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Autore: LadyTargaryen    20/07/2014    3 recensioni
Una strana amicizia, nata tra Athelstan, schiavo catturato, ora uomo libero, e il suo padrone, il vichingo Ragnar. Un'avventurosa battuta di caccia. Un pericoloso imprevisto. E un antico rituale che suggellerà per sempre il loro legame. Perché il sangue è un legame potente che travalica ogni differenza. E fa sì che anche gli uomini più diversi diventino fratelli.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Fratelli di sangue

 

 

 

 

 

 

L'aria profumava di legno di abete, di pino, di rugiada e di erba umida. Il vento soffiava fresco dal mare portando con sé un vago odore di salsedine. Sopra le loro teste le cime degli alberi e ancora più su il cielo azzurro terso di un tranquillo pomeriggio primaverile.

 

Ragnar, arco e faretra a tracolla, procedeva per primo, curvo sul terreno, alla ricerca di tracce di selvaggina. Pochi passi più indietro camminava Athelstan, con un lungo pugnale alla cintura, fissato dietro la schiena, e un piccolo coltello sul fianco; in mano stringeva una lancia.

 

 

 

 

 

Era stato Ragnar, qualche tempo prima, a fargli dono del coltello, il kniv, e del pugnale, un particolare tipo di arma che lo jarl aveva detto chiamarsi scramasax.

 

“Sei un uomo libero ora, Athelstan.” gli aveva detto, con il suo eterno sorriso sbilenco che gli incurvava le labbra. “E' quello che volevi, no?”

 

Lui aveva sorriso di rimando. “Era quello che volevo. Più di ogni altra cosa.”

 

Ragnar e la sua famiglia non lo avevano mai trattato come un thrall, un servo, ma come un ospite e un amico. Come uno dei loro.

 

E nonostante ciò Athelstan non aveva mai desiderato altro che quello: essere libero.

 

Non per potersene andare, ma per essere riconosciuto finalmente dalla comunità come parte di essa e non più come un estraneo. Certo, non avrebbero mai smesso di chiamarlo “prete”, ma aveva imparato a riconoscere il tono scherzoso e amichevole con cui pronunciavano quel soprannome.

 

Ora le occhiate diffidenti e gli sguardi sospettosi che ancora riceveva non facevano più male.

 

“Sei un uomo libero.” aveva ripetuto Ragnar “E come tale puoi possedere questo.”

 

Athelstan aveva preso in mano la lama che l'altro gli porgeva dalla parte dell'impugnatura in frassino; un gesto, come aveva appreso, di familiarità e di affetto. E soprattutto di fiducia.

 

Aveva sguainato la scramasax e ne aveva contemplato la lama di luccicante acciaio che sfavillava al sole: ad un solo filo, lunga quasi dieci pollici, pareva forgiata dal martello di Thor in persona.

 

Con occhi ammirati se l'era rigirata in mano, a saggiarne la presa. Aveva guardato Lothbrok con infinita riconoscenza. “E' stupenda...”

 

Ragnar aveva sogghignato soddisfatto.

 

“E non è tutto. Ho ancora qualcosa per te...” E si era sfilato dalla cintura un pugnale non più lungo di sei pollici scarsi, custodito in un fodero di pelle di cervo. Sull'elsa, in corno d'alce, erano incise alcune rune.

 

Athelstan aveva sfoderato il kniv, quasi con reverenza. La lama era di un acciaio curiosamente scuro, con venature d'argento che componevano figure scintillanti di animali selvaggi. Poi aveva fissato le rune. “Che significano?” Ragnar gliele aveva indicate una per una seguendo con l'indice le minuscole scanalature incise nel corno. “'Athelstan'. Il tuo nome.”

 

Il giovane aveva sorriso, felice più di quanto le parole potessero esprimere. “Grazie.” Era stato tutto ciò che era stato in grado di rispondere. L'altro gli aveva messo le mani sulle spalle. E aveva sorriso a sua volta, senza aggiungere altro.

