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Autore: Love_in_London_night    24/07/2014    5 recensioni
Devin, scozzese e Parker, americano.
Pensate che il problema sia nella lontananza? SBAGLIATO!
La vera difficoltà è la popolarità, già.
Perché Parker è un attore famoso, ma solo negli Stati Uniti, cosa su cui il suo agente sta lavorando. Devin, invece, è una ragazza qualunque che è fuggita dalla Scozia per chiudere con il passato, e della notorietà di lui non sa nulla.
Cosa succederà tra loro? Perché si ritroveranno ad avere a che fare l’uno con l’altra?
Un modo diverso di vedere il mondo di Hollywood e di come vive chi lo popola. Un patto che porterà più caos che altro nelle vite dei due interessati.
"«Sentimi, buon samaritano, spero tu abbia ragione, perché se scopro che questa città fa più schifo di quanto tu mi abbia detto, ti assicuro che non mi importa per quanto dovrò cercarti, ti troverò e ti prenderò a calci nel culo, anche se sei più alto di me di venti centimetri».
Era una ragazza scozzese dopotutto, il suo bon ton era tutto birra, modi rudi e uomini con il gonnellino, non si poteva pretendere che parlasse come una principessa dispersa in una foresta di fate e unicorni.
Lei non viveva a Narnia."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 4


Se scappi ti sposo

 

«A noi due» mormorò tra sé Parker.
Prese il crostaceo e fissò gli occhi neri e ormai spenti, e si sentì tremendamente in colpa. Come poteva uccidere il povero Tom? Ok, era già morto, ma era sicuro fosse stato diviso dalla sua amata prima di morire per finire poi nella sua pancia. Quindi come poteva infliggerli altro dolore?
Sì, aveva dato il nome a un gambero e sì, aveva fantasticato sulla sua possibile storia struggente.
Di quel passo sarebbe diventato vegetariano, la tendenza del momento tra i suoi colleghi di Hollywood, una moda che lui non aveva mai preso in considerazione, anche perché sapeva che dietro c’erano delle scelte etiche e non prettamente salutiste che gli altri personaggi famosi non prendevano nemmeno in considerazione. E, doveva ammetterlo, amava troppo la carne per pensare anche solo di rinunciarvi.
Si armò di coraggio e mise Tom nel sugo, seguito dai suoi amici.
Quella sera aveva deciso di cucinare per Devin, era un periodo che la vedeva sempre stanca e abbattuta e voleva fare qualcosa per tirarle su il morale. Lei non lo sapeva, ma Parker non era affatto male ai fornelli, andava ben oltre il classico sandwich al burro di arachidi e i mac&cheese già pronti. Certo, non era Gordon Ramsay o Remy, il topolino aspirante cuoco di Ratatuoille, ma non se la cavava per niente male.
Anche perché John gli aveva lanciato la proposta di partecipare a un’edizione di MasterChef per personaggi famosi i cui proventi sarebbero andati interamente in beneficenza, non poteva quindi sfigurare e farsi sbattere fuori dopo cinque minuti perché sapeva cucinare a malapena un uovo e un hamburger.
Insomma, da Aaron Eckhart in Sapori e dissapori aveva imparato parecchio, specialmente come l’atteggiamento giusto in cucina poteva conquistare una donna. Non che ne avesse poi bisogno, dato che Devin stava con lui da qualche mese, ma gli piaceva l’idea di stupirla e corteggiarla in modi diversi.
Anche con il grembiule con scritta la frase ‘bacio meglio di quanto cucino’.
Oh sì, era pronto a dimostrare entrambe le cose e ad applicarsi su tutti e due i fronti con tutto se stesso.
Sentì il campanello e, dopo aver guardato nel videocitofono, aprì il cancello della piccola villa.
Sorrise tra sé. Magari durante la cena si sarebbe macchiato e avrebbe dovuto quindi togliersi la maglia. Uno spogliarello improvvisato avrebbe sicuramente movimentato la parte del dessert. Non era un maniaco, ci teneva a precisarlo, ma sotto quel fronte le cose andavano particolarmente bene, e non gli dispiaceva affatto recuperare il periodo di astinenza forzata in cui si era cacciato prima di incontrarla.
Non era Christian Grey, ma sapeva difendersi molto bene anche da solo.
«Ciao!» la salutò dalla cucina, controllando il pane che aveva messo ad abbrustolire sulla piastra per farne delle bruschette croccanti.
«Mh mh» rispose Devin senza aprir bocca e gettando la borsa sul pavimento alla rinfusa. Si tolse le scarpe da ginnastica  e si prese un attimo per rilassare i muscoli.
Visto? L’aveva detto lui che era sempre stanca e più acida del solito. Nemmeno la Miranda Priestley più incattivita avrebbe potuto competere con Devin e la sua perenne sindrome premestruale.
«Ehi» la accolse in cucina mentre studiava la sua faccia pallida e sbattuta. «Ti senti bene?»
La vide sedersi sul tavolo alle sue spalle. «Ho un po’ di mal di testa».
Poi Devin si accorse di tutto il ben di Dio che Parker stava preparando, lasciandosi andare a un’esclamazione meravigliata: «Wow! Tutto questo per me?»
«Sì». Le sorrise come aveva imparato a fare sul set di qualche commedia romantica, e la vide arrossire prima di volgere lo sguardo altrove.
