Titolo: As tho' to breathe were life!
Fandom: Originale Romantico
Prima prova: Penna – Introspettivo, Missing Moments
Raiting: Giallo
Seconda prova: Microonde - Fai un Banner ispirato alla tua storia
Terza prova: Professore - Ti obbligo ad… ambientare la tua storia in una scuola/un ospedale/un campo di calcio.
Introduzione: Il tempo sembrava essersi fermato: mentre il suo corpo si lasciava vincere dalla passione, la sua mente non capiva cosa stesse succedendo, incapace di accettare quei sentimenti.
Non aveva mai avuto una relazione con un suo collega, nemmeno un innocente flirt, e si era ripromessa di continuare su quella strada per non rischiare di compromettere il suo ambiente lavorativo.
NdA (facoltative): Per creare il banner ho sovrapposto tre immagini che ho trovato su weheartit.com
lo sfondo con l’aula scolastica
il dettaglio del bacio
e il disegno di una donna con un libro in mano
La citazione è tratta da Ulysses di Tennyson, questa è la traduzione:
Com’è stupido fermarsi, arrestarsi,
Arrugginire opachi, non splendere per l’uso!
Come se respirare fosse vivere!
As tho' to breathe were life!
Rifiutare
l’amore è un atto
doppiamente egoistico: neghiamo noi stessi a colui che ci ama e alla
parte
migliore di noi, quella abbastanza coraggiosa da rischiare la propria
sicurezza
in prospettiva di una possibilità di felicità
assoluta.
Matilde
sollevò lo sguardo dal tema che stava leggendo per posarlo
sulla ragazza che
l’aveva scritto: era seduta in ultimo banco, intenta a
completare il compito di
latino, così come i suoi compagni. Era una persona
riservata, non timida ma silenziosa,
talvolta sembrava immersa in un mondo tutto suo a cui
nessun’altro poteva
accedere. Aveva anche una grande sensibilità:
l’aveva capito nel corso degli
anni, leggendo le sue composizioni sempre molto profonde e personali.
Quella
frase, che apriva una riflessione che si prospettava interessante,
l’aveva
colpita. L’aveva portata immediatamente a pensare alla sua
relazione con
George.
George era
un suo collega: arrivato dall’Inghilterra solo un paio
d’anni prima, insegnava
letteratura inglese in quella stessa classe di liceo linguistico. Per
mesi non
si erano quasi rivolti la parola, se non per qualche saluto nei
corridoi della
scuola: lui sembrava una persona molto distaccata, a cui non
interessava
relazionarsi con i colleghi né creare un forte legame con
gli alunni. Ai
consigli di classe parlava poco e solo se necessario, senza mai dare la
sua
opinione sui problemi della classe. Se inizialmente aveva attribuito
quel
disinteresse alla situazione disorientante in cui doveva vivere,
trovandosi
solo in un paese straniero, poi aveva iniziato a considerarlo
caratterialmente
freddo. L’apatia era una delle caratteristiche umane che
Matilde odiava
maggiormente: i vizi, per quanto negativi, manifestavano gli impulsi
dell’animo
umano, mentre l’indifferenza alla vita mostrava
l’incapacità dell’uomo ad
adattarsi alla società, risultando in nulla più
che un macchinario passivo.
Era rimasta
sorpresa quando si era proposto come accompagnatore per la gita di
classe. I
ragazzi avrebbero dovuto soggiornare a Roma per quattro giorni,
sorvegliati da
lei e dal docente di matematica. Purtroppo due settimane prima della
partenza
il suo collega aveva avuto un incidente e, sebbene le sue ferite non
fossero
gravi, avrebbe dovuto portare un gesso alla gamba destra per almeno un
mese:
era impossibile farlo girare per giornate intere in città.
La classe aveva
rischiato di rinunciare alla gita dato che tutti gli altri docenti non
potevano
o non volevano assumersi un tale impegno. Quando ormai tutto sembrava
perduto,
George aveva assunto l’incarico. Da quel momento Matilde
aveva cominciato a
rivalutarlo: aveva apprezzato il suo gesto, certo volto a evitare una
grande
delusione ai ragazzi. Aveva sperato anche che si aprisse di
più durante quei
giorni, altrimenti sarebbe stata dura la convivenza con un unico adulto
che non
s’interessava di nulla.
