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Autore: Mr Thriller    19/07/2014    2 recensioni
Una bambina si trasferisce nella nuova casa al mare. È attirata dalla presenza di un piccolo faro.
Ma che cosa si nasconde al suo interno?
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il bambino correva scalzo per la spiaggia. Indossava ancora il suo pigiamino rosso e teneva in mano l'orsacchiotto con cui dormiva la notte. Era di stoffa marrone, un po' spelacchiato. Una macchia più chiara gli circondava l'occhio destro.

Il sole era ancora basso nel cielo. Lui era triste e stava piangendo, perché i genitori avevano litigato più del solito. Non l'avevano degnato di uno sguardo, così era uscito da solo e si era diretto verso il mare. Lì avrebbe trovato il suo scoglio e, come d'abitudine, vi si sarebbe seduto, guardando l'orizzonte. Quel giorno l'acqua era limpida e rifletteva le prime luci del giorno. Quando si adagiò sulla roccia, rimase in silenzio ad ascoltare i gabbiani che lo sorvolavano. Volse lo sguardo verso il basso e vide una conchiglia sul fondo.

Si ricordava l'anno precedente. Aveva passato gran parte della giornata a cercare conchiglie con la mamma. Tornato a casa, le aveva riposte in un contenitore e disposte come soprammobile in camera sua. Le aveva mostrate agli amici, venuti a fargli visita durante le vacanze, fiero di sé.

Ora osservava quella conchiglia, enorme come non l'aveva mai vista in vita sua. Voleva raccoglierla, ma si sarebbe bagnato. Cercò un bastoncino lì intorno, ma non ne trovò.

Sentì la voce di papà che lo chiamava. Si voltò e vide la sua faccia arrabbiata.

“Torna subito qui! Quante volte ti ho detto che non devi arrampicarti lì sopra!”

Il bambino aveva paura. Tornò con lo sguardo alla conchiglia e vide qualcosa spostarsi. Era come una corrente di acqua fredda. Si sporse di più per capire cosa fosse e notò una specie di volto che lo scrutava attentamente. Gli sembrò che parlasse, in realtà sentì le parole solamente nella propria testa. “Vieni con me”, gli sussurrò.

Senza pensarci scese fino a toccare la superficie dell'acqua con un piede. Era come attratto da quella presenza. Si tenne stretto il pupazzo al petto.

“Fai in fretta, sta per arrivare”, continuò con tono amichevole.

Scese dallo scoglio. Non voleva essere sgridato da papà. E poi quella conchiglia era sempre più vicina. Si immerse fino al collo, poi mise una mano in avanti come cercando aiuto. Sentì qualcosa che la afferrava dolcemente e lo tirava verso il basso. Ora vedeva la conchiglia a pochi centimetri da sé. Fece per afferrarla, quando questa scomparve. La stretta viscida dell'essere si fece più forte sul suo braccio e il bambino venne trascinato via.

Il padre arrivò in cima allo scoglio e vide solo per un attimo un riflesso più scuro sul fondale. Quasi non se ne accorse, perché la sua mente era concentrata sull'orsacchiotto di stoffa marrone, appartenuto a suo figlio, che galleggiava davanti a lui. Allora urlò.


Katy Miller viaggiava a cinquanta all'ora sulla Mercedes blu di suo padre, diretta alla nuova casa. Era seduta sul sedile posteriore e guardava fuori dal finestrino, con la speranza di vedere qualche altra macchina, oltre la loro. Era nella stessa posizione da più di due ore, e non vedeva l'ora di scendere per sgranchirsi un po' le gambe. Vide un cartello sfrecciarle veloce alla sinistra e non fece in tempo a leggerlo.

“Quanto manca, papà?”, chiese.

“Ci siamo quasi, tesoruccio”

La mamma stava leggendo una cartina del posto, affascinata dalla presenza di nuovi sentieri da esplorare. La mappa mostrava anche molte spiagge, che però non sembravano interessarla.

