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Autore: PurpleStarDream    22/07/2014    3 recensioni
La Macchina della Morte è nata per caso, quando ancora la gente viveva nella beatitudine che solo l'ignoranza sul proprio futuro poteva dare.
Adesso un semplice esame del sangue è in grado di fornire previsioni infallibili sulle modalità del proprio decesso. Niente data, niente dettagli, solo una scritta misteriosa su un foglietto di carta.
Tony è arrivato ad odiarla, a Steve è indifferente, Clint non si dà pace e Natasha è confusa. Loki cerca di imbrogliare il fato e Thor non riesce a decidere come gestire la situazione.
Una sola cosa è sicura: che per quanto il destino sia macabro, oscuro, indecifrabile, sarà impossibile evitarlo, perché la Macchina non sbaglia mai.
Tratto da un libro.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Warning: Questa storia è ispirata al libro “La Macchina della Morte”, a cura di Rayan North, Matthew Bernardo e David Malki, una raccolta di racconti di vari autori autodidatti che hanno immaginato delle storie basate sulla stessa impronta fondamentale: l’esistenza di una macchina in grado di prevedere con assoluta sicurezza la causa della morte di una persona in seguito ad un banale esame del sangue. Niente data, niente dettagli, solo delle criptiche parole che lasciano spazio a molteplici interpretazioni.

Non definirei questa fic tanto triste quanto forse grottesca. Ho messo tematiche delicate per sicurezza, ma non credo che siano necessarie. O sì? Chi lo sa. Poiché non ci sono scene molto grafiche di sesso o di violenza non ho aggiunto neanche il quadratino rosso; quello arancione è anche lui per pura sicurezza.

Però potrebbe causare disagio a qualcuno. Dopotutto ogni personaggio di questa fic ha il proprio destino segnato su un foglietto di carta e lo affronterà con stati d’animo imprevedibili. Inoltre alla fine dirò, come in un epilogo, in che modo tutti i personaggi hanno incontrato la loro fine.

Vi ho incuriosito almeno un po’?

Se sì non vi resta che scendere un po’ più giù in questo mondo grottesco, dove la nostra fine è sputata fuori da una scatola nera.

 

 

Le storie della Macchina della Morte

 

 

Capitolo 1: Autogestione

 

 

Vista da fuori, la Macchina non aveva un aspetto così minaccioso.

Certo, se si riusciva a non pensare che quell’aggeggio, dopo un semplice esame del sangue, era capace di sputare foglietti con predizioni infallibili su come il malcapitato di turno avrebbe lasciato questo mondo, allora quella scarna scatola nera poco più grande di una vecchia radio non faceva poi tanta paura. 

Persino il dolore al dito, dopo che l’ago per il prelievo lo aveva punto, diventava importante quanto una puntura di zanzara.

Eppure al solo pensiero di ciò che poteva essere scritto su quei foglietti espulsi dalla Macchina faceva rivoltare lo stomaco a tutti, con un rumore simile al gracidio degli ingranaggi che consegnavano ai clienti paganti la causa sicura del loro decesso.

Era un misto di eccitazione e paura, quello che suscitava la macchina. Forse per questo nessuno pensò di liberarsene. Era stata inventata per caso e aveva cominciato a stregare le persone con il fascino che solo un oggetto maledetto poteva esercitare, tant’è che ora esistevano accaniti sostenitori della sua effettiva utilità e gente (specialmente quelli insoddisfatti del proprio destino) che vi si opponeva con tutte le proprie forze, arrivando a volte alla violenza fisica.

Il problema era che, nonostante la presenza di queste due fazioni, la maggior parte della gente se ne fregava. Ormai la Macchina faceva parte della loro vita, come l’influenza, la coca cola, le tasse…

Impossibile vivere con lei, impossibile vivere senza di lei.

Steve non ci pensava poi molto, faceva parte degli indifferenti. A lui, che la Macchina esistesse o meno, non faceva né caldo né freddo. Almeno fino a un certo punto; c’era stato un periodo in cui l’aveva odiata a morte, e non aveva nulla a che fare con il suo foglietto. Ma ormai aveva risolto il problema (con eleganza, poteva aggiungere), e l’esistenza di quell’aggeggio era tornata ad essergli indifferente.

In quel momento Steve si stava godendo un caffelatte con una fetta di torta alle fragole nel suo bar preferito: le pareti intonacate di azzurro e il profumo zuccheroso di dolci caldi era molto rilassante. Ci portava spesso anche Tony, perché il locale era uno di quelli senza la Macchina della Morte, e sapeva che il suo ragazzo ci sarebbe stato benissimo. Oggi però era solo: Tony aveva avuto uno dei suoi momenti e aveva detto che avrebbe fatto una passeggiata, ma che sicuramente sarebbe tornato a casa prima di sera.

