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Autore: aduial    26/07/2014    3 recensioni
Una bambina sfugge miracolosamente alla distruzione della sua città, unica sopravvissuta di una crudele carneficina. Il suo destino sarà segnato da due incontri. Uno con una coetanea che le darà un nuovo nome e con esso la possibilità di ricominciare. L'altro avvenuto nel buio di una foresta, durante un concerto molto particolare, che la renderà davvero libera. Ma la prigionia più grande non sempre è quella che ti costringe in catene, anche qualcos'altro può togliere ogni briciolo di libertà: la voglia di vendetta.
Stora sospesa.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo quarto
Di nuovo
 
Leylah si accucciò sulla schiena di Gaaren, nel tentativo di evitare che i rami più sottili le graffiassero il volto. Nascosta nel fitto manto che ricopriva il corpo del lupo, la bimba non riusciva a vedere il bosco che, velocemente, sfilava loro accanto. Nonostante ciò, poteva percepire ogni irregolarità del terreno, ogni ostacolo che la sua cavalcatura era costretta a saltare, ogni ramo che le si impigliava tra i capelli. Man mano che proseguivano gli alberi facevano più radi e una luce tenue e rosata si diffondeva nell’aria frizzante.
Giunsero finalmente al limitare della foresta. Dalla posizione leggermente sopraelevata in cui si trovava, Leylah si incantò a osservare il paesaggio, immerso nella soffusa atmosfera dell’alba. A oriente il sole si levava, quasi con pigrizia, valicando le montagne e allungando i suoi raggi sulla pianura. Inspirò a pieni polmoni il profumo di foglie e rugiada, lasciando vagare lo sguardo sui tetti delle case del piccolo paese nel quale aveva trovato rifugio. Alcune case avevano ancora le imposte chiuse, segno che i suoi occupanti ancora dormivano. Da altre finestre, invece, donne dalla’aspetto florido e rubicondo salutavano i mariti, contadini, boscaioli, falegnami, fabbri, in procinto di partire per svolgere i loro lavori. Alcuni già pregustavano il momento in cui sarebbero tornati a casa, quando già le prime stelle si accendevano nel cielo, e le mogli li avrebbero accolto con un pasto caldo e un bacio sulle labbra. Un altro odore si aggiunse a quelli della foresta. Il profumo del pane appena sfornato serpeggiò nell’aria, fino a solleticare le sensibili narici del lupo e della bambina, il cui stomaco gorgogliò di protesta.
Gaaren le scoccò uno sguardo divertito, facendola arrossire. Imbronciata e scocciata gli chiese: «Cosa c’è da ridere? Tutti hanno fame di prima mattina?». Al lupo sfuggì uno sbuffo, simile a una risata. All’ennesima espressione esasperata di Leylah, commentò :«Voi esseri umani siete incredibilmente buffi».
Leylah strabuzzò gli occhi e, balbettando, gli chiese: «Tu parli?».
«Ogni creatura della natura parla. Ognuno ha la sua voce e i suoi modi, basta volerli comprendere. Impara a metterti in ascolto, mia giovane amica» fu la risposta del capobranco.
Riflettendo sulla lezione di vita che aveva appena ricevuto, Leylah tornò a posare il proprio sguardo sull’orizzonte. Fu così che notò una striscia scura che avanzava velocemente da est. Una volta compreso cosa fosse, si accucciò nuovamente sul dorso del lupo. «Gaaren, corri!»
Gaaren si lanciò in una folle corsa verso il villaggio, fermandosi però un attimo prima di raggiungere le case più esterne. Qui fece scendere Leylah, intimandole con un cenno di muoversi. La bambina corse per le strade, incespicando di tanto in tanto sul selciato irregolare, fino ad arrivare a quell’abitazione che avrebbe voluto poter chiamare casa. Affannata si appoggiò allo stipite per riprendere fiato, poi spinse la porta con delicatezza. Questa ruotò sui cardini senza fare alcun rumore, permettendole di entrare e di arrivare al giaciglio che durante le notti precedenti aveva cullato i suoi sonni. Cominciò quindi a rovistare tra le coltri, finché non estrasse trionfante il cristallo.