L'auto girò a destra e imboccò una stradina sterrata, proseguì per qualche chilometro, e si fermò. Si intravvedeva dietro gli alberi una casetta di legno grigio, con un portico a indicarne l'ingresso.

“Bello, andiamo!”, esclamò entusiasta scendendo dall'auto. Si mise a correre in direzione della casetta, alzando le braccia al cielo e gridando “Siamo arrivati! Venite!”

Quando furono tutti e tre insieme, il papà chiese “Che ne dite?”

È stupenda!”, disse la mamma.

Katy si avvicinò alla porta. Papà tirò fuori una chiave e l'aprì. Entrarono, preceduti dalla bambina, che salì di corsa le scale e raggiunse la sua cameretta. C'erano conchiglie appese al muro e delle stelle marine sopra al suo lettino. Sul cuscino qualcuno aveva già appoggiato la sua bambola di pezza. Si sentì subito a suo agio.

Quando scese per cena, vide i genitori portare in casa dei sacchetti di provviste acquistate prima di partire. Quel luogo era distante parecchi chilometri dal negozio più vicino.

“Aspettaci fuori, Katy. Mangiamo sulla spiaggia!”, disse papà.

“Vaaadoooooo!”, urlò Katy uscendo di casa.

Si chiuse la porta alle spalle e si avviò verso il mare. C'era un venticello fresco. Piccole onde si infrangevano sugli scogli vicini. Si chiuse la felpa e si sedette sulla sabbia. Osservava il mare e i gabbiani che lo sorvolavano. Girandosi verso destra, vide un piccolo faro proiettare la sua luce che compariva e scompariva. I suoi occhi la seguirono. Le sue palpebre si aprivano, si chiudevano, si apri...

“Katy, vieni qui!”, la chiamò mamma.

La bambina si tolse le scarpette rosa e le calze, e iniziò a camminare. I piedi le affondavano nella sabbia morbida, lasciando orme bagnate sulla spiaggia, che riflettevano la luce del sole al tramonto. Non era abituata a quelle sensazioni, essendo sempre vissuta in città.

La mamma stava stendendo una coperta per terra. Il papà invece arrivava in quel momento, portando delle pizze. Mangiarono, ascoltando i suoni della natura, e poi passeggiarono per la spiaggia. Andarono verso quel faro che aveva visto poco prima, ma non riuscirono a raggiungerlo, perché iniziava a fare freddo, e tornarono verso casa. Durante il tragitto videro puntini di luce all'orizzonte, probabilmente barche che tornavano al porto.

Quando furono a casa, Katy andò subito a dormire. Sognò di giungere presso il piccolo faro prima dell'alba e di trovarvi un anziano signore che la ospitava, offrendole un tè caldo.

L'indomani mattina si svegliò pensando di essere ancora con il vecchio, ma poi si ricredette quando vide la sua bambola Jenny che la osservava. Si alzò e andò in cucina, dove l'aspettavano mamma e papà per fare colazione. Non raccontò loro del sogno, invece preferì tenerlo solo per sé, come un segreto.

I genitori avevano da sistemare ancora alcune cose, così Katy uscì da sola e si guardò intorno. Aveva con sé la bambola. A lei aveva detto del sogno. Voleva accompagnarla al faro per farle conoscere il guardiano. Camminò, seguendo un sentiero nel bosco, invece di stare sulla riva come la sera prima. Si inoltrò nella vegetazione e per un po' il faro scomparì dalla sua vista, così si fidò del sentiero, sicura che l'avrebbe portata là.

Dopo alcuni minuti si trovò alla base di una scogliera alta una ventina di metri. Prese una stradina tra le rocce che saliva lentamente. Fece attenzione a dove metteva i piedi per evitare di farsi male. Arrivò in cima con il fiatone e le gambe che le dolevano, ma in compenso c'era una vista bellissima, quasi irreale, del paesaggio. La spiaggia procedeva per molti chilometri in tutte e due le direzioni. Si vedevano due strisce contrastanti: una gialla della sabbia e l'altra di un verde scuro, dove iniziava il bosco. Alla sinistra scorgeva la sua nuova casa, seminascosta dagli alberi. Si girò e guardò dal basso verso l'alto il faro, che ora dava l'impressione di essere immenso.

