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Autore: Xandalphon    21/07/2014    1 recensioni
Il mondo in cui siamo è realtà o finzione? La nostra realtà è 'veramente' reale? O siamo solo delle scimmie nella gabbia di uno zoo, in cui ogni tanto, qualche visitatore annoiato tira delle noccioline? E chi è il guardiano dello zoo? Un benevolo custode o un crudele tiranno?
Genere: Commedia, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prigione dorata

 

Cosa deve decidere l’uomo per unire i popoli della terra, per renderla bella e fiorente? Nessuna invasione galattica alla H. G Wells che spinga l’umanità a far fronte comune dinnanzi al nemico…nessun Vulcaniano buono che porti tecnologia e prosperità, …In un mondo che perlopiù ha dimenticato Dio, ho l’ha relegato in un angolino, un A PARTE, rispetto alla propria vita “normale”…ci troviamo soli, completamente: la partita è tra noi ed il nostro libero arbitrio, un gioco con il destino, o , per usare un termine che indica la medesima cosa, ma è certo più di moda, con la “sorte”.

 

Ma se un giorno, in un paese qualunque, di uno stato anonimo, un anonimo contadino(la classe lavorativa indicante per antonomasia l’anonimato sociale, ahimè), scoprisse la “cosa” che indicasse definitivamente al mondo che è proprio così che va l’universo, senza alieni buoni, senza alieni cattivi, senza dei oltremondani…senza nulla…e, peggio, che la partita a dadi, la sorte non la sta giocando con noi, ma in realtà è una contesa tra la morte e la “morte in vita”, cioè l’assenza più totale di speranza… per dirla come nel “the rime of the ancient mariner” di Coleridge, una contesa in cui l’uomo non è partecipante, ma premio, un giocattolo combattuto tra il nulla e l’apparenza di qualcosa, ma che in realtà è un nulla anch’esso...?Beh, in realtà non sono né un manovale, né tanto meno un filosofo, anche se nel testo che sto scrivendo, forse più per chiarirmi le idee che non per mostrarlo a chicchessia(quali sarebbero, difatti le conclusioni che molti luminari trarrebbero dalle mie, di conclusioni? )ho cercato di apparire come tale…

 

Forse, per farla più semplice e godibile al mio uditorio immaginario, avrei dovuto mettere le mie incredibili(quanto accidentali) scoperte sotto forma di romanzo, con tanto di protagonisti, coprotagonisti, e semplici comparse. Magari avrei scoperto in me un talento latente per la scrittura, in grado di alleviare il terrore generato dal talento, curato e allevato in anni di studio e di esperienza, per i numeri.

 

Magari, preso dalla scelta di un sinonimo, mi sarei dimenticato il peso schiacciante di gradienti ed equazioni, tanto pesanti da comprimere il mio cervello sulla soglia della pazzia. Forse sarei diventato un famoso scrittore di sci-fi, quel genere che tanto deprecavo…ma, ormai, questo non ha più importanza…NULLA ha più importanza se non il sopravvivere a sé stessi, spremendo le proprie energie in questo intento, per non rimanere sovrastati dal vuoto.

 

Visto che l’ho detto, che ormai il mio cervello è pressoché fuso, non mi preoccupo che qualcuno mi prenda per un caso da manicomio, e mi voglia al più presto portare in un bello stanzone del più vicino reparto di neuropsichiatria del più vicino istituto…Bene, ora che ho inserito bene bene in qualunque essere senziente che leggerà queste righe la suprema certezza che non vanno prese assolutamente sul serio, penso di poter cominciare, e nel più classico dei modi letterari…

 

Era una notte buia e tempestosa, i lampi del temporale si facevano sentire dalle persiane bene serrate della mia camera da letto, dove sarei dovuto restare, accucciato il più possibile sotto le coperte, se avessi saputo quanto stava per succedere; ma il perverso masochismo autodistruttivo di cui mi vanto, a volte, di essere munito (o era soltanto stupidità?) mi spingeva a lavorare sul mio Pc ad un nuovo programma di diagnostica del reattore per le centrali nucleari della Western Alabama nuclear company, inc.

