ma non gettare questa tua vita così importante, perché lo spirito dei giusti si mantenga vivo; tu devi portarlo avanti, tu devi difenderlo, quindi vivi, vivi più a lungo che puoi, anche se non ti risparmierai nulla, lo so.

Tuttavia lo sento, vivrai, offrirai più volte la vita sull’altare della tua bontà, ma vivrai perché sarà il destino stesso a volerlo; è come se, in questo momento in cui il filo sottile della mia esistenza si sta spezzando, potessi vedere d’improvviso le cose più chiaramente che mai, come se potessi comunicare a tu per tu con gli imperscrutabili misteri del tutto ed è come se essi si rivelassero a me, come se mi confidassero la loro volontà… e vogliono farti vivere per portare avanti l’immenso disegno del Bene, sei messaggero di queste volontà superiori, tu, piccolo lumicino di incontaminata umiltà che tanto ti sottovaluti, che tanta sicurezza di te devi ancora acquistare e forse mai l’acquisterai del tutto. Non è nella tua natura la cinica boria del guerriero che si sente onnipotente e proprio per questo più di tutti sei grande, proprio per questo il mondo ha bisogno di te, l’intero universo ha bisogno di te.

Sto morendo per te… no, non trovo giusto dire così, sto morendo per me stesso, perché non ho voluto rinnegare ciò in cui ho sempre creduto; non ho voluto tradire te ma, in primo luogo, non ho voluto tradire quegli ideali nei quali ti ho insegnato a credere sempre, anche se in realtà non ne avevi bisogno, non è stato difficile, già in te li avevi, pronti a rilucere nel tuo cosmo possente quando finalmente hai deciso di liberarlo, tu che lo tenevi celato per pudore e modestia… e perché un po’ lo temevi, temevi quel potere latente che sentivi ardere in te, ti spaventava la sola idea di sciogliere i suoi legami e lasciarlo andare, lasciarlo colpire, ferire, forse uccidere… hai dovuto imparare a farlo, lo hai fatto. Non ero con te quando per la prima volta hai ucciso ma credo di aver sentito l’urlo silenzioso del tuo cuore infranto, la prima volta, come le successive, quel cuore fragile e forte che ogni volta morirà insieme al nemico ucciso, morirà mille, infinite volte ma mai cambierà. Perché tu non hai la capacità propria delle persone come noi, quella capacità che permette al cuore di costruirsi intorno una corazza di pietra o ghiaccio, con la quale proteggersi da ciò che lo fa soffrire… tu no, tu sei destinato a soffrire e i miei occhi ora bruciano per le lacrime che, come le onde, si confondono con il sangue ancora fresco sulla mia carne straziata.

Tu non sai figlio mio quali siano stati i miei tormenti quel giorno in cui mi hai dato le spalle e ti sei allontanato verso il mare, verso la vita che ti attendeva al di là dell’oceano; io più nulla avevo da insegnarti, io rimanevo impassibile a seguire con lo sguardo i tuoi passi sempre più distanti, la tua figura non di bambino, non di adulto, indefinibile, bella e pura che svaniva all’orizzonte senza più voltarsi indietro, le tue lacrime di commozione e gratitudine che si perdevano dietro di te, nell’aria salmastra di questo deserto infuocato e bagnato dalle acque imbevute di sale. Ancora sfrigolavano le rocce dietro di me e il bracciale della mia armatura, mandati in frantumi da quel cosmo che hai voluto liberare per me, come dono di ringraziamento, mentre io leggevo nei tuoi occhi il messaggio:

“Perdonami, maestro mio, se non ho esibito prima i risultati dei tuoi insegnamenti, perdona se di questi risultati avevo paura e perdona se tanto in ritardo voglio dimostrarti quale grande maestro sei stato per me e quanto bene ti voglio.”

La tua onestà, la tua sincerità messa completamente a nudo con me, una sincerità che neanche la tua timidezza può mettere a tacere… l’orgoglio è traboccato nel mio cuore, in quell’istante ma già ero orgoglioso di te, fin dalla prima volta in cui ti vidi, appena sbarcato su quest’isola plasmata dal fuoco del sole e dal gelo della notte, appena riuscii a catturare i tuoi occhi, sfuggenti e impauriti, occhi enormi e lucidi di lacrime di un bambino troppo piccolo per andare incontro in quel modo al proprio destino, troppo piccolo come tutti lo siamo stati ai nostri primi passi nell’universo della Dea, troppo piccolo come tutti quei bambini che non sono riusciti a crescere, immolati da una legge eccessivamente crudele ma inevitabile…

Tu sei cresciuto e ancora adesso non so se la tua sorte sia in realtà stata meno dura ed impietosa ma hai voluto vivere, nessuno ti dava speranza ma tu hai sconfitto tutti, moralmente. Io mai ti ho dato per vinto, lo sai vero? Io mai ho dubitato del tuo cuore immenso che ti avrebbe portato ad innalzarti al di sopra di ogni possente guerriero, mai, neanche quando mi apparisti così indifeso, minuscolo, il volto arrossato per tutte le lacrime piante durante quel viaggio che ti conduceva verso l’ignoto, ti conduceva da me, verso il tuo destino di Saint.