Vi camminò intorno cercando l'entrata. Trovò una piccola porticina marrone. Quando provò ad aprirla, si accorse che era bloccata. Fece più forza, spingendo anche con il corpo, e riuscì a creare una fessura che le permise di entrare. Era buio; non riusciva a vedere. C'era parecchia umidità. Non era come nel sogno; nessuno era lì ad accoglierla. Il vecchio era solo frutto della sua fantasia.

Provò paura. Quel luogo trasmetteva sensazioni sgradevoli, come se fosse stato infestato dalle anime di persone che vi erano passate negli anni. Pensò di essere stata stupida a essersi avventurata da sola in quel posto. Sarebbe dovuta rimanere vicina a casa, invece si era allontanata. Però sapeva che non era colpa sua. Era stato quel faro. Lui l'aveva attratta a sé. Sentì una specie di fruscio, ma non proveniva da fuori. Era prodotto da qualcosa davanti a lei. Sembrava un respiro. Era lento e regolare. Non osò muoversi. Immaginava un mostro che si nascondeva nell'oscurità, una presenza malefica schiacciata contro la parete che la osservava, aspettando il momento per attaccare. Il respiro si fece più rapido.

Katy prese forza e indietreggiò lentamente, sapendo che da un momento all'altro quella cosa le sarebbe saltata addosso. Avrebbe sentito dei denti aguzzi affondarle nella carne e non sarebbe mai più uscita da lì. Ma così non fu. Il rumore si attenuò e lei raggiunse la porticina, uscendo dalla tana del mostro.

Si mise a correre, riprendendo al contrario la strada di prima, solo che adesso le pareva che non finisse mai. Non si voltò, per paura di vedere l'essere mostruoso che la seguiva, finché arrivò sulla spiaggia davanti a casa. Nessuno la stava rincorrendo.

Quando fu sotto il portico, i ricordi dell'esperienza divennero confusi. Non ricordava neanche perché stesse correndo. Tirò la maniglia e dimenticò completamente.

Era ormai ora di pranzo. Per la prima volta mangiavano seduti a quel tavolo e i genitori sembravano curiosi e insieme preoccupati di dove fosse stata tutta la mattina.

“Ho fatto un giro per esplorare i dintorni. Mi sono divertita a tal punto che non mi sono accorta del tempo che passava!”, disse. E veramente era andata così. O no?

“La prossima volta faresti meglio ad avvisarci se hai intenzione di allontanarti”, disse il papà.

“Certo, scusatemi”

Era molto stanca quel pomeriggio, perciò fece un pisolino che la rimise in sesto. Svegliandosi, si accorse che Jenny non c'era più. La sua bambola era sparita. Saltò giù dal letto e chiamò i genitori.

“Probabilmente l'hai lasciata da qualche parte quando sei uscita...”, disse mamma.

“Vado a cercarla, torno subito!”, esclamò correndo fuori.

Appena mise i piedi sulla sabbia, si fermò. Non sapeva dove andare. Era molto confusa. Aveva l'impressione che quella mattina non fosse mai esistita. Ore e ore erano passate senza lasciare traccia. All'improvviso non le importava più di aver perso la bambola; sarebbe saltata fuori da un momento all'altro. Rientrò in casa e disse di non averla trovata.

Trascorse una serata tranquilla in famiglia, tra giochi di società e barzellette divertenti. Papà era bravissimo a raccontarne. Lei aveva soltanto un libricino su cui leggerle, che le aveva regalato la nonna per il suo compleanno.