 

Non che il pomposo soggetto delle mie fatiche fosse realmente un grattacapo: sarebbe stato sufficiente prelevare un qualsiasi studentello di informatica del secondo anno(magari sarebbe bastato anche del primo), per creare qualcosa a questo scopo, in un quarto del tempo che ci avrei messo io, e, forse, con meno arzigogoli…tant’è che, come avevo previsto, la corrente saltò e con esso tutto il mio lavoro di una serata, mentre ancora godevo per la scusa che avrei dovuto rifilare al mio capo, e mi pregustavo la sua faccia rotondetta paonazza dal furore (tanto non mi può licenziare…), ecco che appena prima che il pc si riavviasse completamente, comparvero strane lettere e strani simboli sul display…Visto che non avevo l’affinità tipica della gioventù a trattare con il tecnologico…inizialmente non diedi molto peso alla questione, come invece qualsiasi eroe di qualsiasi romanzo epico-fantascentifico avrebbe fatto; in verità non presi neanche nota dei simboli riportati dalla mente elettronica, e per il momento la cosa finì senza ulteriori drammi: tutto andava alla perfezione, avevo fretta di concludere il mio lavoro, che altro poteva chiedere alla vita un uomo dall’intelligenza molto normale alla prese con desideri molto normali?

 

Quando, un paio di ore dopo staccai tutto mi addormentai, i ricordi dell’inconveniente diventarono molto nebulosi e la mattina dopo, come per il più classico dei sogni i ricordi erano già sfuggiti ai processi della memoria.

Stavo per andare in ufficio, quando salutai mio figlio che stava facendo i compiti, e vidi. Greco. Io non l’avevo mai studiato ma i simboli erano identici. Mi tornò in mente ogni cosa, come un’onda che si rifrange con tutta la sua potenza.

Allora posi alla mia mente la domanda che mi avrebbe condotto al disastro, alla pazzia: Ma perché diavolo il mio pc si mise a compitare in greco?

 

La cosa mi aveva scosso, nonostante non avrebbe dovuto(mi domandavo anche quello: perché ora sono tanto agitato mentre la scorsa notte non ho dato il benché minimo peso alla cosa?), e, ancor prima di visitare l’ufficio del capo per consegnargli il lavoro svolto(stranamente la premura di finire aveva sconfitto il sonno…), mi versai una dose generosa di Whisky, caro vecchio soldato pronto a respingere con la sua baionetta i fumi delle paure e dei dispiaceri umani. Feci per buttar giù il goccetto, ma i miei occhi si fermarono su un particolare sul quale non avrebbero dovuto, la finestra dell’ufficio. Per un breve istante, ma, per i miei gusti, fin troppo lungo, non vidi il solito panorama, ma una sequenza di numeri e lettere. Ed ero ancora sobrio!

 

Avevo visto il film Matrix, e ciò che mi stava succedendo mi suggeriva proprio la trama di quel film. Certo, detta così, forse, può far ridere. Ma se vi capitassero esattamente le stesse cose che io vissi quell’orribile giorno la cosa più probabile che uscirebbe dalla vostra bocca non sarebbe una sonora sghignazzata, ma un gemito di terrore.

A partire da quel momento cominciai a “vedere” ogni sorta di strani accidenti. E mi convincevo sempre più di essere nato sotto l’impero delle macchine e che alla fine della mia vita avrebbero cercato di succhiare i miei fluidi vitali. Un giorno andai persino dal farmacista nella vana speranza che mi conducesse nel mondo dei “ribelli”. L’unica pillola rossa che mi diede fu quella di un noto digestivo. Beh, almeno mi sentii libero di mangiare fino a scoppiare quella sera.