Probabilmente però, si sarebbero visti prima.

Infatti il suo cellulare trillò. Guardò il numero: era quello di Bucky.

Il suo amico non lo chiamava mai quando era in servizio, perciò il motivo della telefonata poteva essere uno soltanto. Ormai succedeva talmente spesso che Steve non se ne sorprendeva più; vista la situazione non riusciva neppure ad arrabbiarsi, diciamo soltanto che per lui recuperare Tony alla Centrale di Polizia era diventata pura e semplice routine, normale come veder sorgere il sole. Posò la tazza di caffelatte sul tavolo, delicatamente, e si portò all’orecchio il cellulare.

-Quante ne ha distrutte stavolta?- domandò subito, senza disturbarsi a salutare.

Dalla Centrale, Bucky rispose divertito: -Soltanto due. La multa sarà una sciocchezza.-

-Arrivo a prenderlo- disse Steve. Chiuse la comunicazione e si alzò, infilandosi la giacca e lasciando un paio di dollari di mancia sul tavolino.

 

Alla Stazione di Polizia Tony aspettava in corridoio, seduto al centro di una fila di sedie di plastica con un paio di manette ai polsi e Bucky e Rumlow che gli facevano la guardia con le braccia conserte, ognuno per lato.

Steve attraversò l’ingresso affollato, dove l’aria fresca striata di fumi di scarico si mescolava alla puzza di sudore mista a deodorante di troppa gente indaffarata. Pensava sempre che in quel posto ci sarebbe stato bene un impianto di ventilazione migliore. Appena lo vide arrivare, Tony sorrise, e lo salutò con tutte e due le mani, perché le manette gli impedivano di separarle.

-Ciao bellissimo.-

Steve sorrise a sua volta, poggiandosi le mani sui fianchi.

-Ciao. Ti senti un po’ meglio?-

Tony si stravaccò sulla sedia. Allargò le gambe al massimo e rovesciò indietro la testa per guardarlo. –Abbastanza, grazie.-

-Lo spero bene, dopo quello che hai fatto. Ti avviso però che il tuo hobby comincia a diventare costoso. Un giorno potrei non avere abbastanza soldi in tasca per tirarti fuori da qui.- Guardò Bucky e Brock, due macchie blu notte nelle loro uniformi ufficiali da poliziotti. –Allora, quant’è stavolta?-

Bucky esibì un sorrisetto; si alzò in piedi e tirò fuori dalla tasca un blocchetto delle multe, quindi fece un rapido riepilogo dei danni.

-Dunque… Le accuse sono le solite: vandalismo, distruzione di bene pubblico, disturbo della quiete… Nel complesso sono due Macchine della Morte prese a randellate con una mazza da baseball in un Centro Commerciale, distrutte oltre ogni possibilità di riparazione. In totale vengono… cento novantatré dollari e ventidue centesimi.-

Il biondo estrasse il portafogli e cominciò a rovistarci dentro.

-Pensavo peggio.-

-Il disturbo della quiete potevi anche tralasciarlo Buck- disse Tony, prendendo a calci l’aria.

-La vecchietta che hai terrorizzato con il tuo exploit non la penserebbe così.-

-Lo dico sempre che gli anziani dovrebbero stare alla larga dai luoghi troppo affollati.-

Rumlow aprì le manette di Tony con una chiavetta presa dalla sua cintura. Si rivolse a Steve con la faccia di uno che si è svegliato con la luna storta.

-Sono stufo di correre dietro al tuo fidanzato quando decide che non gli va a genio il modo in cui sono arredati i centri commerciali, Rogers. Se ha voglia di rompere Macchine della Morte compragliene un po’ e fagliele fracassare a casa vostra; non costano care- disse.

-Costerebbe certamente di meno di tutte le multe messe insieme- concordò Steve, aiutando Tony ad alzarsi. Una volta in piedi il moro dondolò sulle gambe, e si ficcò le mani in tasca. –Naaah, così non c’è più gusto- disse, nascondendo gli occhi sorridenti dietro la frangia castana.

Brock Rumlow gli puntò contro l’indice con aria accigliata. –Se mi fai perdere tempo un’altra volta con queste stronzate ti faccio passare la notte in una prigione vera, altro che multa.- Detto questo se ne andò, borbottando qualcosa di inintelligibile e accarezzando la pistola che emergeva dalla fondina. Bucky si aggiustò il berretto e fissò i suoi amici.

-Non fate caso a lui. Odia essere disturbato per queste piccolezze; vorrebbe che gli affidassero soltanto compiti pericolosi o pattuglie in quartieri degradati per avere una scusa per tirare fuori la pistola. E’ un coglione ma non è cattivo.-

-Allora, possiamo andare?- chiese Steve.