 

 

 

 

 

- Athelstan. Fermo.- La voce di Ragnar lo strappò ai suoi pensieri riscuotendolo di colpo. Il guerriero si era arrestato sulla pista, una mano alzata per fargli segno di non proseguire oltre. Si accucciò a terra, nell'erba alta, e avanzò carponi, imitato dall'altro. Pochi passi più avanti si rifugiarono dietro un folto cespuglio di rovi. Lo jarl gli intimò il silenzio e gli indicò, attraverso i rami, la radura dinanzi a loro. Lì, in mezzo agli arbusti e ai fiori, un grosso cervo dalle poderose corna brucava tranquillo, completamente ignaro.

 

Ragnar e Athelstan si scambiarono un muto cenno d'intesa e misero mano alle armi. Ragnar si sfilò l'arco e incoccò una freccia, l'altro impugnò la lancia, bilanciando l'asta nella mano e flettendo il braccio all'indietro come l'uomo del Nord gli aveva insegnato a fare.

 

Contarono tre respiri.

 

Uno...Due...

 

Ma al terzo all'improvviso il cervo sollevò di scatto il capo dall'erba e si guardò attorno, inquieto. Ragnar, dal loro nascondiglio, imprecò tra i denti. L'animale mosse la testa a destra e a sinistra un paio di volte, alla ricerca del pericolo, poi, avvertendo qualcosa nell'aria, si diede alla fuga.

 

I due saltarono fuori dal cespuglio per inseguirlo quando un rauco basso ruggito li inchiodò al loro posto. Una cascata di brividi di paura scivolò giù per la schiena di Athelstan; strinse con più forza la lancia, le mani sudate, scrutando la radura attorno a loro con occhi colmi di timore. - Ma cosa...- fece appena in tempo a mormorare Ragnar quando ecco che, con uno spaventoso ruggito, dai cespugli alla loro destra saltò fuori un gigantesco orso dal manto nero come la notte. La bestia li squadrò con occhi di brace colmi di ferocia, le labbra rivoltate in giù a mostrare le bianche zanne in un ringhio. Girò loro intorno, come a meditare su chi uccidere per primo. Athelstan e Ragnar seguivano i suoi movimenti, tenendolo sempre di fronte. Se gli avessero offerto anche per pochi attimi la schiena sarebbero stati perduti.

 

L'orso infine sembrò decidersi e si fermò. Emise un ringhio terrificante e inarcò la groppa irsuta, pronto a caricarli. Athelstan tremò, ma non si mosse, la lancia sempre in pugno. Ragnar al suo fianco ringhiò a sua volta mostrando i denti all'animale. - Fatti sotto, rognoso. -

 

In risposta alla provocazione l'immensa bestia si alzò sulle zampe posteriori, ergendosi in tutta la sua magnifica quanto terribile altezza. E Ragnar, la cui freccia era ancora sull'arco, trasse la corda sino all'orecchio e scoccò. Il dardo saettò nell'aria con un sibilo e si conficcò nella gola dell'orso, ma la folta pelliccia e il grasso sottocutaneo ne difesero la giugulare; non una sola goccia di sangue sgorgò dalla ferita. L'animale colpito ringhiò ancora più forte e sferrò zampate al vuoto, nel tentativo di estrarsi dal collo quella freccia che gli provocava dolore. Ragnar ne approfittò e scagliò una seconda freccia: questa volta lo colpì in un occhio; sangue misto a umore vitreo colò giù, rosso e viscoso, lungo il muso della bestia, ad insozzare la pelliccia.

 

Loðbrók gettò a terra arco e faretra e sguainò il proprio coltello da caccia, una lunga scramasax di quindici pollici di lunghezza. - Athelstan, accerchiamolo. Tu gira a sinistra, io lo prenderò dal lato dell'occhio cieco. -

 

Ma Athelstan non rispose, paralizzato dal terrore, la mani tremanti sull'asta della lancia. Ogni suo muscolo sembrava come mutato in pietra. Gli occhi erano sbarrati dalla paura.

 

- Athelstan! -

 

In quello stesso istante in cui Athelstan si voltava verso l'amico l'orso, con la rabbia sanguinaria della bestia ferita, si gettò all'attacco. Ragnar tentò di gettarsi di lato, ma troppo tardi: venne travolto dalla furia cieca dell'animale; il suo coltello, sfuggito dalla sua presa, volò lontano. Il suo corpo sparì, inghiottito da quell'enorme massa nera.

