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Autore: Keiko    21/07/2014    2 recensioni
"Esistono periodi bui della storia dell’uomo. In un ciclo eterno, il Bene e il Male si scontrano per avere il dominio sul Mondo. Quando la Terra viene minacciata da forze malvagie, uomini dallo spirito puro combattono per la nostra difesa. Vengono chiamati Santi, e sacrificano la propria vita per noi uomini. Per assicurarci un futuro che loro, forse, non vedranno mai.”
“E tu come li hai conosciuti nonno?"
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Pegasus Seiya
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'La rabbia delle stelle'
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Mia non ha chiuso occhio nemmeno per le poche ore di sonno che le sono state concesse. Ha visto Aiolia solo di sfuggita, una figura che le dava le spalla e saliva verso la casa della Vergine. Non si sono più visti da quell'istante, né hanno avuto modo di parlare di quello che sta accadendo davvero al Tempio, e le sembra di portare al collo il cappio di una condanna a morte. Ha indossato il cloth in modo meccanico, stringendo le fibbie sino a sentire il fiato venirle meno. Nel cuore della notte il Santuario è un gigante addormentato sul promontorio, addossato su una città che investirà come una furia, una valanga inaspettata di fango che trascinerà via la vita di chi si troverà sul suo passaggio. Percepisce un movimento alla propria destra, lungo il corridoio che divide le camere private dall'ingresso principale della Casa del Leone. Si mette in guardia, poi all'improvviso il cosmo di Aiolia la investe con una forza che la costringe ad arretrare.
“Aiolia?”
“Dove stai andando?”
Mia deglutisce. Non gli ha parlato della missione né tanto meno di quello che hanno in mente lei e Marin, perché la verità è che nemmeno loro sanno esattamente prevedere quando sarà il momento perfetto per allontanarsi e fare ritorno ad Atene, dove davvero c’è bisogno di loro.
Di certo, non prima che Shura li abbia abbandonati.
Di certo, non prima di entrare nel Giardino delle Esperidi e capire cosa ci sia al suo interno.
E da lì, nessuno è mai uscito vivo tranne il Saint di Capricorn, a quanto pare.
“Ho una missione da svolgere con gli altri Silver Saint. Tu...”
Le parole le si inchiodano in gola quando lui avanza minaccioso nella sua direzione, senza risponderle. Il Saint di Aglaia retrocede, d'istinto, perché il cosmo irato, terribile, che non ha dinnanzi, è la forma distorta di quello del maestro che ha conosciuto. È un leone che procede pronto a gettarsi sulla preda, ad azzannare la carne e strapparla sino all'osso.
Mia ha paura e sa che quello che ha davanti non è il suo Aiolia: precettore, compagno, fratello.
“Cosa ti è successo?”gli domanda con quel poco di coraggio che le resta, perché quando combatti per un ideale puoi fare ogni cosa, ma quando si tratta di fare i conti con le persone che ti stanno a cuore e pagare lo scotto delle tue azioni, tutto cambia. L’ammissione di colpa ti inchioda al terreno e ti schiaccia come un macigno: hai sbagliato e meriti di essere punito.
“Non mi hai parlato della missione.”
“È stato un... non ne ho avuto il tempo. Ti ho parlato di Aiolos poi è arrivato Milo, tu sei scomparso e...”
Aiolia la raggiunge in un istante, afferrandola per il collo.
La solleva senza difficoltà, i piedi che non toccano più terra e vacillano nel vuoto. L'aria inizia a mancarle e con ogni forza tenta di liberarsi da quella morsa fatale mentre stringe le fauci con maggior violenza, il morso del leone sulla gazzella già inerme.
“Aiolia... mi...”
“Non osare parlare” le ringhia contro.
“Tu non...”
Stringe con più forza, e Mia è certa che le spezzerà il collo come fosse un gattino, scagliandola poi lontana da sé come uno straccio vecchio e vorrebbe solo piangere, perché non sa dove sia Aiolia. Quello vero, autentico, forte. Il cavaliere che ha imparato ad amare anche quando avrebbe dovuto odiarlo, con la sabbia a impastarle la bocca e i polmoni, i muscoli appesantiti e le dita fratturate.
Andiamo, Mia, muoviti.
Chiude gli occhi, stringe nelle mani il pugno di Aiolia che continua a premerle sul collo e tenta di liberarsi dalla sua presa.
Fingi che non sia lui.
Stringe le palpebre con più forza, per ricacciare indietro le lacrime, poi le riapre: Aiolia è ancora lì, due pozze nere a ottenebrare il suo sguardo sempre troppo limpido. Troppo puro e ingenuo, anche.
“Non sei tu. Non sei tu, dannazione!”
Il suo cosmo esplode e Aiolia allenta la presa, sorpreso.
“Mia?”
La lascia cadere a terra con un tonfo, sbattendo con violenza le ginocchia sul marmo. China a terra, il mantello che le avvolge le spalle, Mia fa lunghi respiri cercando di regolarizzare il battito cardiaco sfiorandosi la pelle rovente del collo, là dove Aiolia ha stretto sino a lasciarle violente striature rossastre.
“Vattene” le mormora allontanandosi da lei, “Vattene prima che ti faccia del male!”
Sferra un pugno contro la parete mandandola in frantumi e Mia si solleva in piedi, gli lancia un'ultima occhiata poi corre fuori dalla Quinta Casa, velocissima attraversa la scalinata e si tuffa nel piazzale antistante il Santuario, dove l'attendono i suoi compagni. Marin le lancia un'occhiata preoccupata, poi le si porta al fianco.
“Che hai fatto al collo?”
“Nulla, perché?”
Alza le spalle, ma le striature livide che le ha lasciato Aiolia sono ora segni difficili da nascondere, cicatrici che hanno infranto il voto di fiducia l'uno nell'altra.
Reciprocamente.
Shura cammina con passo marziale davanti a loro, schierati l'uno accanto all'altro come soldati. Zoppica in modo impercettibile, e solo un occhio attento potrebbe accorgersi di ciò che nasconde.
“Vi condurrò sino all'ingresso del Giardino delle Esperidi. Dista un paio di ore di cammino da qui, dopo di che sarà vostro compito portare a termine la missione che vi è stata affidata.”
“Tu non sarai con noi?” gli domanda in tono asciutto Marin. Lui le lancia un'occhiata attenta, poi scuote il capo.
“Il Santuario ha bisogno di me qui ad Atene. Al Giardino non incontrerete ostacoli: Ladone è già stato sconfitto.”

