Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    21/07/2014    6 recensioni
Difficile, a volte, stabilire chi sia la vittima e chi sia il colpevole.
Difficile, a volte, mantenere saldo un rapporto che fino a poco tempo prima sembrava indistruttibile.
Difficile, quasi sempre, fare delle scelte. Soprattutto se si sa che con la propria scelta si determina il destino di un'altra persona, una persona alla quale si tiene davvero.
Storia scritta un po' di tempo fa e mai pubblicata, non fa parte della mia serie "Dieci ritagli di Cobra 11", che è ancora in corso, e quindi non vedrà come protagonisti i personaggi da me inventati nell'ambito della stessa (Clara, Bronte, Max, Mirtillo, ecc.).
Buona lettura!
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ben Jager, Kim Kruger, Semir Gerkan, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Faceva un caldo terrificante.
Semir non ricordava un’estate così calda a Colonia da anni e anni addietro.
Eppure l’ispettore aveva smesso di far caso al clima e a tutto il resto che lo circondava ormai da giorni. Da quando era accaduto ciò che mai avrebbe immaginato sarebbe successo.
Indugiò ancora qualche minuto davanti al Penitenziario prima di entrare esibendo il proprio tesserino.
Si guardò intorno, si sentiva osservato e sapeva di esserlo effettivamente.
Con un sospiro chiese alla guardia di accompagnarlo dall’ispettore Ben Jager e lasciò che il ragazzo grande e grosso a cui aveva appena domandato gli facesse strada lungo gli intricati corridoi della struttura.
Raggiunse la sala dei colloqui e ringraziò il giovane, che si allontanò con un sorriso veloce.
Adesso doveva semplicemente aprire quella porta.
Tirare giù quella maniglia e parlare con lui.
Doveva riuscirci.

 

Ben si alzò di scatto quando la guardia lo venne a chiamare.
Questa aprì la porta della cella in cui il poliziotto era rinchiuso e lo spinse in malo modo fuori dalla piccola stanza.
«C’è una persona che ti vuole parlare.» borbottò, con voce sprezzante.
Ben annuì e lasciò che l’uomo lo spingesse violentemente lungo il corridoio per arrivare quindi all’aula del colloquio.
Era naturale che fosse trattato così, i poliziotti in carcere erano trattati peggio di qualsiasi altro tipo di detenuto, anche dalle stesse guardie.
Entrò nella stanza e un sorriso gli si dipinse sul volto vedendo chi lo aspettava dall’altra parte del vetro divisorio.
Ma il sorriso si spense presto, non appena al giovane ispettore tornarono in mente le immagini dei giorni passati, di quei terribili momenti, di quella situazione totalmente sbagliata.
Fu allora che si chiese cosa ci facesse lì il suo ex collega.
Era venuto ad accusarlo come aveva fatto l’ultima volta in tribunale?
Lo sguardo a terra, si diresse verso il vetro e si sedette di fronte ad esso, mentre un’altra guardia, diversa da quella che lo aveva portato fin lì, assisteva al colloquio alle sue spalle, a pochi metri di distanza.

 

A Semir si strinse il cuore vedendo l’amico ridotto in quello stato: aveva un occhio nero, era pallidissimo ed era dimagrito visibilmente.
All’improvviso si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire.
Perché voleva dirgli la verità ma non ne aveva il coraggio.
«Ehi.» esordì Ben dall’altra parte del vetro.
Semir si limitò a guardarlo, senza fiatare, mentre il senso di colpa lo rodeva dall’interno.
«Semir, pensi ancora che sia stato io?».
«Ben...».
«Dimmi solo perché. Perché? C’eri anche tu, hai visto cosa è successo.» replicò il più giovane con sguardo quasi supplichevole.
Semir sospirò. Aprì la bocca per parlare ma fu allora che vide. Vide la guardia alle spalle di Ben tirarsi di poco su la manica della camicia che indossava con un gesto impercettibile. Vide il tatuaggio, quel tatuaggio, che l’uomo gli indicò con un cenno del capo, per assicurarsi che lui lo notasse.
Lo controllavano anche lì, non poteva cedere, non ancora.
«Appunto Ben, ho visto cosa è successo, ti ho visto mentre sparavi.» disse quindi.
«Ma cosa stai dicendo?» domandò Ben sull’orlo delle lacrime. Si era riproposto di non piangere ma mantenere questa promessa fatta a se stesso risultava adesso particolarmente difficile.
«Ti ho visto. Hai premuto il grilletto Ben, l’hai ucciso. Io sono un poliziotto e ho detto quello che ho visto.» rispose Semir, atono.
«Ma non è vero! Non è vero, maledizione, non è vero!».
Il turco annuì.
«Sì che è vero Ben, l’ho visto, ti ho visto!».
Ben abbassò lo sguardo, gli occhi gli bruciavano terribilmente.
Perché il suo migliore amico si comportava così? Non riusciva a capire, non capiva! Arrivò persino a pensare di avere torto. Che lui, Ben Jager, avesse ucciso un uomo per poi dimenticarsene? Ma come sarebbe stato possibile?
Improvvisamente, senza nemmeno sapere come, provò una rabbia incontrollabile nei confronti del collega. Era troppo, aveva sopportato troppo.
«Se sei venuto qui sono per ribadirmi questo puoi anche andartene Semir, io non ho niente da dirti.».
Semir non replicò.
Si alzò senza più guardare l’amico negli occhi, e comunicò alla guardia che il colloquio era terminato.

 

È un bel po’ di tempo che ho scritto questa storia, ma non mi sono mai decisa a pubblicarla. Oggi l’ho notata per caso e ho pensato fosse giunto il momento.
Grazie a tutti coloro che hanno letto fin qua e un grazie particolare a chi vorrà lasciare una recensione, mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate, anche in negativo.
Che dire? Al prossimo capitolo, spero di non annoiarvi continuando a scrivere storie ma è più forte di me, non posso non scrivere su di loro!
Grazie ancora.
Sophie :D

 

PS: un ringraziamento a maty che mi ha fatto tornare l’ispirazione per i banner iniziali ;)

  
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