 

Le zampe dell'animale calarono su di lui, inesorabili.

 

Le poderose braccia di Ragnar scattarono in alto afferrando il muso della bestia, le sue zanne affilate protese ad un soffio dal suo viso, ma non poté nulla contro gli artigli, che gli squarciarono il giaco di pelle e la carne sotto di esso. L'uomo urlò con quanto fiato aveva in gola ma non mollò la presa; strinse più forte le mascelle dell'orso, in un titanico sforzo di mantenerle chiuse, mentre quello ruggiva e graffiava, lottando e mordendo per liberare le fauci con scatti metallici di tagliola. Infine, con uno strattone più violento dei precedenti, la bestia si liberò.

 

E fu allora che Athelstan reagì.

 

Dove avesse trovato il coraggio non avrebbe saputo dirselo. Ma lo trovò.

 

Una qualche divinità, Dio od Odino, gli infuse forza, rinvigorì le sue membra.

 

Dalla sua gola proruppe un grido belluino e si lanciò alla carica verso l'orso, la lancia in resta. A pochi passi da esso spiccò un salto, librandosi dal suolo come avesse le ali. Strinse la lancia fino a sentire schegge di legno penetrargli sotto le unghie, piegò braccia e gambe all'indietro per prepararsi all'impatto.

 

L'orso si accorse di lui, ma troppo tardi: Athelstan atterrò a cavalcioni sulla sua groppa e vi conficcò la punta tra le scapole, affondandone la lama tra pelliccia, grasso e carne.

 

Il ringhio di dolore dell'animale risuonò in tutta la foresta. L'orso bruno cominciò a sgroppare, nel tentativo di liberarsi di Athelstan ma questo tenne duro, e urlando a sua volta continuò ad affondare la lancia, ancora, e ancora e ancora.

 

L'animale allora si alzò sulle zampe posteriori e lui cadde al suolo, la lancia ancora in pugno. L'orso si voltò verso di lui, le zanne snudate: il suo muso era una maschera di sangue; nell'orbita vuota era ancora conficcata la punta della freccia di Ragnar.

 

L'occhio rimasto lo fissava con brama sanguinaria.

 

- Avanti, maledetto demonio. - ringhiò Athelstan. Sfoderò la scramasax, abbandonando la lancia.

 

Il sangue nelle sue vene ribolliva, si sentiva come pervaso da un'energia ignota e selvaggia.

 

Non provava più paura.

 

- Fammi vedere di che sei capace. -

 

L'orso lo accontentò e si gettò ancora una volta alla carica. Il giovane attese sino all'ultimo istante poi si scansò. Rotolò a terra e si rimise in piedi. L'orso gli si avvicinava poco a poco e Athelstan girava in tondo, mantenendosi dal lato dell'occhio cieco. Senza preavviso la bestia caricò nuovamente. E questa volta lo colpì. Athelstan cadde a terra, il coltello gli cadde di mano, finendo ad un braccio di distanza.

 

L'orso si avventò su di lui.

 

E Athelstan con un urlo afferrò la scramasax e gliela spinse nella gola sino all'elsa.

 

La lama affondò come tagliasse del burro, recidendo la giugulare.

 

Il mostro ruggì, il sangue che schizzava copioso come idromele da una botte sfondata sul viso del Athelstan, ancora aggrappato all'impugnatura della propria arma. Avvertiva il lezzo della sua pelliccia nelle narici, il suo sapore rancido gli riempiva la bocca. Rigirò il pugnale e nuovo sangue, caldo e viscido, gli inondò il viso. L'orso, ormai nelle fauci della morte, si dibatté rantolando, ringhiando; e infine si abbatté al suolo, morto. Athelstan rotolò via poco prima che la carcassa lo schiacciasse.

 

Restò lì, in ginocchio, per attimi che gli parvero lunghi una vita, a riprendere fiato. Il torace gli si alzava e abbassava sommessamente, il sangue e il sudore che dalla fronte gli colavano sugli occhi.

 

Tremava.

 

- Athelstan... -

 

Athelstan alzò la testa di scatto: sul lato opposto della radura c'era Ragnar, seduto a terra, un braccio stretto al petto, la manica fradicia di sangue. Sorrideva.