 

La marcia dei Silver Saint pare un corteo funebre. Shaina abbozza un sorriso a quel pensiero, mentre dietro a Misty della Lucertola apre la schiera dei suoi compagni. Si guarda alle spalle, e Argor e Moses camminano guardando dritti avanti a sé, quasi Shura di Capricorn fosse l’obiettivo da raggiungere, il rango a cui elevarsi. L’Ofiuco scuote il capo, il cappuccio viola del mantello a coprirle il volto e proteggerla dalla bruma del mattino che ti entra nelle ossa e ti si conficca al loro interno, mille aghi di gelo che rallentano i movimenti. Sa che l’essere Gold Saint è un fardello più massiccio, una montagna impossibile da scalare per essere liberi davvero. Ha rinunciato all’utopia della scelta, del libero arbitrio, molti anni prima, quando Death Mask le ha incrostato il viso di sangue prima di rivolgerle quel suo sorriso sghembo e gridarle in faccia “Sei pronta per il tempio di Grecia”.
Alla Casa delle Vergini nessuno le ha mai fatto sputare tutto quel sangue eppure ha capito che la vita è fatta di scelte ambigue, sempre veicolate. Puoi scegliere da che parte stare ma mai tirarti fuori dai giochi. Nemmeno una volta.
A chiudere la fila, nelle retrovie, ci sono Marin e Mia.
Camminano l’una accanto all’altra, mantelli candidi a ostentare la purezza di uno spirito che, con ogni probabilità, è già stato macchiato dalla merda della vita.
Shura solleva il braccio destro a mezz’aria e la processione dei Silver Saint si arresta. Shaina allunga il collo sollevandosi quasi in punta di piedi per cercare di vedere qualcosa oltre le spalle di Misty e Shura. Là, davanti a loro, intravede una siepe sconfinata, che si perde alla vista nella lunghezza, rovi e mangrovie a delimitarne il confine.
“Eccolo” si limita a dire loro il Saint di Capricorn mentre con un gesto studiato si volta per guardarli in viso, uno a uno.
Pensa che abbiamo paura.
Shaina detesta essere ritenuta inferiore agli altri santi solo perché è una donna e il suo fisico più debole di quello di un uomo. Il suo spirito è forte, molto più di quello di quell’idiota di Seiya, per esempio, o del suo caro Cassios, anche se questo le spiace ammetterlo.
“Oltre questa barriera si trova il Giardino delle Esperidi” prosegue il Saint, mormorando a mezza voce per non essere udito da estranei.
Per non svegliare ciò che dorme da tempo immemore.
“Buona fortuna, Silver Saint.”
“Se non dovessimo trovare il Pomo d’oro?” domanda Marin all’improvviso, spezzando il silenzio di un nugolo di mummie pronte a farsi deridere dai Gold Saint se dovessero fallire ma loro, Misty per primo, sono certi di farcela.
Ed è questo il loro limite: la certezza di essere infallibili, i santi perfetti.
“Perché non dovreste farlo, Saint di Eagle?”
La paura rende l’uomo coraggioso; non la consapevolezza della propria forza ma dei propri limiti.
“Tu l’hai visto?” domanda Marin avanzando di un passo e muovendosi verso l’inizio della fila, avvicinandosi a lui.
“Ho combattuto per ottenerlo” risponde Shura asciutto, senza particolari inflessioni nella voce sempre troppo pacata, mai specchio dei sentimenti che lo muovono.
“A volte occorre morire per ottenere ciò che si desidera, Saint di Capricorn.”
“Non era ciò che desiderava il Tempio.”