Finalmente mi resi conto che questa “cosa”(termine inevitabile, perché non avevo la minima idea di cosa mi stesse succedendo) mi avrebbe fatto completamente impazzire. A quel punto commisi il più grande errore della mia vita.

 

Decisi di parlarne con qualcuno.

Presi il numero del primo psicanalista che vidi sull’elenco telefonico e prenotai un appuntamento con lui.

Da casa mia a Montgomery, dove si trovava lo studio dell’esimio dottore che avevo contattato, ci voleva un’ora o poco più. A patto che tutto intorno a voi scorra normalmente…

Già dovevo badare a delle periodiche allucinazioni; in più fui coinvolto in un inspiegabile tamponamento a catena, nell’incidente di un camion che aveva invaso l’opposta carreggiata, nella fuga di una mandria di buoi sull’autostrada. Mancava la fuga di materiale radioattivo da qualche centrale nucleare e avrei vinto il primo premio alla lotteria della sfiga.

Ma da bravo uomo del sud non mi scoraggiai alle prime avversità e trovai in me la forza per giungere, con 1 ora di ritardo, alla mia meta. Uscito dalla mia macchina sentii forte dentro di me un senso di incazzatura profonda, certo, ma, sotto sotto ero anche orgoglioso di me e della mia tenacia. Sapevo che il mio buon bisnonno dal cielo mi guardava(trovando anche il tempo di giocare a freccette con il ritratto del generale Grant).

 

Smisi di esserne convinto quando, mentre mi allontanavo dal parcheggio, udii alle mie spalle una enorme esplosione. Non volevo voltarmi, avevo un brutto presentimento. La curiosità ebbe il sopravvento e mi girai.

 

Era saltato in aria il motore della mia Ford.

 

A quel punto non farsela sotto dalla paura credo sia un’impresa titanica. Quella non era sfiga, era tentato omicidio, dannazione!

 

Ancora piuttosto scosso, mi si avvicinò sorridendo un ometto basso, grassoccio, pelato. Insomma una di quelle persone che nella vita possono fare solo gli agenti del fisco. Impossibili da non odiare.

“Mi scusi capo, ma non volevamo ucciderla. Volevamo solo metterla in guardia e provarle che quello le sto per dire non è che la più pura verità. O, come dite voi americani, che “facciamo sul serio””.

 

Con un’aria francamente idiota gli risposi ponendogli una domanda altrettanto francamente idiota:

“Perché, lei non è americano? Non sento nessun accento straniero!”

Ma lui, senza minimamente scomporsi, replicò, continuando a sorridere:

“Ci addestriamo bene noi guardiani!”

Finalmente cominciai a connettere. O meglio, realizzai che non avevo la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

L’ometto pelato mi guardò con un misto di disprezzo e pietà e fece per aprire la bocca e terminare il suo discorso. Non fece in tempo. La mia demenza prese il sopravvento, i pensieri galopparono liberi nel mio cervello e… feci la mia solita figura di merda.

“Ho capito chi sei! – esclamai – tu fai parte di Matrix e vuoi impedire che io prenda contatto con le forze ribelli!”

 

Il mio interlocutore emise un sospiro identico a quello che facevo io quando cercavo senza successo di spiegare a mio figlio le equazioni.

 

“A dir la verità no. Per inciso, i vostri film di fantascienza sono molto più fantasiosi di qualsiasi realtà. Sappia che lei, con il suo comportamento da tipico bifolco, ha rovinato la mia presentazione. E siccome mi scoccia prepararmi di nuovo ad un’entrata ad effetto nella sua esistenza, cercherò di essere meno teatrale e molto più pragmatico. Io sono un alieno, e mi occupo dei guasti al software informatico K41558569. E il guasto sarebbe lei. Per qualche ragione, a me oscura, i bug del sistema vengono colti marginalmente dal suo primitivo apparato cerebrale, che li reinterpreta in modo del tutto casuale. Per dirla in modo che possa capire, i nostri computers non sono tanto primitivi da funzionare con sequenze di codici, ma i suo subconscio glieli fa vedere in questo modo perché è ciò che si avvicina di più alla sua esperienza. E mi spiace dirlo, la sua esperienza più vicina sono le scene del film Matrix…Ora che sono riuscito ad avere la sua attenzione ed ho impedito che parli del problema con altre scimmiette spelacchiate come lei, resetterò la sua memoria di questi eventi e…

