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Autore: Rain_Flames    21/07/2014    3 recensioni
La vita di un ragazzo è influenzata da un'antica leggenda.
Come affronterà un'avventura inaspettata?
Questa storia partecipa al contest "Tutti i generi più uno" di Aturiel
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest "Tutti i generi più uno" di Aturiel


Shining star

 

Un giovane fanciulla di nome Amelia, chiese al suo amato, di portarle in dono la luce di una stella. Athos, si diresse verso la vetta più alta dei monti, per accontentare quel desiderio, ma quando fece ritorno, sembrava scomparsa. Amelia, pentita di quel capriccio, era andata a cercalo, perdendosi nei boschi. Il giovane allora, costruì una piccola barca di legno, e vi posò la stella al suo interno, lasciandola poi libera di navigare nel lago. Le correnti, e i venti, portarono la stella fino alla fanciulla, e grazie ad essa, Amelia, riuscì a ritrovare la strada di casa, potendo finalmente riabbracciare Athos.

Perché vi sto raccontando questa storia? Perché io sono... Lorenzo. Piacere.

Ho ventitré anni e lavoro nella bottega di Mastro Tullio, un artigiano che mi ha insegnato ad intagliare le lanterne, che il giorno di ferragosto, come vuole la tradizione, vengono lasciate libere per ricordare la leggenda dei due innamorati.

 

Quella mattina, mi ero svegliato dopo aver fatto l'ennesimo e terrificante incubo, quello in cui mi perdevo in un bosco e venivo attorniato da ombre minacciose. Urlavo. Urlavo come un dannato, ma nessuno poteva sentirmi.

Nonostante questo, mi preparai per andare al lavoro, facendo colazione con mia madre, come di consueto. Appena arrivato al negozio però, Mastro Tullio che consideravo quasi un padre, aveva comunicato a me ed Enrico, suo nipote, che ci era stato richiesto un importante ordine di lanterne, per festeggiare il centocinquantesimo anno del paese.

L'artigiano mi chiese di recarmi in cima alla montagna che stava a nord, per raccogliere il legname necessario alla creazione delle lanterne. Per farlo, avrei dovuto abbattere degli alberi di Cirmolo. Avremmo potuto usare quelli intorno al lago, ma i migliori, crescevano solo lassù.

Era una strada lunga e impervia, e di certo, Tullio con i suoi sessant'anni, avrebbe avuto qualche difficoltà a provvedere al materiale.

 

Io ed Enry, che oltre ad essere un collega, era anche un amico d'infanzia, girammo per tutto il paese, alla ricerca di quello che poteva essermi utile, per partire il giorno seguente.

Quando passammo davanti alla farmacia, il mio amico mi propose di prendere del siero antivipera, per precauzione.

Conoscemmo la nipote del farmacista, che da quanto ci aveva raccontato, era arrivata dalla città, per trascorre qui le sue vacanze estive.

Aveva circa la mia età, non era altissima, ed il suo corpo aveva delle forme morbide, i capelli castani, un po' scompigliati, occhi nocciola, e un sorriso, che la rendeva perfetta, a mio parere.

«Io sono Enrico, piacere. Lui invece è Lorenzo» - sentii dire dal mio compare.

«Rachele, piacere mio. Posso aiutarvi?» - rispose sorridendo.

Enry le spiegò cosa ci serviva, e la giovane dopo aver fatto il giro del bancone, era salita su una piccola scala per rovistare nei cassetti di un grande armadio.

Ci chiese se andavamo a caccia di serpenti ed Enrico le spiegò il perché della mia partenza il giorno seguente. Si meravigliò che fossimo noi a realizzare le lanterne, aggiungendo inoltre che le aveva sempre adorate.

«Eccolo qua!!! Ti serve altro?» - mi chiese.

Feci cenno di no con la testa.

«Non si può certo dire, che sei un chiacchierone» - esclamò guardandomi.

Sorrisi, piuttosto divertito, mentre vedevo Enrico trattenersi a stento, dallo scoppiare a ridere.

«Ho detto qualcosa di divertente?» - domandò.

«No, scusa. E' che lui non parla» - rispose il mio amico.

«Nel senso che sei molto timido?» - chiese direttamente a me.

