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Autore: lunadelpassato    24/07/2014    1 recensioni
Storia di un villaggio sulla scogliera e sulla casa che la sovrasta. Della sua nascita tenue come l'amore tra due ragazzi, della sua morte silenziosa come grida di muto.
Storia sulle onde che si infrangono nel tempo come sulle rocce consumando ogni cosa.
Storia di un paese che non esiste più e per molti mai è esistito.
|POV|
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Candele.
La prima cosa che poteva vedere era la quantità incredibile di candele per le strade. La gente camminava lenta come se fosse sotto il peso di qualche pesante carico.
Il mare, dalla scogliera, spumeggiava infuocato. Il potente sciabordio viaggiava dentro le case, riempiva le strade della città sul mare con incredibile regolarità.
Nonostante la rabbia che emanava, faceva sentire tranquilli i numerosi bambini che popolavano le strade. Erano le sette di sera.
Le candele allungavano quel po’ di luce che rimaneva nascosta dalle nuvole. Il mare era scuro come il cielo nuvoloso sopra di lui.
Le case erano deserte, avvolte nel caldo afoso di quella pacifica sera d’estate. Le donne più anziane stavano ancora a chiacchierare davanti alla porta di casa, magari accompagnando i loro discorsi con un lavoro a maglia o un buon romanzo rosa. Gli uomini erano ancora lassù, nel monte, a controllare i grandi pascoli e i terreni fertili, in cui i frutti già crescevano abbondanti.
Due innamorati guardavano il mare, immenso e bellissimo, da una panchina posta proprio a limite della scogliera. La gonna della ragazza si intrecciava in mille pieghe, la sua testa poggiava nelle cosce del ragazzo. Fissavano l’orizzonte. Leggermente curvo, così ignoto e sognatore. Il confine di ogni sogno. Il ragazzo portava un leggero cappello in testa.
-Un giorno salirò in una nave e partirò per l’orizzonte. – disse alla ragazza posata dolcemente nelle sue ginocchia.
-Ma così io non ti vedrò più.- ribatté lei. Il ragazzo tolse per un’ attimo gli occhi dalla linea del mare e posò lo sguardo grave negli occhi della sua amata.
-Tornerò, e allora ti porterò con me a conoscere le più belle terre esistenti. Andrò a Nord, nel nord più freddo, e arriverò a toccare con la punta delle dita il confine più estremo del mondo.
-Ma non rivedrai più il villaggio.- continuò la ragazza.
-Si devono fare dei sacrifici per essere liberi.
Un gatto lì vicino aveva ascoltato la conversazione. Tutti gli uomini sono così, pensò amareggiato, parlano tanto ma alla fine restano a poltrire nel loro villaggio sperduto, per poi ritrovarsi vecchi nonni a raccontare dei loro sogni e delle loro storie ai loro eredi, che irrimediabilmente faranno lo stesso sbaglio. Noi, i cuccioli, li trattiamo ben diversamente. I miei piccoli crescono sani e forti, per poi viaggiare in tutto il mondo, ammirare la luna sopra i più alti tetti e trovare l’amore improvviso ed esaltante.
Così pensava quel bel gatto grigio, appollaiato nel muro della sua casa natale, da dove non si era mai mosso se non per andare nelle vie del paese a farsi tirare la coda dagli stessi bambini che la sera tornavano dal nonno, a farsi raccontare le storie più belle che avessero mai sentito. Una palla lo colpì di striscio.
Un bambino urlò nella sua direzione un inutile “scusa”, poi recuperò la palla e la calciò in direzione dei suoi amici. Mille grida risuonavano per le strade. Poi un rumore improvviso. Il bambino avanzò cauto in quello che era un vicolo cieco, quando da dietro un secchio della spazzatura uscì veloce un coniglio candido con una grande macchia nera nei pressi dell’occhio destro.
Quel coniglio crebbe insieme al ragazzo. Il ragazzo divenne uomo, il coniglio morì e lui trovò un cane abbandonato. Andava a pescare sempre con lui: un grosso Labrador color miele dai lunghi occhi marroni. Abbaiava raramente e adorava quando il suo padrone pescava del buon pesce, per poi rivenderlo al mercato per racimolare quei due soldi che servivano a sfamare i suoi due bambini e la sua mogliettina in attesa del suo terzogenito.