-Certo. Ma Tony, cerca di non farti rivedere qui per almeno un paio di settimane, o cominceranno a pensare che fai parte di una di quelle cellule sovversive.-

In un certo senso aveva ragione. Sulle Macchine della Morte la gente aveva opinioni contrastanti, quindi era comprensibile che alcuni sfogassero su di esse la rabbia per una predizione particolarmente nefasta. In più se ne producevano talmente tante che, a meno che qualcuno non decidesse di piazzare una bomba direttamente in fabbrica, la distruzione di qualcuno di quegli aggeggi veniva punita con una semplice contravvenzione. Il problema era che Tony collezionava le multe come le infinite copie tutte uguali di una figurina.

I due fecero per uscire, quando il moretto si ricordò di una cosa molto importante. Fece dietrofront e tornò da Bucky, che stava contando i soldi.

-Rivoglio la mia mazza- disse Tony. Era a quel punto che Steve solitamente avrebbe voluto trascinarlo a casa di peso e fargli un discorsetto.

-Tony…-

-E’ mia e la rivoglio- insistette il moro, tendendo la mano.

Bucky scosse la testa.

–Non si può fare. Quella roba è stata sequestrata.-

-Ma è mia! Vi denuncio tutti se non me la restituite!-

Steve vide sbucare Rumlow dal fondo di un corridoio, attirato dal casino come una mosca dal miele. Immaginava come sarebbe rimasto deluso una volta scoperto che si trattava solo di Tony che faceva un’altra scenata. Guardò il volto arrossato del suo ragazzo che cominciava a infervorarsi, e decise che sarebbe stato opportuno levare le tende prima che sulla fedina penale di Tony comparisse anche “Aggressione a pubblico ufficiale”.

Strinse la spalla del moro con una presa d’acciaio.

-Andiamo via, Tony.-

Era un tono a cui nessuno riusciva ad opporsi; quando voleva Steve riusciva a manifestare una tale autorità da fare quasi paura. Tony gli tenne il broncio, ma obbedì, voltandosi per andarsene. Bucky gli gridò dietro:

-E smettila di distruggere le Macchine!-

Tony, senza voltarsi, gli mostrò il dito medio.

-Voglio proprio vedere che farai quando una di quelle cose sputerà fuori il tuo cartellino!-

 

In strada, Steve camminava tranquillo, felice di vedere che il colorito di Tony era passato dal rosso ad un più salutare rosa, segno che si era un po’ calmato. Gli circondò le spalle con un braccio e lo tirò a sé. Sapeva già perché aveva fatto quello che aveva fatto, e lo capiva. Gli voleva bene.

-Brutta giornata?- domandò. L’altro fece sì con la testa.

-Ho ritirato gli ultimi esami del sangue.-

-E… come vanno?-

Tony sospirò e non disse niente. Steve se lo tirò contro, in modo che la sua testa scura fosse a proprio agio, poggiata nell’incavo del suo collo. Poco importava che fosse difficile camminare, lui voleva solo che Tony si sentisse al sicuro, perché era in giorni come quelli che la disperazione rischiava di prendere il sopravvento su di lui: ricordare come aveva ottenuto il suo responso lo riempiva sempre di uno sgradevole senso di impotenza difficile da scacciare.

Passarono davanti ad un negozio di articoli sportivi, e Tony sollevò la testa. Guardò negli occhi azzurri di Steve con due iridi ambra dilatate e supplichevoli. Il biondo intuì ciò che voleva fare.

-Tony, no… Ne hai già rotte due oggi.-

-Ti prego Steve- scongiurò l’altro, aggrappandosi al suo braccio. –Solo una e poi basta, promesso.-

Il ragazzo rovesciò indietro la testa in esasperazione. Verso sé stesso, che non riusciva a dire di no a quegli occhi; verso le Macchine della Morte, che cambiavano la vita delle persone (o forse solo le persone); verso l’ingiustizia di quelle previsioni… Steve a volte doveva riconoscere che esistevano delle cose più grandi di lui a cui non valeva la pena cercare di opporsi, e una di quelle era lo sguardo speciale del suo ragazzo.

-E va bene, una soltanto. Ma scegline una sistemata in un posto isolato, stavolta. Rompere quelle dei centri commerciali significa proprio implorare di essere arrestati.-

Sul viso del moretto si aprì un sorriso a trentadue denti. –Sei il mio fidanzato preferito, Steven Grant Rogers.-

-E l’unico, spero- sorrise l’altro, lasciandosi trascinare dentro il negozio di articoli sportivi.

 

Ne emersero venti minuti dopo alleggeriti di sessanta dollari, ognuno con una mazza da baseball in mano: quella di Tony era argentata, di metallo, leggera e maneggevole; quella di Steve di legno, un po’ più grossa, con il manico fasciato da un nastro adesivo porpora.