Scrollai la testa, senza perdere il sorriso.

«E' muto» - disse Enrico per non creare altri fraintendimenti.

La vidi impallidire, sbilanciandosi dalla scala. Cadde, e la presi praticamente al volo, facendola avvampare.

«Accidenti a me, e alle mie solite figuracce!!! Scusa non volevo» - mormorò.

Le sorrisi, guardandola con tenerezza, era davvero costernata, e poi la posai con delicatezza, facendole toccare di nuovo terra con i piedi.

Enry si divertì a tradurre ciò che dissi in seguito, con il linguaggio dei segni, per rimediarmi un appuntamento. Lo rimproverai con una leggera botta sulla spalla, porgendo le mie scuse alla ragazza, scrivendo su un piccolo block-notes che avevo sempre con me. In risposta, mi lasciò il suo numero di telefono e mi chiese di realizzarle una lanterna speciale. Tutto questo, in cambio di una cena, mi sembrava proprio un'offerta interessante.

 

Il giorno seguente, partii tranquillo, avevo controllato tutto due volte, l'attrezzatura c'era, i viveri anche, ora bastava mettermi di buona lena, e sperare di non perdermi.

Lanciai un'ultima occhiata al paese e al lago, e poi mi addentrai lungo la strada di terra battuta e sassi.

Proseguii per qualche ora senza fermarmi. Lo zaino pesava parecchio, lo devo ammettere, il problema è che non ero abituato, e soprattutto, fuori allenamento.

Ma nonostante questo, non mi lamentavo. Non credo ci avrei impiegato molto, in tre, quattro giorni, sarei stato di ritorno a casa.

Mi sedetti su una roccia, appoggiando lo zaino e prendendo la borraccia, bevvi fino a dissetarmi. Per fortuna, lungo il cammino, avrei trovato parecchi torrenti in cui potermi rifornire.

Pensai a quali step, avrei dovuto affrontare. Come prima cosa, dovevo raggiungere la radura, dove avrei trovato i pini cimbri, allestire un campo per la notte e il giorno dopo, avrei dovuto abbattere due, forse tre alberi, per poi iniziare a ricavare le stecche.

Una volta ottenuto il legname, dovevo riportarlo in paese, e da li, lo avremmo raffinato con gli apparecchi che avevamo in bottega, rendendo il legno meno grezzo.

Decisi che era ora di rimettersi in cammino, e così caricai lo zaino in spalla, e ricominciai a seguire il sentiero. Non essendo molto, rumoroso, avevo anche avuto la fortuna di scorgere qualche capriolo lungo il mio percorso. Mi piacevano gli animali, e poterli ammirare così da vicino, era semplicemente stupendo.

 

Continuai a camminare, fino quasi l'imbrunire, scorsi il crepaccio, che mi avrebbe condotto alla radura, ma decisi di fermarmi prima. Non volevo precipitare su spuntoni aguzzi, solo perché non vedevo dove mettevo i piedi.

Vagai per un po' nella zona, fino a quando trovai una piccola grotta, in cui potermi sistemare per la notte. Posizionai delle pietre in cerchio, e provvidi ad accendere un piccolo falò. Avrei tenuto lontani gli animali, e mi sarei anche scaldato un pochino, perché sebbene fosse estate, a duemila metri, faceva freschetto.

Mangiai un panino imbottito, e mi sistemai nel sacco a pelo. Chissà che nottata avrei passato, speravo vivamente di non fare il solito incubo, perché risvegliarmi in un bosco, mi avrebbe decisamente mandato ancora di più nel panico.

Al mattino, arrotolai il sacco a pelo riponendolo nello zaino, e sbadigliando, mi avviai verso il crepaccio. L'aria era fresca e mi pungeva leggermente il viso. Sfregai le dita sulla barba, e osservai il sentiero che dovevo percorrere per arrivare dall'altra parte del burrone. Se fossi scivolato lungo le pareti rocciose, probabilmente non mi avrebbero più trovato.

Aggiustai lo zaino sulle spalle e mi diressi verso la radura, dove trovai finalmente gli agognati Cirmoli. Sistemai le attrezzature per terra, allestii il campo base, e mi rimboccai le maniche.

