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Autore: FairyLumberjack_    18/07/2014    9 recensioni
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Dopo la scomparsa di Makarov, nulla ha più un senso. Erza, divenuta il nuovo Master, si allea con Gerard, capo del Concilio, ed insieme mettono segretamente in atto un piano per possedere i dieci Sigilli. Accompagnata dalla brezza dell'estate, Tsuki viene convocata insieme a ragazzi provenienti da ogni dove per sbloccare i Sigilli nascosti, quando la sua vita cambia radicalmente.
Ed ora, quale sarà la prossima mossa sulla Scacchiera?
***
Buonsalve a tutti! *evita un frigorifero*
per festeggiare il mio primo anno su EFP ho pubblicato questa "cosa", chiamiamola così -ovviamente in RITARDO v.v
Spero parteciperete in tanti!
Aye, Sir! ^^
FairyLucy94
Genere: Avventura, Azione, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: OC, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II mossa

I due gemelli, i nove uomini,
una ragazza nascosta ed il segreto
 
 


Il battito costante riempiva il vuoto del grande condotto buio e maleodorante. Le gocce d’acqua picchiettavano ritmicamente a terra, accompagnate dal vento freddo e sottile che passava da alcune fughe. La quiete apparente era immobile, solo un orecchio fine avrebbe udito il fruscio quasi inesistente di passi felpati. Due figure, agili e silenziose, si muovevano di soppiatto nell’ombra. Davanti vi era un ragazzo abbastanza alto, non eccessivamente muscoloso ma che comunque dava l’idea di essere piuttosto forte. Nella scarsa penombra risaltavano le punte rosso fuoco dei capelli che sfidavano la forza di gravità, mentre gli altri castani se ne stavano comodamente scompigliati sul capo grazie ad una fascia verde bosco legata in fronte.


Poco dietro di lui, lo seguiva una ragazza meno imponente, ma non per questo minuta. Si mimetizzava bene grazie alla carnagione olivastra, nonostante gli occhi dalle iridi rosse e le cornee nere, coperti però da qualche ciocca castano scuro, brillassero anche in assenza di luce.
Entrambi si muovevano in fretta e con un’agilità quasi innaturale, passando da un condotto all’altro senza scivolare sull’acqua che tintinnava; nonostante la rapidità non destavano alcun rumore.

All’improvviso il ragazzo arrestò il passo e si accucciò in ascolto, subito imitato dalla compagna.

«Ci siamo, dovrebbe essere qui sopra» mormorò lui, alzando gli occhi sopra di loro. C’era una grossa botola in ghisa di quelle vecchie e ormai rovinate, ma ancora resistenti. Dai fori quadrati entravano dei sottili fasci di luce chiara, che infastidiva i loro occhi per il troppo tempo passato al buio, nel condotto.

«Verithas… Non sono molto convinto di questo piano,» sussurrò poco dopo il ragazzo, un gran sorriso stampato in volto «Ma mi fido di te!» Nella sua voce si poteva cogliere un tono esitante, per qualche strano motivo. Fin da piccoli, lui era il braccio e lei la mente, ma dopo quello che era successo a loro ed a Makarov aveva iniziato a preoccuparsi di più. Non poteva più permettersi la leggerezza di una volta, nonostante la necessitasse come l’aria per respirare. E quel piano campato in aria che li aveva spinti a partire senza troppe elucubrazioni e pensieri gli appariva improvvisamente bislacco e poco sicuro.

Osservò attentamente il viso della gemella. Le efelidi che le costellavano il viso le conferivano un aspetto infantile che andava in netto contrasto con le sopracciglia scure e marcate, che segnavano il suo essere testarda ed orgogliosa. Conosceva bene la maniacalità della sorella verso la comodità e la semplicità, e in un certo senso la apprezzava. Proprio per questo la ragazza indossava una corta tunica color del fuoco che andava in contrasto con i capelli, castano scuro alla radice e fucsia dalle orecchie in giù. La tunica era senza maniche ed a collo alto, con la schiena scoperta.

«Yared, come ti ho detto è la nostra unica possibilità. Questa è la sola occasione in cui riusciremo ad avvicinarci al Concilio e scoprire quello che hanno fatto al nonno» mentre parlava, Verithas si alzò agilmente, imitata dal fratello. Nella sua vita era sempre stata occupata, aveva sempre avuto un incarico da svolgere o un tesoro da trovare. Non era mai stata sola, e la cosa non le era mai importata più di tanto, ma ora che le rimaneva solo Yared non intendeva di certo perderlo alla prima occasione.

Il fratello abbozzò un ghigno di convinzione e incrociò le braccia al petto, sulla casacca leggera e da una curiosa tonalità verde bosco. Nella penombra sorridevano anche i caldi occhi color miele, brillanti. Spostò le mani dai lacci, più scuri, della casacca ai pantaloni marrone fango, tenuti con dei lacci sui fianchi.
«Allora andiamo, angioletto» ghignò Yared, e le si avvicinò. La strinse in vita e sorrise sotto i baffi per la smorfia che si era appena dipinta sul volto di Verithas.
Non sopportava gli abbracci ed il contatto fisico in genere.La ragazza brontolò soltanto un «Tieniti stretto», prima di sollevarsi da terra.