Il tuo cuore è sempre stato come un libro aperto per me, mi era così facile scorgere la tua immensa forza e mi era così difficile comprendere perché gli altri non la vedessero, perché la mente umana è così ottusa, cieca, incapace di superare i confini della sterile materia e leggere nel profondo, individuare tutto ciò che può nascondersi nell’anima, quell’anima tanto grande racchiusa in quel guscio delicato e fragile che tu eri allora… e tale un po’ sei rimasto, ma adesso sei in grado di dimostrare tu stesso cosa si cela in te, di farti capire… basta che tu lo voglia.

Eppure, il tormento di quel giorno, nel quale ci siam detti addio, quel giorno che ti ha visto spiccare il volo, tenero uccellino che a detta di tutti era destinato a non imparare mai a volare e a spegnersi ancor prima di poter compiere un tentativo, quel tormento è ancora un pizzico fastidioso dentro di me perché vorrei essere al tuo fianco, per lenire i tuoi momenti di sconforto, che verranno, innumerevoli e angosciosi a fiaccare le tue convinzioni, vorrei che tu non dovessi soffrire così tanto mio dolce discepolo… vorrei che nessuno dei miei allievi dovesse soffrire così tanto… vorrei non aver visto morire nessuno di voi, vorrei non essere mai stato costretto a sottoporvi a questa vita che vi porta alla morte, vorrei non aver visto agonizzare sotto i miei occhi quei bambini massacrati da un addestramento alla guerra alla quale io stesso ho dovuto sottoporli e adesso… vorrei non avervi visti morire, miei discepoli, sotto i colpi di quei due uomini tanto più grandi e forti di voi, uomini che non mi sento di colpevolizzare no, convinti come me di agire per il meglio… come non sento di colpevolizzare te Shun.

Per questa strage avvenuta sotto i miei occhi, solo chi sta dietro a tutto questo è colpevole… e forse neanche lui, forse solo le ineluttabili leggi di un’esistenza così difficile da accettare…

Colpevole sono io che non ho saputo proteggervi; sì, sembra ridicolo, io che vi ho sottoposti ad allenamenti impietosi, io mi sono sentito come un padre incapace di salvare le vite dei miei figli dispersi nella tempesta di quest’isola che volava in pezzi… e ora non so neanche chi di voi si è salvato, non so se qualcuno di voi si è salvato.

La mia mente annebbiata rammenta qualche fugace immagine… i vostri cadaveri sparsi intorno a me, quattro di voi ancora in piedi e io che vi incitavo a fuggire, cercando di coprirvi come meglio potevo… Redha, Spica, June, Heather… ce l’avete fatta? Vi siete salvati? Sono destinato a morire senza certezza di ciò.

Redha, se ancora sei vivo, come spero, ti supplico… non cercare vendetta su chi non lo merita, fai sì che Shun non diventi il capro espiatorio di questo massacro; accetto tutto, accetto il ruolo che ho avuto in questa mia vita, accetto tutta l’angoscia che da esso deriva, accetto la mia morte, posso anche arrivare ad accettare, con sofferenza immane, la morte di tutti voi… ma di una cosa non sarei mai in grado di farmi una ragione: che un sentimento d’odio reciproco travolgesse voi, i miei allievi che amo come figli.

Quando per la prima volta vidi quell’odio che tanto temo nei tuoi occhi, Redha? Quando il tuo spirito focoso ha lasciato definitivamente prevalere la rabbia cieca sull’affetto sincero che tutti vi legava, al di là di litigi e ripicche? Quando ogni traccia di quell’affetto è svanita nella tempesta caotica del tuo sguardo corroso dal tormento?

La prima volta… quella volta nella quale il mio cuore si è stretto nel vederti respingere con insopprimibile astio il gesto d’amicizia di Shun, dopo che egli ti aveva sconfitto, dopo che tu ti sei reso conto, di colpo, che non era legata alla tua sorte l’armatura di Andromeda… da quel momento tutto è cambiato, non è vero Redha? L’invidia ha prevalso sulla tua capacità di amare ma non lasciare che essa ti travolga, sii più forte di ogni sentimento negativo, puoi farlo perché io ho fede in te, come ne ho in tutti voi, io so che tu sei forte e che puoi superare l’odio che adesso ti sembra di non poter fugare dal tuo animo!