Dopo mezza giornata, avevo abbattuto i tre alberi necessari, e per non essere un boscaiolo, ero contento del mio lavoro. Le braccia mi dolevano un po', perciò decisi di fare un giretto, per rilassare i muscoli e cercare un po' d'acqua.

Arrivai ad un piccolo torrente, e mi sedetti al margine, riempendo la borraccia. Restai in silenzio, assorto nei miei pensieri, sbocconcellando il pranzo.

Sentii un rumore, così mi misi sull'attenti, per capire cose potesse essere stato. Altri suoni si susseguirono e dopo un po', capii che provenivano dagli alberi verso la parte bassa del torrente.

Mi alzai in piedi, e cercando di non fare passi avventati, mi diressi verso l'origine di quei lamenti. Tra il muschio del sottobosco, e alcuni licheni che crescevano sul tronco dei pini silvestri, spuntava un ciuffo di pelo bianco.

Cercai di avvicinarmi ancora un po', fino a quando, non la vidi. Era una volpe dal pelo bianco. Albina, forse.

 

Feci un altro passo, ma spezzai un rametto, con il tacco del piede, e subito l'animale si mise sull'attenti. Se ne stava li, immobile a guardarmi. Potevo vedere il terrore nei suoi occhi, ma non accennava a muoversi. Il respiro concitato, le orecchie completamente rizzate e una voglia folle di fuggire.

Avevo ancora in mano il panino, così provai a ad avvicinarmi, usandolo come esca.

Non volevo fargli male, solo, osservarla più da vicino.

Quando mossi la mano nella sua direzione, per lanciargli un pezzetto di pane e prosciutto, si ritrasse spaventata, ma dal mugolio che ne seguì, capii che probabilmente non riusciva a muoversi.

Nonostante questo, la vidi trangugiare famelica, il cibo che le avevo lanciato. Non lo aveva nemmeno annusato, l'aveva ingoiato immediatamente, e questo mi fece pensare che non mangiasse da tempo.

Sempre con molta cautela, cercai di aggirarla, lanciandogli di tanto in tanto, altri pezzetti di pane, per tenerla impegnata. Quando le fui di fronte, capii quale fosse il problema. Aveva la zampa posteriore incastrata tra le radici di un'albero. Vicino, un buco, nel quale probabilmente, aveva la sua tana. Il terreno deve aver ceduto, e la poveretta era rimasta li, incapace di muoversi.

Mi avvicinai ancora, mentre si faceva sempre più piccola, contro l'albero. Cercai di farle capire che non ero una minaccia. E mai, avevo rimpianto così tanto nella mia vita, di non avere la voce. Forse, parlandole con calma e gentilezza, sarei riuscito a tranquillizzarla almeno un po'.

Le porsi quello che restava del mio pranzo, era impaurita, ma la fame, stava vincendo la sua diffidenza. Avvicinai un bastone contro il suo muso, fino a farglielo mordere. Cercavo di darle qualcosa da azzannare, che fosse diverso dalle mie mani. Speravo di non farle troppo male, ma meglio questo, che morire di stenti.

Non mi perdeva d'occhio, e quando vide avvicinarmi con l'altra mano, ringhiò cercando di attaccarmi. Prevedibile. Non me l'ero presa, anzi, sapevo bene cosa potesse causare il terrore.

Mi sporsi e le sfiorai la zampa incastrata. Fu un attimo, dal suo sguardo, sembrava aver capito che cosa stessi cercando di fare.

Feci leva, tra le radici che l'avevano imprigionata, e dopo qualche minuto riuscii a liberarla. La volpe albina mi guardò, e poi si infilò nella sua tana, alla velocità della luce.

Crollai sul terreno, sedendomi con un tonfo. Ero davvero contento di essere riuscito a liberarla. Abbandonai appena fuori dalla tana l'ultimo pezzo di pane, e poco dopo, me ne tornai al torrente a recuperare le borracce, per tornare al mio lavoro.

Sorrisi per tutto il tragitto, questa piccola avventura si stava dimostrando, davvero piacevole.

 

Iniziai a tagliare i tronchi, a una distanza di circa quindici, venti centimetri. Dovevo selezionare ogni singolo pezzo, controllando che non ci fossero venature troppo evidenti, o nodi, che avrebbero reso le stecche inutilizzabili.