«Non hai comprato nulla di pronto?» un sopracciglio alzato.
«Niente» rispose fiero. «Malfidente!»
La ammonì prima di avvicinarsi a lei per accarezzarle la fronte con le labbra. No, non scottava per fortuna. Le baciò una guancia per poi arrivare piano alla bocca, bisognoso di quel contatto come se gli servisse per continuare a vivere.
Adorava baciarla e l’avrebbe fatto sempre se possibile. Amava sentire come il corpo di lei reagiva al proprio, abbandonandosi al calore della proprie braccia e circondandogli il collo per avvicinarlo a sé. Sentiva i muscoli sciogliersi, il cuore accelerare e il loro trasporto crescere a ogni secondo.
Anche quella volta non era stata da meno. Il braccio di Devin gli circondava il collo, la mano libera era finita tra i suoi capelli sempre più lunghi, la percepiva ammorbidirsi con il passare del tempo.
Poi però si separò di colpo.
«Non posso».
«E perché?» certo che poteva. Aveva tutto il diritto di violentargli la bocca e abusare del suo corpo. Sì, come aveva immaginato prima, cose che nemmeno in Magic Mike si erano viste. Lui era favorevole.
La vide abbassare lo sguardo, il senso di colpa palpabile tra loro due.
«Oggi ho visto Oliver».
Un sussurro che era arrivato alle sue orecchie forte come un fischio assordante e terribilmente fastidioso.
«Ah».
Non era un segreto che Oliver fosse a Los Angeles, era stato lui a scrivere a Devin un mese prima dicendo che sarebbe capitato in zona – il caso, proprio! – e che avrebbe voluto parlarle, ma lei si era sempre mostrata categorica a riguardo, non voleva saperne. Così Parker si era voluto dimostrare la persona matura e sincera quale era, suggerendole di vedersi per risolvere la questione una volta per tutte.
Le aveva detto che da quell’incontro avrebbe capito molte cose, perché poteva farle comprendere che Oliver era un capitolo archiviato, come invece aprirle gli occhi e mostrarle quanto le fosse sempre mancato. Non voleva stare con una persona che lo accettava come ruota di scorta, non ora che si era innamorato davvero.
Ecco perché la cosa lo feriva, perché non gli aveva detto niente. Nulla dell’incontro, nulla della decisione a riguardo.
E ora quella faccia. Cosa stava cercando di dirgli Devin?
«Mi dispiace non avertelo detto, ma non volevo metterti ansia. Ora però so di aver sbagliato, mi sento in colpa».
Non doveva sentirsi in colpa, non se avesse avuto qualcosa da nascondere.
Quindi la domanda era: aveva qualcosa da nascondere? Qualche confessione orrenda da fargli?
Cazzarola, questo colpo di scena non se lo aspettava proprio. Era sempre stato convinto di doverla incoraggiare a riguardo, fare il perfetto Mr. Darcy e mostrarle la via del vero amore – con tanto di musica di sottofondo – e invece si era ritrovato a sentirsi come il Titanic in procinto di andare contro l’iceberg, incapace di evitare l’impatto: nel bel mezzo di un disastro annunciato.
La sentiva solo lui la voce di Celine Dion in sottofondo?
A proposito di Titanic. Si sentiva come Leonardo Di Caprio agli ultimi Oscar, sapeva di avere la stessa faccia da cucciolo abbandonato in autostrada, ma voleva ostentare indifferenza almeno finché Devin non avesse parlato – cosa che non si risparmiava mai di fare, ecco perché era preoccupato, quella parsimonia non era da lei – e mostrare la sua migliore poker face di sempre. Proprio come Leo davanti all’ennesimo Oscar che gli era passato sotto il naso per andare ad accomodarsi sulla mensola di qualcun altro, sgraffignato  come capitava ormai da anni.
Stupido Oliver che si prendeva ciò che era suo.
No, doveva rimanere calmo e impassibile. Pensare positivo e attrarre verso di sé le forze benevole del mondo come gli avevano insegnato nel corso di yoga, prima di abbandonarlo dopo due lezioni. No, tutte quelle filosofie e posizioni strane non facevano per lui.
«E come è andata? Insomma… Ti ha chiarito le idee?»
Stava mescolando il sugo ostentando indifferenza, in realtà sembrava che all’interno della padella si stesse creando un piccolo tornando. Non era così bravo a fingere nella realtà.
Devin sembrò riprendere colore. «È stato strano. Come… Come vedere uno sconosciuto».
Si vedeva che stava cercando le parole per rendere il caos che aveva in testa, ma era ben evidente la sua voglia di parlare dell’argomento. «Non lo dico per rincuorarti, davvero. Ma è stato come trovarmi davanti una persona che non ha significato nulla, come se non l’avessi mai conosciuta davvero. Un estraneo».
Fece mente locale prima di proseguire: «Più parlava più mi chiedevo perché mai avessi perso tutto quel tempo con lui, mi chiedo dove sia finita la persona in grado di ferirmi e farmi prendere l’aereo per trasferirmi dall’altra parte del mondo. Poi forse ho capito che non è lui a essere cambiato, ma io. E quindi sei subentrato tu nella mia testa, e il paragone tra voi. Mi sono resa conto che non è il modo in cui mi fai vivere, le opportunità che mi dai, ma il modo in cui mi fai sentire che fa la differenza».