Sulla sua schiena, erano apparse delle grandi ali color del fuoco e le sbatteva librandosi sempre più in alto. Avevano un piumaggio particolare, delicato. Alla prima occhiata era possibile accorgersi della loro grazia, pari alla loro enorme potenza.

A Verithas bastò sbattere un paio di volte le grandi ali per raggiungere la botola di ghisa e fermarsi in volo, ad almeno cinque metri da terra. Librarsi la faceva sentire bene; libera. Appena furono vicini alla botola - da sfiorarla entrambi con le orecchie leggermente appuntite -  Yared estrasse rapido un piccolo oggetto e si mise ad armeggiare con la serratura. Era un minuscolo cacciavite che lui utilizzava per rimettere a posto le viti del suo flauto traverso, qualora uscissero. Un sonoro “clack” ruppe il silenzio immobile e Yared aprì la botola verso l’alto e, una mano e poi l’altra, si issò fuori.

L’odore salmastro del mare e delle bancarelle di pesce fresco lo investì in pieno e lui lo accolse con piacere, inspirando finalmente grandi boccate d’aria fresca. Davanti a lui, lo spettacolo della sera iniziava. Il sole dipingeva di sfumature arancioni e gialle il mare davanti a lui, mentre l’azzurro ed il blu lo incorniciavano ai lati. A quell’ora della sera, vi erano solo un paio di pescatori che tornavano dopo una lunga giornata. Nessun altro. Le onde sbattevano ritmicamente su una grande nave, bagnandola con la schiuma. Yared la osservò meglio e capì di aver trovato quello che cercavano: la nave del Concilio. Era enorme, la più grossa del porto, verniciata di un rosso scuro fino a metà fiancata e poi grigio chiaro. Sulla destra si leggeva chiara la scritta “First Ship – Peace depends on us”.
Stava per avviarsi, pronto a fingere, quando una voce lo richiamò alla realtà.

 «Non aspettarmi tu, eh!» Verithas si issò agilmente fuori dalla botola, e rimase qualche istante seduta a terra, osservando l’ambiente attorno a sé. Il porto di Hargeon.

Si era immaginata un posto rumoroso, turisti e maghi numerosi,  bancarelle di pesce e merce ovunque. Invece, regnava una strana calma. Troppa calma. Il silenzio perfetto era interrotto periodicamente dalle onde. La ragazza si alzò in piedi con rapidità e raggiunse il fratello. La loro altezza era quasi uguale.
Si avvicinarono piano alla grossa navi, intimiditi quanto determinati. Yared strinse forte la spalla della gemella come a volerla salutare prima di esser costretto a fingere, poi si avviò a testa alta sul pontile in legno, un po’ consumato dalle alghe e dal sale. Camminò con passo sicuro sulle assi traballanti fino a scorgere due figure, rallentando il passo.

Erano alte e, già da quella distanza, si potevano notare i muscoli tonici. Entrambe dimostravano più di vent’anni, un po’ meno di trenta.
Il primo, il più alto, lo inquadrò subito con gli occhi color ghiaccio che spiccavano sulla pelle cinerea; i capelli bianchi, setosi ma ribelli, superavano le spalle ed erano tenuti sciolti.
Il secondo, di qualche centimetro più alto di Yared, aveva i lineamenti più delicati. Alzò la lancia appuntita che teneva con entrambe le mani; i capelli neri e setosi si mossero al suo gesto, i due pozzi color ebano che aveva al posto degli occhi non si staccarono un istante da lui. Con la luce della sera, il gemello notò qualche sfumatura rossa che provava a contrastare il loro nero brillante.
Yared sbatté le palpebre un paio di volte: era curioso come quei due apparissero identici pur essendo totalmente diversi. Li osservò attentamente, fino a notare lo stemma impresso sulla loro armatura. Capì all’istante: erano due guardie del Concilio.

Il primo fece un passo verso di lui, mettendo la lancia in posizione di difesa. «Presentati» disse, secco.

«Io sono Douglas Kawasawa, il Creatore» mentì Yared, con un sorriso. Tenne le mani congiunte al petto, pronto a dimostrare le sue – false – parole.

«Mostraci la lettera» abbaiò la guardia, continuando a fissarlo con insistenza e squadrandolo dall’alto in basso. Yared la sfilò la busta dalla casacca verde bosco con un gesto naturale, quasi se lo aspettasse. Assieme alla gemella, avevano preparato tutto nei minimi dettagli.

«Kesian, sii gentile» la seconda guardia redarguì il compagno, che gli rispose con un ghigno saccente.