 

Il Giardino delle Esperidi è un luogo di pace, immerso nel silenzio. Al centro di un prato curato si stagliano tre file di alberi carichi di frutti d’oro. Il sole, a est, sta sorgendo e ne illumina i profili, rendendo il luogo immerso in una luce unica e spettacolare. Mia trattiene il fiato, estasiata. L’intero gruppo dei Silver Saint si guarda attorno e osserva il giardino senza confini, fatta eccezione per la fitta rete di mangrovie che hanno varcato. Le leggende raccontano che quel luogo si trovi ai confini del mondo, invece è vicinissimo al Tempio di Atene, una strada battuta che si inerpica sulla scogliera lasciandosi alle spalle il mare Egeo, portandosi verso nord. Si sono addentrati in una grotta aperta alla base di una scogliera che appare come una spaccatura della roccia, una fessura che non lascia possibilità di passaggio. Nessuno lo immaginerebbe, almeno, e la strada per arrivarvi è talmente ripida che nessuno si avventurerebbe lì senza uno scopo ben preciso. Mia non saprebbe dire quanto hanno camminato nel buio umido della terra prima di rivedere la luce e trovarsi dinnanzi all’ingresso, e ha la certezza quello sia un passaggio conosciuto da pochi eletti, che scavalca le leggende e porti al Giardino delle Esperidi direttamente dalla Grecia, senza passare dal mare.
“Coraggio, recuperiamo il Pomo e andiamocene” comanda Misty avanzando di un paio di passi illuminato dalla luce di un’alba d’oro dalle tinte sanguigne. Marin si guarda attorno e la strattona per un braccio, riportandola alla realtà. L’Aquila è vigile e Mia sa che stanno aspettando il momento adatto per andarsene da lì e ritornare al Tempio. La scelta è tra lasciare a morire i Silver Saint o i Bronze Saint, e tra il proteggere Athena e servire il Sommo Sacerdote è scontata la scelta da fare.
Una luce abbagliante, alla loro destra, le costringe ad arretrare di alcuni passi e mettersi sulla difensiva. Shaina è la prima a gridare qualcosa di incomprensibile a causa del sibilo che sovrasta ogni altro suono, mentre Moses viene sbalzato lontano dal gruppo, schiantandosi al suolo dopo un volo di diversi metri.
“Che diavolo…”
Nella luce d’oro di un nuovo giorno avanzano verso di loro tre figure indistinte, difficili da riconoscere da quella distanza. Si tratta di Saint, questo è certo, perché il colpo assestato a Moses ha lasciato ben pochi dubbi a riguardo. Il problema, ora, è capire di chi si tratta.
“Chi siete?” domanda loro Misty, ponendosi ancora una volta a capo del gruppo.
Non riceve nessuna risposta, ma le tre figure continuano ad avanzare inesorabili. Sarebbe il momento di andarsene, quello, ma il corpo di Mia è paralizzato, ogni muscolo pronto alla guerra. Li hanno addestrati al combattimento e ogni segnale del corpo ora la invita a una danza di morte e guerra.
“Mia… Mia!”
La voce di Marin le giunge lontana, troppo. La sua attenzione è catalizzata dal loro nemico che si muove con grazia su uno sfondo irreale, sino a quando non si arresta a pochi passi da Misty. Sono tre, ma si muovono come fossero un corpo solo, un unico essere.
“Dateci uno dei vostri frutti e non vi faremo del male.”
“Avete ucciso nostro fratello.”
Ora che sono vicine appare chiaro che i tre Saint siano donne. Indossano cloth d’ambra e quella che ha parlato ha il volto dipinto di nero. Le altre hanno solo pitture di guerra del medesimo colore.
“Non so di cosa stai parlando.”
“Quello che vi ha condotti qui ha ucciso Ladone” conferma la seconda senza dare tempo a Misty di replicare, perché ponendo la mano con il palmo aperto dinnanzi a sé, lo scaraventa lontano da loro, così come deve aver fatto con Moses poco prima. Le tre donne li guardano, occhi color del cielo all’imbrunire, i capelli rosso fuoco lasciati liberi sulle spalle.
“Chi osa infrangere le leggi delle Esperidi?” domanda ancora quella con il volto nero come pece, con tono duro. È abituata a comandare, e si vede. Sono in numero inferiore eppure non hanno paura e si rivolgono a loro come se sapessero di poterli annientare, con una sicurezza che loro non possiedono.
I Silver Saint non parlano, restano muti dinnanzi alla potenza di un nemico che riesce ad  attaccarli mantenendoli a debita distanza, rendendoli di fatto impotenti. Mia lancia un’occhiata a Marin, immobile al suo fianco.
“Cosa facciamo?” le sussurra sperando di non essere udita dagli altri. Ora che Misty è fuori combattimento resta a loro il compito di contrastare il nemico. E non possono tirarsi indietro.
“Sandā kurou!”
Dalle loro spalle Shaina si fa avanti e si scaglia contro le tre donne. Mia vede l’Ofiuco combattere, sganciare colpi a velocità rapidissima, scintille che si trasformano in lampi sprigionati dai suoi pugni quando riesce a colpire l’avversario. È una frazione di secondo, ma i tre Saint si uniscono e la bloccano all’interno di un cerchio neutralizzandone i colpi.
L’Ofiuco è in gabbia e non si arrende mai, si scaglia contro la teca con il volto intriso di sangue e continua e continua, sino a quando non sfonda la barriera che lo tiene prigioniero, in bella mostra per turisti con uno strano gusto del macabro. I tre saint uniscono le proprie mani, palmo contro palmo, da cui si sprigionano globi di luce che restano sospesi a mezz’aria prima di schiantarsi contro Shaina, che cade a terra sotto quel nugolo di colpi improvvisi. Mia non riesce a prevederli ma si avventa contro di loro ugualmente. Sono una squadra e non le importa null’altro ora.
Non sacrificherà la vita di Shaina.
Qualsiasi cosa accada, lei verrà con noi.
“Metsu Raitoningu!”(*)
Marin non riesce a fermarla: era l’occasione per andarsene e se la sono giocata. Mia sta già colpendo uno degli avversari di Shaina rendendolo il proprio. L’Aquila corre in avanti, lanciandosi in aria e scendendo in picchiata verso l’ultimo dei Saint ancora liberi, impegnato a colpire l’Ofiuco nel tentativo di neutralizzarlo.
Kuken!”
È tempo di combattere, e prima finirà, prima potranno rientrare ad Atene.