-E’ bello sapere che sei con me in questa impresa. Però insisto nel dire che avresti dovuto scegliere una mazza di metallo; quelle di legno si rompono facilmente- gli disse Tony, roteando la mazza nell’aria, facendo attenzione a non colpire i passanti.

Steve fece dondolare la sua contro la sua gamba. –Non è un’impresa, Tony, è solo il tuo modo di rispondere al troppo stress. E poi anche le mazze di metallo si rompono: si piegano.-

-Ed è adorabile come tu ti lasci convincere a rompere qualcosa per starmi vicino mentre gestisco tutto questo stress. E comunque le mazze di metallo sono più fighe.-

Il ragazzo scrollò le spalle. Avrebbe voluto dire a Tony che ormai non era più solo, che erano legati più di quanto credesse, che aveva deciso di condividere volentieri il suo destino perché lo amava: erano una coppia, anche se Tony non lo credeva possibile, date le sue condizioni. Ma non poteva farlo, non ancora. Fargli compagnia mentre sfogava la sua rabbia verso un destino assurdo era l’unico modo che conosceva per mostrargli attivamente il suo supporto.

Si fermarono davanti a una piantina della città e ne spiarono le icone nere che corrispondevano alle Macchine della Morte sparse per il quartiere.

-Ce n’è una a duecento metri da qui- fece Steve, indicando un rettangolino nero sulla mappa. –Nessun ristorante o supermercato vicino. Magari è una di quelle macchine esterne, sistemate come i bancomat.-

-Beh, che aspettiamo?- domandò Tony, caricandosi la mazza sulla spalla. –Andiamoci subito.-

Marciarono con le mazze in spalla come due soldati armati di fucile dritti verso la missione, finché non trovarono un cartello con una grossa freccia nera dal significato inequivocabile. La seguirono, e arrivarono di fronte ad una struttura metallica che sporgeva dal muro, come un vecchio telefono pubblico, solo che questo era nero e non aveva né schermo né cornetta, ma solo un buco cilindrico in cui infilare il dito per il prelievo di una goccia di sangue e due fessuri sottili: una per infilare i soldi e una da cui uscivano i cartellini.

Tony vi si piazzò davanti a gambe larghe, le dita che accarezzavano il manico della mazza. –Un colpo per uno- decise, e un secondo dopo sferrò il primo.

La struttura interna della Macchina era rivestita da un guscio di alluminio sottile: la famosa scatola nera, che si curvò sotto quel colpo con un muggito metallico.

La botta di Steve ebbe un effetto simile, e la scatola si ritrovò con un profondo solco proprio nel mezzo.

Il successivo colpo di Tony scatenò una pioggia di scintille. I circuiti interni cominciarono a frizzare feriti.

-Ora sì che si ragiona!- rise, e contro le regole diede un altro colpo, ancora più forte, e poi un altro ancora. I suoi occhi brillavano, ma non era felice.  

Vedendolo così, Steve ebbe voglia che quello che stavano facendo finisse presto. Voleva andare a casa con Tony, abbracciarlo, dirgli che andava bene piangere se ne aveva voglia, magari fare l’amore… Avrebbe voluto dirgli che ormai potevano farlo anche senza preservativo, non sarebbe cambiato niente.

La sua mazza di legno si abbatté su quell’aggeggio infernale con tanta forza da farlo a metà. Si aprì come una pentolaccia, senonché, invece delle caramelle, piovvero fuori fili elettrici, aghi sottili e un rotolo di carta; piccoli tasti contrassegnati da una lettera ciascuno colarono a terra insieme a un fiotto di inchiostro come denti sputati da una bocca presa a pugni troppe volte.

Steve guardò la mazza: il legno si era irrimediabilmente incrinato proprio al centro.

-Wow, Steve, che colpo!-

-Già. Che colpo- disse una voce un po’ meno divertita.

Entrambi si voltarono, e si trovarono di fronte un poliziotto che si portava addosso parecchi anni e parecchi chili di troppo. La pancia prominente sbordava dai pantaloni e tirava la camicia con una tale forza che ai bottoni sarebbe mancato solo un valido motivo per esplodere come proiettili. Sul petto aveva una targhetta con scritto “Franks”. Si sistemò il berretto sui radi capelli ingrigiti con una mano e con l’altra sfiorò la pistola.

-Signor agente, possiamo spiegare…- iniziò Tony, sicuro che sarebbe finito un’altra volta in Centrale.

Il poliziotto sbuffò.

-Cos’è, non siete stati contenti del responso della Macchina? Fate un po’ vedere i vostri cartellini prima che vi sbatta dentro.- Tese una mano aprendo e richiudendo le dita, impaziente.