Ok, Parker sentiva ancora Celine Dion, ma aveva cambiato canzone. Era forse l’eco di un Allelujah quello che udiva? No perché Devin non si era mai aperta sui suoi pensieri e sentimenti come in quel momento.
«Vu…»
Ma fu interrotto da lei, diventata un fiume in piena. «Con te sono me stessa, vederti stare bene fa sentire meglio anche me. Con lui non era così, non lo è mai stato. Era un continuo accontentarsi per illudermi che tutto andasse bene. Tu mi hai aperto gli occhi, non vedo perché tornare indietro e pentirmene per il resto della mia vita. Non che abbia mai preso in considerazione la cosa, ma tu sembravi così sicuro che potesse essermi d’aiuto questo incontro. È stato imbarazzante e mi ha solo confermato le cose che sapevo già».
Aveva rallentato, abbandonato la modalità mitraglietta per concludere quel discorso con calma e serenità. Molte delle cose che le erano passate per la testa era riuscite a dirle e a ogni frase il senso di colpa nei confronti di Parker era passato, ora doveva solo aspettare che lui aprisse bocca dopo quel monologo, perché era curiosa di capire se fosse pronto a perdonarle quella omissione o se invece avesse decretato la fine di quella storia così promettente e lontano dai flash dei paparazzi, ma che loro stessi – inconsapevolmente – avevano alimentato.
Parker abbandonò la cena per pararsi davanti a lei. Continuava a spostarle i ciuffi dal viso, una scusa per accarezzarla mentre le sorrideva contento.
Per lui non aveva importanza quello che si erano detti Devin e Oliver, né che lei l’avesse tenuto nascosto, l’aveva fatto per non ferirlo, e lo sapeva perché aveva imparato a conoscerla. No, la cosa fondamentale in tutto quello era che Devin aveva capito che lui era la persona con cui lei avrebbe voluto condividere il proprio tempo, e gli bastava.
Mr. Darcy, beccati questo.
Un aplomb impeccabile, meglio di qualsiasi approccio zen o vecchio stampo.
«Lo sai che la tua suona tanto come una dichiarazione d’amore?» la prese in giro. In fondo lui le aveva detto chiaro e tondo di amarla, e lei aveva risposto con un bacio che gli aveva tolto parole, respiri e ogni facoltà di parola, ma aveva avuto paura di ricambiare a voce quel sentimento.
Devin si mise una mano sulla bocca e spalancò gli occhi. Divenne rossa come i propri capelli, ma le scappava da ridere.
Ops!
Forse aveva parlato troppo.
Scrollò le spalle, tolse le dita dalle labbra e sorrise.
«Lo è». Riuscì a dire prima di ridere a cuor leggero, sapeva che Parker con la sua domanda aveva messo a tacere ogni dubbio. Nessun appunto da fare, nessun atteggiamento da rinfacciarle, solo capire quanto in là si fosse spinta con la rivelazione dei propri sentimenti.
«Devin MacLean». Le prese il volto tra le mani sorridendo felice. «Sei una creatura imbarazzante».
Le uniche parole che si concesse prima di baciarla.
Al diavolo il sugo.
 
Nonostante fosse a Los Angeles da sei mesi era stata in spiaggia poche volte.
Da quando aveva iniziato a frequentare Parker lavorare da Alfred era diventato sempre più impegnativo: la gente faceva domande, si prendeva libertà che non erano loro concesse e si permetteva di giudicarla solo perché si vedeva in giro con un personaggio pubblico.
Una situazione che non le andava a genio, inoltre le dispiaceva creare disguidi ad Alfred. Quindi aveva deciso di licenziarsi. Qualche tempo dopo aveva trovato lavoro come assistente di un produttore. Non proprio un lavoro facile ma comunque appagante e frenetico, simile a quello lasciato a Glasgow. Un lavoro meno a contatto con il pubblico ma comunque stimolante, e quello le bastava.
Respirare l’aria dell’oceano era diverso dalla vista brulla e selvaggia delle coste scozzesi, lì a Los Angeles le spiagge erano popolate, gli animali erano abituati alla presenza dell’uomo e la sabbia scottava. Era talmente fine da sollevarsi non solo con le corse delle persone, ma con l’aria che soffiava verso il mare, eppure le piaceva molto.
I tramonti che si tuffavano nell’orizzonte riuscivano a lasciarla senza respiro tanto erano in grado di trasformare la percezione di quella città così dispersiva ed eterogenea, sembravano essere capaci di mettere Los Angeles d’accordo in un’armonia di colori anche i cuori più freddi, come quelli scozzesi.
Si strinse nella felpa grigia che le andava larga dato che era di Parker, l’aria iniziava a darle fastidio.
Aveva raggiunto Parker e i suoi amici in spiaggia dopo aver finito il lavoro, loro erano andati a surfare nelle ore in cui la gente la spiaggia la abbandonava, preferivano ritagliarsi dei momenti per loro, nonostante le onde migliori fossero già passate da un pezzo e l’oceano fosse gelato.
Lo vide uscire dall’acqua e sorrise tra sé.