 

*

 

Atene è un dedalo di vicoli dagli odori intensi e forti. I ragazzi le camminano accanto cercando di proteggerla su ogni lato. Davanti a lei c'è Seiya, a ergersi come un fedele cavalier servente. Le sembrano passati anni da quando hanno fatto ritorno a Tokyo, da quando non l'hanno accettata né compresa per poi seguirla sino all'altro capo del mondo. Gli abiti le si incollano alla pelle, l'afa e l'umidità sono ancora opprimenti nonostante l'autunno inoltrato. Oppure, e questa è la soluzione più probabile, ha così paura di ciò che l'attende che il suo corpo sta reagendo a modo proprio, schizzando lontano rispetto a traiettorie conosciute.
“Milady, vi sentite bene?”
Saori ha un sussulto quando Jabu la strappa ai propri pensieri. Annuisce con il capo e gli sorride, incoraggiante, ma il suo cuore trema.
Non dovrei essere qui, dovrei essere a Tokyo, a sperare che tutto questo non sia mai iniziato.
Se riflette sull'ignoto a cui sta andando incontro, Saori sente il cuore schizzarle in gola. Alla sua età dovrebbe sentire solo farfalle nello stomaco, non il terrore cieco di chi è a un passo dalla morte.
Anche per voi è così?
Di sottecchi, passa in rassegna i suoi Santi, uno a uno.
Non ha la più pallida idea di come andrà a finire, o di cosa possa attenderli. Di certo non si aspetta abbracci di benvenuto o un tappeto rosso. Rose rosse e applausi. Si aspetta una battaglia, questo si, ma non sa esattamente di che portata. Mia l'ha messa in guardia, e se davvero tutto il Tempio di Atene è pronto per annientarli, possono solo sperare che qualcuno sia dalla loro parte. Magari Mia, o il suo maestro.
Chiunque, le basterebbero persino i guerrieri di più basso rango.
Ha paura Saori, e Athena pare addormentata, stretta nelle spire di un serpente oscuro, fatto di fallimenti e aspettative tradite.
La piazza che si staglia al di sotto del Tempio si apre come una bocca spalancata davanti a loro. Tutto è imponente e forte, ma lei non ricorda nulla di ciò che ha vissuto tra quelle mura prima di quel momento. La grandezza del suo ritorno in Grecia le toglie la parola: tutto tace ora che riesce a riflettere con lucidità. Nemmeno un alito di vento o un gabbiano attirano l'attenzione, avvolgendoli in un silenzio sinistro e opprimente.
“C'è qualcosa che non mi convince” mugugna Seiya dandole le spalle.
“Non è una buona idea restare qui, scoperti e in bella vista” prosegue Hyōga guardandosi attorno.
Saori attende.
Saori spera che qualcuno prenda le redini della situazione e la porti al sicuro.
Non resterà nulla di noi.
La catena di Andromeda si muove all'improvviso, e con un sibilo le sfreccia accanto, a pochi centimetri dal  viso.
Alle loro spalle ode passi in rincorsa, qualcuno che grida concitatamente di prestare attenzione, mentre Shun non riesce a trattenere le catene che lo spingono verso un'altura poco distante. Saori alza lo sguardo in quella direzione, tutti le sono accanto, pronti a farle da scudo con il proprio corpo se necessario.
È questione di una manciata di istanti, e mentre le catene colpiscono qualcosa, una nube di frecce si abbatte su di loro. I ragazzi gridano, le si stringono intorno, ma lei non capisce il perché di quel dolore al petto.
Quando riapre gli occhi non sa se siano passate ore da quando li ha chiusi, eppure i suoi santi sono attorno a lei, i volti tirati, mentre ogni movimento le costa un'immensa fatica.