Si alzò e fece per andarsene nuovamente, ma, giunta sulla porta, si bloccò. Si voltò leggermente verso le scale che conducevano al piano superiore della casa. Si immaginava la coppia che l’aveva soccorsa e accolta come una figlia, lui che abbracciava lei, proteggendola dai pericoli anche durante il sonno. E Serenai, sola nel suo letto, che dormiva tranquilla, con un dolce sorriso dipinto sulle labbra e i lunghi capelli scuri sparsi sul cuscino.
Poteva veramente andarsene e lasciarli in balia della marea nera che stava arrivando, dopo tutto quello che avevano fatto per lei? Presa da una decisione improvvisa, corse su per le scale e aprì la prima porta che si trovò davanti. La camera di Serenai. Eccola lì, distesa sul letto, ma il suo sonno non era affatto tranquillo come si era immaginata, anzi, la bambina si agitava preda degli incubi. Leylah la scosse gentilmente, chiamandola con voce sommessa. Serenai aprì i gentili occhi ambrati, come quelli della madre: «Leylah, che succede? Perché mi hai svegliato?» chiese con voce resa incerta dal sonno che ancora le intorpidiva le membra.
«Serenai, sveglia i tuoi genitori e andatevene, non c’è più tempo. Grazie per quello che avete fatto per me, non vi dimenticherò, anche se probabilmente non ci vedremo mai più» e, lasciandola ancora frastornata, corse via, precipitandosi giù dalle scale. Non aveva tempo di accertarsi che riuscissero a fuggire, se il cristallo fosse caduto nelle mani sbagliate, troppa gente ne avrebbe pagato le conseguenze.
Mentre stava attraversando la cucina, un boato scossa la casa dalle fondamenta. Leylah perse l’equilibrio, andando a sbattere contro il massiccio tavolo di legno. Dal piano superiore giunsero dei tonfi soffocati e capì che gli occupanti della casa dovevano essersi svegliati. Ignorando il dolore del livido al fianco che si era sicuramente appena procurata, si rialzò e, svelta, guadagnò l’uscita. Fuori sembrava essere scoppiato il finimondo e, per un attimo, fu come se fosse di nuovo ad Alahrian. Accasciandosi contro le dure pietre del muro esterno della casa, Leylah chiuse gli occhi, concentrandosi per recuperare la calma. Chiuse fuori tutti i rumori e quando ebbe ripreso a respirare normalmente, riaprì gli occhi. La gente correva e lei ormai sapeva che il pericolo più grande, per chi era piccolo come lei, era quello di venire travolti dalla folla impazzita. Sgusciò rapida tra la selva di gambe, riuscendo a infilarsi in un vicolo deserto. Qui si fermò un attimo per riprendere fiato. Si strinse il petto con una mano e ricominciò a correre, zigzagando tra casse e barili abbandonati. Giunta alla fine, dove il vicolo si immetteva nuovamente nella strada principale, si sporse leggermente per controllare la situazione. Fu così che vide arrivare una decina di esseri d’ombra, come quelli che avevano ucciso sua madre. Soffocando la rabbia e la paura spinse una porta lasciata aperta dai proprietari in fuga e si rifugiò in una casa deserta. Si infilò sotto un letto, sperando che nessuno entrasse per controllare. Purtroppo, però, le sue speranze furono vane. La porta venne aperta violentemente e qualcuno entro a passi pesanti nella piccola stanza. Leylah trattenne il respiro, pregando di non venire scoperta. Dal suo nascondiglio vide solo un grosso paio di stivali neri chiodati che misuravano la stanza, andando avanti e indietro. Poi, semplicemente, se ne andarono. La bambina riprese a respirare normalmente, cacciando indietro in gola un paio di singhiozzi che le erano saliti involontariamente. Poi uscì da sotto il letto e guardò circospetta fuori dalla porta. Nelle strade regnava ancora il caos. Sperando che nessuno facesse caso a una bambina come lei, si lanciò in una corsa disperata, rimanendo sempre rasente al muro per evitare di venire calpestata. Fu così che giunse nella piccola piazza del villaggio, dove i cavalieri neri stavano mietendo più vittime che in qualunque altro luogo. Svelta si accucciò dietro un carro rovesciato prima che uno solo tra quegli oscuri figuri avesse il tempo di notare la sua presenza.