 

- Ragnar! -

 

Rinfoderò la scramasax e corse verso di lui. - Come stai? - domandò non appena gli fu a fianco. L'uomo lanciò un'occhiata di sfuggita al proprio braccio ferito. Quindi guardò Athelstan e si produsse in una noncurante alzata di spalle. - Sono stato sicuramente meglio. -.

 

L'altro scosse il capo. Ormai aveva imparato a conoscere le sue spacconate.

 

- Non dire idiozie, stai perdendo troppo sangue. - Strappò la manica zuppa di sangue e scoprì la ferita: non molto estesa ma profonda e slabbrata. Athelstan arricciò il naso. Occorreva medicarla al più presto. - Dovremo tornare al villaggio. Ora come ora posso solo tamponarla con del muschio e bendarla con della stoffa pulita. - disse dopo averne considerato l'entità. Raccolse da una roccia vicina una manciata di muschio e pulì alla meglio gli squarci provocato dagli artigli dell'orso. Quindi stracciò un lungo lembo della propria casacca e ne fece alcune bende con cui provvide a fasciare la ferita.

 

A dispetto della situazione Ragnar continuava a sorridere. L'altro se ne accorse.

 

- Si può sapere cos'hai da sorridere? -.- Sorrido perchè mi immagino la faccia che faranno gli altri quando gli diremo che hai ucciso un orso da solo. A Floki cadrà come minimo la mandibola. -.

 

Athelstan fissò negli occhi l'amico. - Ragnar non scherzare. Quel mostro ti ha quasi ucciso a causa mia. -

 

Si sentiva in colpa, pensando che mentre Ragnar non aveva esitato ad attirare l'orso su di sé per proteggerlo lui era rimasto paralizzato dal terrore.

 

Completamente immobile.

 

Ma soprattutto completamente inutile.

 

Gli avevano insegnato a cacciare, a combattere, a difendersi. A manovrare lancia e ascia, a formare un muro di scudi. Ma tutti quegli insegnamenti si erano dissolti davanti al pericolo, inghiottiti dalla paura come in un vortice.

 

Si vergognava di aver messo in pericolo Ragnar.

 

Si vergognava di essersi dimostrato così debole.

 

Ragnar indicò col pollice la bestia morta. - Se non ci fossi stato tu, prete, ora io sarei bello che morto. E invece eccomi qua, ancora vivo. Mi hai salvato. Ti sembra poco? -.

 

Athelstan non seppe che rispondere e chinò il capo. Gli uomini del Nord disprezzavano i pavidi e i codardi. E cosa si era dimostrato essere lui se non un codardo?

 

Come si poteva definire altrimenti un uomo che lasciava che un amico venisse ferito e quasi ucciso combattendo al suo posto?

 

Ragnar sembrò capire e lo prese con le spalle scuotendolo leggermente. - Non sei scappato. Scappare è da vigliacchi. Ma affrontare la paura e vincerla è segno di coraggio. -. - Eppure tu e gli altri non avete mai paura, neppure davanti ai pericoli peggiori. Io sì. - obiettò, e Loðbrók scosse il capo. - Non diamo a vederlo, ma anche noi abbiamo paura. Ma c'è differenza tra fronteggiarla e lasciarsene sopraffare. Capisci? -.

 

Athelstan capì. E gli sorrise, grato. Anche Ragnar sorrise. Non c'era bisogno di altre parole.

 

- Ora. - disse lo jarl alzandosi a fatica in piedi. - Dobbiamo tornare a casa e prendere i cavalli per portare via questa bestia. Ma prima – e recuperò la scramasax. - c'è una cosa che vorrei fare. -

 

E sotto gli occhi stupefatti di Athelstan si inginocchiò a terra a misurare col braccio sano il perimetro di un immaginario rettangolo d'erba.

 

- Che stai facendo? - domandò sorpreso. - Ora vedrai. - fu la sibillina risposta.

 

Quando ebbe concluso la misurazione scavò lungo le linee così definite con la propria lama. Quindi la spinse sotto la terra e la smosse finché una spessa zolla erbosa non si staccò dal terreno.