 

Un colpo deciso e dalla perizia chirurgica, che mira dritto al cuore. Tramy scocca la freccia maledetta dal proprio arco con l'ardore di un cacciatore, la sente sibilare nell'aria e penetrare nella carne tenera del petto di Saori Kido. È un filo invisibile quello che li lega, dettato dalla spietata precisione della freccia che Death Mask gli ha chiesto di utilizzare.
È una freccia speciale” e non ha aggiunto altro, solo l’ordine di utilizzarla per colpire Saori Kido. Sente l'adrenalina fluire nel sangue, un'eccitazione crescente come quella di chi combatte sempre in prima linea e non si limita a un'azione di copertura a protezione dei compagni, per la prima volta protagonista assoluto. Chi l'ha detto che quella ragazzina viziata è Athena? Il Sommo Sacerdote parla in sua vece, e quelle che lascia scivolare fuori sono parole di guerra e odio contro il manipolo di Bronze Saint che sono giunti sino al Santuario cercando guerra.
Chi siete, mocciosi? Voi, che avete saccheggiato il tempio strappando il cloth di Sagitter dalla sua sacra dimora?
Il Silver Saint storna lo sguardo sulla statua d'Athena, sulla meridiana della Torre che lentamente scivola oltre lo zero, illuminata da dodici fuochi fatui che si spegneranno portando con sé la vita di Saori Kido.
Il grido del Saint di Pegasus è il latrato di un cucciolo sciocco e inesperto, lacera il silenzio che si inerpica tra le Dodici Case e si schianta contro un cielo noncurante, di un azzurro vivo e accogliente così come lo è in Grecia nel fiore dell'estate. Tramy della Freccia è nato e cresciuto tra le montagne del Peloponneso e conosce il significato di ogni sfumatura d'azzurro. Non piangerà il cielo, quest'oggi, perché non sarà un dio a morire ma un'umana qualsiasi. I gabbiani si ergono in volo come avvoltoi, pronti a planare sulla preda. Conosce gli animali lui, allevato dai pastori, e sa che un gabbiano è una cornacchia travestita. Non ha un volo elegante, il gabbiano, solo è un predatore silenzioso. Rivolge lo sguardo dabbasso, il guerriero, nel piazzale antistante la Prima Casa. Vede i Brozne Saint girare attorno al corpo della ragazza come se avessero abbattuto il loro capo branco e ora, privati della propria guida, restino – confusi – a  ballare una stupida danza funebre attorno a lei.
Con un balzo scende dallo sperone di roccia da cui dominava la scena. La sua è la risata di un vincente, un sorriso obliquo che taglia il suo volto come una cicatrice portata con orgoglio.
“Avete dodici ore per arrivare alle stanze del Sommo Sacerdote e salvare la vostra bella. Con lo scorrere del tempo, anche la freccia scenderà in profondità, sino a perforarle il cuore, da parte a parte.”
Quanti sono sessanta minuti?
Un battito di ciglia, migliaia di secondi tutti legati dall'appartenere al medesimo numero sul quadrante. Sessanta minuti, per salvare una vita, sono troppo pochi, e questo Tramy lo sa bene.
Per strapparla, invece, bastano solo pochi istanti.

 

“Erano illusioni... avremmo dovuto capirlo subito, maledizione!”
Seiya ringhia, lo sguardo rivolto verso il Tempio.
Li aspettano le Dodici Case prima, e il tempo, sull'orologio della torre ha già preso a scorrere inesorabile.
Dodici ore per sconfiggere i Gold Saint, raggiungere le stanze del Sacerdote e salvarla.
Guarda il volto sofferente di Saori e si chiede se saprà sopportarlo.
“Fate attenzione” mormora, e la sua voce è così flebile che gli pare di averla sognata. Di Mia non vi è traccia, e Seiya stringe i pugni con rabbia, provando per la prima volta qualcosa di molto simile all’odio, più che all’amore.
Allora è davvero tornata a servire il Tempio nonostante tutto?
Hanno bisogno di chiunque ora, di qualcuno che resti al capezzale di Saori e la sostenga durante la sua battaglia.
“Non possiamo restare qui in eterno, dobbiamo sbrigarci Seiya.”
Shun lo riporta alla realtà, senza dargli tempo per rimuginare.
“Coraggio, dobbiamo andare” conferma Hyōga.
Seiya lancia un'ultima occhiata a Saori, adagiata sul selciato attorniata dai propri Saint. Si inginocchia al suo cospetto in attesa di un ordine che non giunge.
“Faremo in fretta, milady.”
“Lo so.”
Cerca di sorridergli, ma le labbra si contraggono in una smorfia di dolore.
Quanto sei forte, mia signora?
Perché ora lo sa, di essere inginocchiato al cospetto di Athena.