Si coricò verso le dieci, ma riuscì ad addormentarsi solo un'ora dopo. Quando ebbe chiuso gli occhi, immagini sconnesse si susseguirono nella sua mente. Un sentiero nel bosco, una porticina di legno, un luogo buio... e la sua bambola. La fissava immobile, distesa su un pavimento umido, chiedendole pietà. Le lacrime le percorrevano la superficie di stoffa che aveva come faccia, formando rigagnoli che proseguivano fino a toccare terra. Continuavano ad avanzare verso una piccola fessura, dove finalmente scomparivano.

Mentre Katy dormiva, la sua testa si alzò. Così fece anche il suo busto. Quando fu seduta sul materasso, si girò lentamente, permettendo alle gambe di liberarsi dalle coperte. Appoggiò i piedi sul pavimento di legno freddo della sua camera. Scese dal letto, aprì senza fare rumore la porta e si avviò per le scale. Scese con calma, inconsapevole di quello che faceva. Si avvicinò all'ingresso e uscì. Nessuno la sentì, e la casa ripiombò nel silenzio della notte.

Erano le undici e mezza. Fuori la temperatura era notevolmente bassa, ma lei non se ne accorse. Il suo corpo era trainato da una forza che proveniva da quel faro. Lei non vedeva, ma quel qualcosa sì, e le faceva da guida. Lei si lasciò trascinare, e lui l'accompagnò per il sentiero e su per la scogliera. Questa volta non si fermò, neanche per un momento, perché sapeva di potersi fidare di quella cosa.

Arrivò davanti alla porticina. Adesso la sua percezione della realtà stava ritornando, ed iniziò ad avere freddo. Fece per tirarsi su la coperta, ma non la trovò. Ebbe un fremito. Gli occhi le si stavano riaprendo contro la sua volontà. Era il faro che lo voleva. Sentì la sua mano chiudersi attorno al pomello ed aprire la porta.

Entrò. Si svegliò di colpo. All'inizio pensò di essere dentro un altro incubo, poi rifletté, troppo bene per stare sognando, e capì dove si trovava. Sapeva cosa doveva fare.

Avanzò con le braccia protese in avanti. Ad un tratto si fermò ed iniziò ad accovacciarsi. Era come se seguisse una mappa precisa, incisa nel suo subconscio. Afferrò per una gamba Jenny, nascosta nell'oscurità, la mise all'altezza del suo viso e l'abbracciò forte. Raggiunse l'uscita e tornò a casa, senza notare le nubi temporalesche che ricoprivano il cielo, senza percepire l'essere che la scrutava, studiando il suo comportamento.

“Mamma! Papà! L'ho trovata! L'ho trovata!”, urlò appena superata la soglia.

Ci furono dei rumori al piano di sopra. Dopo un paio di minuti i genitori scesero le scale di corsa.

“Cosa ci fai in piedi?”, chiese la mamma assonnata.

“L'ho trovata! Ho trovato la bambola!”

“Dove?”, chiesero entrambi contemporaneamente.

“Al faro”, rispose senza esitazione.

Katy trascorse il resto della notte piangendo nel suo letto. Quando aveva detto loro di essere uscita senza permesso, papà l'aveva mandata a dormire con uno schiaffo. Non era stato quel gesto a farle più male, però. Era stato invece il fatto che lei, fino a quel momento, non aveva neanche lontanamente pensato di aver fatto qualcosa di male. Credeva che l'aver trovato Jenny al faro avrebbe fatto piacere ai suoi genitori, ma non aveva riflettuto su cosa sarebbe potuto succederle in quel posto. Semplicemente le sembrava stato giusto.

Al sorgere del sole, Katy non aveva ancora chiuso occhio. Non solo non voleva sentire gridare papà, che l'avrebbe sicuramente messa in punizione, ma era anche arrabbiata. Poche volte aveva sperimentato quello stato emotivo. In quei momenti sentiva come un fastidio allo stomaco che non riusciva a sopportare. Qualcosa che le rodeva dentro.