«Fatti gli affari tuoi, Zasel» abbaiò l’altro con strafottenza.

Improvvisamente Yared ricordò i loro nomi, li aveva già sentiti. Kesian e Zasel Lennox, i gemelli capi delle guardie del Concilio, anche detti Souls Brothers. Erano famosi per aver catturato alcuni dei maghi più potenti del Regno di Fiore ed aver salvato la vita a Morgan Cloudlocks, un membro importante del Concilio.
Yared si morse la lingua per non lasciarsi sfuggire una piccola risata mentre pensava a quel che stava per fare.

Intanto le due corpose guardie avevano iniziato a leggere la lettera finta, mormorando “mmm” o “interessante” di tanto in tanto. Sapevano bene che ogni lettera mandata era diversa a seconda del mago che la riceveva, ma quella era piuttosto bizzarra.

Yared, mentre i due leggevano, si sedette a terra sul pontile e tirò fuori quella che sembrava una custodia in pelle. Era piccola e rettangolare, ma dai lati arrotondati. L’aprì e si mise ad armeggiare con tre pezzi di metallo molto raffinati dalle lunghezze differenti.

Un flauto traverso.

Portò il foro alla bocca ed iniziò a suonare una musica lenta, dolce. La melodia risuonava delicata nel porto di Hargeon, incantando i due fortunati che riuscivano ad udirla. La musica era triste, a tratti malinconica, ma era una musica di quelle che ti colpiscono dentro dalla loro bellezza. Era una ninna nanna.
Yared suonava con espressione, con il cuore. E, appena la ninna nanna finì, Kesian e Zasel crollarono a terra.

Da sotto il pontile spuntò Verithas, che era lì in ascolto da chissà quanto tempo, e diede il cinque al gemello. «Visto? Tutto secondo i mieeei piani».

«Chiudi il becco, angioletto» ribatté il ragazzo, un sorriso spensierato sul viso che lo caratterizzava.

Iniziarono a trascinare i corpi con l’intento di nasconderli per bene, quando Verithas sgranò gli occhi. Yared la guardò confuso e si girò.

«Tsuki!!!».
 

***
 

Il primo uomo, seduto a capotavola della lunga tavolata in ebano scuro, si alzò in piedi.

«Come primo uomo e capo del Concilio, dichiaro aperta la settecentotrentaduesima riunione del Concilio» dichiarò con voce profonda ed autoritaria. Aveva la barba e i baffetti biondi pettinati alla perfezione, mentre fissava uno ad uno i nove uomini davanti a lui con i piccoli, scuri e severi occhi neri. Aveva l'aria di una persona ricca e potente, aveva l'aria di uno a cui non interessa nulla se può comprare ciò che vuole con la ricchezza.
Il primo uomo si sedette sulla grande poltrona di velluto rosso. Quasi tutto in quella stanza lo era; velluto rosso e oro. L'uomo si lasciava trasportare dal lusso che poteva concedersi. In realtà, si era rifugiato nella grande e vuota residenza ricoprendosi d'oro per non sentire la nostalgia della moglie defunta. Poco importava allora, che avessero anche una figlia. Ciò che contava di più per Jude Heartfilia in quel momento erano i soldi, e qual era la persona più adatta da sfruttare per guadagnare soldi? Era lei, proprio di fronte a lui, dall'altro capo del tavolo.

Erza Scarlett lo fissava gelida. La sua espressione portava ad avere stima, rispetto e paura di lei allo stesso tempo. Forse la maga aveva capito il gioco di Jude, intuiva che ciò che realmente lo interessava era il denaro e non la sicurezza del Regno, tuttavia assecondava quello strano gioco. Erza era furba e intendeva volgere la cosa a suo vantaggio. Era un po' come una partita a scacchi, quella. Erza era la regina e Jude il re; e lei intendeva mangiare il re.

«Dalla precedente riunione sono successe molte cose, come voi ben sapete.» Erza prese parola e avanzò nella sua casella immaginaria, passeggiando lentamente per la lussuosa sala e soppesando con cura le parole da usare «La cosa più importante in questo momento è mantenere la sicurezza nel Regno ed è nata l'idea della Gilda del Concilio, che incontreremo fra poche ore. Ma, mi permetta signore, i Sigilli non sono un problema secondario».

Un vociare confuso si diffuse nella stanza grande e sfarzosa. I nove uomini confrontarono subito le loro idee fra di loro incuranti del fastidio di Erza, la quale stava parlando.

«E se fossero un bene?».

«Qualcuno dovrebbe controllarli!».

«Al rogo lei e i suoi Sigilli, pfft».

Erza sbatté un piede a terra. Non doveva arretrare nella sua scacchiera, non proprio ora che riusciva ad avanzare «Silenzio!». Qualcuno borbottò una scusa accennata, prima di volgere nuovamente il capo verso di lei. «Nessun mago al mondo è in grado di controllare i Sigilli, perciò dobbiamo trovare un'altra soluzione» decretò Erza, la fronte corrugata.