 

“Oh, nano, frena un attimo, tu non resetti un bel niente!”, esclamai io. Poi, con una voce indignata, anche se non mi era del tutto chiaro per che cosa, replicai:

“Allora è scientology che ha ragione! Voi impiantate falsi ricordi nella memoria della gente per dominarla e renderla vostra schiava senza che se ne renda conto! Non mi importa se tiri fuori la tua pistola a raggi, io fuggirò e divulgherò la verità!”

 

L’alieno, con mia somma delusione, non tirò fuori nessuna pistola a raggi, ma un altro sospiro. E mi rispose:

 

“Noi non interferiamo con la vostra vita. Vi osserviamo e basta. Per certi versi vi proteggiamo persino. Oltre la nube di Oort, dove finisce il vostro sistema solare, finisce anche il vostro universo. Non è la realtà che ti circonda ad essere una finzione da noi creata, ma il cielo che guardi col telescopio! Pensa alle stelle come le sbarre della gabbia del leone, allo zoo. Noi facciamo in modo che queste sbarre non si vedano.”

“E fuori, cosa c’è fuori?”

“Questa, terrestre è una domanda a cui non dovrei risponderti, ma siccome tra poco ti resetterò il cervello, tanto vale dirtelo. Fuori…beh, ci siamo noi fuori, che viviamo la nostra vita, nel nostro universo, con esseri simili a noi, diversi da noi, più avanzati di noi (che sono pochi), più arretrati di noi (che sono la maggior parte), a volte ostili, a volte amici…ah, e teniamo nascosta la vostra esistenza al resto dell’universo fino a che voi sarete pronti”.

 

“Eh grazie! Pronti per cosa, criptico d’un E.T? e poi, non vi sembra un tantino autoritario decidere al posto nostro?”

 

“Stolto umano, ti ho già detto che non decidiamo una virgola della vostra storia! Il quando sarete pronti sarete voi stessi a deciderlo. Quando arriverete con le vostre navicelle spaziali ai confini della “gabbia”, oppure quando scoverete e decifrerete il sistema informatico che vi tiene isolati. In ambedue i casi, vorrà dire che sarete sufficientemente preparati a sopravvivere a ciò che c’è fuori”.

 

“Mmm…sembrate tanto buoni per come la descrivi tu, ma la cosa non mi convince del tutto…Ecco, ho trovato: per esempio perché nei nostri confronti dovreste fare i buoni samaritani dello spazio? Avrete un vostro tornaconto, no?”

Al che il sorriso di quello sgorbio si fece ancora più enigmatico e mi disse, quasi sottovoce:

“Io vi ho paragonati al leone, tra i tanti animali che potevo scegliere per il paragone, non proprio per caso…diciamo, se non ti appaga l’idea che lo facciamo per carità nei vostri confronti, che noi alieni custodi preferiremmo evitare che combiniate i soliti casini…”

 

“Cosa intendi dire?”

 

“Intendo dire, - concluse con un sorriso ancora più ampio – che dopo essere diventati i dominatori di mezzo universo ed essere poi arrivati sull’orlo dell’estinzione ci chiedeste il favore di assicurarci che foste pronti, la “prossima volta”. E noi obbedimmo alle vostre richieste come se fossero un ordine, perché eoni ed eoni fa ci avete donato la vita, la favella, un cervello per capire e un cuore per sentire”.

“Ma, ma…voi chi diavolo siete?”

“Come hanno fatto i tuoi antenati...Chiamaci, se ti va, Elfi.”

  
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