I ragazzi pensarono che, magari, quel poliziotto aveva ricevuto un responso talmente orribile che avrebbe potuto capirli se ci avessero ragionato. Certo, un biglietto che diceva SONNO poteva non essere una buona ragione per fracassare una Macchina, ma uno che diceva INVESTITO DA UN TIR lo avrebbe giustificato… Chissà.

Steve estrasse il suo biglietto dal portafogli. Tony il suo se lo teneva sempre in tasca, e lo porse per primo al poliziotto.

C’era scritto: AIDS.

L’agente fece istintivamente un passo indietro, e studiò il corpo del ragazzo come in cerca di eventuali ferite da cui potesse sgorgare sangue infetto. Tony roteò gli occhi: ci era abituato, a quelle reazioni.

Appena recuperò la presenza di spirito il poliziotto fece un mezzo sorriso e chiese: -Ci siamo divertiti troppo senza guanto, eh?-

Le sopracciglia bionde di Steve si unirono in un’espressione accigliata che gli scurì gli occhi; gonfiando il petto e tendendosi in tutta la sua altezza si mise a fianco del suo ragazzo. 

Tony poggiò i pugni sui fianchi con aria seccata. Quell’imbecille avrebbe dovuto ricordarsi che aveva ancora una mazza in perfette condizioni dalla sua parte, e non aveva nessuna paura di usarla. -Come no. Me li sono fatti tutti da qui a Brooklyn. A proposito, lui è di Brooklyn- disse, indicando Steve con un cenno della testa. L’agente fece un altro passo indietro.

-Anche tu muori di AIDS?-

-No- disse il biondino. Gli porse il suo biglietto e il poliziotto lesse: LIBERO ARBITRIO.

-“Libero arbitrio”? E che diavolo significa?-

-Significa “Potere di fare le proprie scelte senza essere condizionati da fattori esterni”- citò Tony. Il poliziotto sbuffò.

-Lo so che cosa vuol dire. Quello che intendevo è… Come fa uno a morire di libero arbitrio? E’ suicidio? Ma allora non avrebbe dovuto esserci scritto SUICIDIO?-

Steve recuperò il suo cartellino dalle mani dell’uomo e se lo rimise nel portafogli. –Credo che lo scopriremo quando succederà.-

Tony notò che i resti della Macchina della Morte avevano preso a fumare e sfrigolare leggermente. Ci sarebbe stato ancora qualcosina da demolire, ma decise che dopo quel pomeriggio sarebbe stato meglio andarsene a casa. Dopotutto, sfogarsi si era sfogato, i suoi insulti li aveva ricevuti, quindi che gli restava da fare?

-Allora, siamo in arresto?-

L’agente di pattuglia tirò fuori da una tasca dei pantaloni nascosta dalla pancia un cartellino e glielo mostrò. Diceva: ESPLOSIONE.

-Quello stronzo di mio cognato mi ha convinto a fare il test e guardate che cosa ha sputato quella macchina del cazzo.-

Tony sogghignò. Chiaramente il signore non era soddisfatto del servizio.

-Per quello che mi interessa potete anche distruggerle tutte, ma fatelo dove nessuno può vedervi. Per questa volta passi, ma che non vi riveda più nella mia zona con quelle maledette mazze.-

Girò sui tacchi e li lasciò tra le macerie della Macchina che avevano disintegrato, gridando: -Non che serva a molto ormai, ma ti consiglio di usare un preservativo, ragazzo. Almeno eviterai di contagiare tutto il quartiere.-

-Ed io ti consiglio di stare lontano dalla cucina!- gli gridò di rimando Tony. –Le esplosioni si verificano anche in casa!-

Steve gli si mise vicino. –Lascialo perdere, è solo uno stronzo.-

-Quello l’avevo capito- borbottò Tony. Gettò la mazza ormai scheggiata in un angolo, dimentico dei trentacinque dollari che aveva speso per comprarla. –Andiamocene a casa.-

Cercava di non darlo a vedere, ma Steve sapeva quanto quel genere di commenti potesse ferirlo. Di sicuro ferivano lui.

Gli andò dietro, afferrandogli una mano perché camminassero insieme. Tony si divincolò dalla presa, stizzito.

-Lasciami andare!-

Steve intrecciò saldamente le loro dita e se lo tirò vicino. –Vieni qui.-

L’altro si arrese, e soffocò nel collo del biondo uno sbuffo strozzato che conteneva in egual misura dolore e rabbia.

Tutti pensavano che Tony si fosse preso l’AIDS con il sesso, e in effetti quattro anni fa, prima che conoscesse Steve, avrebbero potuto avere ragione. Uomini o donne non faceva differenza, per Tony consumare un rapporto era l’unico modo per sentirsi veramente connesso con le persone. Era un mordi e fuggi della loro anima, qualcosa che poteva assimilare per il tempo di un orgasmo, in cui si illudeva che la sua vita riuscisse a intrecciarsi con quella di un’altra persona. Si comportava come se, in quei corpi, stesse cercando qualcosa che non riusciva a trovare.