Fece colazione da sola verso le sei, per evitare momenti di imbarazzo, poi portò una sedia sotto il portico e si mise ad ascoltare la musica sul suo nuovo lettore Mp3. Riuscì a dimenticarsi per alcuni minuti della discussione che l'attendeva; la musica aveva su di lei un effetto rilassante. Non aveva altro per la testa che le sue canzoni.

Quando la mamma la chiamò, lei non se ne accorse.

“Katy, vieni dentro!”, le gridò dalla cucina.

Non ci fu risposta.

Dopo cinque minuti venne chiamata dal papà, ma lei non lo sentì. Lui si diresse a passo svelto verso la porta d'ingresso, furioso per la mancanza di rispetto della figlia. Si bloccò. Ebbe uno strano presentimento. Esitò a tirare la maniglia, come per ritardare ciò che lo aspettava. Sapeva già prima di vedere con i suoi occhi. Uscì senza più pensare a niente. Lei non c'era. Era tornata al faro.

Katy correva ai limiti della sua velocità, graffiandosi di continuo braccia e gambe. Le sue lacrime le rendevano faticoso vedere dove andava. Comunque, sapeva la strada. Era ormai la terza volta che la percorreva, e ogni volta si sentiva più sicura di quello che faceva. Poi c'era Jenny a darle conforto.

Le prime gocce di pioggia scendevano dal cielo grigio, creando pozzanghere fangose lungo tutto il sentiero. Le sue scarpe scivolavano di continuo, ma lei non voleva saperne di cadere. Non c'era tempo di fermarsi. Doveva mettersi al sicuro. Probabilmente mamma e papà la stavano già cercando. E sarebbe stata al sicuro. Lo sapeva.

I genitori si misero a correre nella sua direzione urlando il suo nome. Loro non avevano la fortuna di esserci già stati, perciò si limitarono a seguire le orme nel fango, sempre più nascoste dalla pioggia. Si inoltrarono nel bosco.

Katy giunse alla scogliera. Le sembrò che salisse all'infinito, e non ne vide la fine. Forse non doveva passare di là. Magari quella cosa sapeva dei suoi genitori e la stava conducendo dove non l'avrebbero trovata. Prese un sentiero sulla sinistra. Era la prima volta che lo notava, forse perché nascosto dai cespugli. Proseguì per un tempo indefinibile, saltando tronchi di alberi caduti e scostando rami che le ostruivano il passaggio.

Si fermò quando raggiunse il mare. Un venticello dolce la invogliava ad andare avanti, allora si lasciò trasportare. Immerse prima i piedi, poi le gambe e il bacino. Intanto sosteneva Jenny in alto per non farla bagnare. La guardava fissa negli occhi.

L'acqua le arrivò fino alle spalle. Vide un'onda arrivare velocemente verso di lei. Era troppo tardi per arrendersi. Ora la bambola sorrideva, ne era certa. Ad un tratto capì che non era più lei. Non era più la bambola che aveva tenuto stretto fin da piccola. Era qualcosa di diverso. Il faro adesso non c'entrava più con ciò che stava accadendo. Ora era quella piccola forma di pezza che la guidava.

Si sommerse completamente e la bambola fece lo stesso. Katy la vide illuminarsi di una luce verde-giallastra e staccarsi da lei. Stava cambiando forma. Si stava... liquefacendo. Era come se diventasse tutt'uno con il mare. Intanto si ingrandiva, ingrandiva, finché la circondò completamente con il suo manto blu e la intrappolò.

Katy non riusciva a liberarsi. Si dimenava e cercava di salire a galla per respirare, ma tutto fu inutile. A poco a poco le sue forze si esaurirono e lei chiuse gli occhi.

Riprese conoscenza in un luogo buio e umido. Era immobilizzata da una sostanza viscida e oleosa che la teneva attaccata ad una parete di roccia. Sentiva il bruciore di ferite sulla schiena e un formicolio alle gambe dovuto alla posizione in cui si trovava.