Il suo
desiderio era stato esaudito: nelle lunghe ore trascorse in autobus per
arrivare alla capitale e durante le camminate per la città,
George aveva
dimostrato di avere un carattere più aperto di quanto aveva
inizialmente
considerato. Non era mai stato a Roma prima e aveva sfruttato
quell’occasione
per riempirla di domande, dopotutto lei vi aveva trascorso anni della
sua vita
durante gli studi universitari. Era entusiasta alla vista di quei
magnifici
monumenti antichi e aveva preso l’abitudine di metterla alla
prova, testando la
sua conoscenza professionale con le curiosità che trovava
nelle guide
turistiche che aveva acquistato.
Una sera
avevano accompagnato gli alunni in una passeggiata per le vie romane e,
mentre
questi confabulavano tra loro – probabilmente stavano
cercando un modo per
procurarsi alcolici, nonostante la loro supervisione – si
erano ritrovati a
parlare. Non della città o della storia della
civiltà romana, come spesso capitava,
ma delle loro vite.
Matilde
aveva saputo che George aveva ben tre fratelli e una sorella
più grandi che gli
avevano dato sei splendidi nipotini di cui le aveva mostrato le foto.
Aveva un
cane, Bobby, che aveva affidato all’anziana vicina durante
quella gita. Amava
la musica jazz ed era appassionato del classico cinema italiano, che
preferiva
ai nuovi film americani ricchi di fantascienza e surrealismo. Come lei,
amava
leggere: il suo romanzo preferito era Il
ritratto di Dorian Gray, ma adorava anche le poesie di Blake
e le opere di
Keats.
Aveva
scoperto di avere molte cose in comune con quell’uomo che
aveva considerato
così male all’inizio, ma anche alcuni punti in cui
le loro opinioni si
scontravano e davano vita a irrimediabili dibattiti che la riempivano
d’interesse. Aveva trovato un uomo con cui poteva discutere
in modo civile,
senza incorrere in litigi furiosi o in silenzi disinteressati.
Dopo la fine
della gita la scuola era chiusa per le vacanze pasquali e Matilde si
era
trovata a sentire la sua mancanza. Il suo cuore si era riempito di
un’inspiegabile gioia quando, il primo giorno dopo quella
pausa lavorativa,
aveva incrociato George nei corridoi della scuola. Lui
l’aveva salutata e si
era fermato per scambiare qualche parola: aveva notato
l’occhiata stupita di
una sua collega a quella vista, ma non se ne era curata. Ovviamente per
gli
altri professori George era ancora scorbutico e riservato, ma lei aveva
avuto
la possibilità di conoscerlo meglio e poteva dire di
comprendere la sua vera
natura: una natura passionale.
Dopo qualche
settimana di amicizia e di casuali incontri per un aperitivo in centro,
si
erano entrambi ritrovati a doversi occupare della supervisione degli
studenti
durante i corsi pomeridiani. Gli alunni se ne erano andati al suono
della
campanella, quasi correndo per non essere chiamati a sistemare le sedie
e i
banchi che avevano spostato per i progetti di gruppo. Erano rimasti
soli e
avevano iniziato, quasi senza pensarci, a riordinare la stanza per non
incorrere nell’ira delle collaboratrici scolastiche che
avrebbero dovuto
comunque ripulire il pavimento pieno di minuscoli pezzetti di carta e
gomma.
Stavano parlando del più e del meno, commentando
ciò che era stato deciso nel
consiglio di classe del pomeriggio precedente, quando Matilde aveva
sentito una
mano calda posarsi sul suo fianco. Si era voltata, impreparata a quel
contatto
improvviso ma non spiacevole, e prima che avesse il tempo di dire
qualcosa le
labbra di George si erano posate sulle sue, richiedendo un bacio che
non avrebbe
potuto negargli nemmeno volendo. Il tempo sembrava essersi fermato:
mentre il
suo corpo si lasciava vincere dalla passione, la sua mente non capiva
cosa
stesse succedendo, incapace di accettare quei sentimenti.
