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Autore: Amy Dickinson    24/07/2014    9 recensioni
E se un giorno, improvvisamente, il cane si rivoltasse contro il suo stesso padrone?
Questa volta mi cimento in una “What if?” ambientata alla fine del primo libro/stagione con protagonisti Sansa e Sandor. Eccone un breve estratto:
“Il mondo era diverso da come Sansa Stark lo aveva immaginato, completamente diverso.
Desiderò con tutta se stessa che [lui] morisse. Lì, in quel preciso momento. E, se aveva mai realmente sentito qualcosa nei suoi confronti, quel qualcosa era definitivamente sparito.
Il Mastino spostò lo sguardo su Joffrey e lo fissò. Il suo duro volto deturpato esprimeva un unico sentimento: puro odio”
Scusatemi per le parolacce, spero il rating vada bene ;)
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Amy Dickinson © 2014 (24/07/2014) 

Disclaimer: Tutti i personaggi appartengono a George R. R. Martin, HBO e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

 

L’immagine in fondo è di © SharksDen



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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia.

 

 

 

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Going home  

 

Il mondo era diverso da come Sansa Stark lo aveva immaginato, completamente diverso. 

Aveva passato interi anni dell’infanzia a fantasticare sul suo futuro innamorato, le magnifiche nozze che avrebbero celebrato, lo splendido castello in cui avrebbero vissuto, la famiglia numerosa e felice che avrebbero costruito insieme. Quando aveva conosciuto il principe Joffrey Baratheon, la fanciulla aveva sperato che i suoi desideri presto si sarebbero avverati. Questo ben prima che suo padre venisse accusato di alto tradimento e poi giustiziato per ordine di quello stesso ragazzo. Solo allora il suo sogno perfetto era andato in frantumi ed il mondo si era rivelato per ciò che era veramente: un enorme buco nero che puzzava di paura, dolore e morte. E solo chi era senza scrupoli sopravviveva in un posto simile.

Sopra la sua testa si stagliava un cielo plumbeo, un vento gelido le scompigliava i bei capelli rossi e le riempiva le narici di odori nauseanti. Si udivano ruggiti in lontananza e, più vicino, il batter d'ali e il forte gracchiare dei corvi, intenti a bacchettare con i caduti di una qualche battaglia della quale non aveva ricordo. 

Perché sono qui? si chiedeva continuamente, angosciata, guardandosi intorno alla ricerca di un volto amico. 

Ne scorse un paio lì, in alto, sulla collina di Visenya, dove sorgeva il tempio di Baelor il Benedetto. Con un sorriso sollevato dipinto sulle labbra, Sansa tirò su l'orlo del lungo vestito e corse in quella direzione. La regina Cersei Lannister era tanto maestosa quanto una leonessa e suo figlio Joffrey, sebbene ancora molto giovane, aveva l'aspetto di un vero re. S’inchinò e rese loro omaggio, ma le sue parole vennero coperte dal frastuono di una folla inferocita che urlava imprecazioni. A morte il traditore! era il grido comune. 

Non capiva. Si volse verso i sovrani per chiedere spiegazioni ma, al loro posto, trovò un patibolo. Eddard Stark, suo padre, era inginocchiato sul pavimento di marmo, la testa china, in attesa. Ser Ilyn Payne incombeva su di lui. 

No! Vi prego, abbiate cuore! Pietà! prese a gridare la ragazza, piangendo a dirotto. 

Ma alla corte dei leoni oro e porpora la pietà non era contemplata.  Finalmente comprese: non aveva amici a King’s Landing, era sola. 

Poi, improvvisamente e senza una ragione, il suo vestito si macchiò. Tante piccole chiazze iniziarono ad espandersi sul tessuto pregiato fino a ricoprirlo del tutto, macchie di un rosso vivo, un rosso sangue. 

In contemporanea, la lama calò sul collo rigido del condannato. Sansa, inorridita e del tutto impotente, lanciò un grido straziante. Poi, buio e fiumi di lacrime sommersero ogni cosa. 

 

La scena si ripeteva mille e mille volte, intervallata solo dai suoi risvegli. Piangeva e piangeva, finché non si riaddormentava, ma l'incubo tornava, sin troppo vivido, reale in modo atroce. E, puntualmente, lei sobbalzava, con le guance rigate dal pianto e la fronte madida di sudore, sentendosi soffocare. Passavano pochi minuti e si raggomitolava nelle lenzuola in preda ai brividi, scivolava nel sonno e tutto ricominciava. Probabilmente, quella fu la notte più lunga della sua vita. 

Giunse il mattino, portando con sé l’odore salmastro del mare, il canto allegro degli uccelli e un caldo raggio di sole, che entrò dalla finestra e superò le tende del baldacchino, arrivando a svegliarla con un bacio.  

Era distrutta. Non ce l'avrebbe mai fatta ad alzarsi, rendersi presentabile, inchinarsi e sorridere. Suo padre era stato ucciso solo il giorno prima e proprio da colui che le aveva giurato amore e promesso giustizia, come avrebbe potuto comportarsi normalmente, come se niente fosse accaduto? 

"Vorrei poter dormire e non svegliarmi mai più" pensò Sansa, sospirando pesantemente. "Potrei far chiamare il gran maestro Pycelle e chiedergli un bicchiere di vino dei sogni. O un’intera caraffa..." 

Lo desiderava con tutta se stessa. Anzi, quello che voleva davvero era scappare e lasciarsi alle spalle quel luogo e tutto il suo squallore. 

Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non presentarsi a corte, possibilmente mai più. Già immaginava un sorriso malevolo espandersi sulle labbra di Joffrey non appena lei avrebbe fatto il suo ingresso nella sala del trono. 

Il filo di quei pensieri venne bruscamente interrotto da uno schianto. La porta della sua stanza era stata aperta con una tale brutalità che la ragazza sobbalzò per lo spavento, pensando che avessero intenzione di scardinarla. Un istante dopo, un ragazzo dai capelli biondi irruppe nella camera con le sue immancabili guardie al seguito. 

«Come sta la mia lady dopo lo spettacolo di ieri?» esordì, esageratamente allegro. 

«Mio lord, i-io...» balbettò lei, coprendosi con il lenzuolo. 

«Vostra grazia» specificò, con una vaga irritazione nella voce. «Adesso sono re»

«Sì, vostra grazia...»

«È tardi per starsene ancora a letto. Ho fatto chiamare la tua serva, oggi è un gran bel giorno per me e ti voglio raggiante, più bella che mai. Hai capito bene?»

Il tono di Joffrey era autoritario, ma quello che la spaventò di più fu lo sguardo crudele che le rivolse. 

«Vostra grazia, vi supplico, concedetemi un giorno per riprendermi. Solo un giorno e vi assicuro che...»

«Assicurami che sarai pronta quando ti farò chiamare. Dopotutto, non hai altra scelta» ridacchiò, voltandole le spalle. «Cane, aiuta lady Sansa. Ser Meryn, con me»

L'uomo che sostava all’entrata annuì e si avvicinò silenziosamente al letto. Alla sua vista, la ragazza desiderò rannicchiarsi contro la parete per stargli lontano, ma rimase immobile dov’era. Il Mastino afferrò la matassa di coperte e la gettò di lato, facendo rabbrividire la fanciulla sotto il leggero tessuto della camicia da notte, poi le cinse la vita sottile con le mani e la sollevò senza fatica, costringendola a stare in piedi. Terribilmente imbarazzata, tentò di coprirsi le gambe nude con le braccia, ma inutilmente. Lui la spinse verso il guardaroba, una spinta lieve, priva di prepotenza. Ciò la sorprese non poco: Sandor Clegane era un uomo altissimo, dall’aria austera, dotato di una forza spropositata e, se l’avesse spinta come faceva solitamente Meryn Trant, l’avrebbe fatta sbattere dolorosamente contro la parete opposta. Invece l’aveva toccata a malapena e in modo quasi gentile. Non appena quelle dita callose non furono più a contatto con la sua pelle, Sansa avvertì un nuovo brivido di freddo sulle braccia. 

Volse la testa e alzò lo sguardo verso di lui, indugiando su quel volto devastato dalle fiamme. La cicatrice era spaventosa e gli conferiva un’aria feroce. Sapeva cosa gli era successo, era stato proprio lui a raccontarglielo, anche se non aveva mai compreso il perchè. Era una brutta storia e Sansa, provando una certa compassione, gli aveva sfiorato una spalla in segno di conforto. 

La guardò a sua volta e allora lei smise immediatamente di osservarlo, chinando il capo e gettando un’occhiata alla porta aperta. Joffrey se n’era andato. 

«Risparmiati altro dolore. Fa’ il bravo uccellino e dagli ciò che vuole» disse Sandor, con la sua voce rude, simile al ringhiare di un cane. 

Poi si allontanò a passo svelto, chiuse la porta e la lasciò sola. 

“Era un consiglio, quello?” si domandò la giovane tra sé e sé, infilando le mani nella moltitudine di abiti appesi ad una serie di gancetti. “Mi chiedo come faccia un uomo come lui a non farmi del male. Ser Meryn non è altrettanto forte, eppure ci riesce benissimo. I colpi del Mastino non sono mai realmente dolorosi, nemmeno quelli sul viso. Che si trattenga, dunque? Ma non ha senso: perché dovrebbe farlo?” 

Scelse un sontuoso abito verde, lo stesso che aveva indossato durante il torneo in onore del Primo cavaliere, quando aveva acclamato Ser Loras Tyrell e applaudito la vittoria del Mastino, seduta sugli spalti accanto a suo padre. Era stato solo pochi mesi prima, eppure sembravano trascorsi secoli. 

«Eccomi, mia signora» esordì la sua serva, entrando. 

 

Le campane del tempio di Baelor scandirono l’ora, annunciando il mezzodì. Sansa sospirò, restando in attesa delle guardie di Joffrey. 

Aveva congedato la donna diverse ore prima, desiderosa di restare sola e sfogare il dolore che si portava dentro. Ned, il suo buon genitore, era morto. Sua madre, Catelyn Tully, era a nord, a casa con Robb e gli altri, troppo lontana perché potesse raggiungerla. Arya era sparita chissà dove. E la sua meta-lupa, Lady, era stata uccisa. Non aveva nessuno con cui potersi aprire. Inoltre, si sentiva direttamente responsabile per la morte del padre. Aveva davvero creduto che Joffrey l’avrebbe risparmiato per amor suo. I traditori, però, raramente venivano graziati, avrebbe dovuto saperlo. A ripensarci, si sentì una stupida.  

“Cosa vuole da me?” si chiese, preoccupata. “Non gli basta aver tradito la mia fiducia?”