Sporse di poco il capo, in tempo per vedere il più alto e terrificante tra i cavalieri tranciare di netto la testa di una donna urlante. Leylah si tappò la bocca con le mani, per non farsi sfuggire alcun suono, mentre tornava a nascondersi dietro al carro. Gettò un’altra occhiata, per assicurarsi di non venir notata mente si lanciava fuori e, nascondendosi, dietro ogni angolo e ogni anfratto raggiungeva la parte opposta della piazza. Di nuovo coperta dalle alte mura delle case, crollò a terra, sfinita, con i polmoni che bruciavano chiedendo ossigeno. Non le era sembrato che il percorso fosse così lungo all’andata, ma non era quello il momento di essere deboli.
Seppur faticosamente, si rimise in piedi e ricominciò la sua fuga. Finalmente giunse al limitare del bosco e chiamò Gaaren con voce strozzata. In un attimo l’enorme lupo nero fu al suo fianco e si accucciò per farla salire in groppa. In quel momento la sottile cordicella che teneva il cristallo assicurato al collo della bimba cedette e un raggio di luce colpì il pendente, facendolo risplendere di una luce abbagliante. Il cristallo rotolò a terra, cadendo tra l’erba folta e scivolosa. La bimba su precipitò a raccoglierlo, ma, sollevando lo sguardo, notò che uno dei cavalieri aveva assistito a tutta la scena e la stava osservando con un sorriso crudele sulle labbra. Più in fretta che poteva, rimontò in groppa a Gaaren e lo incitò ad andarsene, a tornare nella foresta.
Mentre si inoltravano tra gli alberi, Leylah si voltò e quello che vide le gelò il sangue nelle vene. Un esercito di neri cavalieri si era lanciato al loro inseguimento. Avevano avuto qualche momento di esitazione prima di entrare nella foresta, ma poi, subito incitati da quello che doveva essere il loro capitano, avevano spronato i loro cavalli. Con soddisfazione, però, aveva notato che Gaaren era più veloce e conosceva meglio il territorio. Con estrema sicurezza e facilità evitava gli alberi caduti e le buche che rallentavano l’avanzata dei loro nemici, ma nessuno demordeva. Giunsero fino alla radura, dove Gaaren scambiò alcune concitate parole con Selthia, che Leylah non udì, impegnata a guardare alle loro spalle se i cavalieri neri stessero per sopraggiungere. Quando il primo di loro fece la sua comparsa, lanciò un urlo di avvertimento e il lupo ricominciò a correre verso una parte del bosco che la bambina non aveva ancora avuto modo di esplorare. In pochissimo tempo vennero circondati da tutto il branco, che pareva muoversi come un sol corpo da tanta era la sintonia tra i membri, mentre come centinaia di lucciole impazzite, le fate si disperdevano tra la vegetazione rigogliosa.
Leylah non seppe quantificare il tempo che impiegarono per uscire dal bosco, ma a un certo punto si ritrovarono in un’immensa prateria. Eppure la loro corsa non si fermò lì. Sempre tallonati dai fedeli servitori di Carnilwen, si diressero verso una striscia scura a occidente, che la bimba dedusse essere un’altra foresta, ben più estesa di quella che si erano lasciati alle spalle. Ma appena si furono immersi tra gli alberi, deviarono repentinamente verso nord, inerpicandosi sui pendii di una scoscesa catena montuosa. I cavalieri tentarono di seguirli, ma gli zoccoli dei cavalli sdrucciolavano sul terreno cedevole e non riuscivano a salire con la stessa rapidità ed eleganza dei lupi.  Leylah rimase a guardarli finché, aggirato uno sperone di roccia, sparirono alla vista.
   
 
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