Non aveva
mai avuto una relazione con un suo collega, nemmeno un innocente flirt,
e si
era ripromessa di continuare su quella strada per non rischiare di
compromettere il suo ambiente lavorativo. Così, quando
George si era
allontanato di qualche centimetro dal suo viso per recuperare
l’aria perduta e
lei era riuscita ad elaborare cos’era successo, il tempo
aveva ripreso a
scorrere lentamente.
Lo aveva
fermato posandogli una mano sulla bocca, vedendolo avvicinarsi di
nuovo, e aveva
fatto un passo indietro, andando a sbattere contro un banco. Aveva
percepito il
cambiamento nel suo sguardo a quel gesto e anche lui si era allontanato
un po’,
osservandola in silenzio. Matilde aveva lasciato ricadere la mano lungo
il
fianco, insicura di quale sarebbe stata la sua prossima azione.
«Scusa» aveva
mormorato, non sapendo che altro dire.
«No, scusami
tu» aveva risposto lui, passandosi una mano tra i capelli
corti e spostando lo
sguardo. «Credevo che anche tu…»
«Siamo
colleghi» lo aveva interrotto. «Non sarebbe
professionale.»
«È questo
l’unico motivo?» aveva domandato allora George.
«Perché siamo entrambi adulti
responsabili, saremmo in grado di separare la vita privata dal
lavoro.»
«Non ne sono
così certa» aveva replicato Matilde. Non si
sentiva pronta per avere quella
conversazione e così, vinta dalla paura, si era separata da
lui per recuperare
la borsa e uscire dalla stanza. «Devo andare,
scusa» aveva ripetuto, allontanandosi
velocemente, mentre il cuore le batteva forte nel petto e lei si
sentiva quasi
svenire.
Era passata
una settimana da quel giorno.
Durante
quella settimana Matilde aveva cercato di evitarlo il più
possibile: ormai
conosceva il suo orario e, per non vederlo al cambio
dell’ora, si allontanava
velocemente dalla classe e arrivava in ritardo di almeno cinque minuti
quando
sapeva che lui sarebbe dovuto uscirne. Aveva dato forfait al suo turno
di
sorveglianza in cortile quel mercoledì: nessuno si curava
dei professori e gli
alunni erano comunque troppi per poterli tener d’occhio. A
ricreazione non si
fermava più a prendere un caffè in sala
insegnanti, ma si aggregava ai suoi
colleghi nelle varie aule, sapendo che non lo avrebbe incontrato
lì.
Fuori
dall’orario di lavoro, però, non riusciva
più a riempire il tempo. Quando non
aveva davanti trenta studenti a cui insegnare o dei colleghi che la
tenessero
impegnata, i suoi pensieri correvano irrimediabilmente a quel
pomeriggio. Si
rendeva conto di essersene andata in modo sgarbato, abbandonandolo
là senza una
vera e propria spiegazione. Aveva riflettuto a lungo sulle conseguenze
di una
loro ipotetica relazione e, sebbene non ci fosse la certezza che lui
sarebbe
stato ancora disponibile ad accettarla dopo quel rifiuto, non riusciva
a
decidersi.
Una parte di
lei, quella più razionale, continuava a ripeterle che era un
rischio non
indifferente: non poteva essere sicura che lui fosse l’uomo
giusto per lei e
rischiare di rovinare ciò che aveva conquistato dopo tanti
anni di studi e
fatica non era accettabile senza quella sicurezza.
Spesso però
veniva sopraffatta dalle immagini di un futuro felice, con un uomo al
suo
fianco che la capiva e che era disposto a mettersi in gioco per lei.
Non erano
insegnanti di ruolo, avrebbero potuto ritrovarsi a lavorare in posti
diversi
nel giro di pochi mesi. Infine, anche se fossero rimasti nella stessa
scuola,
il problema si sarebbe sollevato solo se tra di loro qualcosa fosse
andato
storto.