 

- La tua lancia, Athelstan. - ordinò e quello gliela passò, sempre più perplesso. Ragnar infilzò la zolla con la punta e sollevatala da terra per l'asta la conficcò nel suolo, in mezzo a loro. La zolla era lunga due braccia e larga altrettanto ma riusciva comunque a coprire entrambe le loro teste.

 

Athelstan era sempre più stupito e si stupì ancora di più quando Ragnar sfilò il kniv dalla cintura e lo invitò a fare lo stesso. Finalmente il guerriero si decise a spiegargli. - Questo è il rito della fratellanza di sangue, un'antica tradizione nordica. Ci si taglia il palmo e ci si stringe la mano ferita, lasciando che il sangue dell'uno si mescoli a quello dell'altro. In questo modo l'amicizia tra i due che compiono il rito sarà eterna e nulla, neppure gli dei, riuscirà mai a spezzarla. -. Fece una pausa e sorrise, con quel suo sorriso obliquo un po' da lupo e si praticò un taglio sul palmo. - Mi hai salvato la vita, Athelstan. Sul mio sangue, giuro di essere per sempre tuo fratello. -
 

Athelstan non seppe cosa dire.
 

Sentì un groppo salirgli in gola, a soffocare tutte le inutili quanto banali parole di ringraziamento.

 

Per la prima volta da quando era stato catturato, per la prima volta nella sua intera vita, si sentiva davvero accettato.

 

Non sapeva dare un nome a quel sentimento che provava in petto. Non ne aveva mai provato uno simile.

 

Con un grande sorriso sulle labbra si tagliò il palmo e strinse la mano di Ragnar. - Ed io sarò sempre al tuo fianco, fratello mio. -

 

Una minuscola goccia di sangue colò giù dalle loro mani unite e finì a terra, a suggellare quel patto fraterno tra due uomini di mondi tanto diversi che da servo e padrone erano divenuti due amici inseparabili.

 

Due corvi si posarono sulla zolla che sovrastava le loro teste e gracchiarono.

 

- Odino ci benedice. - disse Ragnar – E dovunque sia il tuo Dio sono certo che sta facendo lo stesso. - E sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Buonasera a tutti!

 

Come vedete sono anch'io approdata in questo meraviglioso mondo che è quello di Vikings, una serie tv che trovo strepitosa. Inutile dire che per quel cucciolo di monaco che è Athelstan è stato amore a prima vista <3. E siccome il suo legame con Ragnar (amore o amicizia che sia non cambia che sia una delle cose più belle della serie) mi affascina da morire ho deciso di rendergli onore come potevo. Ora, piccolo papiro di spiegazioni “tecniche”:

 

Le lance vichinghe erano lunghe dai 2 ai 3 m, con 20-60 cm di sola punta. Quindi se vi si conficca una zolla si riesce a starci sotto in piedi senza problemi di altezza, più per Ragnar che è alto come un armadio che per Athelstan che è uno e un cavolo XD.

 

La scramasax era un'arma vichinga, una specie di machete le cui dimensioni variavano dai 7,5 cm ai 75 cm. A seconda della lunghezza avevano usi differenti ma potevano sempre essere impiegate come arme da taglio. Solo gli uomini liberi potevano portarla.

 

Il kniv era ed è tuttora un coltello che i genitori regalano ai figli in Svezia e Norvegia (la versione finlandese si chiama invece puukko). Lungo dai 14 ai 25 cm, viene donato tendendolo dalla parte dell'impugnatura, un gesto di fiducia e amicizia (stesso discorso per la scramasax).

 

Il rituale è l'antico rito con cui i vichinghi si legavano attraverso il sangue ai loro migliori amici. Ne ho trovata la descrizione su un mio vecchio “manuale” (Brutte storie :D) di storia e ho voluto utilizzarlo per descrivere l'amicizia che lega Athelstan e Ragnar.

 

I corvi sono i messaggeri di Odino, Huginn e Muninn, Pensiero e Memoria.

 

Last but not least l'ispirazione per il rito di fratellanza dopo l'uccisione dell'orso è tratta dall'identico episodio narrato nel fumetto “La aquile di Roma”,di Enrico Marini.

 

Che altro dirvi? A voi! E recensite, anche solo per dirmi che devo darmi all'ippica ;)

 

 

 

#Raky

  
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