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Autore: G u i l l o t i n e    22/07/2014    1 recensioni
Vedendo Kieren e Simon dal di fuori, si potrebbe pensare che sia Simon quello forte, quello che non ha bisogno di niente e di nessuno. Kieren, con la sua corporatura esile e il suo sguardo ingenuo, ma maledettamente magnetico, tradiva una debolezza che in realtà non aveva. E lo si poteva pensare solo se non lo si aveva visto quel maledetto dodicesimo giorni, del dodicesimo mese alla dodicesima ora.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Questa cosa nasce perché una certa persona mi ha fatto infognare con questo telefilm e questa ship. Il che è tutto dire, perché erano anni che non aggiornavo o che una serie tv non mi faceva prendere così bene.
Ovviamente, le botte le prendo. Ma non in faccia ché è anche anti-estetico.
Chi arriva alla fine, vince!
G.
 
 
Alive.
 
 
La pioggia torrenziale minacciava di colpire Roarton per tutta la notte, senza tregua. Verso notte tarda erano iniziati anche i fulmini e i tuoni, forse anche del vento, a giudicare dai rumori che provenivano al di fuori del bungalow.
Sul letto matrimoniale che una volta aveva ospitato Amy Dyer, giaceva un corpo, un parzialmente morto, come li chiamavano. Era scosso, agitato, sarebbe stato sudato se fosse stato un corpo ancora in vita. Era un enorme groviglio freddo incastrato tra le lenzuola. Probabilmente stava facendo un brutto sogno, l’ennesimo, perché si svegliò con gli occhi spalancati, come incredulo di essere tornato nel mondo dei vivi – o dei non-morti.
Si passò una mano tra i capelli, non troppo corti, scuri. Gli occhi vagarono un po’ per la stanza, come a riprendere familiarità con quel posto che in quel preciso istante gli faceva paura.
Paura come il centro di Norfolk.
È tutto finito. Non sei più lì. Il Profeta ti protegge.
Eppure quel pensiero non era abbastanza. C’era qualcosa nella sua testa, qualcosa che gli impediva di sentirsi del tutto calmo, di tornare a dormire e fare finta di nulla. Sentiva freddo – in modo figurato ovviamente – al suo fianco, sentiva la mancanza di qualcuno, aveva bisogno di braccia che lo stringessero, che lo confortassero. Che gli garantissero che non sarebbe tornato a Norfok, mai più.
Prese il suo cellulare dal comodino e guardò l’ora. Le tre e ventotto. Aveva smesso di piovere, da appena qualche minuto, ma era decisamente presto per svegliarlo. Sapeva che anche lui dormiva con il cellulare accesso vicino al letto. Glielo aveva visto fare da quando sua sorella Jem era andata in America, a vivere con il suo fidanzato che nutriva poco simpatia per quelli come lui. Aveva la costante paura che, a causa del fuso orario, lo chiamasse anche di notte e così aveva preso l’abitudine di dormire con cellulare sotto al cuscino.
Dopo qualche attimo di indecisione, compose quel numero che ormai era abituato a fare ogni volta che aveva bisogno di qualcosa, di aiuto.
Mal che vada, non mi risponde.
Uno, due, tre, quattro squilli. Proprio quando stava per arrendersi, sentì un click dalla l’altra parte.
Se lo immaginò con quei suoi capelli rossi scompigliati, senza il fondotinta e lenti, magari con una piccola smorfia. Lo voleva lì vicino a sé, voleva stringerlo, baciarlo, morderlo. Voleva guardarlo mentre dormiva placido, con quel suo viso completamente rilassato che gli trasmetteva tranquillità. Gli sarebbe bastato quello per stare bene.
«Simon?» La voce di Kieren, roca a causa del sonno, lo fece sorridere debolmente. «E’-è successo qualcosa? Stai bene?»
Vedendo Kieren e Simon dal di fuori, si potrebbe pensare che sia Simon quello forte, quello che non ha bisogno di niente e di nessuno. Kieren, con la sua corporatura esile e il suo sguardo ingenuo, ma maledettamente magnetico, tradiva una debolezza che in realtà non aveva. E lo si poteva pensare solo se non lo si aveva visto  quel maledetto dodicesimo giorni, del dodicesimo mese alla dodicesima ora.
Simon si ricorda bene di come l’altro ragazzo, pur essendo stato costretto ad assumere una dose massiccia di blue oblivion, non si fosse lasciato sopraffare dall’istinto. Aveva combattuto, aveva resistito e Simon non aveva mai visto niente di più bello e terrificante nei suoi occhi una volta svanito l’effetto della droga.
«Ancora quel sogno?» Simon, da quando Kieren aveva risposto al cellulare,  non aveva ancora parlato. Eppure, non si sorprese troppo quando l’altro capì subito cosa c’era che non andava.
«Io… sì.» Sussurrò solo.
«Vuoi… vuoi che venga lì?» Chiese con voce debole. Sembrava ancora assonnato ma, piano piano, si stava svegliando.
«I tuoi mi odiano già abbastanza così. Non credo che…» Ovviamente lo voleva lì con lui. Ma non voleva metterlo nei guai con i suoi genitori. Gli bastava avere già la comunità contro solo perché usciva con uno zombie, non voleva avere contro anche i genitori di Ren più di quanto non li avesse già.
«No. Non è un problema.» Il suo Kieren. «Dammi dieci minuti e arrivo.»
 