Sebbene il mondo si stesse accorgendo di Parker Payne, per lei rimaneva sempre e solo un ragazzo qualunque, lo stesso che l’aveva aiutata una sera di cinque mesi prima e non l’aveva lasciata più andare. Raccolse il telo per porgerglielo, si stava facendo crescere i capelli come Chris Hemsworth per il ruolo che di lì a qualche settimana avrebbe iniziato a ricoprire, ed era solito divertirsi bagnandola scuotendosi come un cane appena uscito da una toeletta. Voleva evitare di arrivare a casa infreddolita.
«Tieni». Glielo allungò con sguardo adorante.
Non si era innamorata dell’attore, ma dell’uomo che dietro a esso si celava.
I capelli spettinati e gocciolanti, la muta aperta sulla schiena, il sorriso soddisfatto e lo sguardo malizioso. Forse Devin non aveva le gambe di Blake Lively, ma a lui piacevano perché erano le stesse gambe che gli avvolgevano la vita prima di fare l’amore, e niente avrebbe vinto contro una cosa simile.
«Grazie». Le sorrise.
Avrebbe voluto con tutto il cuore allontanarsi da lei, ma la verità era che quella vicinanza gli piaceva troppo, nonostante in quel momento sembrassero la brutta copia – anche se più giovane – di David Hasselhoff e Pamela Anderson in Baywatch, ma senza costumi rossi dalle sgambature sospette.
L’unica cosa che stonava nel contesto erano i paparazzi in lontananza che sembravano ben intenzionati a far sembrare quel tramonto la notte del quattro luglio in piena festa, o la settimana della moda a New York: per immortalare un momento come quello avevano bisogno ormai dei flash che, manco a dirlo, aumentarono la loro frequenza dopo i gesti di Devin.
Nemmeno in Fireworks di Katy Perry si arrivava ad avere un simile show pirotecnico. Avrebbero bruciato loro le retine di quel passo.
«Prego» rispose lei con un sorriso sempre più sognante, completamente inebetita dall’effetto che Parker aveva su di lei.
Al posto di indietreggiare o allontanarsi aveva mosso un passo verso di lui, appoggiando le mani al suo petto coperto ancora dalla muta. Stava facendo le fusa, nemmeno Brooke Logan con Ridge sarebbe arrivata a tanto.
Voleva baciarlo, e nulla gliel’avrebbe impedito in quel momento.
«Dev… I paparazzi». Non la voleva ammonire, ma solo ricordarle che se non si erano fatti cogliere in un momento intimo era stato per preservare il loro rapporto, cosa che Parker aveva già dimenticato, dato che le aveva circondato la vita con le braccia per avvicinarla ancora di più al proprio corpo.
Si sentiva un maniaco come Stifler di American Pie.
«Si? Quindi?» la voce di Devin era roca ed era possibile che stesse iniziando a strusciarsi languida su di lui, nemmeno Cat Woman avrebbe raggiunto un simile livello di fusa, peccato che la tutina aderente nera la indossasse Parker tra i due. E non sembrava certo Batman.
«Ci stanno scattando un servizio fotografico che nemmeno Johnny Depp ne ha avuto uno così dettagliato» precisò l’attore beato. Ok, sembrava di vedere un rave party in lontananza, la rappresentazione istantanea del Coachella, ma poco gli importava finché poteva stringere Devin.
«Bene, allora diamogli qualcosa da immortalare». Si avvicinò alle labbra di lui, ma voleva lasciargli modo di fare l’ultimo passo davanti al mondo, in fondo agli occhi di tutti era Parker l’uomo della situazione, anche se era Devin a portare i pantaloni tra i due. Ma non era necessario che gli altri sapessero.
«John amerebbe questa cosa». Parker era felice e divertito. Vedere quanto Devin fosse pronta a condividere con i fotografi e – quindi – con il resto del mondo il proprio sentimento lo riempiva di gioia, avrebbero smesso di nascondersi e frenare anche i più piccoli gesti per tutelare la loro riservatezza.
Le sciolse i capelli rossi legati in un chignon, la voleva sentire libera, le ciocche che sarebbero corse a solleticargli il viso.
«Più di te?» Devin scosse la chioma al posto di tirarsi indietro, come a ringraziare per il gesto. Si protese sulle punte dei piedi: specchiarsi negli occhi verdi di Parker era il modo migliore per allontanare ogni ombra o dubbio, anche i fotografi sembravano lontani anni luce in un momento intimo come quello.
«Naaah».
Le mise una mano sulla guancia per accarezzarle lo zigomo con il pollice.
«Allora baciami».
Una richiesta appena sussurrata che Parker non esitò a cogliere.
Poco importavano i flash che sembravano rendere apocalittico quel paesaggio, i paparazzi che sentivano che il loro lungo lavoro di inseguimento non era stato vanificato, anzi, gli amici che li prendevano in giro per quel gesto così sdolcinato e così… loro, perché gliel’avevano visto fare ben più di una volta.
No, loro si sentivano i sovrani del mondo, molto più in alto di Rose e Jack sulla prua del Titanic, soltanto che in loro avevano la certezza che, al contrario dei due protagonisti del film, non sarebbero naufragati.
 
Tra risate e pianti, Paradiso + Inferno, Amore e altri rimedi era passato un anno più intenso di quello che si erano aspettati.
