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Autore: Ekaterina Belikova    27/07/2014    4 recensioni
La storia ha inizio il 16 gennaio 1941 a Charleston, West Virginia. In tutta l'Europa imperversa la terribile e distruttiva Seconda Guerra Mondiale e, nonostante, gli Stati Uniti non siano ancora entrati in guerra vengono continuamente mandati volontari, scorte di cibo e armi per aiutare gli Alleati.
Elizabeth "Liz" Williams è la figlia di uno dei più importanti generali dell'Esercito americano e ha appena compiuto diciassette anni. Anche se vive lontano dalla guerra è costantemente preoccupata che il suo adorato fratello maggiore Henry venga mandato al fronte ed è consapevole, a differenza delle altre ragazze della sua età, di quello che sta succedendo nel mondo.
La sera del suo compleanno esce di casa di nascosto per andare a ballare con la sua migliore amica Emma, ma non sa che questo la porterà incontro a un enorme cambiamento di nome James Carter.
Dal testo:
"Era giovedì 16 gennaio del 1941, giorno del mio diciassettesimo compleanno, nonché il giorno in cui la mia vita cambiò per sempre. La mia vecchia vita fu stravolta e spazzata via come un uragano lasciando posto a qualcosa di ancor più bello e allo stesso tempo ancor più terribile. "
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Storico
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Primo capitolo

"Blue Smoke"



 
 
 
 
Era giovedì 16 gennaio del 1941, giorno del mio diciassettesimo compleanno, nonché il giorno in cui la mia vita cambiò per sempre. La mia vecchia vita fu stravolta e spazzata via come un uragano lasciando posto a qualcosa di ancor più bello e allo stesso tempo ancor più terribile.
 
 
 
 
I raggi pigri e deboli del sole invernale non riuscivano a oltrepassare la coltre di pesanti tende che coprivano la mia finestra lasciandomi dormire ancora per un po’. La mia famiglia, però, non aveva le medesime intenzioni.
La porta della mia camera da letto si aprì all’improvviso e un coro – piuttosto stonato – che cantava ‘Tanti auguri’ entrò nella stanza. Che cosa avevo fatto di male? Mi rigirai nel letto mugugnando e tirandomi la pesante trapunta fin sopra la testa. Il miglior regalo di compleanno che avrebbero potuto farmi sarebbe stato lasciarmi dormire almeno fino alle dieci.
-Auguri, Lizzie! –esclamò mia madre con la voce incrinata dalle lacrime. Di solito le persone piangevano sempre ai matrimoni, beh, mia madre piangeva sempre ai compleanni. Soprattutto a quelli dei suoi figli. Sbucai da sotto le coperte e mi misi a sedere sul letto riservando un’occhiata che avrebbe potuto uccidere a tutta la mia famiglia, compreso il cane. Il mio sguardo, però, si addolcì non appena vidi quello che mia madre aveva in mano: una torta con triplo strato al cioccolato, ripieno di gelato al cioccolato e glassa al cioccolato! Una delizia.
-Non si può mai avere un po’ di pace in questa casa! Nemmeno il giorno del proprio compleanno – esclamai offesa e con la voce ancora impastata dal sonno. Dovevo continuare ancora un po’ a tenere il muso, ne andava di mezzo il mio orgoglio.
Mia madre e le mie sorelle Rosalie, Isabelle e Daisy erano sulla porta con luminosi sorrisi a trentadue denti, accompagnate dal mio fratellino Max che stava in groppa al nostro bellissimo ed enorme pastore tedesco, Kyle. All’appello mancavano mio padre e mio fratello maggiore Henry che erano soldati ed essendo in tempo di guerra non potevano di certo starsene a casa, spaparanzati sul divano a guardare la tv e a mangiare la torta al cioccolato il giorno del mio compleanno.
-Non fare la brontolona, Liz – mi rimproverò Rosalie con tono scherzoso.
-Devi spegnere le candeline – mi esortò Isabelle e la mamma si avvicinò al letto con ancora la torta in mano.
Diciassette. Diciassette candeline bianche, una per ogni mio anno di vita. Prima di spegnerle, però, dovevo pensare a un desiderio. Mi venne subito in mente: sapere se papà e Henry stavano bene.
Chiusi gli occhi, pensai al desiderio e soffiai più forte che potei. Aprii gli occhi mentre tutti applaudivano.
-C’è una sorpresa per te, tesoro –disse la mamma dandomi un bacio sulla fronte. Dalla porta entrarono papà e Henry in uniforme e con splendidi sorrisi sul viso. Balzai fuori dal letto, incurante di avere addosso solo una sottoveste, e corsi ad abbracciarli. Papà mi prese in braccio facendomi gli auguri e baciandomi le guance. Poi, mi aggrappai al collo di Henry e lui mi stritolò in un abbraccio spacca costole. Mio fratello maggiore era il quello al quale ero più legata e prima che si arruolasse eravamo inseparabili. Alcune lacrime fecero capolino dagli occhi e scesero sulle guance. Erano lacrime di gioia, però.
Il mio desiderio si era realizzato.
 