Si asciugò una lacrima che stava per scivolare sul mento. 

“E se volesse accusare anche me? Per lui ormai sono solo la figlia di un traditore e potrebbe volersene sbarazzare...”

Tremò. 

“Ma non posso dargli la soddisfazione di uccidere un altro Stark. Lo devo a mio padre”

Se la troppa onestà era costata cara a Ned, lei avrebbe imparato a mentire. Solo così poteva sperare in una qualche possibilità di sopravvivenza. 

Lo specchio rifletteva il pallore cereo della sua pelle liscia e l’azzurro dei suoi occhi umidi, facendola apparire a un tempo bella e disperata. 

Poi la porta si aprì di nuovo. 

«Siete pronta, milady?» chiese ser Meryn, entrando. 

«In verità, io...» rispose con esitazione. «Preferirei non venire»

«State dicendo che disubbidite al re?» 

La fanciulla rammentò con quanta facilità era solito colpirla per ordine di Joffrey, sapeva che l’avrebbe fatto ancora e senza il benché minimo rimorso. Lo sguardo vacuo che aveva negli occhi la diceva lunga su  Meryn: lei era il passatempo del re e per lui contava meno di nulla. Fissò il pugno chiuso rivestito dalla corazza e deglutì a fatica.   

«No, verrò» si arrese, alzandosi dallo sgabello davanti alla specchiera. 

L’uomo si spostò e le fece spazio, quindi Sansa uscì dalla stanza. Sostò per un momento oltre l’uscio e rivolse un’occhiata di disprezzo alla guardia. 

«In voi non c’è onore, ser. Non siete un vero cavaliere» disse, prima di riprendere a camminare. 

Meryn non batté ciglio e la seguì per le scale che portavano alla sala del trono, il volto impassibile come se quelle parole non fossero altro che il semplice ronzio di una mosca. 

Il sovrano era lì, seduto sullo scomodo scranno del potere, la balestra onnipresente nelle sue mani, l’aria decisamente annoiata. Quando il contadino che gli stava dinanzi ebbe finito di esporre il problema, il sovrano aprì bocca ma, anziché aiutare il pover’uomo, sentenziò per lui una terribile punizione. Lo fece portar via, poi fu il turno di un altro. 

Sansa ignorò le occhiate sprezzanti dei nobili e dei cortigiani presenti e si limitò ad osservare il ragazzo con la corona: era avvenente e temibile, un leone giovane e arrogante. Il suo era un aspetto gradevole che, però, celava un animo crudele come pochi. 

“Il mio promesso sposo...” si ricordò, sconcertata. 

Alla fine, dopo aver liquidato in fretta anche l’ultima questione, Joffrey si accorse di lei, quindi si alzò dal trono di spade e la raggiunse con il Mastino alle proprie spalle. 

«Sei splendida» commentò il re, dandole uno sguardo. 

«Grazie, mio signore» rispose lei. 

«È vostra grazia!» l’apostrofò in malo modo. «Non voglio più ripetertelo!»

«Lo terrò a mente, vostra grazia» si costrinse a dire. 

«Adesso vieni con me, voglio mostrarti una cosa»

S’incamminò per un corridoio. Con Sandor e Meryn dietro di sé, la giovane non poté esitare neanche un istante, quindi si affrettò al seguito del biondo. 

Salirono una gradinata fino alla galleria che portava al più alto posto di guardia, da lassù si poteva scorgere la collina di Visenya. Un ampio parapetto di pietra ornava la galleria e in alto sorgevano le merlature, tempestate di picche. Alcune di quelle punte ospitavano sulla propria sommità delle teste umane incatramate. 

«Da questa parte» fece il ragazzo, indicando un camminamento che virava proprio in direzione del parapetto. 

Sansa mise piede sulle assi scricchiolanti e si guardò intorno con aria confusa, domandandosi il perché si trovassero proprio lì. Poi le picche entrarono nel suo campo visivo e percepì una fitta alla bocca dello stomaco. 

«Oh, Dei... No!» esclamò, voltando la testa di scatto e chiudendo gli occhi. «Maestà, io vi imploro, tutto ma non questo!» 

Meryn l’afferrò per le spalle e la tenne ferma, impedendole così un’eventuale fuga. 

«Osserva. Questo qui, proprio sopra di me, è tuo padre. Ecco che fine fanno i traditori come lui» 

Detto ciò, Joffrey alzò un braccio e indicò la prima testa della fila, situata diversi metri più in alto. 

La rossa non si mosse e continuò a tenere le palpebre abbassate.

«Avevate promesso giustizia...» singhiozzò. 

«E te l’ho concessa. Sebbene Stark fosse un traditore, ho fatto in modo che Payne gli desse una morte rapida, pulita. Sono stato anche troppo magnanimo. Quale re è tanto misericordioso con chi cospira contro di lui?»

In effetti, il colpo del boia era stato talmente preciso da staccare di netto la testa dal collo del Protettore del Nord. Ma a Sansa non importava affatto. Colui che credeva l’amasse aveva finito col tradirla spudoratamente, facendo decapitare suo padre. E non lo avrebbe mai perdonato per aver posto fine a quella vita a lei così cara. Avrebbe avuto la sua vendetta, prima o poi. Però sapeva che da sola non poteva nulla contro di lui e restare viva, al momento, era la sua unica priorità. 

Risparmiati altro dolore. Fa’ il bravo uccellino.  