Devin non era tornata a casa perché poco prima delle festività natalizie era venuto a mancare Doug, il papà di Parker. L’aveva così accompagnato fino in Georgia per il funerale, e Devin non avrebbe potuto immaginare occasione peggiore per conoscere la sua famiglia. Nonostante fossero passati mesi da quel giorno, ancora rabbrividiva  a pensare all’abbraccio caloroso che Ellen le aveva rivolto durante il loro primo incontro.
Tra quelle braccia aveva ritrovato la scena di un suo film e saga che le stava a cuore. Ellen le ricordava Molly Weasley e tra le sue braccia si era sentita tanto Harry Potter, era stato come avere di nuovo sua madre accanto a sé e non a un oceano di distanza, la sensazione intima e famigliare che ritrovava quando era a casa.
Ellen non si era risparmiata nei suoi confronti, nonostante le fosse appena morto il marito. Aveva confidato al figlio che era felice di saperlo in compagnia di qualcuno dall’altra parte dell’America, un qualcuno che lo rendesse così felice. Lo vedeva dalle foto che trovava sui siti web e sui giornali, oltre che dalle parole di Parker che trasudavano gioia a ogni telefonata.
Devin l’aveva aiutato a superare il lutto con la propria dolcezza, continuava a proporgli attività differenti per tenerlo occupato e distrarlo, riusciva a dosare comprensione a momenti in cui sapeva di doverlo lasciare solo.
Ed era giunta di nuovo l’estate, peccato che agosto si stesse rivelando più afoso del solito. Devin, abituata al clima imprevedibile e ventoso della Scozia, non era preparata a tanto, eppure era riuscita a non perdere mai il sorriso.
Tutti le facevano notare quanto fosse diventata affabile, sapendo di dover attribuire quell’umore da fata madrina di Cenerentola a Parker e alla sua vicinanza, eppure Devin non raccoglieva mai la provocazione, sorrideva ancora di più e affrontava le proprie giornate con carica e positività.
Fu una sera qualunque che arrivarono davanti alla porta d’ingresso della villa di Parker e lì davanti lui si fermò.
Era pronto a porle una domanda di cui conosceva già la risposta.
«Ti fidi di me?»
«No». Sorrise lei divertita, era chiaro che lui si fosse aspettato un sì in risposta. Difatti vide il sorriso morirgli sulle labbra.
«Simpatica». La ammonì sarcastico. «Chiudi gli occhi»
«E perché?» controbatté diffidente. «Mi vuoi fare uno scherzo?»
Diciamo che quella cosa era sfuggita loro di mano. Da quando aveva cercato di risollevargli l’umore dopo Natale era partita quella guerra silenziosa a suon di scherzi che non si erano fermati più con l’avanzare del tempo. Sembravano la versione non verde e meno invadente di Jim Carrey di The mask, quindi tendevano a guardarsi le spalle per stanare i piani dell’altro, nemmeno fosse stata una missione di guerra come in Black Hawk Down.
«No». Le sorrise in modo tenero questa volta. «Volevo farti una sorpresa».
Calcò le ultime parole sapendo di farle piacere.
«Potevi dirlo subito» rispose con un sorriso elettrizzato stampato in faccia. Inutile dire che ormai aveva gli occhi chiusi.
Parker alzò gli occhi al cielo. «Speravo di non arrivare a tanto. Su, alza le braccia in alto».
Devin stava per aprire gli occhi, un sopracciglio alzato per esprimere il proprio scetticismo.
«Non. Aprire. Gli. Occhi» disse categorico. Non sapeva dire il perché ma si era sentito Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow e la cosa non gli dispiaceva per nulla.
«Su le braccia» continuò con fare sicuro.
Devin sbuffò ma fece come le aveva detto, era curiosa di sapere cosa stesse tramando.
Sentì la felpa leggera scivolarle sul busto per essere sfilata dalle braccia alzate. Certo, facile approfittarsi così della sua altezza da Godzilla.
«Parker…» iniziò incerta cercando di trattenere le risate che iniziavano a nascere in lei. «Certe cose non sarebbe meglio farle in casa?!»
«Sei una pervertita!» Rise lui, lusingato dal fatto che la mente di Devin fosse andata a parare proprio lì e non avesse pensato ad altro. Era stato come essere catapultati in Amici di letto, e la cosa non gli dispiaceva affatto.
«Ma tu mi spogli! Cosa dovrei pensare?» rispose divertita lei. «E comunque ho freddo, quindi se non devi abusare di me risolvi alla svelta la questione».
Per evidenziare il concetto iniziò a saltellare sul posto. In effetti era quello il bello di Los Angeles: nonostante di giorno facesse molto caldo, la sera la temperatura scendeva tanto da rendere necessario portare con sé una giacca leggera o una felpa.
«Stavo giusto rimediando alla cosa».
Devin, trepidante nella sua cecità temporanea, sentì qualcosa avvolgerla. Prima le braccia, poi il busto, Parker le aveva infilato qualcosa addosso.
Toccò il tessuto morbidissimo che le accarezzava il corpo, era come mettere la mano in una nuvola, e lei non aveva mai avuto un simile indumento, per quanto sembrasse una felpa  o un maglione.
Era curiosa di sapere cosa le avesse fatto indossare, anche se, doveva ammetterlo, rimanere senza vestiti addosso nella stessa stanza con lui non le sarebbe dispiaciuto affatto.
«Posso aprire gli occhi ora?» strano modo di farle un regalo, farglielo indossare prima di mostrarlo.