Nonostante i rapporti frequenti e disimpegnati, nessuno poteva immaginare quanto Tony fosse solo prima di conoscere Steve.

Poi erano diventati due, e da allora non era più stato con nessuno: Tony sapeva essere monogamo quando trovava qualcuno per cui ne valesse la pena, e con Steve aveva decisamente trovato quello che stava cercando.

Ma ovviamente prima di questo c’era stata la Macchina della Morte.

Lo aveva convinto Rhodey a fare il test, lo avevano fatto entrambi, una notte in cui erano ubriachi e la compagnia veniva a mancare. In quel periodo pareva che le notti di Tony non potessero passare senza che avvenisse un qualche tipo di penetrazione, fosse quella di un corpo o quella di un ago. Farsi entrare dentro qualcosa dava sempre la sensazione di essere un po’ più pieni e un po’ meno soli.

Non sembrava niente di ché, finché la Macchina non aveva sputato il biglietto con scritto AIDS.

Tony se ne era stupito. Aveva fatto uno screening neanche una settimana prima, perciò era sicuro di non essere stato contagiato da uno dei suoi partner occasionali. Da allora, per non rischiare e ritardare il più possibile l’avverarsi del responso, aveva deciso di prendere precauzioni serie durante ogni tipo di rapporto. Preservativo sempre e comunque, persino con i lavoretti di bocca o di mano; non si poteva mai sapere le ferite aperte che la gente si portava addosso. Non avrebbe più leccato una donna in nessun posto, neanche se questa lo avesse supplicato in ginocchio, e neppure avrebbe acconsentito a giochi sadomaso con gente di cui non si fidava: si faceva presto a trovare un matto che affondasse troppo i denti o le unghie, o che, semplicemente, si sfilasse il preservativo a tradimento.

Nonostante tutte le sue precauzioni, un giorno, al lavoro, gli capitò di sentirsi un vero schifo. Svenne senza ricordare un momento in cui era stato più male di così.

All’ospedale gli avevano fatto una serie completa di esami del sangue, e aveva scoperto di avere avuto un crollo feroce di globuli bianchi, nonché il virus dell’AIDS che circolava nel suo sangue libero come se fosse a casa sua.

Non riusciva a spiegarsi come l’avesse preso; con i rapporti sessuali no di sicuro, era stato talmente attento da poter interpretare il poster boy del sesso sicuro.

E allora come?

I medici chiesero: “Fa uso di droghe iniettabili, è solito operare scambi di siringhe usate, è stato aggredito o vittima di una violenza sessuale non denunciata?”

No. No. No. E no!

“Ultimamente è entrato in contatto con aghi o strumenti chirurgici che aveva ragione di credere non essere sterili?”  

Ci pensò. Si sentì gelare.

La Macchina.

L’unico ago che avesse toccato il suo corpo era quello della Macchina della Morte con cui aveva fatto il test un anno prima.

Venne aperta un’indagine. Fortunatamente la Macchina che avevano usato lui e Rhodey non era in una zona molto frequentata, e la scorta di lancette non era stata rinnovata da quando Tony aveva fatto il test. Le analizzarono.

Venne fuori che effettivamente uno degli aghi era infettato con il virus dell’HIV; c’erano inoltre il sangue di Tony e quello di un maschio sconosciuto. Le indagini rivelarono che il meccanismo si era inceppato dopo che lo sconosciuto aveva fatto il test, impedendo all’ago di essere sostituito, e così la lancetta aveva punto due persone una dopo l’altra, contagiando il cliente successivo.

Tony era rimasto troppo scioccato persino per capire che la società produttrice della Macchina gli aveva offerto un grossissimo risarcimento purché non facesse loro causa. Lui non la fece. Accettò i loro soldi in modo quasi meccanico. Tanto, con una causa legale ne avrebbe solo avuti un po’ di più, ma in fondo che importanza poteva avere?

L’unica cosa che contava per lui era che per colpa di quel maledetto aggeggio si era preso una malattia dalla quale era impossibile guarire, e avrebbe corso il rischio di trasmetterla ad altri se non fosse stato più che prudente.

L’aver conosciuto Steve gli era sembrato l’unico vero risarcimento che la vita potesse offrirgli dopo quella fatale scoperta. Lo amava, Steve stravedeva per lui; insieme erano felici e, anche se Tony ci aveva pensato molto bene prima di fare sesso con lui, alla fine si era lasciato persuadere che, finché avessero preso le dovute precauzioni, sarebbe andato tutto bene.