 

*

I colpi si susseguono da entrambe le parti.
Gli scontri sembrano equivalersi sia in velocità che in potenza, ma nessuno riesce ad avere la meglio sull’altro. Le tre sacerdotesse di Athena combattono subendo e sferrando colpi senza sosta. Shaina non cede il passo nonostante sia stata la prima a entrare in combattimento. Marin ha la meglio sulla sua avversaria perché l’esperienza la sta portando a confrontarsi alla pari con un Saint che non segue le regole di Athena, tenendogli comunque testa. Dalla parte di Mia, invece, a fare la differenza è la velocità. Il suo avversario para ogni suo colpo, replicandolo e rispedendolo al mittente. Il Saint di Aglaia non sa cosa fare per creare una breccia nel muro che ha creato contro di lei e strapparle la vittoria.
Shaina grida, poco distante da lei, e con la coda dell'occhio la vede schiacciare al suolo il Saint d’Ambra, le unghie a serrarle la gola graffiando con rabbia.
“Chi diavolo siete?”
“Le padrone di casa” bisbiglia l'altra in un sussurro, prima di attendere la propria fine.
È sbagliato, si dice Mia, perché dovevano ottenere solo il pomo d'oro non uccidere. La guerra è fatta proprio di questo: di sangue che scorre a fiumi, eppure, mentre vede quella donna che muore, prova un dolore strano al petto, simile alla pietà o alla compassione. Shaina non ha paura di uccidere, ma il grido di quel cosmo le lacera i timpani, straziante e disperato. Triste, intriso di lacrime e disperazione. L'Ofiuco si allontana dal corpo che giace sotto di lei mentre questo inizia a solidificarsi e trasformarsi. Mia trattiene il fiato, la sua avversaria che ora grida e piange di dolore. Sarebbe il momento di colpirla, farla finita e andarsene prima che sia troppo tardi ma non riesce a muovere un muscolo.
Le hanno insegnato che le lacrime di dolore vanno rispettate.
Lei, in ogni caso, vorrebbe avere il tempo di piangere i propri compagni caduti.
“Che diavolo fai? Finiscila!” le grida Shaina, mentre sotto i loro occhi si compie la metamorfosi del Saint d’Ambra. L’Ofiuco si fa avanti e la spinge da parte invitandola a farle posto. Il nemico, però, si scaglia contro di loro con tutta la forza che ha in corpo, schiacciando Shaina sotto il peso dei colpi di Mia, che replica alla perfezione.
“Cosa... diavolo...”
Sono i miei colpi?
Mia si rende conto di essersi illusa fosse solo una tattica difensiva, invece quella del Saint contro cui combatte è qualcosa di ben peggiore: assorbisce i suoi colpi o, peggio, li ha imparati e ora riesce persino a replicarli. Shaina giace poco distante, dopo aver sbattuto contro il pioppo nato dal corpo senza vita del suo nemico, il cloth appoggiato a terra, ricomposto. Pronta per essere vestito da qualcun altro.
“Ora basta. Lasciaci andare con il pomo o...”
“Posso continuare all'infinito” le grida il Saint con rabbia, striature nere che ora le coprono il viso, là dove le lacrime hanno lavato via il trucco.
“Perché sono così importanti?” le chiede Mia, e l'altra sembra sorpresa dalla sua domanda.
“Davvero non lo sai?” poi si ravvede e la squadra con attenzione, avvicinandosi ulteriormente. “Tu non lo sai realmente.”
“Ammazzala e andiamocene!”grida Shaina alle sue spalle, ma la ignora, continuando a restare concentrata sul suo avversario. Se dovesse attaccarla, questa volta non la risparmierà ma deve sapere la verità.
“Chi ne assapora il gusto diventa immortale. È un dono raro, che solo gli déi concedono. Se porterete fuori dal Giardino anche uno solo dei nostri frutti scatenerete altre guerre. Volete davvero correre questo rischio?”
“Non è vero” mormora, ma non ci crede nemmeno lei. Chiunque conosce la forza di quei frutti, e una volta annientati i suoi custodi sarà facile per chiunque servirsi del giardino per i propri scopi.
Qual è il vero scopo del Sommo Sacerdote?
“Andiamocene.”
Si volta verso Shaina cercando di aiutarla, ma lei si tira indietro, disgustata.
“Ti ha dato di volta il cervello?”
“Ha ragione lei. Portare fuori di qui il pomo è una follia.”
“È la nostra missione, maledetta codarda!”
Con le sue ultime energie l'allontana da sé e si avventa sul Saint d'Ambra. Mia, questa volta, riesce a vedere la forza e la velocità dei propri colpi ora che ha scoperto la tecnica del suo avversario. Si getta contro Shaina spingendola via, accusando i propri colpi sotto cui viene sbalzata lontana dalle compagne.
“Maledetta stupida!” sente gridare all’Ofiuco, ma la sua voce è così lontana che le sembra di essersela immaginata.