«No, non ancora». Lo sentì aprire la porta di casa, e questo servì a consolarla almeno un po’, perché qualunque cosa stesse architettando Parker era sempre più vicina a lei, di lì a poco l’avrebbe scoperta.
Entrò in casa e sentì freddo, ma il freddo vero, quello che faceva stringere nelle braccia e sentire la mancanza di un cappotto, il freddo che aveva amato in Scozia per ventisei anni. Non che non apprezzasse l’estate, ma non l’aveva mai conosciuta come a Los Angeles negli ultimi sedici mesi.
Avrebbe voluto spalancare gli occhi per capire cosa stesse succedendo, ma sentiva Parker chiudere la porta e muoversi attorno a lei con fare concitato, senza averle mai dato l’ordine di riaprirli, quindi decise di stare al gioco. D’altronde le sorprese le piacevano proprio perché creavano aspettativa ed eccitazione, e lei adorava sentirsi così. Era come essere la protagonista di un film che descriveva la propria vita, amava quella sensazione.
Sentì Parker accendere un ultimo interruttore prima di sistemarsi accanto a lei e metterle qualcosa attorno al collo di morbido, caldo e confortevole, l’ideale per il freddo anomalo della stanza.
«Ecco» disse soltanto lui, come se stesse valutando l’effetto finale.
«Posso?»
«Puoi» rispose impacciato, quasi fosse sicuro di aver combinato più un danno che altro, nemmeno fosse stato Dennis la minaccia o Joey di Friends.
Devin aprì gli occhi e rimase sconvolta.
«Oh mio Dio» mormorò. Si coprì la bocca spalancata con entrambe le mani per poi guardarlo in faccia nel tentativo di comunicare con lo sguardo tutto ciò che a voce non riusciva a dire.
Quella non era una sorpresa, ma una dichiarazione d’amore vivente, come se Parker non gliene avesse mai fatta una, era diventato più esperto di Gerard Butler in P.S. I love you.
«So che ti piace il freddo». Iniziò lui da dentro la sua felpa pesante. «Il Natale, la neve… so che tutto questo ti mancava, dato che non sei potuta nemmeno tornare a casa per le feste, così ho pensato di portarlo da te. O meglio, di fartelo rivivere, per quanto fosse possibile a Los Angeles».
Devin mosse un passo tra la neve finta che ricopriva tutto il pavimento. Era come stare in Lapponia nella casa di Santa Klaus, quello che si vedeva in La vera storia di Babbo Natale.
Avanzò e vide un lampione nella neve, accanto a un armadio. Narnia! Era a Narnia!
Appese per la stanza c’erano luci intermittenti che riproducevano il cadere della neve e le lucette dell’albero. Un pupazzo di neve come quello di Frozen era in un angolo, con un albero addobbato lì vicino.
Era il suo regno quello, si sentiva come Elsa, le stava venendo voglia di cantare nonostante fosse stonata.
Sulla finestra era appesa una foto di Glasgow innevata, come se stessero guardando oltre il vetro il panorama, e in quella accanto c’era un poster 3D di Hogwarts in cui scendevano fiocchi di neve. Continuò il giro per la stanza e vide una coperta di pile bianca con dei cristalli ghiacciati rossi appoggiata sul divano, accanto c’era una piccola riproduzione di una renna, mentre sul muro era appeso un fuoco finto, quelli che si vedevano riprodotti negli schermi.
Il freddo nella stanza era reso dal condizionatore che segnava dieci gradi. Sia lei che Parker indossavano maglioni con delle renne ricamate sopra e le sciarpe: lei Grifondoro e lui Serpeverde.
Il bello di aver scoperto di avere un ragazzo fanboy tanto quanto lei era una piccola grande fangirl.
Non era come stare in Scozia a dicembre, era molto meglio. Andava oltre ogni sua aspettativa e non riusciva a capacitarsi del fatto che Parker avesse fatto tutto quello per lei, per vederla felice.
«Potresti dire qualcosa? Mi sento abbastanza idiota al momento». Si grattò il naso lui in imbarazzo.
«Tutto questo per me?» bisbigliò Devin con la paura di interrompere la magia che si percepiva in quella stanza. Si era avvicinata a lui, non avrebbe voluto essere in quel posto con nessun altro al mondo.
«Sì, volevo vederti felice». Sorrise più rilassato nel poterla abbracciare e constatare quanto fosse stata gradita la sua sorpresa.
«È meraviglioso» mormorò commossa. «È perfetto, e io non posso credere di aver avuto la fortuna di incontrarti quella sera»
«Dovremmo dire che l’alcool aiuta davvero in certi casi» cercò di minimizzare lui.
Adorava poterle dire quanto la loro storia fosse importante, ma sapeva che a Devin certe cose andavano strette, quindi preferiva buttarla sul ridere per evitare l’imbarazzo tra loro. Aveva mille modi per dimostrarle quanto l’amava, non c’era bisogno di ostentarlo.
«Ti amo». Devin gli saltò al collo, contenta come non mai da quando aveva deciso di stare con Parker, il ragazzo che l’aveva aiutata a raddrizzare un periodo storto, non l’attore che si aggirava tra set e premiere per avviare la propria sfavillante carriera.
«Anche io Dev, non sai quanto». La baciò con trasporto senza darle modo di aggiungere altro, andava più che bene così.