La rossa riuscì appena a finire la frase che il grosso portone, anch'esso di ebano scuro, si spalancò all'improvviso. Una risata scoppiò da fuori, una risata di quelle saccenti, di chi si crede superiore.

«Baggianate».

Un uomo piuttosto alto e barcollante entrò senza fretta, ridacchiando sommessamente.

«Baggianate!» ripeté, più forte.

Si scostò un ciuffo nero come la pece che gli dava fastidio e continuò a camminare, sorseggiando qualcosa di strano da una piccola bottiglietta in vetro scuro.

«Credete davvero che non esista nessuno? Non avete pensato nemmeno per un secondo che là fuori da qualche parte ci fosse qualcuno? Eh?».

Erza all'inizio era rimasta in silenzio, interdetta e esitante, ma a quella frase si riscosse «Quella ragazza non è all'altezza del compito! Lei è in ritardo e per di più ubriaco, si sieda e prenda parte alla riunione anziché...» Erza venne interrotta nuovamente da quello strano uomo, che fece un gesto inaspettato.

Con un movimento sicuro l'uomo aveva sollevato la manica e aveva proteso il braccio sinistro verso l'alto. Tutti i presenti nella stanza sgranarono gli occhi.

«Ammirate, cani! Io l'ho trovato e lui si è impresso su di me, ora io lo controllo e lui vive nella mia carne» l'uomo rise ancora una volta e si rivolse alla scarlatta «Hai paura dei Sigilli dolcezza? Vai in contro alla tua paura e distruggila, falla parte di te».

Tutti tacquero tranne lui, che beveva con gusto e rideva con amarezza. Lui avanzava, e Erza retrocedeva. Ma lei aveva intenzione di mangiare il re, non di retrocedere, no?

Erza sapeva bene che negli scacchi esisteva una sola regina, una soltanto. In quella partita non potevano essercene due, e uno dei due doveva andarsene. Se quell'uomo aveva tatuato il Secondo Sigillo sul braccio, voleva dire che era possibile sopravvivere con essi. «E mi dica... lei intende forse andare alla ricerca di ogni singolo Sigillo? E' una pazzia questa, non ha alcun senso» sentenziò Erza, incrociando le braccia al petto, pronta a mangiarsi viva quella seconda regina in campo.

L'uomo rise ancora ma stavolta con eleganza, il viso candido che ricordava quello di un angelo «La pensavo così anche io fino a ieri, quando ho capito che non c'è gusto. Perché non godersi la vita e aspettare che li cerchi qualcun'altro?».

Con disgusto, Erza lo guardò accendersi un sigaro magico, di quelli pesanti e poco costosi «Siamo gli unici a sapere della loro esistenza» obbiettò.

«Tu credi?» le sussurrò lui ad un centimetro dall'orecchio.

«Sei il nono uomo del Concilio e sei in ugual modo tenuto a portare rispetto, tienilo bene a mente» Jude intervenne, snervato da quella situazione.

L'uomo ghignò ed andò a sedersi sulla sua poltrona in modo scomposto e con le gambe incrociate sul tavolo in ebano scuro. Prese un lungo tiro dal sigaro, prima di mormorare «Mi creda, Scarlett, mi creda... esiste quella persona».

Erza si girò verso di lui, quando finì la frase.

«E non è l'unica».
 

***
 

Una figura alta e chiara si fece largo fra le felci, che tappezzavano quel fazzoletto di terra più di quanto servisse. Crescevano numerosissime a causa di una magia messa in atto lì vicino, poco tempo prima. Il territorio intorno era coperto da grossi alberi piuttosto alti e caratterizzati da foglie grigiastre e scure, a causa della cenere vulcanica che scendeva come pioggia quasi tutte le notti su quell’isola. A causa del grande vulcano - decisamente in attività - che la occupava, nessuno si era azzardato a colonizzare in quella zona. Tranne qualcuno.

La figura superò quel mare di felci grigie ed arrivò ai piedi del vulcano. Non aveva paura. Spostò alcuni arbusti ormai inceneriti e s’incamminò in quella che sembrava una specie di grotta naturale dentro al vulcano.

Dentro era scuro, la luce scarsa che illuminava poco l’isola lì dentro era sparita, mangiata dal vulcano. La figura non ci fece caso e procedette sicura: saltò due pozze d’acqua stagnante con agilità, di fronte all’incrocio prese il cunicolo a sinistra, tenne sempre l’orecchio teso per prevedere una qualche spia. Nulla. Gesti abituali e meccanici.

Finalmente, dopo qualche minuto, si ritrovò faccia a faccia con una parete di roccia quasi totalmente liscia. La conosceva bene, ormai. Scottava, perciò doveva fare in fretta ad entrare.