Il cielo era limpido, ma l’aria afosa era la stessa di tanti anni prima. Le candele dominavano ancora le sette della sera, anche se posizionate sopra lunghe aste di ferro e contornate dal vetro. Avevano il nome di “lampade”. Una piccola farfalla bianca volò via dalla barca leggera dell’uomo che un tempo lontano aveva colpito un grosso gatto con la palla fatta di stracci,  in cerca di qualche buon fiore colorato da assaggiare.
Ma appena uscì dalla barca, un’onda leggera la travolse, e lei finì inghiottita dall’acqua del mare. Veniva sbattuta qua e là per le correnti, poi arrivò alle rocce. Più di cento metri più in alto, al confine con la scogliera, dalla finestra che si affacciava al mare una bambina era intenta a fissare il cielo che andava scurendosi per la notte. Portava una leggera camicia da notte e sognava. Sognava le storie che suo nonno non aveva potuto raccontargli, essendo morto pochi mesi prima della sua nascita. Senza le storie dei suoi avi, sognava. Sognava delle storie tutte sue, dominate da creature magiche e dal mare.
Chissà cosa c’era oltre quella linea che divide il cielo dal mare, pensava, e subito con gli occhi vedeva un furioso drago farsi strada nell’aria, un cavaliere nelle spalle possenti. Lei volava, trasportata dal vento leggero che le smuoveva i capelli. Il cavaliere le porse la mano candida, che accettò e insieme andarono verso il confine del mondo. L’orizzonte si faceva sempre più vicino. Al di là, mostri di ogni tipo la salutavano alzando i loro arti. Una folata di vento. Lei cadde dal drago. Il cavaliere non fece in tempo a prenderla. Lei cadeva, cadeva veloce contro la massa scura del mare, così ignoto e così terribile. Pensò fosse finita appena toccò la fredda superficie. Ma era viva. Una sirena dalle belle pinne ora la portava sotto l’acqua a visitare il suo immenso regno. Vide i pesci di ogni colore, le meduse allegre che la salutavano col loro cappello. Poi di nuovo. Una corrente la trascinò via dalle accoglienti  mani della sirena.
Si ritrovò a volteggiare in aria, trasportata dal vento sempre più furioso di una tempesta. Sbattuta qua e là, non capiva più nulla. Incontrò mille e mille creature volanti, piccoli draghi candidi e leggere fate dalle ali robuste. La trasportarono nella tempesta, e il vento riprese la sua corsa verso l’ignoto. La bambina viaggiava. Aveva un po’ di paura ad essere tutta sola immersa nell’aria, ma proprio quando pensava di cadere, si ritrovò affacciata alla finestra.  Si girò.
La sorella malata la fissava, pallida. Stava molto male, e tra non molto da lei la vita sarebbe scappata. Corse a prendere una mano, mise a guardarla speranzosa, ma la sorella non apriva più gli occhi. cinque giorni dopo ci fu il funerale. Mezzo paese venne, sotto la pioggia scrosciante, ad assistere alla piccola ragazza morta prematuramente. La bambina della finestra non sognava più ora. Il dolore la straziava. Settant’anni passarono, e la bambina non più tale decise di riprovare a sognare. Salì sopra il balcone della casa sulla scogliera, aprì le braccia e si buttò, credendo che un cavaliere dalla  scintillante armatura l’avrebbe salvata. E fu così.
La vecchia visse l’avventura tanto sognata, che fu anche l’ultima. Il drago la portò a visitare i confini del mondo, le sirene la accompagnarono sotto l’acqua, e lei passò il giorno più bello della sua vita. Conobbe le creature che tanto aveva sognato da piccola e viaggiò nei posti più belli del mondo in un solo attimo. Ballò tutta la sera con popoli sconosciuti. La ritrovarono il giorno dopo sopra la scogliera, i capelli intrisi di sangue ma il sorriso negli occhi e nella bocca, ancora sorridente.