Devin si sentiva elettrizzata da quella situazione, era come avere un parco giochi a propria disposizione. Si allontanò da Parker e si abbassò in fretta per poter prendere una manciata di neve finta e tirargliela addosso.
«Scusa» esordì con una risata divertita e per nulla dispiaciuta. «Volevo provare!»
«Ehi, piano! Alcune cose le ho rubate dai vari studios, ma altre le devo restituire». Si era inoltrato  nello scenario costruito da se stesso per sedersi su un bracciolo del divano, fin troppo pacifico per i suoi standard, cosa che mise in allarme Devin.
Decise così di controllare sotto la coperta, i finti regali di Natale sotto l’albero, dietro il caminetto e tra i ciocchi di legno accatastati lì sotto ma no, non c’era traccia di alcuno scherzo, anche se era convinta che fosse tutto troppo perfetto perché filasse liscio. Sapeva che prima o poi sarebbe spuntato un orrendo clown per tormentarla  e farle venire gli incubi, non avrebbe mai dovuto confidargli quella sua insensata fobia. Ma cosa poteva farci lei se i pagliacci erano grotteschi e suo fratello quando era piccola le aveva fatto vedere It, traumatizzandola a vita?
«Cosa stai facendo?»
Lei incrociò le braccia al petto e alzò un sopracciglio. «Sorprendimi».
Una provocazione, una delucidazione sul fatto che fosse impossibile che non ci fossero scherzi.
Parker alzò un angolo della bocca. Nella fretta Devin si era dimenticata di aprire l’armadio, dove avrebbe trovato ad attenderla un clown insanguinato.
Poi un pensiero lo colpì all’improvviso, un ragionamento che quel ‘sorprendimi’ aveva solleticato ma che era andato ben oltre le semplici idee che potevano venire di getto di solito.
Era come essersi reso conto d’un tratto perché la sera in cui l’aveva incontrata e conosciuta non l’aveva lasciata andare, come se le sensazioni nate durante il loro primo incontro l’avessero segnato nel profondo, e il suo essere determinato a non lasciarle sfuggire fosse stato il più chiaro tra tutti i segnali. Un qualcosa che si percepiva prima nello stomaco che nel cuore, anche se le convenzioni sociali – specialmente quelle che Hollywood imponeva – impedivano di agire d’istinto. Ma lui sapeva che se non avesse osato in quel momento come un anno prima avrebbe rischiato di non ritrovarsi lì e perdere tutto. Se non avesse seguito l’istinto ora come allora, non avrebbe mai avuto Devin.
Ecco, in quello era rimasto Parker fino in fondo. Alla faccia delle consuetudini hollywoodiane, dei contratti, degli accordi e di tutte le scartoffie che dovevano per forza definire i rapporti tra le persone.
Era arrivato a quel pensiero in modo naturale, senza averci riflettuto granché, ma con la certezza che quella sarebbe stata l’unica cosa giusta da fare.
Voleva essere stupita? Ci avrebbe messo tutto se stesso.
«Sposami».
Diretto, chiaro e coinciso, non una incertezza nella voce o nello sguardo.
Devin si alzò di scatto, smettendo di colpo di cercare uno scherzo.
Era arrivato così, a parole, eppure il cuore aveva iniziato a martellarle in petto, il sangue ad affluire nelle guance e la testa a girarle sempre di più. C’era qualcosa nel tono di Parker che non sembrava affatto uno scherzo, ecco perché quella parola le aveva fatto attorcigliare le viscere, preda di uno tsunami di farfalle, alla faccia di Blair e Chuck di Gossip girl.
«Sei sicuro?» ansimò in cerca d’aria. «Sei sincero?»
Parker annuì. Poteva leggerle sul viso la sorpresa e il panico, ma ancora non aveva risposto. Sapeva che molto probabilmente aveva fatto un passo troppo lungo e poco ragionato per quel rapporto, per lei, ma non voleva lasciare niente di intentato. Lui lo desiderava, e non capiva perché aspettare a chiederglielo se in quel momento aveva la voglia e il coraggio di proporglielo.
«Sì, te l’ho promesso quando hai accettato di aiutarmi e non vedo perché iniziare a mentire ora. Sposami» incominciò. «Non era una cosa programmata, giuro. Non ho nemmeno fatto tutto questo per proportelo. È stata un’idea insana venuta al momento. Non ho nemmeno l’anello!»
Aveva continuato a parlare, ma Devin era persa e concentrata nei suoi pensieri.
Quando Parker avrebbe finito il suo monologo lei avrebbe dovuto rispondere. Sì o no. Era inutile dire “più avanti”, odiava le donne che rispondevano in quel modo. Che senso aveva? Era come dire sì e aggiungere non ora. Ma se una persona rispondeva in modo affermativo tanto valeva farlo subito, non capiva perché aspettare.
Dio, era una follia. Era stata sei anni con Oliver e non aveva mai preso in considerazione l’idea. Arrivava Parker e dopo un anno saltava fuori con una cosa simile?
Era pronta? No.
Non era la tipa adatta per compiere certe follie, lei adorava la sua routine. Si sentiva un po’ Bridget Jones, ma al contrario della sfigata protagonista lei viveva benissimo in quelle piccole quotidianità.