Tastò piano la parete ruvida e bollente sotto le dita, cercando nell'oscurità, finché non trovò quel che voleva. Spinse con l'indice una piccola sporgenza sulla parete rocciosa; introvabile per chi non conoscesse la sua posizione, ma lui vi si era dovuto abituare.
Quando la sporgenza rientrò completamente nella roccia, una luce chiara lo investì. Lo spazio angusto e soffocante venne sostituito da un'atmosfera calda abbastanza luminosa. La figura del ragazzo entrò, costretta a piegarsi di qualche centimetro per varcare la soglia troppo bassa dell'entrata. Nonostante la porta fosse scomoda, non poteva essere cambiata e sistemata. Dopotutto, vivevano dentro ad un vulcano.

«Ma guarda un po' chi si rivede!» ridacchiò una voce maschile. Il proprietario squadrava divertito il nuovo arrivato, con gli occhi dall'iride rossa che brillavano. Era seduto su un divano color avorio, al centro del salotto. Era una stanza non troppo piccola, ma resa luminosa grazie ad una magia. Era accogliente, una grossa libreria in legno dava il benvenuto sulla sinistra. Già dalla porta si potevano scorgere alcuni grandi titoli, come “Mille e più erbe medicamentose – come sopraffare il tuo nemico” o “Magia Nera, 100 leggende”. Una piccola lacrima-TV era stata appoggiata ad un tavolino in vetro, davanti al divano. Il pavimento dal legno chiaro e la grande vetrata che separava il salotto dalla cucina contribuivano alla luminosità della sala.

Il ragazzo rispose all'ironia con un'espressione indifferente. Non replicò, non che gli importasse realmente farlo, e continuò a camminare, gli stivaletti bianchi che producevano un eco nella grande sala.

«Lascialo in pace, Shun» lo redarguì una piccola ragazza, con gentilezza. Era una figura sottile, dai capelli lunghi e ricci di un deciso color rosso rame. L'incarnato color avorio risaltava nella luce chiara, così come gli occhi verde mare grandi ed espressivi. Era minuta ma graziosa, e si sarebbe potuta paragonare ad un folletto.

«Naaah, perché dovrei Seyly?». Shun ghignò strafottente, senza curarsi delle parole della ragazza che lo riprendeva spesso. Il ragazzo si sistemò meglio sul divano, appoggiando le scarpe nere sul bordo ed incrociando le mani dietro alla nuca.

La ragazza sospirò e alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. I lineamenti del viso, dolci e delicati, mutarono in un piccolo sbuffo. Lasciò perdere, come la maggior parte delle volte, si sistemò il grembiule e tornò a spolverare il salotto.

Shun accennò un altro sorriso, e si rivolse nuovamente al nuovo entrato con curiosità «E dimmi Isaac, hai scoperto qualcosa di nuovo?».

Totalmente indifferente, Isaac piantò le iridi giallo scuro, quasi dorato, nelle iridi rosse di Shun. «Dov'è Zeref?» domandò, piatto. Le sue pupille erano più piccole del normale, di circa 5 millimetri, e Shun perse il suo solito ghigno.

«Oh, ehm... tornerà fra poco c-credo... cosa devi dirgli di tanto importante?» chiese Shun inquieto, scompigliandosi distrattamente i capelli neri e disordinati.
Isaac non gli rispose nemmeno, non gli interessava. Stava per andarsene via, quando il rumore dell'entrata che si scostava lo fece voltare.

Zeref cadde sul pavimento in modo scomposto e vomitando sangue. La tunica nera ornata dal largo drappo bianco era completamente imbrattata di sangue.
Dalla cucina, Seyly lo raggiunse terrorizzata e gli s'inginocchiò a fianco «Maestro!» urlò «Cosa vi è successo?».

I grandi occhi verde mare della ragazza erano spalancati in un'espressione spaventata. Zeref provò a mettersi seduto, aiutato da lei.
«Shun» tossì Zeref, parlando con difficoltà, e tese una mano verso di lui.

Shun si avvicinò; lo sguardo era determinato e incerto allo stesso tempo. Scostò Seyly con gentilezza e, come le tante altre volte precedenti, si preparò a tenerlo fermo. Chiuse le braccia di Zeref da dietro in una presa d'acciaio, e chiuse gli occhi, pronto.

«M-Mi dispiace, Maestro» riuscì a balbettare Seyly. Gli prese il viso fra le mani, portando i loro occhi alla stessa altezza. Avrebbe potuto perdersi in quei due pozzi neri, carichi d'odio verso se stesso.

Tese l'indice e il medio della mano destra e sfiorò la tempia di Zeref.
Urla di dolore scattarono all'istante, divorandolo senza pietà. Il corpo di Zeref si contrasse in modo tutt'altro che naturale, mentre spasmi lo percuotevano ed il sangue sulla tunica si aggiungeva copioso.
Seyly premette le due dita con più forza e le urla s'intensificarono. Farfugliava mortificata scuse su scuse incurante del fatto che Zeref non potesse sentirla, immobilizzato dalla presa ferrea di Shun.