Nonostante gli Stati Uniti non fossero entrati ancora ufficialmente in guerra, venivano spesso mandati i soldati americani in Inghilterra per combattere contro Hitler e i suoi alleati. Papà era un generale, un pezzo davvero grosso, quindi non avrebbe mai combattuto in prima linea, ma Henry sì e la cosa mi preoccupava parecchio. A quel tempo, speravo che il nostro Paese non dovesse mai entrare in guerra per non rischiare di perdere la mia famiglia, le persone a cui volevo più bene.
 
-Che cosa ci fate qui? –chiesi asciugandomi le lacrime. Non riuscivo a smettere di sorridere.
-Siamo in licenza, tesoro –rispose papà con la sua voce profonda che si addiceva a un generale dell’esercito americano. Di solito gli ufficiali di grado più alto non tornavano a casa in licenza perché avevano un mucchio di cose da fare, ma potevano tornare a casa per qualche giorno quando volevano. Mio padre si concedeva solo qualche giorno nelle occasioni speciali oppure se non c’era troppo lavoro da fare.
-È fantastico! –esclamai. –Il più bel regalo di compleanno che potessi mai ricevere!
-Vestiti, Liz, e raggiungici al piano di sotto.           Questa magnifica torta ti sta aspettando – disse mia madre uscendo dalla stanza e portandosi dietro tutto il resto della famiglia. Indossai un bell’abito color crema, uno di quelli della domenica, con calze pesanti e un maglione di lana sopra. Scesi le scale e andai nella sala da pranzo pronta a divorarmi la torta.
In casa nostra c’era una tradizione che ho sempre adorato, fin da piccola. La mamma cucinava due torte quando qualcuno compiva gli anni, una la mangiava il festeggiato a colazione e l’altra veniva divisa più tardi con il resti della famiglia ed eventuali ospiti.
Dopo colazione andammo tutti in salotto e ci radunammo intorno al camino acceso per ricevere un po’ di calore. Era il momento dei regali. Quell’anno non mi aspettavo un granché, ma fui sorpresa di vedere la quantità di doni che avevo ricevuto.
Mamma e papà mi regalarono una prima edizione di ‘Orgoglio e pregiudizio’, un paio di orecchini d’argento e ben cinquanta dollari, che all’epoca valevano una fortuna; Henry mi aveva preso una scorta di carta per lettere e buste sufficienti per almeno tre anni e una nuova penna stilografica con il mio nome inciso sopra in lettere argentate; Isabelle e Daisy mi avevano comperato una pochette rossa molto elegante e Rosalie e Max un libro, ‘Guerra e pace’.  Non riuscivo a smettere di ringraziarli per i regali.
-Avete speso troppo – li rimprovero.
-Te lo meriti, Liz – disse mio fratello scompigliandomi i capelli.
 
