Prologo
Faceva
un caldo
terrificante.
Semir non ricordava un’estate così calda a Colonia
da anni e anni addietro.
Eppure l’ispettore aveva smesso di far caso al clima e a
tutto il resto che lo
circondava ormai da giorni. Da quando era accaduto ciò che
mai avrebbe
immaginato sarebbe successo.
Indugiò ancora qualche minuto davanti al Penitenziario prima
di entrare
esibendo il proprio tesserino.
Si guardò intorno, si sentiva osservato e sapeva di esserlo
effettivamente.
Con un sospiro chiese alla guardia di accompagnarlo
dall’ispettore Ben Jager e
lasciò che il ragazzo grande e grosso a cui aveva appena
domandato gli facesse
strada lungo gli intricati corridoi della struttura.
Raggiunse la sala dei colloqui e ringraziò il giovane, che
si allontanò con un
sorriso veloce.
Adesso doveva semplicemente aprire quella porta.
Tirare giù quella maniglia e parlare con lui.
Doveva riuscirci.
Ben
si alzò di scatto
quando la guardia lo venne a chiamare.
Questa aprì la porta della cella in cui il poliziotto era
rinchiuso e lo spinse
in malo modo fuori dalla piccola stanza.
«C’è una persona che ti vuole
parlare.» borbottò, con voce sprezzante.
Ben annuì e lasciò che l’uomo lo
spingesse violentemente lungo il corridoio per
arrivare quindi all’aula del colloquio.
Era naturale che fosse trattato così, i poliziotti in
carcere erano trattati
peggio di qualsiasi altro tipo di detenuto, anche dalle stesse guardie.
Entrò nella stanza e un sorriso gli si dipinse sul volto
vedendo chi lo
aspettava dall’altra parte del vetro divisorio.
Ma il sorriso si spense presto, non appena al giovane ispettore
tornarono in
mente le immagini dei giorni passati, di quei terribili momenti, di
quella
situazione totalmente sbagliata.
Fu allora che si chiese cosa ci facesse lì il suo ex collega.
Era venuto ad accusarlo come aveva fatto l’ultima volta in
tribunale?
Lo sguardo a terra, si diresse verso il vetro e si sedette di fronte ad
esso,
mentre un’altra guardia, diversa da quella che lo aveva
portato fin lì,
assisteva al colloquio alle sue spalle, a pochi metri di distanza.
A
Semir si strinse il
cuore vedendo l’amico ridotto in quello stato: aveva un
occhio nero, era
pallidissimo ed era dimagrito visibilmente.
All’improvviso si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire.
Perché voleva dirgli la verità ma non ne aveva il
coraggio.
«Ehi.» esordì Ben dall’altra
parte del vetro.
Semir si limitò a guardarlo, senza fiatare, mentre il senso
di colpa lo rodeva
dall’interno.
«Semir, pensi ancora che sia stato io?».
«Ben...».
«Dimmi solo perché. Perché?
C’eri anche tu, hai visto cosa è
successo.» replicò
il più giovane con sguardo quasi supplichevole.
Semir sospirò. Aprì la bocca per parlare ma fu
allora che vide. Vide la guardia
alle spalle di Ben tirarsi di poco su la manica della camicia che
indossava con
un gesto impercettibile. Vide il tatuaggio, quel
tatuaggio, che l’uomo gli indicò con un cenno del
capo, per assicurarsi che lui
lo notasse.
Lo controllavano anche lì, non poteva cedere, non ancora.
«Appunto Ben, ho visto cosa è successo, ti ho
visto mentre sparavi.» disse
quindi.
«Ma cosa stai dicendo?» domandò Ben
sull’orlo delle lacrime. Si era riproposto
di non piangere ma mantenere questa promessa fatta a se stesso
risultava adesso
particolarmente difficile.
«Ti ho visto. Hai premuto il grilletto Ben, l’hai
ucciso. Io sono un poliziotto
e ho detto quello che ho visto.» rispose Semir, atono.
«Ma non è vero! Non è vero,
maledizione, non è vero!».
Il turco annuì.
«Sì che è vero Ben, l’ho
visto, ti ho
visto!».
Ben abbassò lo sguardo, gli occhi gli bruciavano
terribilmente.
Perché il suo migliore amico si comportava così?
Non riusciva a capire, non
capiva! Arrivò persino a pensare di avere torto. Che lui,
Ben Jager, avesse
ucciso un uomo per poi dimenticarsene? Ma come sarebbe stato possibile?
Improvvisamente, senza nemmeno sapere come, provò una rabbia
incontrollabile
nei confronti del collega. Era troppo, aveva sopportato troppo.
«Se sei venuto qui sono per ribadirmi questo puoi anche
andartene Semir, io non
ho niente da dirti.».
Semir non replicò.
Si alzò senza più guardare l’amico
negli occhi, e comunicò alla guardia che il
colloquio era terminato.
È
un bel po’ di tempo
che ho scritto questa storia, ma non mi sono mai decisa a pubblicarla.
Oggi
l’ho notata per caso e ho pensato fosse giunto il momento.
Grazie a tutti coloro che hanno letto fin qua e un grazie particolare a
chi
vorrà lasciare una recensione, mi fa sempre piacere sapere
cosa ne pensate,
anche in negativo.
Che dire? Al prossimo capitolo, spero di non annoiarvi continuando a
scrivere
storie ma è più forte di me, non posso non
scrivere su di loro!
Grazie ancora.
Sophie :D
PS:
un ringraziamento a
maty che mi ha fatto tornare l’ispirazione per i banner
iniziali ;)