Qualche passo più in là, in piedi vicino al divano color avorio del salotto luminoso, Isaac assisteva alla scena senza darci importanza. Semplicemente, non scaturiva in lui il minimo interesse. Seyly e Shun aiutavano Zeref, ogni tanto, a rilasciare l'energia oscura che albergava dentro di lui e che si era accumulata in quattrocento anni. Zeref possedeva l'immortalità, ma ciò poteva essere fatale per gli altri, e dopo secoli di distruzione odiava se stesso. Voleva liberarsene, o si sarebbe liberata da sola uccidendo altri innocenti.

Seyly portò anche l'indice e il medio della mano sinistra alla tempia di colui che chiamava Maestro, se non padre. Shun rafforzò la presa, tenendo chiusi gli occhi. Ad entrambi dispiaceva dover fare quel gesto, ma era praticamente l’unico modo.
Le urla di Zeref, ormai, erano sempre più forti. Gli occhi felini erano due pozze d’un rosso scuro ed intenso, si spalancavano innaturali sotto la scura cascata dei capelli.
Un ultimo urlo, un’ultima contrazione dolorosa.

Seyly corrugò la fronte imperlata di sudore e finalmente si permise un mezzo sorriso. Staccò le quattro dita dalle tempie del corvino e lasciò penzolare le braccia dolenti. «Lascialo pure, Shun» mormorò dolcemente, a corto di fiato.

Il ragazzo obbedì e si distese un attimo sul pavimento. Ogni volta diventava sempre più difficile liberare la sua mente e ogni giorno era peggio del precedente… prometteva guai. Shun rotolò su un fianco e si mise seduto, per poi chinarsi su Zeref. «Maestro…» provò a chiamarlo, piano. Girò il suo corpo a pancia in su e gli liberò il viso, candido e bloccato dal tempo, dai capelli spettinati. Zeref abbozzò un sorriso carico di gratitudine, schiudendo le labbra.

«Ragazzi, figli miei…» farfugliò con voce rotta «Abbiamo il Terzo Sigillo». Non senza qualche  difficoltà, si sollevò la manica del braccio sinistro. Il simbolo del Sigillo gli percorreva elegantemente tutto il braccio, ed era ricco di ghirigori delicati che gli si attorcigliavano fin quasi attorno al polso. Il viola scuro, quasi nero, risaltava sulla pelle chiara di Zeref, che lo mostrava con orgoglio.

Il Terzo Sigillo. Possesso del cuore altrui.
Sarebbe riuscito a controllarlo? Non ne aveva idea.

Entrambi i ragazzi smisero di respirare dall’emozione, sembrava un sogno. Ce l’avevano fatta.
Carhan, immobilizzata dalle catene, non poté far a meno di sentire ogni cosa.
 

***
 

«Io dico di no, testone!» asserì lei.

«Io invece di sì, nanerottola!» ribatté lui.

«Non sono una nanerottola!» ringhiò lei.

«Invece sì! SEI BASSA!» ghignò lui.

«Piantatela» Ashuros sedeva davanti a loro in silenzio come sempre, ma bastò un sussurrò e il loro battibecco cessò.

Ashuros, Edward e Giada si conoscevano da tempo immemore ormai. Avevano imparato, non senza qualche difficoltà, a fidarsi l’uno dell’altro col tempo. Per certi periodi si erano anche divisi, ma alla fine sentivano il bisogno di riunirsi, attratti come calamite.

Giada borbottò qualcosa di incomprensibile e incrociò le braccia al petto. Accanto a lei, Edward non dette segno di fastidio. Lui scherzava, amava infastidire quella nanetta, come la chiamava lui. Prese un pezzo di focaccia ancora calda dal piccolo cestino e mangiò velocemente. L’aria fresca della sera gli solleticava il collo, lasciato scoperto dai capelli castani legati sulla nuca in una crocchia. Si trovavano in un immenso prato verde e morbido, all’ombra di un grande albero. Si potevano vedere le montagne in lontananza, con ancora qualche macchia di neve. Di fronte a loro c’era una strada di terra battuta formata dall’andirivieni dei carri da Magnolia verso Hargeon. Era un paesaggio particolare, dalla bellezza sottile.

«Questa è la torta alle bacche blu più buona che io abbia mai mangiato!» Giada divorò un paio di fette con noncuranza, leccandosi le dita alla fine.

«La cucinava spesso mia madre, una volta. Sai qual è l’ingrediente segreto?» le chiese Edward, osservandola mentre ne addentava una terza.

«Ehm… l’amore con cui si cucina?».

«Gli scarti del giorno prima».