 

Marin non ha fatto in tempo a fermarle. Mia è stata scaraventata ad alcuni metri di distanza, oltre il pioppo. L’Aquila continua a guardare il Saint che le sta dinnanzi, il viso completamente dipinto di nero.
“Sarà questo il giorno in cui io le e mie sorelle moriremo. Ma porteremo nell'Ade tutti voi.”
La sua voce è un sussurro melodioso, ipnotico. Marin, per alcuni istanti, ne resta affascinata, priva di difese e la donna tenta di colpirla. Riesce a parare il colpo, contraccambiando con un crescendo di pugni in velocità.
“Voi siete diverse, avete il cuore puro. Un cuore che non ha paura, che non teme nulla.”
L'Aquila sgrana gli occhi, ma è tardi ormai per fermare il proprio colpo più temibile. Sotto la furia dell’Eagle Tow Flash il Saint crolla a terra, un rivolo di sangue che le cola dalle labbra mentre si accascia inerme. Non riesce a trattenere lo stupore – e le lacrime – quando vede i suoi piedi diventare legno, e le sue membra allungarsi in rami ricurvi, un ombrello di foglie che ricadono piangenti sino a sfiorare il terreno.
Marin corre appresso a Mia, cercando di rialzarla e trascinarla via dal Giardino, farle riprendere quel poco di forze che le servono per combattere l’altra guerra, quella vera.
“Dobbiamo sbrigarci” le sussurra, e il Saint di Aglaia si solleva sulle ginocchia, barcollando.
“Posso farcela.”
“Non puoi combattere in queste condizioni.”
“Vogliono morire, Marin. Finché non le uccideremo non ci lasceranno andare.”
“Non puoi farcela.”
“Si invece.”
Marin l'aiuta a camminare, poi la lascia andare. Nella figura di quella schiena curva, che cerca di rialzarsi con fierezza, vede la tenacia del leone.
È la tua degna allieva, Aiolia.
E prega, Marin, perché possa riportagliela indietro. Un po' ammaccata, certo, ma viva.
Si porta al fianco di Shaina, la cui ferita al braccio continua a sanguinare, mentre Mia colpisce di nuovo il suo avversario con il medesimo colpo di prima, una pioggia di pugni e fasci di luce a inondare il cielo.
“Non ce la farà mai” sbotta l'Ofiuco, e Marin non capisce se nella sua voce ci sia una nota di delusione o disappunto.
Sente Mia gridare, poi la vede parare tutti i propri colpi e muoversi velocemente, troppo, rispetto a quello a cui è abituata.
Cosa diavolo...?
“Reiken Raitoningu!” la sente gridare, prima che un fascio di luce investa il Saint d'Ambra, trafiggendolo.
“Non è possibile...”
“L'hai visto?”
Non l'ho visto... l'ha colpito alla velocità della luce.”
Mia, inginocchiata a terra, osserva in lontananza il Saint trasformarsi nella sua forma lignea, prima di crollare a terra priva di sensi.

 

Argor non è riuscito ad avvertire le ragazze in tempo. Mia, stesa a terra, sembra stia dormendo, e si appella a un dio che ha smesso di pregare da troppo tempo per supplicarlo di riportarli tutti a casa. Ha un modo particolare di riconoscere la forza di un Saint, quella sottile ironia che lo porta a ridicolizzare ciò che invece vorrebbe valorizzare. Sono donne, ma la verità è che combattono come uomini. Tutte e tre. Mentre Marin in piedi accanto a Shaina, nel tentativo di recuperare anche l’altra sacerdotessa, Argor si è avvicinato agli alberi per ottenere il Pomo d’oro. Ce ne sono così tanti che uno, da portare via, sembra cosa di poco conto. Invece ha un valore inestimabile se i Saint d’Ambra hanno cercato di ucciderli con tutti sé stessi. Lancia un’occhiata alle proprie spalle, i suoi compagni stesi a terra, eliminati uno a uno. Per un istante pensa che se fosse l’unico a fare ritorno al Tempio la gloria sarebbe sua soltanto. L’investitura con onorificenze e la massima gratitudine del Sommo Sacerdote adagiate ai propri piedi. Chissà, forse potrebbe ottenere per sé il Gold Cloth di Sagitter, a quel punto.
Afferra il frutto grasso che ha a pochi centimetri dal naso, lo stringe tra le mani e chiude gli occhi, quasi ne stesse gustando il sapore in bocca.
“Argor, no!”
La voce di Marin lo distoglie dai propri pensieri e d’istinto si volta nella sua direzione, in tempo per vedere un fascio  di luce dirigersi verso di lui e investirlo in pieno.
La terra trema, viene scossa dalle radici sino al cielo da una rabbia cieca.
Tutto vacilla, al Giardino delle Esperidi, mentre dei Silver Saint nessuno è rimasto in piedi.