Ricordò le parole del Mastino, che spesso l’aveva definita una debole creatura sempre pronta a piegare la testa e ad ubbidire, anche a costo di ferirsi. Dovette dargli ragione. 

«Vi supplico, lasciatemi tornare a casa. Giuro che non vi tradirò, vi sarò sempre fedel...» 

Il sovrano gonfiò il petto con fare altezzoso e la guardò con freddezza, interrompendola. 

«Ci sposeremo non appena sarai pronta per darmi dei figli, quindi non vai proprio da nessuna parte. Resterai qui e obbedirai ai miei ordini. Ti impegnerai ad essere una moglie devota e pregherai gli dei di darmi dei figli intelligenti. A meno che non tu voglia raggiungere tuo padre...»

Fu costretta a scuotere la testa. 

«Ne ero certo. E adesso obbedisci!» 

Con un sospiro rassegnato, la fanciulla aprì gli occhi e sollevò il capo verso il parapetto, solo allora Meryn la lasciò andare. 

Salì lentamente il muro con lo sguardo, si concentrò sull’asta della picca e scorse la sagoma di una testa. Sapendo a chi apparteneva, fece uno sforzo sovrumano per non mettersi ad urlare, strinse forte i denti e puntò gli occhi sull’oggetto del proprio dolore. Chiunque avrebbe potuto giurare che la ragazza stesse guardando la testa, ma non era davvero così. Ne osservava i contorni, ma i tratti familiari dell’amato volto sembravano essere scivolati via, lasciando spazio solo alla faccia di un perfetto sconosciuto per il quale non provava nulla. Erano spariti l’espressione severa di uomo del nord, il sorriso gentile che rivolgeva ai componenti della propria famiglia, lo sguardo rassicurante che sembrava voler dire: ‘Non temete, ci sarò sempre’. Il malcapitato finito lassù non era suo padre, non aveva niente di lui. Si convinse che era tutto un imbroglio macchinato dal suo futuro sposo, al solo scopo di vederla vacillare, soffrire e così godere della sua perdita. Si autoingannò per sottrarsi a quel giogo crudele, decisa più che mai a non dargliela vinta. 

«Per quanto devo guardare?» domandò allora, nel tono più neutro che le riuscì – non fu poi tanto difficile: le bastò imitare quello di ser Meryn. 

Joffrey parve molto deluso dalla reazione di Sansa, si era aspettato ben altro da lei. Ma non si lasciò abbattere e volle ritentare. 

«Finché mi compiace. Vogliamo continuare?»

«Se vi compiace, vostra grazia...»

Ignorò la sottile vena canzonatoria nella voce della ragazza e le indicò un’altra testa, poco distante dalla precedente. 

«Lì c’è la tua septa, vedi?»

Sansa finse di guardare il capo della donna che era stata la sua educatrice. Nuovamente concentrata, si disse che quella era sì una septa, ma non septa Mordane, perciò non c’era motivo di mostrare apertamente il proprio dispiacere.  

Il re non fece nulla per nascondere l’insoddisfazione, anzi, il suo viso s’indurì ulteriormente. 

«Ho deciso che ti farò un dono. Quel traditore di tuo fratello è là fuori e adesso si fa chiamare Re del Nord, ma non sarà così ancora per molto. I miei uomini lo uccideranno e allora ti offrirò la sua testa, così potrai aggiungerla a quella di tuo padre e della septa. Sarà il mio regalo di nozze»

Dover ascoltare quelle parole era indubbiamente doloroso per lei, ma la rabbia che le montò dentro fu ben più intensa. 

«Oppure sarà lui a farmi dono della tua» sentenziò, gelida, volgendosi a guardarlo negli occhi. 

Per un breve istante pensò di scorgere una scintilla di furore nello sguardo del giovane. 

«La regina mia madre sostiene che un re non debba mai colpire la propria signora. E non lo farò. Ma la tua lingua impudente dev’essere tenuta a freno. Ser Meryn, occupatene tu»

L’uomo la costrinse a girarsi, serrò il pugno corazzato e la colpì con forza in pieno viso. L’impatto del metallo sulla pelle risuonò nell’aria con violenza. Seguì un attimo di silenzio, scandito solo dai suoni lontani della città in fermento. Sansa sentì le labbra bagnate e brucianti, ma non un gemito le uscì di bocca.    

Non siete un vero cavaliere, ser

Desiderò con tutta se stessa che Joffrey morisse. Lì, in quel preciso momento. E, se aveva mai realmente sentito qualcosa nei suoi confronti, quel qualcosa era definitivamente sparito. Poi, un pensiero le attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno. E se il re fosse morto sul serio? Si volse, lo guardò e quel pensiero divenne prima un’ossessione, poi una possibilità sempre più reale. 

Finalmente lo vide sotto una nuova luce, spalancando gli occhi sul mondo dopo averli tenuti chiusi troppo a lungo – occhi nordici, glaciali, come quelli di un meta-lupo.

Il camminamento sotto i loro piedi era formato da assi di legno inchiodate assieme ma, notò, lateralmente era vuoto. Cadere giù da lì significava sfracellarsi al livello sottostante, perché molti metri li separavano. Era proprio un bel salto. Un salto fatale. Per chiunque, anche per un sovrano. 

Mossa dal nuovo intento, la ragazza Stark si avviò decisa in direzione di Joffrey, coprendo quei pochi passi che li separavano, una distanza brevissima fra lei e la liberà. Un sol colpo e il suo destino si sarebbe compiuto. Una scarica di adrenalina le attraversò il corpo, poteva quasi sentire in bocca il dolce sapore della vittoria misto a quello ferroso del sangue e a quello amaro dell’umiliazione subita. 