Il tramonto. Odore d’uva nell’aria, l’odore dell’autunno, e per le strade la gente faceva festa. Gli uomini brindavano, le donne ballavano nell’aria. I bambini… i bambini non c’erano. L’ultima donna fertile da tempo aveva perso il piccolo che portava in grembo, l’ultimo bambino di un villaggio ormai di poche anime. La donna fissava ora il tramonto, il tramonto del suo villaggio e di quel sole che avrebbe visto tramontare ancora pochi anni nella sua vita. Forse dieci, forse venti, chissà. Rimpiangeva il bambino mai avuto. Rimpiangeva il villaggio fertile che tanti anni prima aveva conosciuto, quello che ormai era ridotto a un cumulo di macerie. Sarebbe stata l’ultima abitante della casa della scogliera.
Passarono anni.
Una famiglia. Due genitori in macchina, le costruzioni del villaggio in lontananza. La piccola che chiede se ci vogliono andare, la risposta affermativa. Tra le strade, alcune piante si sono fatte spazio tra i muti di pietra del villaggio abbandonato. Alla fine della via, una casa. La porta è andata persa tanto tempo prima, così entrano. Il rumore del mare è così forte… i bambini salgono le scale che portano alla stanza superiore.
Un’unica finestra dà la luce in quel posto. guardano fuori, due bambini, i primi dopo anni; davanti a loro, la luce dorata che investe il mare. Il tramonto è più ad ovest, non sul mare, ma lo spettacolo delle onde dorate che si infrangono nella scogliera è imponente anche così. I genitori gli raggiungono e gli raccontano la storia. La leggenda di un villaggio che non conoscono, la storia che non hanno mai saputo si trasforma e nasce dall’immaginazione fertile dei due. Il tramonto allunga ombre magiche sui loro volti mentre riguadagnano la strada. Le ultime luci brillano un attimo nelle ultime figlie degli ulivi, poi anche quelle leggere volano via.
Un tempo lontano, i bambini avevano giocato con le viti in quelle stesse strade. Le foglie incominciarono a cadere lente sopra le case ingrigite; perfino la chiesa ormai era sola. Il bambino di quella famiglia crebbe e rivisitò il villaggio anni dopo.
Non aveva una famiglia: aveva vissuto da artista; scrittore, per l’esattezza. Salì per la seconda volta nella sua vita lungo le scale ora malandate nella casa in cima alla scogliera. Si affacciò alla finestra e sognò. Sognò anche lui di volare, sognò draghi che popolavano il cielo e pirati che invadevano il mare terribile. Una folata di vento.
Camminò sopra pietre sporgenti dall’acqua come se camminasse sopra la superficie. Non cadde mai sotto.
Incontrò le creature dei boschi lontani, si innamorò del paesaggio che la finestra gli offriva.
La pioggia incominciò a scendere. Fu quella a risvegliarlo dal suo sogno. Sentì le gocce fredde nella sua pelle farsi sempre più veloci, più fitte. Si ritirò dentro la stanza. Il cielo si era fato d’un tratto nuvoloso e scuro. 
Scese dalle scale ammuffite. L’odore di pioggia impregnava tutto di quella casa abbandonata da anni. Uscì dalla porta e aprì l‘ombrello scuro. Sentiva che era ora di tornare alla grande città che aveva sempre vissuto. Sentiva che non avrebbe più rivisto quel villaggio.
Si allontanò veloce con la macchina verso la sua famiglia.
Un fulmine colpì un vecchio albero rinsecchito. Prese fuoco. Ben presto il fuoco si passò da albero in albero. Bruciò le ormai rinsecchite foglie dei vigneti. La pioggia smise di cadere, e il fuoco riempì ogni cosa con il suo crepitio. Passò alle case. I tetti di legno bruciano in fretta.
Quando l’incendio si spense, del villaggio non rimase che cenere.
Non esisteva più. Un mozzicone di candela era sopravvissuto al fuoco, e ancora la sua fiamma andava a guizzi.
Con lei si spense l’ultima traccia.

 
  
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