 

*

 

La Prima Casa è circondata da un ampio piazzale, più interno rispetto a quello principale del tempio. Si inerpica già sul promontorio, prima tappa di una scalinata maledetta. All'esterno, dinnanzi al portone spalancato, Mu  di Aries li attende, le braccia conserte al petto. Li scruta uno a uno, legge sui loro cuori la forza e la paura, poi cede e scende nel dettaglio di un'analisi rapida dei loro Cloth. Gli basta un'occhiata per capire che così non reggeranno nemmeno il primo scontro. Mu è un saggio. Della guerra indetta dal Grande Sacerdote conosce troppe cose, e il suo istinto di guerriero l'ha condotto a una verità che – qualora avesse fondamento – scuoterebbe sino al suo nocciolo più duro l'intero Tempio di Grecia. Aiolia sembra turbato, inquieto, e da un paio di giorni non si mostra lungo le scalinate che separano le case le une dalle altre. Marin l'ha cercato, ma nemmeno lei ha ricevuto sue notizie. Al capezzale di Saori Kido, i Bronze Saint hanno lo sguardo vacuo, perduto dietro una sconfitta preannunciata. I Cloth grondano sangue dinnanzi alle porte della Prima Casa, e non è quello dei loro proprietari, questa volta. Kiki li osserva e ne fa da custode, accucciato come un cucciolo di guardia alla propria cuccia.
“Ehi fratellone, pensi ce la faranno?”
“Sono Saint di Athena, perché non dovrebbero?”
“Fiuto la loro paura da qui.”
Scompare dal fianco del fratello maggiore per ricomparire un istante più tardi accanto a Seiya, inginocchiato al capezzale della sua dea. C'è un qualcosa di sacro, in quel dialogo muto fatto di sguardi. In quella devozione c'è il frammento di un amore, di un legame che scava nei secoli sino alla nascita dei primi Cloth. Forgiati dalle stelle, così come il cosmo da cui traggono forza, anche i loro possessori sono le reincarnazioni di chi – prima di loro – ha consacrato la propria vita ad Athena. Un Destino già scritto può essere cancellato per fare spazio a una pagina bianca, oltre la parola “fine”?
Fissa il sangue brillare sui Cloth dei Bronze Saint come fossero striature di sole, lembi di nubi avvolti attorno a stelle spezzate, Mu storna poi lo sguardo verso la casa di Taurus. Quel bestione non cederà il passo, testardo com'è, e mentre è costretto a ritrattare, osservando i giovani Saint al fianco di Athena incapaci di starsene fermi con le mani in mano mentre lei, lentamente, muore.
Cambierai idea anche tu, mio buon amico.

 

Se esiste un dio, oltre gli déi, Jabu di Unicorn è certo non veda né oda alcuna preghiera. Sostiene il capo di Athena, di Saori, e ne accarezza i capelli nel tentativo di confortarla. Non conosce il prezzo del dolore, conosce solo quello del sacrificio spontaneo, del martirio per amore. Saori è stata prima di tutto donna, per lui, e poi dea. Affoga nel passato dalle tinte fosche della Fondazione Kido, delle frustate che sferzavano la schiena e il volto di Ikki, o quelle che si era preso in silenzio Seya, per un “no” di troppo. Osserva il compagno e non vede santità in lui, solo stupido orgoglio e forse, senso di colpa. Non sa cosa significhi sacrificarsi e piegarsi, Seya di Pegasus, quasi potesse decidere del proprio fato. Della ragazzina viziata ora non è rimasta traccia, e Saori Kido si imprime su una retina che non vuole vederla, che non vuole riconoscerla davvero, sino in fondo.
Perché Seya, e non io?
Seya, un prescelto per ereditariertà karmica, o forse solo per essere stato l'unico a ergere un muro tra sé e Saori. Quell'aspetto del suo carattere non l'ha ancora abbandonata, cerca di conquistare ciò che non può avere, anche con la forza di una posizione di potere nettamente in vantaggio rispetto alla loro. È davvero una donna che sa amare, Saori? No, è una donna che sa fare capricci e mettere a nudo l'umiltà dell'errore, ma non sa amare. Non quello che ha la certezza di poter avere schioccando le dita, come lui. Fissa i Cloth brillare sotto il cielo di Grecia, immobili, pervasi da striature vermiglie. Presto, non sarà un sangue restauratore a bagnarle, ma quello dei nemici.
E dei loro stessi possessori.
Tutto, per riportare indietro milady.

 

 

 

 

 

Note dell’autrice.
La leggenda racconta che le Esperidi, dopo l’uccisione di Ladone, per il dolore si trasformarono in alberi: un pioppo nero, un salice piangente e un olmo. Si dice che una di loro usasse dipingersi il volto con le more, da qui le pitture di guerra che ho ripreso in questo capitolo.

 

(*) Metsu Raitongu è uno dei colpi di Mia. Ha ereditato dal suo maestro, Aiolia, l’utilizzo del fulmine. Il Metsu Raitongu consiste in una serie di colpi a velocità superiore a quella del suono, che colpiscono l’avversario da più direzioni. È la stessa tecnica che utilizza Aiolia, i cui colpi hanno la velocità della luce.

Il Reiken Raitoningu è il Fulmine Astrale, in cui Mia concentra il cosmo in un unico colpo che appare come un fascio di energia solida. Raggiunge la velocità della luce. Si può dire che la forza dei colpi dei Metsu Raitongu sia sfruttata per portare alla massima potenza un unico colpo. In questo capitolo, è la prima volta che Mia riesce a utilizzare questa tecnica.

 

 

   
 
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