Da quei tre alberi, sarebbero uscite a malapena le stecche necessarie, ma speravo di non dover tagliarne un altro, altrimenti avrei dovuto protrarre la mia permanenza nel bosco.

Erano quasi le quattro del pomeriggio, e decisi di fare una pausa, per rifornirmi d'acqua e vedere, se la volpe aveva mangiato ciò che le avevo lasciato. Quando arrivai alla sua tana, sorrisi, il pane era sparito, così gliene lasciai un altro pezzo.

Tornai verso gli alberi e proseguii con il lavoro, fino a sera, prima finivo, prima potevo tornare in paese. Cenai, ascoltando i rumori che mi circondavano, e dopo una mezz'oretta, vidi spuntare due ciuffi di pelo bianco, da dietro un cespuglio.

Lanciai un pezzo di pane alla volpe, che con un po' di titubanza, si avvicinò. Non mi dispiaceva avere compagnia, ma era troppo spaventata per prendere cibo dalle mie mani, così glielo tirai per l'ennesima volta.

Mangiò famelica, e si sedette a guardarmi, come fosse in attesa. Condivisi altro cibo con lei, e con fare guardingo, si alzò, avvicinandosi con molta cautela. Tenni il palmo ben aperto, e lasciai che prendesse il cibo dalla mia mano. Trangugiò il tutto indietreggiando subito dopo, e corse verso il torrente. Quando fu dietro agli alberi, si fermò a guardarmi, e interpretai quello sguardo, come un tacito ringraziamento.

 

La scena si ripeté il giorno successivo, quando mi svegliai infatti, intravidi tra i cespugli il solito ciuffetto bianco. Ero contento, che non mi considerasse una minaccia.

Cercai di attirare l'attenzione dell'animale, con uno schiocco di lingua. Vidi le orecchie muoversi, e il musetto bianco, fare capolino dal cespuglio.

La volpe si avvicinò lentamente, e si sedette a qualche passo da me, che ero ancora sdraiato nel sacco a pelo.

Misi le mani nello zaino, cercando qualcosa di commestibile da darle. Non si mosse, mi scrutò per qualche secondo, poi si alzò avvicinandosi. Prese lo spuntino, ma non scappò come la sera precedente, si sedette, in attesa di un altro po' di cibo.

Tentai di allungare la mano, senza niente. Palmo aperto, e mi feci annusare piano piano.

La piccola volpe, vi strofinò il nasino umido, e guardandomi mi diede un piccolo colpetto.

Era come se mi incitasse ad accarezzarla, e sempre con molta calma, non me lo feci ripetere. Provai a strofinargli un po' la testa, e si appiattì contro il terreno, ma non scappò. Avevo una nuova amica.

Mi ritrovai a lavorare tutto il giorno, sotto il suo sguardo vigile e attento. All'inizio era spaventata dai colpi d'ascia, ma quando capì che non le avrei fatto niente, si era accoccolata accanto ai resti carbonizzati del falò, osservandomi da una certa distanza.

Passai la giornata alternando il lavoro, a brevi pause in cui cercavo di socializzare con Shiny. Sì... Ora la volpe aveva anche un nome.

 

La bestiola mi accompagnava fino al torrente, e poi tornava con me, senza mai lasciarmi. Sonnecchiava mentre lavoravo, e qualche volta, la vedevo lanciarmi un'occhiata di sfuggita, per poi sbadigliare e riprendere il suo pisolino.

Quando calò la sera, si avvicinò di più al mio sacco a pelo. Sporsi una mano, senza volerla forzare, ma ci si accoccolò contro, guardandomi, come a pretendere, che iniziassi ad accarezzarla un po', così mi addormentai, con una mano lungo la sua schiena.

Non so però cosa accadde quella notte, infatti, aprii gli occhi e mi ritrovai nella più totale oscurità, con una sensazione di angoscia nel petto. Della volpe non c'era traccia, e improvvisamente il fuoco del falò, si accese dal nulla, proiettando ombre raccapriccianti intorno a me. Non riuscivo a capire se fosse reale, o se fosse una variante del solito incubo. Iniziai ad agitarmi, e mi sarebbe preso un vero e proprio attacco di panico, se ad un tratto, non mi fossi svegliato, con Shiny che mi leccava il viso.