Ai tempi dei loro primi incontri non aveva ancora detto a Steve di avere l’AIDS; non voleva far scappare la cosa migliore che gli fosse capitata, almeno non prima di sentirsi lui stesso a suo agio con la propria condizione. E dopo un po’, col tempo, aveva imparato a conviverci, e non ci pensava più di tanto. Eccetto le volte in cui faceva gli esami del sangue per tenere d’occhio i suoi globuli bianchi. Se nonostante gli antiretrovirali la loro concentrazione scendeva un po’, allora la disperazione si faceva troppo grande, e prendeva una mazza o qualsiasi altro corpo contundente che riuscisse a trovare, e andava alla ricerca della Macchina più vicina.  

Questo perché non poteva distruggere sé stesso.

Si sentiva colpevole tanto quanto la Macchina: se non avesse fatto quello stupido test non si sarebbe mai neanche ammalato, ma ormai era inutile piangere sul latte versato.

Non era riuscito a tenere segreto a Steve il suo piccolo antistress molto a lungo.

Dopo che Bucky era stato traferito al distretto del loro quartiere, Tony non aveva più potuto evitare che Steve sapesse, e a quel punto tanto valeva dirgli tutta la verità.

Era convinto che, una volta saputo che era sieropositivo, Steve se ne sarebbe andato, non era la prima volta che succedeva; quando venivano a conoscenza di cosa si portava nel sangue, le persone si assicuravano sempre di tenere le debite distanze da lui. Viste le volte in cui avevano dormito insieme magari gli avrebbe persino fatto causa per tentato omicidio, chissà.

Invece non era successo. Steve era rimasto, contro ogni aspettativa, e dopo un po’ aveva deciso di fare lui stesso il test della Macchina della Morte.

Era venuto fuori: LIBERO ARBITRIO, chissà cosa significava. Tony comunque era contento che non fosse uscito AIDS. Significava che avrebbe potuto averlo accanto a sé quando sarebbe morto, avrebbe potuto vederlo invecchiare senza consumarsi come sarebbe invece toccato a lui.

Se c’era una cosa che Tony Stark aveva imparato dopo essersi ammalato era che nella vita l’importante era cercare sempre il lato positivo delle cose. Tony era uno a cui la vita aveva dato parecchi limoni, ma lui aveva imparato a farci la limonata.

Così andava avanti, a parte gli occasionali istinti assassini contro le Macchine della Morte.

 

A casa, finalmente. Al sicuro nel loro appartamento.

I muri color crema e le tendine da poco impregnate dell’odore della polvere che scintillava all’interno dei raggi di sole non erano mai stati tanto confortanti come quando li vedeva insieme a Tony.

Appena la porta fu chiusa, Steve gli mise le mani sui fianchi e lo attirò a sé, soffocando ogni protesta con un bacio. Gli veniva quasi da ridere ogni volta che si baciavano, perché Tony stava sempre attento ai denti di entrambi, affinché nessuno dei due mordesse accidentalmente l’altro. Ne risultava un bacio bagnatissimo, con la lingua di Tony che si muoveva da tutte le parti per attutire gli scontri e un rivolo di saliva che sfuggiva dalla sua bocca mentre lui sospirava per lo sforzo di fornire aria a tutto quel processo. Non riusciva ancora a convincersi di non poter infettare nessuno con un bacio.

Anche quella volta, Steve rise.

-E’ una cosa seria- borbottò Tony. Non voleva contagiarlo in alcun modo, neanche per sbaglio, non se lo sarebbe mai perdonato.

Steve gli passò il pollice sul mento, asciugando la saliva.  

-Hai bisogno di rilassarti- disse, solleticando il bordo dei suoi pantaloni e infilandoci sotto le dita. Tony lo bloccò.

-Preservativo. E se vuoi toccarmi così usa i guanti di lattice.-

-Tony, davvero…-

-Non sto scherzando.-

Steve gli lasciò un bacio sulla guancia e rimase lì sul suo viso, assaggiandone il calore. Parlando, le sue labbra si muovevano sulla pelle di Tony, facendogli correre brividi lungo la schiena. –Sei fortunato che ti amo, altrimenti non mi presterei a queste cose.-

Tony non l’aveva mai più pensato da quando si era preso l’AIDS, ma in momenti come questi si sentiva fortunato davvero.

-Sì, lo sono.-

Si lasciò condurre in camera da letto, senza neanche lontanamente sospettare quello che Steve aveva fatto mesi addietro.

Il biondo sorrise di nascosto. Prima o poi avrebbe dovuto dirglielo; non ancora però.