Sì, quello stesso odio che ti ha spinto a pronunciare amare parole, in seguito alla partenza di Shun, quando vi parlai della lettera giunta dal Santuario che mi imponeva di consegnare il traditore e salvare me stesso e tutti voi dalla medesima accusa di tradimento; non lo volli fare, avevo fede in Shun, ho fede in Shun e da troppo tempo, ormai, i dubbi si erano accumulati su altri dubbi, troppe inquietanti notizie legati alla somma sede della Dea erano giunte alle mie orecchie e allo stesso modo avevo saputo della presunta Dea rifugiata in Giappone… perché? Cos’è realmente accaduto non lo sapevo, ancora adesso non lo posso sapere ma di una cosa sono venuto a conoscenza: Shun si era schierato… e io non potevo venderlo al Santuario perché in lui ho fede, sentivo con immane certezza che tradendo lui avrei tradito me stesso e tutto ciò in cui credo e in cui vi ho insegnato a credere… questa la mia unica certezza che tu, Redha, non hai accettato.

A rivelarmelo è stato lo sguardo di quel giorno, quell’occhiata che non hai osato rivolgere a me ma che hai puntato sul lontano orizzonte, scagliando contro esso i dardi della tua furia cieca e, poche ore dopo, la lite cui assistei, non visto: tu e Spica, la cui incapacità di formulare un’idea o un pensiero che non fosse da te plasmato, mi ha sempre impedito di conoscere quale mondo realmente egli abbia in sé, fronteggiavate le vostre compagne, le due sorelle, uniche ragazze tra tanti giovani adolescenti, coloro che non oso chiamare mie nipoti, quali in realtà sono, perché nessuna distinzione, neanche involontaria, si instauri nel rapporto da me, maestro, a tutti voi, allievi.

Le tue parole, Redha, le ho accolte nell’anima come altrettante pugnalate… rabbia nei miei confronti, che mi dimostravo debole, odio estremo nei confronti di Shun che, a tuo dire, mi aveva reso cieco: le ragazze incredule ti ascoltavano, il fuoco celato tanto in profondità nello spirito di Heather si stava risvegliando, come sempre ogni qualvolta venga urtato qualcosa… qualcuno in cui crede fermamente… io, in quel caso e, in primo luogo, Shun…

Intervenni con fermezza a sedare la tensione, prevedendo una colluttazione inevitabile, sedando gli animi con calme parole; provai sollievo nel notare che l’ascendente che sempre ho avuto su di te non era sopito… il rispetto era intatto, forse non così la tua fiducia… non lo so, non so che dire… posso solo sperare ora, in voi tutti… e sperare che il mio spirito possa unirsi per sempre alle stelle di Kepheus, che splenderanno non sconfitte, non spente dalla mia scomparsa… e da lassù vegliare su di voi e non abbandonarvi…

Con questa speranza libero la mia anima dal legame ormai inutile con questo corpo inerme che più a nulla servirà e la lascio andare, scivolo nel sonno… ritroverò i miei figli che durante l’addestramento e durante quest’ultima tragedia hanno abbandonato la Terra, coloro che non sono giunti fino a qui… e vi aspetteremo, figli miei che ancora dovrete lottare e soffrire, veglieremo su voi, dall’elisio dei Saint, dove spero, in un giorno lontano, potremo riabbracciarci, tutti e per l’eternità…

 

Questa è la tua tomba. Sei stato solo uno stupido a fidarti di lui!

Pensavi che egli fosse un dio al di sopra di Athena… questa è la giusta punizione per un uomo empio…

Sei stato uno sciocco e ora sei qui, pochi palmi al di sotto di questa terra, posso sentirti gemere ancora, mentre la vita ti lascia, posso pensarti ancora in quegli ultimi orrendi momenti.

Eppure, mentre mi asciugo una lacrima sul viso rigato a sangue dal tuo allievo prediletto, mi rendo conto che non riesco a ricordarti come il brillante martire di una causa giusta.

Alla mia mente affiora un vecchio ricordo: io, bambino, scendevo da un piccolo battello, attraverso un mare che sapeva di odori malsani.

“Tu sei Rheda, vero?! Io sono il tuo maestro…”

Rimasi abbagliato da due occhi che avevano lo stesso colore dell’orizzonte, da una fronte spianata e calma, da quel sorriso… il tuo sorriso, simile a quello del sole…

Io risposi:

“Sì…”
E, in quel momento, per la prima volta dopo anni di umiliazioni, fui felice di essere me stesso.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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