I successivi istanti, Simon li aveva passati a letto. Non si era alzato, non aveva smesso di fissare la stanza. Aveva paura che, una volta uscito di lì, non avrebbe trovato le stanze del bungalow, ma il corridoio bianco o la stanza dove aveva passato troppe notti dopo quello che gli aveva fatto alla schiena.
«Simon?» La voce affievolita arrivava forse dalla cucina – del tutto inutile per lui. Si raddrizzò sul letto poggiando la schiena sulla testata.
La porta si aprì piano.
«Simon?» La testa rossa di Kieren fece capolino. Era spettinato – amorevolmente spettinato - e indossava dei jeans sgualciti e una t-shirt non troppo vecchia.
Bastò uno sguardo, uno solo, per far accorrere il rosso vicino a Simon, per farlo sedere accanto a lui. Per prendergli la mano. Simon non lo percepì, ma lo vide. E forse fu anche meglio.
«Non riesci a dormire?» Simon scosse semplicemente la testa. Parlandone, raccontando il suo sogno, avrebbe reso tutto troppo reale. Soprattutto perché questa volta includeva anche lui.
«Ti va se ci sdraiamo insieme?» Kieren prese ad accarezzare la mano di Simon. Era un movimento lento, ma continuo. Tranquillizzante. Ma Simon scosse la testa.
«No. Questa volta è diverso.»
«Simon. È un sogno. Non capiterà più, lo sai…»
«No. Questa volta…» Lo guardò negli occhi, in quegli occhi troppo belli perché si posassero su uno come lui. Simon abbassò lo sguardo e continuò. «Questa volta c’eri anche tu. Ed è stato molto peggio, credimi.»
«Era solo un sogno.» Ripeté Kieren. «Non ci pensare.»
«Ti rendevo uguale a me. Ti facevo le stesse cose che hanno fatto a me. E il tuo viso…» Simon scostò malamente le lenzuola, e si sedette a bordo del letto.
Non pensò al fatto che fosse senza una maglietta, non pensò all’orribile spettacolo di dolore che stava offrendo al giovane. Forse non se ne accorse perché non lo sentì trasalire quando gli diede la schiena, non sentì nulla.
«Simon. Quello che ti è successo, non è colpa tua.»
«Quello che è successo nella realtà. Ma in quel sogno, io…»
«Esatto. Sogno. Non è reale.»
«Era come se lo fosse davvero, però.» Disse a voce bassa. Si stava rendendo conto che le sue preoccupazioni erano infondate. Era un sogno, no? Non avrebbe mai fatto davvero del male a Kieren. Mai.
Rimase immobile per qualche istante al bordo del letto, le braccia appoggiate sulle gambe, a penzoloni, la testa abbassata.
Sentì un fruscio lieve, come di qualcosa di leggero che viene sposato. E poi vide le braccia del rosso che si allacciavano sul suo collo, vide con la coda dell’occhio il viso dell’altro che si appoggiava alla sua spalla.
Se avesse potuto sentire quel peso lieve sulla sua pelle, sarebbe rabbrividito. Se l’altro avesse respirato ancora, avrebbe sentito il fiato caldo che gli accarezzava leggermente il viso. Simon non l’aveva mai detto, ma odiava non sentire nulla, soprattutto se era qualcosa collegato a Kieren.
«Non è niente.» Lo sentì dire a voce bassa. «E’ solo un sogno.»
«E se li avrò per sempre?» Domandò Simon, forse più a se stesso che al biondo. Non riusciva a pensare a come avrebbe trascorso l’eternità con quella preoccupazione, con la paura che un semplice sogno potesse avverarsi da un momento all’altro, non importa cosa avrebbe fatto per impedirlo.
«Fa parte di te. E’ anche grazie a quelle cose orrende che ti hanno fatto che sei come sei.» Sussurrò Kieren. «E la cosa non mi dispiace affatto.»
Simon girò appena la testa. Fissò il suo sguardo negli occhi del rosso, questa volta senza paura o vergogna. Fece un sorriso, uno di quelli sghembi che sapeva piacergli tanto e posò appena le sue labbra su quelle del giovane.
Non avvertì il contatto, ovviamente. Ma si sorprese immensamente di come la sola presenza di Kieren, un giovane fin troppo convinto della reintegrazione degli zombie – cosa che andava un po’ anche contro le proprio idee -, così diverso da lui eppure in grado di capirlo come mai nessuno prima di allora, riuscisse, in qualche modo, a farlo sentire vivo.
Si coricò di nuovo con Kieren al suo fianco. Si addormentò dopo qualche istante, sicuro che al suo risveglio non avrebbe dovuto pensare agli incubi avuti. 
   
 
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