Quando lo aveva conosciuto era stata dura fare breccia nel suo cuore, non aveva mai incontrato nessuno così chiuso in sé stesso. Naturalmente allora non sapeva ancora che al naturale carattere di Tony si fosse aggiunta l’AIDS, e che tendeva a non approfondire i rapporti ancora più di un tempo. Ironicamente, lui stesso aveva scoperto di riuscire ad aprirsi completamente soltanto con quell’individuo eccentrico e arrogante, forse perché la lotta per arrivare a lui rendeva inutile la sua, di maschera. Con Tony aveva scoperto le gioie di non essere più un così bravo ragazzo.

Erano stati felici insieme.

Poi Tony gli aveva confessato di essere sieropositivo. Gli aveva raccontato tutta la storia alla Centrale di Polizia, il loro luogo d’incontro dopo che il moro aveva avuto una brutta giornata; e Steve che pensava chissà cosa... Comprensibile che ce l’avesse con le Macchine.

Sarebbe morto prima del tempo per colpa di uno di quegli aggeggi.

Steve smise di respirare quando metabolizzò la cosa. Si rese conto però che doveva essere forte. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di portargli via Tony, non finché lui era in vita, non poteva accettarlo, semplicemente. Ma come risolvere il problema di una malattia incurabile?  Steve non era il tipo d’uomo che si lasciava spaventare. Non aveva mai visto Tony così fragile e solo come quando gli aveva confessato la sua malattia; voleva dimostrargli che lui gli sarebbe sempre stato accanto, che non lo avrebbe abbandonato come avevano fatto tutti gli altri: gli sembrava la cosa più importante in quel momento.   

Così prese un’importante decisione. Un po’ egoista, probabilmente, ma Tony avrebbe capito.

Almeno, così sperava.

Ma prima di questo decise di fare il test.

Andò con Tony alla Macchina della Morte più vicina. Il suo ragazzo aveva cercato in tutti i modi di dissuaderlo, ma non poteva nulla contro la determinazione di Steve; riuscì solo a trattenere il fiato quando il biondo infilò il dito nel cilindrò metallico della Macchina.

Steve era sicuro che sarebbe uscito un solo risultato, uno prevedibile, visto quello che aveva deciso di fare. Invece ricevette LIBERO ARBITRIO.

Tony sospirò di sollievo. Steve si sentì confuso per un istante, ma poi capì: quell’aggeggio doveva leggere nel pensiero.

Per celebrare quel responso tanto strano decisero di fare l’amore con più gioia del solito. Quello che Tony non sapeva era che Steve, con la scusa di andare a prendere i preservativi che aveva lasciato in bagno, si chiuse la porta alle spalle e tirò fuori un ago che aveva precedentemente nascosto in un cassetto.

Con quello fece un buco attraverso la confezione del condom, in modo tale che, in termini di protezione, non servisse più a niente, ma che non si rompesse in maniera evidente durante il rapporto.

Tornò in camera e si mise a cavalcioni del suo ragazzo, che lo aspettava sdraiato sul letto con indosso solo i pantaloni. Gli sciolse la cintura.

-Vuoi fare una cosa per me?- sussurrò, le pupille dilatate sotto le ciglia bionde.

Tony sorrise. Non sospettava nulla.

-Tutto quello che vuoi.-

Steve gli abbassò con cautela i pantaloni, strappò la confezione del condom e la porse a Tony perché lo indossasse.

-Stai sopra.-

 

Ripeté l’operazione per due settimane, tanto per stare sul sicuro. Era sempre riuscito a farla franca manomettendo il preservativo senza che Tony se ne accorgesse, e convincendolo ad essere attivo anche quando ne avrebbe avuta voglia lui. Nel contempo visitava l’ospedale ogni tre giorni.

Alla terza settimana ricevette i risultati dei suoi esami del sangue:

Positivo all’HIV.

Ottimo.

Non aveva scelto quella strada perché si era arreso alla Macchina, si disse Steve. Piuttosto, lo aveva fatto perché si rifiutava di cederle il controllo della sua vita, e forse la Macchina lo aveva capito; ecco perché invece di SUICIDIO o AIDS sul suo foglietto c’era scritto LIBERO ARBITRIO.

Certe cose potevano capitare per caso, a certe altre le persone erano costrette, ma Steve si era sempre considerato un fervente sostenitore delle decisioni prese con la propria testa, ed era pronto ad assumersene tutte le responsabilità.

 

 

N.d.A.

 

I ruoli di Steve e Tony non sono finiti qui. Mi piacerebbe fare di questa mini long una storia dove i destini dei personaggi si intrecciano, si incrociano… Rendiamo più interessante la cosa, perché qui ci saranno quasi tutti.

Il destino di Steve è nato da una mia personale pesca alle parole: ho aperto un libro e puntato il dito su una zona a caso della pagina. E’ uscita l’espressione “Libero arbitrio”, e da lì è nata tutta la storia.

Siete curiosi del futuro che aspetta tutti gli altri?

Se sì vi aspetto al prossimo capitolo :)

 

 

  
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