“Padre, questo è per voi” 

Sollevò il braccio in direzione del re, pronta ad agire, ma qualcosa le impedì di continuare. 

Una grande mano arrivò a stringerle piano una spalla, fermandola proprio un istante prima che vibrasse il colpo. 

«Qui, piccola» 

Girandosi e alzando lo sguardo, Sansa vide il Mastino incombere su di lei e le sue speranze morirono immediatamente, come dissolvendosi in una nuvola di fumo. Non si trovava sola con Joffrey, insieme a loro c’erano ben due cappe dorate, pronte a difendere il giovane a qualunque costo, come poteva essersi illusa di avere una qualche possibilità? E, se anche fosse riuscita ad attuare il piano, come contava di difendersi davanti a quei due possenti uomini? In fondo, si disse, forse era stato meglio così.

Sandor usò la mano libera per estrarre un fazzoletto stropicciato dal proprio mantello, passandolo sulle labbra della lady. Un gesto cavalleresco che la ragazza non si sarebbe mai aspettata dalle guardie reali, specialmente da lui, sempre così rude e taciturno. Si sorprese ancora una volta della delicatezza di cui era capace un uomo di tale stazza. Lo lasciò fare, come fosse momentaneamente ipnotizzata dal movimento della grossa mano. Quando lui ebbe finito, lei si costrinse ad un nuovo atto di coraggio e alzò lo sguardo, incontrando quegli occhi profondamente scuri. Erano meno cupi di quanto ricordasse. Scrutandoli, vide se stessa riflessa in quelle sfere di ossidiana e riconobbe la propria rabbiosa disperazione. Ma non fu l’unica a notarla. 

«Adesso obbedirai, oppure hai bisogno di un’altra lezione?» domandò il sovrano, che sembrava non essersi accorto di nulla. 

Sansa restò in silenzio e si portò un dito alle labbra, sentendole ancora gonfie e pulsanti. Quel folle attimo si era ormai smarrito nell’aria e con esso la sua forza, lasciandola vuota. Poi accadde qualcosa che lei non avrebbe mai potuto, né osato sperare di prevedere. 

Il Mastino spostò lo sguardo su Joffrey e lo fissò. Il suo duro volto deturpato esprimeva un unico sentimento: puro odio. 

«Che hai da guardare, cane?» chiese il ragazzo, accigliandosi. 

La metà sana della bocca dell’uomo si piegò all’insù, l’altra si mosse appena. Fece un passo in avanti e sollevò la mano destra, lasciando cadere il fazzoletto nelle mani della fanciulla. Appoggiò le dita sul petto di Joffrey e, in una frazione di secondo, il biondo sovrano fece prima una smorfia di sdegno, poi di terrore. 

Bastò un tocco lieve e il giovane sprofondò nell’aria estiva, precipitando verso il camminamento sottostante. Come fosse incapace di parlare, gesticolò rabbiosamente prima verso Sandor, poi in direzione di Sansa e infine di Meryn – che non sapeva cosa fare, dato che frenare quella caduta era praticamente impossibile. 

La giovane lady vide il promesso sposo agitarsi nelle vesti rese gonfie da una folata di vento e scivolare inesorabilmente verso il basso.

Quando il corpo si schiantò contro il pavimento con un sonoro tonfo e il sangue iniziò a defluire, macchiando il farsetto porpora e la pietra sottostante, lei comprese che non ci sarebbe stato più alcun matrimonio. Anzi, osservando quegli occhi vitrei spalancati verso il cielo, realizzò che Joffrey se n’era andato. Definitivamente. E non avrebbe più fatto del male a nessuno. 

«Traditore!» 

Mentre osservava il cadavere a bocca aperta, incapace di guardare altrove, Sansa non si era resa conto che il Mastino e ser Meryn avevano iniziato a lottare sull’orlo del camminamento, spada contro spada. Il legno vibrò pericolosamente sotto quei passi pesanti, minacciando di far crollare le assi. Lei si affrettò a spostarsi, andandosi ad accucciare contro il muro del parapetto ed attendendo il termine dello scontro. Non sapeva bene cosa pensare, era frastornata e confusa per la rapidità con la quale gli eventi si stavano susseguendo.  

«Sei in combutta con lei, eh?» gracchiò Meryn, parando un affondo laterale. 

Il Mastino non si perse in chiacchiere e continuò ad attaccarlo senza sosta. L’altro si difese bene, ma non ebbe mai modo di rispondere ai colpi, neppure una volta. 

Sebbene, in quanto guardie reali, fossero entrambi abili combattenti, alla fine il fisico massiccio di Sandor prevalse su quello di Meryn. Quest’ultimo venne spinto di sotto con un calcio e finì disteso accanto al cadavere di Joffrey. 

«Crepa in uno dei tuoi sette fottutissimi inferi, Trant!» esclamò l’uomo con la cicatrice, asciugandosi il sudore dalla fronte con il dorso della mano. 

Lo schianto del ser era stato ancora più rumoroso di quello dell’ormai defunto re, e creò trambusto. Molti servitori iniziarono ad affacciarsi alle finestre dei corridoi che davano verso l’esterno e ben presto si levarono grida di orrore. 