Cercò di muoversi, ma non ci riuscì. Stette in silenzio ad ascoltare. Udiva delle pietre spostarsi in un punto più in alto. Ci doveva essere qualcuno. Le tornò alla mente di colpo tutta la mattina trascorsa da sola, che non riusciva a ricordare. Il respiro. Chiunque fosse lì con lei, doveva essere quella cosa. L'altra volta non le aveva fatto del male, ma adesso era diverso. Lui aveva aspettato. Era stato in agguato. Ora invece era il momento di attaccare, e lei non poteva muoversi.

“Katy! Katy!”, gridarono.

Erano sbucati davanti alla scogliera, si erano guardati intorno in cerca di sentieri, e avevano proseguito sulle rocce. Raggiunsero la cima e videro il faro.

“Katy!”

Nessuno rispose.

Trovarono la porticina di legno e la buttarono a terra con un calcio. Entrò la luce. Si precipitarono all'interno e videro la bambola di Katy. Era lì da più di un giorno. La mamma la prese in mano piangendo.

“Dove sei, piccola?”, chiese.

“Ehi, guarda qua...”, disse il papà.

Gli si avvicinò speranzosa. Lui stava osservando una fessura rettangolare sul pavimento. Si piegò sulle gambe e la passò con un dito. Tirò con forza e aprì una specie di botola.

Cos'era stato? Il rumore di un tonfo aveva rotto il silenzio nella caverna.

Katy guardò verso l'alto in cerca del mostro. Riuscì a distinguere dei lineamenti molto confusi. Stava venendo verso di lei. Iniziarono a notarsi delle braccia di un colore blu scuro, mani e piedi che si appiccicavano alla roccia come ventose, per sostenere il peso del corpo. Apparve il volto. Era liscio. Non un'escrescenza, non un'imperfezione. Katy vi vedeva i riflessi del mare.

Le arrivò davanti, a pochi centimetri dalla sua faccia. Vide quella pelle squamosa, gli artigli di un azzurro intenso e sentì il suo ringhio. La stava fissando attentamente, aspettando l'odore della sua paura.

L'essere si mosse in avanti di scatto. Katy lesse in quel volto un miscuglio di rancore e sofferenze, e ne rimase ipnotizzata. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Si sentiva risucchiare le energie e diventare sempre più debole. Intanto vedeva altri bambini che gridavano e imploravano di essere salvati, ma per loro era ormai troppo tardi.

Non sentiva più caldo o freddo. Non riusciva più a pensare. Ogni sua capacità di percezione la stava abbandonando. Era sul punto di arrendersi, quando la cosa se ne andò. La vide arrampicarsi verso l'alto, nascondersi nell'oscurità da dove era venuta.

Per qualche secondo non successe niente. Fu il silenzio. Poi iniziò a sentire in lontananza una debole eco, che si tramutò in qualcosa di più reale. Katy riprese conoscenza e sentì gridare il suo nome. Ora non si trovava più intrappolata in quella sostanza melmosa, ma era distesa per terra con dolori in tutto il corpo. Si mise a sedere con fatica e vide delle sagome avvicinarsi. Erano mamma e papà.

“Katy, Katy, Kat...”

“Sì, papà?”

“Ti sei fatta male?”, le chiese.

“Cosa...? No”, rispose.

La aiutarono ad alzarsi e si avviarono verso la botola.

“Cosa ci fai qui?”, riprese la mamma.

“Io... non lo so”, disse e la abbracciò.

La cosa li osservava dall'ombra. Non poteva fermarli. Non osava avvicinarsi. Vedeva la bambina avanzare insieme ai genitori mano nella mano. Era quel gesto innocuo, quel legame d'affetto a tenerlo lontano. Era sopravvissuto millenni nutrendosi delle paure delle persone, della loro rabbia e dei loro dolori. E adesso quel gesto... Non riusciva a sopportarlo.


FINE

   
 
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