A quelle parole Giada assunse un’espressione inorridita e sputò tutto in faccia ad Ashuros, che alzò un sopracciglio. Se gli sguardi potessero uccidere…
Il ragazzo creò un tentacolo d’Ombra, fino e stranamente senza riflessi di alcun colore, semplicemente nero. Con quello afferrò velocemente un vasetto di salsa dal colore violaceo e “per sbaglio” lo spalmò in faccia a Giada strappandole un gridolino di sorpresa.

«Razza di… » la bionda non finì la frase, si alzò e fece la doccia ad Ashuros con una brocca di limonata che lo rese tutto appiccicoso.

I boccoli biondo miele di Giada – che quasi toccavano terra dalla loro lunghezza – erano imbrattati di salsa viola, mentre Ashuros era sporco di bacche blu in viso e la sua pelle era ormai attaccaticcia.

Entrambi si buttarono uno addosso all’altro finendo a terra, e iniziarono a darsele di santa ragione.

Ancora immobile all’ombra del grande albero, Edward li vide rotolare e picchiarsi al contempo per mezzo prato, sentendo ogni tanto commenti come “CENSURA, era il mio piede idiota!” o “ahia, nana CENSURA del CENSURA!”. Si coprì il viso con una mano, ridendo fra sé e sé. Quei due erano incredibili.
Li seguì con lo sguardo finché non li vide cadere entrambi nel ruscello che scorreva lì vicino e sentì la risata allegra di Giada.

«La prossima volta ti faccio nero» ridacchiò Gigi, alzandosi e schizzando il compagno.

«Credici» mormorò Ashuros, issandosi in piedi e incamminandosi verso l’albero dov’era seduto Ed.

«Stavolta mi sono trattenuta» Giada lo seguì strizzandosi i capelli, per poi sedersi accanto ai due.

Ashuros sbuffò, come a voler dire che non ce l’avrebbe fatta neanche fra anni, poi il silenzio. Ma non un silenzio imbarazzante e scomodo. Un silenzio piacevole, calmo, rilassante. Da giorni non si concedevano una pausa, ed era bello poter chiudere finalmente un attimo gli occhi e ascoltare. Il cinguettio degli uccelli, il vento fresco e sottile che li salvava dal caldo soffocante e muoveva le foglie, il piccolo ruscello che rinfrescava.

Ad un certo punto, però, Edward tossì e chiese l’attenzione degli altri due. «Comunque sia, non possiamo sostare ancora molto!» ribadì, tornando al discorso di prima «Abbiamo ancora qualche ora di luce per arrivare al porto, non c’è molto tempo».

«Il tempo c’è benissimo! E poi dobbiamo riposarci, è più di ventiquattro ore che non faccio un pisolino» sorrise Giada, portando le mani alla nuca e distendendosi sull’erba.

«Gigi, non abbiamo tutto questo tempo» le fece notare lui. Il tono di voce suggeriva che stavolta non stava scherzando, era serio.
Ashuros mantenne il suo solito silenzio. All’apparenza indifferente, era attento alla conversazione. Quando l’avrebbero finita quei due? Era usuale che scherzassero, non che litigassero.

«Perché no? Sei tu quello che non tiene il passo» Gigi cercò di sciogliere la tensione buttandola sul ridere. Mentre parlava si era tirata a sedere e aveva addentato una lucida mela verde.

«Giada… » sospirò Edward, incrociando le braccia «Dobbiamo partire subito».

«Io dico di no» affermò Giada.

«Io dico di sì» rispose Edward.

Eccoli che ricominciano… pensò Ashuros, con un sospiro.

«Ti ho detto che dobbiamo andare adesso!».

«E io ti ho detto che adesso non ci andiamo!».

«Invece sì! Mannaggia a te e alla tua testa dura!» sbottò Edward, ormai arrabbiato.

A quelle parole, Giada si alzò lentamente in piedi. Buttò lontano nell’erba il torsolo di mela e gli si avvicinò fino a che i loro nasi non si sfiorarono. «No» sussurrò, con tono che non ammetteva repliche.

Il ragazzo si tirò indietro, storcendo le labbra rosee e sottili. «Non mi interessa! Adesso partiamo!».

«Sai una cosa? Puoi benissimo andarci da solo allora! E tieniti quella spada del cavolo, io sono stufa di te! Vieni Ash, andiamo» urlò lei. Trascinò Ashuros per un braccio costringendolo ad alzarsi e si diresse sulla strada battuta a passo di marcia. Lui la trattenne un istante e si voltò verso il compagno.

Edward sapeva bene che quando Giada si metteva in testa qualcosa non c’era verso di farla ragionare. Decise che li avrebbe raggiunti ad Hargeon, seppur a malincuore. Mimò soltanto un “prenditi cura di lei” ad Ashuros, che annuì, creò un tentacolo d’Ombra e si caricò la ragazza sulle spalle. Edward sparì fra gli arbusti dietro di lui, nella direzione opposta alla loro.

Tre figure gli vennero incontro, le stesse che li avevano spiati ai piedi della montagna, Edward ne era consapevole.