Aveva fatto solo una pazzia, ed era stata seguire Parker in tutto quello, accettare la sua proposta.
Quel pensiero la colpì come un fulmine a ciel sereno.
Mai una pazzia. In sei anni con Oliver mai una scelta insensata e la relazione era naufragata senza possibilità di recuperarla, lei si era ritrovata da sola dall’altra parte del mondo a inseguire il suo sogno di una grande metropoli, però sola e sconsolata.
Una follia soltanto l’aveva portata lì, da Parker. Se ci avesse ragionato probabilmente non avrebbe avuto niente di quello che possedeva  in quel momento. Non un ragazzo che le preparava la stanza come se fosse dicembre nonostante fuori agosto si facesse sentire, non un uomo che la amasse per quello che era, non Parker che lei aveva imparato ad amare con tutta se stessa in maniera incondizionata.
L’unica azione impulsiva della sua vita si era rivelata l’unica scelta giusta in ventisei anni.
Cosa c’era di sbagliato in lei?
Certo, non era facile stare con Parker, il suo lavoro si era frapposto qualche volta fra loro, eppure fino a quel momento la situazione non era stata ingestibile. Non era come in Notting Hill, ma nemmeno un mare pieno di squali pronti a divorarli. C’erano alti e bassi, eppure erano ancora lì, ben sopravvissuti a ogni tempesta, meglio di Tom Hanks in Cast away.
Parker continuava a parlare per convincerla, ma Devin non aveva sentito una singola frase di quel monologo.
«Sì» sussurrò con lo sguardo perso, interrompendo il discorso di lui.
«Cosa?» non si aspettava una risposta simile.
Era convinto di sentirsi mandare al diavolo, lui e la sua sconclusionata vita.
«Sì» rispose emozionata, con le lacrime agli occhi e la mano davanti alle labbra mentre tentava di sorridergli. «Al diavolo la razionalità, sposiamoci».
Aveva capito che della razionalità non se ne sarebbe fatta nulla se Parker non fosse stato al suo fianco, tanto valeva accantonarla e lasciarla per momenti più pacati, aveva bisogno di emozione e istintività, cosa che riusciva a trovare solo in lui.
Era riuscito a capire come leggerla, a interpretarla e stupirla ogni giorno anche con le piccole cose, non se lo sarebbe lasciata scappare per nulla al mondo.
Devin si sedette sullo schienale del divano, ormai senza forza nelle gambe. Parker la raggiunse con un sorriso radioso che impresse sulle sue labbra, quasi avesse voluto trasmetterle con quel gesto la felicità di cui lei era artefice. Il riflesso della stessa gioia che provava lei.
Erano in mezzo a quel salotto innevato, al centro del loro mondo, e non importava quanto freddo facesse, perché a scaldarli c’era stata l’eco di quella promessa che avevano deciso di mantenere fino alla fine dei loro giorni.
Si era presentata a Los Angeles come fredda e arida, e infine aveva trovato il proprio eroe che l’aveva riportata nell’estate della propria vita.
Aveva lasciato le vesti da regina delle nevi per indossare quelle di una semplice donna innamorata, quasi fosse stata una principessa. Una principessa ribelle.
Quella era la loro favola metropolitana, e non avrebbe avuto un lieto fine, ma una continuazione gioiosa e appagante, perché Devin e Parker erano riusciti a trovare il loro equilibrio.
Sarebbero riusciti a far conciliare tutto, nonostante le enormi differenze tra loro e i mondi in cui si muovevano.
Happily ever after, proprio come il titolo di un film.




Buonasera a tutti!
Scusate se non ho pubblicato ieri, ma alla fine ho completato il capitolo la sera. Anzi, alcune parti, purtroppo, non sono riuscita a rileggerle. Spero non ci siano troppi errori, anche se conto di rileggere il tutto dopo la pubblicazione.
Tengo a precisare che non tutti i film citati nei quattro capitolo sono stati visti dalla sottoscritta, spero di non aver fatto gaffe. Non dirò mai quali, perchè alcuni sono molto famosi, ma io sono a particolare a riguardo.
Non ho molto da dire, se non che - come promesso - vi ho lasciato la storia in questo luglio, anche se di estivo aveva ben poco.
Ora è il mio turno di andare via per una settimana, spero che questa storia possa avervi fatto compagnia!
Sono contenta di aver reso la OS che doveva essere in origine una mini long, perchè a questi personaggi mi sono legata in modo particolare e, come vedete, non avrei mai potuto scrivere una shot, sarebbe stata più lunga di un rotolone regina! Senza contare che la battuta da cui era nata l'idea di questa storia era l'ultimo sorprendimi, quello poco più in alto. Eh no signore, non sono una persona che possiede il dono della sintesi.
Il prossimo aggioramento sarà sempre nelle romantiche, e riguarderà la mia long "Ti ruberò il cuore", spero di postare entro fine agosto, è una storia un po' particolare e ho bisogno di concentrarmi al 100%.
Spero che la storia vi sia piaciuta, ci terrei a sentire le vostre opinioni a riguardo!
Grazie a chiunque abbia letto, recensito o aggiunto la storia, vi mando tanti baci nutellosi.
Se volete mi trovate nel mio gruppo fb: Love Doses.
Vi auguro una meravigliosa estate, a presto, sbaciucchiamenti, Cris.
   
 
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