“Se la prenderanno con me, mi incolperanno per quello che è successo e verrò uccisa!” pensò la ragazza, presa dal panico, affondando le mani nei capelli e rovinando l’elaborata acconciatura.  

«Vieni» disse improvvisamente il Mastino, tendendo una mano verso di lei. 

«Io non... Loro mi prenderanno e la regina Cersei...» piagnucolò in modo sconnesso, sentendo una lacrima caderle sulla guancia e desiderando essere altrove. 

L’uomo si piegò in avanti, asciugò rapidamente la lacrima con il pollice e poi afferrò la giovane per un braccio, costringendola ad alzarsi. Quindi se la caricò in spalla, come avrebbe fatto un contadino con un sacco da provvista, e iniziò a correre in direzione della galleria. 

«Ma cosa fate? Sono una lady, mettetemi giù!» protestò lei, sentendo il volto ardere per l’imbarazzo. 

«E sarai una lady morta, se non chiudi il becco!» l’apostrofò lui. 

La corsa fu frenetica e, per ogni scalino che scendevano, la poverina sbatteva contro l’armatura dell’uomo, ciononostante si costrinse a non lamentarsi. 

Furono raggiunti da un gruppo di cavalieri reali, pronti a sbarrare loro la strada e a vendicare il re. 

«Tieniti stretta!» ordinò a Sansa, impugnando meglio la spada. 

«Sei morto, Clegane!» urlarono all’unisono un paio di guardie, lanciandoglisi addosso. 

Non si tirò indietro, attaccò e si difese con maestria, in quello che era il suo inconfondibile stile di combattimento, caratterizzato da colpi rapidi, decisi, brutali. Cercò di fare più in fretta che poté, ma non era facile combattere più avversari contemporaneamente, soprattutto tenendo una ragazza in spalla. Gli attacchi arrivavano da ogni direzione e prevederli era difficile. Non poté pararli o schivarli tutti, si beccò vari colpi, ma se la cavò con ferite minime. Sorprendentemente, nonostante la netta superiorità numerica, furono gli altri ad avere la peggio. 

Sansa, stufa di essere sballottata a destra e a manca e di rischiare di cadere ad ogni occasione, sfogò il proprio nervosismo su uno degli uomini che Sandor aveva già ferito, assestandogli un pugno in faccia con tutta la forza che le riuscì, facendolo accasciare al suolo – più per la sorpresa che per il dolore. La cosa sbalordì perfino lei, non credeva di essere capace di colpire qualcuno a quel modo. Ma la mano divenne subito livida e cominciò a dolerle, allora decise che un pugno era più che sufficiente. Si appigliò meglio al corpo del Mastino e si sforzò di restargli in spalla.   

Dopo quella che alla giovane sembrò un’eternità, l’uomo dal viso arso sbaragliò i cavalieri e riprese la sua corsa. 

Arrivati alle scuderie della Fortezza Rossa, la mise giù. Svelto, armeggiò con la sella di Straniero, il suo cavallo, estrasse un mantello nero e lo pose sulle spalle di Sansa. Lei storse il naso: quel grosso ammasso di lana grezza puzzava di vino acido e sudore di cavallo.   

«Copriti la faccia e non dire una parola» grugnì, quindi la prese per la vita e la issò in sella.  

Salì a sua volta, prese in mano le redini e spronò Straniero, che trottò fuori dalle stalle, verso le porte che recintavano la fortezza. 

«Aprite, è il Mastino!» berciò uno degli uomini di guardia, ignaro di quanto era successo poco prima all’interno delle mura. 

«Ehi, Clegane, con tutto l’oro che ti danno ti becchi sempre le puttane migliori» fece un altro, adocchiando con interesse le forme femminili di Sansa sotto il mantello. «Mai però che condividessi un po’ di carne fresca con noi, eh, bastardo?»

Avvicinatosi a loro, il guardiano alzò una mano verso la ragazza, ma Sandor lo prese per il polso. 

«Questa è mia» sibilò, fulminandolo con un’occhiataccia. «E ora levati dalle palle, stronzo!»

Lo lasciò andare e lo spinse via. Non attese repliche, diede di speroni e superò rapidamente l’apertura.  

In città tutti lo conoscevano e, dato che la notizia della morte di re Joffrey non si era ancora diffusa, non incontrò alcun problema. 

Quando furono oltre la Porta del Leone, il robusto cavallo venne incitato al galoppo e le mura di King’s Landing si fecero piccolissime alle loro spalle. Straniero abbandonò presto la Strada del Re per una via secondaria, più sicura, circondata dall’erba e da file di alberi in fiore. 

Sansa guardava avanti a sé, lei e il Mastino erano così vicini che non aveva il coraggio di voltarsi. La spalla sinistra urtava continuamente contro il petto dell’uomo, le mani con le quali si teneva alla sella si trovavano spesso a contatto con quelle di Sandor sulle redini, infine, quegli arti possenti, superiori e inferiori, sembravano quasi avvolgerla in un abbraccio.  

«Dove stiamo andando?» si decise a chiedergli un po’ di tempo dopo. 

«A nord» le rispose. 

«A nord?» ripeté, incredula. «Quanto a nord, di preciso?» 

«A Winterfell. Ti porto a casa, uccellino»

Mai parole risuonarono più dolci all’orecchio di Sansa. 

«Dite sul serio?»

«Sì»

«E credete che ci arriveremo sani e salvi?»