Levy gli venne incontro di corsa e lo abbracciò, prima di staccarsi e guardarlo in viso. «Mi dispiace, nii! Sono sicura che farete pace, non disperare!» mormorò.

Era minuta, e la sua sottile figura la faceva sembrare ancora più piccola. Sopra gli occhi vivaci, la fronte aggraziata era libera dai capelli turchini tenuti indietro da una fascia arancione con dei dettagli colorati. Da quando Levy lavorava nella grande biblioteca del Concilio era sempre indaffarata, era normale che fogli o libri tascabili spuntassero dalla piccola borsa argentea che le aveva regalato Gajeel.

Dietro di lei, vi erano un ragazzo e una ragazza, entrambi facenti parte del Concilio.
La ragazza lo squadrò con aria inquietante e fece una risatina a metà fra il sarcastico e il tenebroso. Fece per dire qualcosa - che si prospettava di sicuro mordace o derisorio - ma Edward la anticipò. «Ah no, non ci provare Morgan. Non sono in vena di battutine».

Morgan richiuse le labbra controvoglia, muovendo con uno sbuffo gli insoliti capelli color lilla. Erano mossi, tenuti corti e arruffati, nonostante la frangetta era liscia e alcune ciocche più lunghe sulle tempie arrivavano a sfiorarle la mascella.

Il ragazzo, a quel punto fece un passo avanti e gli diede un'amichevole pacca sulla spalla «Non è colpa tua, amico».

Era decisamente alto, troppo alto, e raggiungeva almeno il metro e novanta. I capelli neri, non troppo lunghi, incorniciavano perfettamente il volto dalla carnagione chiara in cui spiccavano gli occhi azzurri come il ghiaccio, profondi. Era paragonabile ad un angelo. Il suo nome, Hisoka Evans, era ben leggibile sulla targhetta posta sul petto a sinistra che lo identificava come membro ufficiale del Concilio, così come che per Morgan.
La piccola Levy cercò di consolarlo come poteva, considerava Edward come un fratello maggiore ormai. Morgan non gli risparmiò commenti derisori come suo solito, mentre Hisoka omaggiava il proprio "tempio", o meglio, il proprio corpo con frasi come “Ed, amico, la perfezione purtroppo non esiste. Certo, io sono una rara eccezione!”.

Edward stava per arrivare all'esasperazione, quando Hisoka, con una bottiglietta di vino fra le mani, gli fece una domanda cruciale.

«Ma perché Giada è così importante per te?».

Il ragazzo esitò, incerto. Era davvero il caso di rivelarlo?
Tre paia di occhi curiosi lo fissarono.


«Giada, ecco... Giada è mia sorella».
 
 
 
 
 
*ding dong*
COMUNICAZIONI DI SERVIZIO:

Per quanto riguarda la storia:
- questi, aimé, sono ancora capitoli di “introduzione”, perciò non ci sarà chissà che. Nei prossimi a venire, quando la situazione si sarà un po’ stabilizzata, capirete senza problemi

- Come sempre, un grazie più che meritato ad  andry_94_hell  per gli aiuti e le idee. Fate una statua a quel ragazzo! Dimenticavo: ho superato le tue 15 pagine di capitolo, ha!

- se avete domande, inerenti alla storia o no, potete chiedere qui --> http://ask.fm/Fairy_chanella

- consigli/pareri/critiche/affermazioni demenziali sono bene accette/i

- questo è il posto in cui si trovano inizialmente Giada, Edward e Ashuros :D

 

Per quanto riguarda gli OC:
- I personaggi che mi appartengono sono solo Tsuki Nakamura e Edward Yoshina, mentre i personaggi del manga/anime sono di proprietà di Hiro Mashima, il loro creatore. I personaggi presenti appartengono ai loro proprietari:
  • Verithas Retasth, di Ronnie Stregatto
  • Yared Retasth, di Ronnie Stregatto
  • Kesian Lennox, di TheWerewolf
  • Zasel Lennox, di TheWerewolf
  • Isaac Dragernax, di Riki_94_Pphs
  • Seyly Alcarìn, di Alice953
  • Shun Suzuki, di PRINCE_OF_THUNDER
  • Carhan Loster, di Eden891
  • Morgan Cloudlocks, di LenK
  • Hisoka Evans, di 46fede/Alphias95 (come devo chiamarti? ^^")
Spero di averli resi IC, sennò qualunque segnalazione è ben accetta! Nel prossimo capitolo appariranno tutti coloro che finora non sono stati presentati.

- Alice mi ha detto che il nome "Seyly" si pronuncia semplicemente "Sili". Ameeen.

E infine:
- Grazie ancora a tutti quelli che hanno voluto partecipare, che hanno inserito la storia fra le seguite/preferite/ricordate e alle anime buone che recensiscono.

-Vi prego anche di farmi sapere cosa ne pensate di “questo”, grazie!

 
*ding dong*
 
FairyLucy94
 
   
 
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