Restai per un attimo interdetto, ma poi la volpe si sdraiò accanto a me, infilando il muso sotto il mio braccio. Non riuscivo a capire se mi avesse svegliato volontariamente, o se fosse stato un puro caso... Ma in qualunque caso, le ero davvero grato.

 

Al mattino continuai il mio lavoro, finii di tagliare gli ultimi stecchi verso le nove, e così raccattando tutte le mie cose, iniziai ad avviarmi verso il crepaccio. Quello era di certo il pezzo più complicato. Dovevo infatti trasportare dall'altro lato, tutta la legna, e non era un'impresa facile.

Sniny mi aveva seguito, ma sapevo che avrei dovuto salutarla a breve...

Decisi di utilizzare lo zaino, come mezzo di trasporto più rapido, e una volta arrivato dall'altro lato, svuotai il suo contenuto, e tornai indietro, a prendere il prezioso materiale, per costruire le lanterne.

Feci parecchi viaggi, per trasportare tutto e quando riempii lo zaino con l'ultimo carico, decisi di salutare la volpe. Mentre la coccolavo, guardai i suoi occhi, e vedendo quel color nocciola acceso, pensai subito a Rachele. Era assurdo come, da quando avevo conosciuto quella ragazza, era costantemente nei miei pensieri.

Feci per avviarmi, ma Shiny, mi precedette, superando facilmente il burrone, e voltandosi come per assicurarsi, che la stessi seguendo. Arrivati dall'altro lato, sistemai tutto per avviarmi verso il paese. Presi i lembi della corda, che avevo assicurato ad una specie di slitta, che avevo costruito durante una pausa, e mi avviai lungo la discesa.

 

Quando arrivai alla fine del sentiero, era ormai sera, e vidi Shiny fermarsi.

Sorrisi, un po' amaramente, e le lascia un'ultima carezza tra le orecchie, poi proseguii verso due puntini in lontananza che, ci avrei scommesso, dovevano essere Enrico e Rachele.

Appena raggiunti, Enry mi abbracciò fraterno.

«Bentornato! Come stai?» esclamò contento.

Attraverso il linguaggio dei segni, risposi che stavo bene, e poi fu il turno della ragazza.

«Ciao» - pigolò stampandomi un leggero bacio sulla guancia.

La salutai ricambiando il gesto, e mi persi un attimo a guardarla. Era ancora più bella, di quanto mi ricordassi.

«Amica tua?» - mi domandò guardando oltre le mie spalle.

Mi girai sorpreso, e qualche passo dietro di me, Shiny, si era avvicinata un po' intimorita dalle due nuove presenze. L'accarezzai per rassicurala, e feci segno ad entrambi di accovacciarsi e lasciarsi annusare. Chissà come l'avrebbe accolta a casa mia madre.

 

 

La sera del festival di ferragosto, arrivò più velocemente di quanto potessi immaginare. Prima di uscire, salutai mia madre con il consueto bacio sulla guancia, e lasciai una carezza a Shiny, che dormiva beatamente sul divano.

Da quando ero tornato, con la scusa della cena, io e Rachele, avevamo iniziato a frequentarci. Andai a prenderla a casa, e come promesso, le avevo costruito una lanterna speciale, su cui avevo intagliato dei fiori, e il suo nome.

Ci sedemmo su un prato affianco al lago, come da tradizione, tutti accesero la propria lanterna, e adagiandole in acqua, le affidarono alla corrente del lago.

«Sai perché sono meravigliose?» - mi chiese Rachele, mentre io scrollavo la testa.

«Perché sono speciali. Avresti potuto utilizzare un pino qualunque per farle, e invece hai preferito lasciare casa, e affrontare paure e pericoli, per renderle uniche. Queste lanterne, sono fatte proprio come te... "Il legno buono non cresce negli agi: più il vento è forte, più l'albero è forte”. E tu, amore mio, sei l'uomo più forte che io conosca» - concluse posando teneramente, le sue labbra alle mie.
 


Grazie di cuore a Aturiel, che ha letto e revisionato la storia :)
 

  
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