«Hanno tutti paura di me e, se qualcuno avrà il fegato di affrontarmi o di provare a farti del male, lo ucciderò. Con me sarai sempre al sicuro» 

Nonostante il burbero tono di voce, Sansa apprezzò moltissimo quel che  le aveva appena detto e si sentì sollevata all’idea che un uomo grande e grosso come lui l’avrebbe protetta. Grazie al Mastino era finalmente libera e avrebbe riabbracciato la sua famiglia. Certo, il vuoto lasciato da suo padre era incolmabile, ma ci sarebbero stati sua madre, i suoi fratelli e, con un po’ di fortuna, anche quella piccola attaccabrighe della sorella minore. Suonava tutto troppo bello per essere vero.

«La lady mia madre vi ricompenserà a dovere» 

«Il conio non si rifiuta mai. Ma non è l’unica cosa che voglio» 

«No? Cos’altro?»

«Un posto in cui stare»

Quella risposta la spiazzò. 

«Credevo vi trovaste bene a corte»

«La paga era buona. Ma ormai non posso più tornare là»

Non sarebbe stata una mossa saggia, in effetti, valutò la lady. 

«Posso chiedervi perché l’avete fatto?»

«Perché quello stronzetto mi aveva rotto il cazzo»

Era ardito prendersi gioco del re così vicino a King’s Landing, soprattutto ora che era morto, tuttavia Sansa si trovò d’accordo con lui e le sue labbra si piegarono in un sorriso.   

«Ma non siete tenuto a portarmi via con voi»

«No»

«Eppure è quello che state facendo»

«Quella città è un’autentica fogna. Non è adatta alle persone come te»

«Le persone come me?»

«Ma ripeti sempre tutto quello che senti, uccellino?»

«Rispondete alla mia domanda» 

«Le persone pure, innocenti»

Sansa trovò il coraggio di scostare il cappuccio e guardarlo in faccia per un momento. La terribile bruciatura la spaventava ancora ma molto meno del solito e, notò per la prima volta, la metà sana di quel viso era tutt’altro che ripugnante. 

Continuava a non capirlo, non le sembrava abbastanza come motivazione per uccidere chi gli aveva dato riparo, cibo e soldi. Ma ciò non toglieva che quello che lui stava facendo significava molto per lei e, in preda all’emozione al pensiero di tornare a Winterfell, si ritrovò a confessare a se stessa che quell’uomo avrebbe anche potuto baciarlo. 

«Tu lo sei troppo per continuare a stare in un posto simile»

Aveva detto quelle parole a voce bassissima, come fossero un pensiero uscito involontariamente dalle sue labbra, ma alla ragazza non erano sfuggite. Sansa arrossì a quello che aveva tutta l’aria di essere un complimento e guardò di nuovo avanti a sé, tentando di nascondere il viso dietro una spessa ciocca di capelli. 

Nessuno dei due proferì parola per diversi minuti, finché lei non aprì di nuovo bocca e disse qualcosa che, prima di quel giorno, non credeva gli avrebbe mai detto. 

«Vi sono grata, ser» 

«Non chiamarmi in quel modo»

«Perché?»

«Perché i ser sono solo dei gran coglioni»

Capì all’istante che era meglio evitare quella parola in sua presenza perché, anche se sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, il Mastino restava comunque un uomo pericoloso. Quindi si schiarì la voce e riprovò.

«Beh... Grazie. Davvero»

Lui non rispose, rimase in silenzio e continuò a fissare la strada. Ma la fanciulla era sicura che le avesse prestato attenzione lo stesso. 

Quando ebbero ormai superato Duskendale, l’uomo decise di fare una sosta. Saltò giù da Straniero, aiutò Sansa a scendere e ne approfittò per andare a liberare la vescica dietro un albero. Quando fece ritorno, la lady dai capelli rossi non poté non notare che l’onnipresente cappa bianca era improvvisamente sparita da quelle spalle larghe. Non fece domande, ma lo interpretò come un buon segno: quel mantello era l’ultimo legame con Joffrey e la famiglia reale, ed il fatto che se ne fosse liberato dimostrava che non avrebbe più lavorato per loro. Non era più il Mastino, l’ombra del re, ma Sandor, un uomo libero che apparteneva solo a se stesso. 

Il viaggio proseguì. 

La notte li raggiunse mentre si stavano avvicinando al Tridente e li costrinse a fermarsi in un vecchio mulino. All’interno non c’era nessuno, quindi Sandor stabilì che ci avrebbero pernottato. 

Lui andò a far legna, lei si addentrò nelle stanze adiacenti all’atrio alla ricerca di qualcosa da mangiare. Ma restò delusa: banditi e topi dovevano aver già fatto razzia, poiché nel granaio vi erano solo sacchi vuoti. Fortunatamente però, l’uomo tornò anche con qualche fungo e un po’ di frutta secca, inoltre aveva scoperto che nelle vicinanze scorreva un piccolo corso d’acqua.  

Per la prima volta in vita sua, Sansa accese il fuoco. L’aria era molto umida e, considerando che Sandor avrebbe preferito morire piuttosto che  avvicinarsi troppo ad un focolare, non aveva avuto altra scelta che provarci. Si rivelò più semplice del previsto e si sentì soddisfatta del risultato, era bello potersi rendere utile. 

«Vino?» le chiese a un tratto, alzando il proprio otre verso di lei. 

«No, grazie» declinò l’offerta, mostrandogli la scodella di terracotta che aveva trovato in cucina e poi riempito con l’acqua del ruscello. 