Vale la pena
di rischiare?
Quell’interrogativo
la stava tormentando e nessuno sembrava aiutarla. Aveva confessato i
suoi dubbi
alla sua più cara amica, colei che conosceva
dall’infanzia e di cui era certa
di potersi fidare. Le aveva detto di prestare attenzione, di non
gettarsi nel
fuoco se non era certa di poter sopravvivere. Sua nonna invece,
quell’amorevole
donna che l’aveva cresciuta e con cui aveva un legame molto
forte, più forte di
ciò che la legava a sua madre, le aveva consigliato di
buttarsi senza guardare
indietro, perché la vita non è fatta di sola
sopravvivenza.
Quella
mattina si era svegliata con le parole di sua nonna in testa e, nel
torpore
mattutino, si era ricordata delle parole di Alfred Tennyson.
To rust unburnish'd, not to shine in use!
As tho' to breathe were life!
Come
se respirare fosse vivere! Quanti scrittori avevano espresso
questo concetto nelle loro opere! Come poteva non essersene resa conto
prima!
Aveva sempre saputo cosa fare, che persona voleva essere. Se si fosse
allontanata da lui, non sarebbe diventata altro che una donna apatica,
spaventata
dalla vita, che rinuncia a ogni possibilità di
felicità per non rischiare. Lei
non voleva essere quella persona.
Matilde
voleva essere una donna forte, indipendente, in grado di affrontare le
difficoltà della vita e di mettersi in gioco per guadagnare
il massimo da ogni
esperienza. In quell’occasione, nella possibilità
di avere una relazione con
George, desiderava accettare. Non avrebbe più permesso al
suo cervello di
frenarla.
Aveva
passato le prime tre ore di lezione quasi in trance: aveva spiegato un
canto
dell’Inferno dantesco e alcune poesie di Pascoli senza
rendersene conto,
arrivando talvolta a temere di aver detto qualcosa di inappropriato o
personale.
Si era resa
conto che ciò che più temeva, le
difficoltà nell’ambiente di lavoro, non sarebbero
state una conseguenza di una loro ipotetica rottura, ma erano
già una realtà:
dal momento in cui l’aveva rifiutato, non era più
stata la stessa. Tentare di
risanare quel rapporto avrebbe migliorato la situazione anche sotto
questo
punto di vista.
Al suono
della campanella della ricreazione aveva congedato subito i ragazzi e
si era
diretta al secondo piano, dove sapeva che George aveva una lezione.
Aveva
sentito da alcuni colleghi che, in quegli ultimi giorni, il professore
si
presentava in classe durante l’intervallo per sistemare le
sue cose mentre i
ragazzi erano fuori. Fortunatamente quel giorno splendeva il sole e
tutti si
erano riversati in cortile, così il corridoio era vuoto.
George era già
nell’aula e dava le spalle alla porta mentre digitava
qualcosa al computer.
Decisa e senza ripensamenti, Matilde aveva chiuso la porta e si era
avvicinata
a lui. L’aveva baciato senza nemmeno salutarlo, senza
preavviso, proprio come
aveva fatto lui la settimana precedente.
La reazione,
però, era stata diversa dalla sua. Non appena si era reso
conto di chi aveva
davanti, George aveva ricambiato il bacio, stringendola a sé
con una forza
quasi eccessiva.
«Non è
troppo tardi, vero?» aveva chiesto Matilde, guardandolo negli
occhi.
Lui le aveva
sorriso e l’aveva baciata di nuovo, rispondendole con un
gesto molto più
significativo di mille parole.
Si erano
dovuti separare al suono della campanella, con la promessa di rivedersi
alla
fine della giornata.
Matilde era
andata nella sua classe e aveva distribuito le versioni ai ragazzi, si
era
seduta alla cattedra e aveva cominciato a leggere i temi, distraendosi
di tanto
in tanto ma con una maggiore consapevolezza di sé, ora che
l’ansia se n’era
andata.