Sandor inarcò il sopracciglio sano e si portò l’otre alla bocca. Bevve un paio di sorsi e poi lo richiuse. Gettò un’occhiata a Straniero, sdraiato parecchi metri più in là, che aveva terminato la sua razione di cibo e stava riposando dopo la lunga e faticosa giornata appena finita. Poi tornò a osservare Sansa. Alla luce del fuoco i suoi capelli irradiavano riflessi dorati e i suoi occhi sembravano pietre preziose di un limpido azzurro. 

«Qualcosa non va?» domandò la ragazza qualche minuto dopo, notando che era intento a fissarla.

«Quando te lo sei fatto, quello?» rispose con un altro quesito. 

Con lo sguardo le indicò la mano, così lei diede un’occhiata al grosso livido che le percorreva le nocche e scosse la testa. 

«Oh, questo. Oggi, mentre stavate combattendo»

«Chi è stato?»

«A dire il vero, ho colpito uno dei cavalieri del re»

L’uomo sgranò gli occhi e una risata proruppe dalle sue labbra, profonda e spontanea quanto improvvisa ed inaspettata. La ragazza apparve sbalordita: lo conosceva da mesi e non lo aveva mai visto ridere.     

«Cosa c’è di tanto divertente?» 

«Ah, pagherei oro per vedere una scena simile!» 

«Beh, quel vigliacco stava per attaccarvi alle spalle e così...»

«E quale di quei cazzoni avresti colpito?»

«Ser Balon Swann, credo»

La risata si protrasse ancora per un po’ e lei si sentì offesa, quindi gli diede le spalle per non mostrare il broncio e il viso rosso di imbarazzo. 

Si girò a guardarlo solo parecchio tempo dopo e lo trovò con la schiena addossata alla parete, gli occhi chiusi e l’espressione rilassata. 

“Che si sia addormentato?” pensò. 

Si alzò in piedi e, lentamente, coprì la breve distanza che si frapponeva tra loro. Premurandosi di non far rumore, si inginocchiò sul pavimento e gli si accostò. Alla debole luce delle fiamme morenti, la cicatrice appariva inquietante, rabbrividì al pensiero del dolore che quel poveretto aveva provato per colpa del fratello maggiore. Ne era spaventata, eppure l’attraeva al tempo stesso. Avrebbe voluto toccare quella metà consumata ma temeva di svegliarlo. 

“Con tutti i lord e i ser che ci sono a King’s Landing, non avrei mai immaginato che proprio tu mi avresti salvato da quella brutta situazione. Ma lo hai fatto”  

Sansa si chinò ancora un po’ e, dopo un istante di esitazione, gli appoggiò le labbra sulla guancia sana, in un bacio delicato. Poi si rimise in piedi e tornò dov’era stata seduta per tutta la sera. 

«Sei stata coraggiosa oggi» disse allora Sandor, facendola sobbalzare. «Ma devi stare più attenta, uccellino. Lascia stare gli scontri, d’ora in poi ci penserò io a difenderti» 

Aveva gli occhi chiusi, così non notò che il viso di lei era tornato a colorirsi di rosa. 

«Domani ci aspetta un’altra giornata a cavallo» continuò, girandosi su un fianco e dandole le spalle. «Mettiti a dormire»

«S-sì» gli rispose, raggomitolandosi nel caldo mantello. «Allora, ehm... Buonanotte»

«‘Notte, piccola» 

Poco dopo lo sentì russare e seppe che si era davvero addormentato. Inspirò profondamente, cercò di rilassarsi e prendere sonno a sua volta. Ma non ci riuscì subito, mille pensieri le affollavano la mente. Era successo tutto così in fretta che solo in quel momento se ne rese pienamente conto. 

Tante, troppe leghe la separavano da Winterfell, ci sarebbe voluto del tempo prima che potesse tornare a scorgere la fresca, familiare neve e gli stemmi alfieri degli Stark lungo la strada. Avrebbe aspettato.  

Ciò che contava era solo che Joffrey non fosse più una minaccia né lo sarebbe stato in futuro e, qualunque cosa fosse accaduta a partire dall’indomani, Sansa era pronta ad affrontarla. Perché stava viaggiando al fianco di un vero cavaliere. A quel pensiero, la fanciulla sorrise e scivolò nel dormiveglia in assoluta tranquillità.  

Non aveva paura, anzi, era felice, come non lo era mai stata prima. Perché Sandor Clegane – sì, il rude, unico Sandor – la stava riportando a casa. 

 

 

 

❤ 

 

 







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L’angolo di Amy

Ciao gente,

siete sopravvissuti alla mia OS anche se un po’ lunga? Bene ^^

L’idea per questa storia me l’ha fornita la fan art che vedete qui in alto (una delle mie preferite in assoluto), mi è bastato vederla per far accendere la lampadina nel mio cervello da hopeless shipper, così eccomi qui. 

Non riesco proprio a smettere di scrivere su di loro, non importa di cosa si tratti, è più forte di me, amo troppi i nostri SanSan ❤ 

Trovate altre mie storie su questa coppia qui e qui

Infine vorrei dedicare questa innocente creatura alla mia lemon cake, Phoenixstein, per la quale provo un affetto che cresce sempre più ogni giorno :3 

Spero tanto che vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa ne pensate, come sempre ci ho messo il cuore ^.^

Amy 

 

  
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