 
 
Nel pomeriggio, dopo pranzo, vennero a farmi visita alcuni amici e vecchi compagni di scuola, tra i quali la mia migliore amica Emma. Passammo il tempo mangiando la torta e i deliziosi manicaretti preparati da mia madre e dalla nostra governante, Cecilia, ridendo, scherzando, giocando a carte e aprendo i regali che mi avevano portato. Non avevo voluto fare una vera e propria festa, ma solo un invito per pochi amici intimi perché, anche se noi non eravamo direttamente coinvolti, dall’altra parte dell’oceano imperversava una delle più terribili guerra mai viste dall’umanità e la gente moriva ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Non mi sembrava giusto festeggiare mentre altre persone perdevano le loro vite.
 
Verso le cinque e mezza tornarono tutti a casa, dato che era inverno e fuori la luce non c’era già più. Emma, però, rimase ancora un po’ con me. Lei e io ci conoscevano praticamente dalla nascita perché le nostre madri erano vecchie compagne di scuola e grandi amiche ed eravamo inseparabili. Eravamo così diverse, eppure quelle diversità ci rendevano perfette l’una per l’altra.
Emma era sempre allegra e sorridente, aveva una scorta inesauribile di energia, era spumeggiante. E, mentre lei era alta, magra, senza troppe curve, con capelli biondi e occhi così verdi da far invidia alle foglie in primavera, io, invece, ero un pochino più bassa, avevo più curve, capelli castani e banalissimi occhi color azzurro grigiastro. Mi piaceva leggere, immergermi nei miei libri e vivere in quei mondi, ma Emma preferiva leggere le riviste di moda in bianco e nero e dare la caccia agli uomini.
Emma odiava la guerra, ma amava i soldati. Io, invece, non vedevo l’ora di arruolarmi come infermiera volontaria. Intendevo farlo presto e con presto intendevo qualche giorno. Il limite per arruolarsi era diciassette anni e li avevo compiuti proprio quel giorno.
-Stasera usciamo a divertirci –esclamò Emma battendo le mani come una bambina. Eravamo nella camera che dividevo con Rosalie, sedute sul letto a gambe incrociate, una di fronte all’altra.
-Non posso uscire, Emma, non me lo permetteranno. Ci sono un sacco di soldati in giro per la città in questi giorni – risposi con aria leggermente afflitta. Mia madre cercava di tenermi il più possibile lontana dai soldati, a meno che non fossero mio padre e Henry. Credo che avesse paura che potessi scappare con uno di loro o qualcosa del genere.
-Appunto per questo dobbiamo uscire. La città pullula di bei soldati soli che hanno il disperato bisogno di una donna che dia loro calore e amore – disse in tono drammatico mettendo in mostra le due doti di attrice mancata.
-E tu sei pronta a dare loro calore e amore? – chiesi ridacchiando.
-Certo, tesoro, Emma Marie Grayson è sempre pronta a offrire qualcosa di sé a chi ne ha più bisogno. – Oh santo cielo, era tremenda!
-Va bene, verrò, ma non offrirò nemmeno un pezzetto di me a nessun soldato – dissi incrociando le braccia al petto.
-Questo lo vedremo, Liz. Ti aspetterò con l’auto alle nove, dietro alla casa dei Malone. – Si alzò dal letto, mi diede un bacio sulla guancia e uscì dalla stanza.
 
Quella sera sarei dovuta uscire di nascosto dalla finestra e rientrare poi nello stesso modo, tutto senza farmi scoprire dai miei. Dovevo chiedere l’aiuto di Rosalie perché mi coprisse. Così, dopo aver cenato, salii in camera mia con la scusa di voler fare un bel bagno caldo e andare a dormire presto perché ero molto stanca. Feci il bagno e acconciai i capelli con le forcine in modo che cadessero sulla spalla destra in morbidi boccoli.
Una volta tornata in camera trovai Rosalie stesa sul suo letto a leggere. Appena mi vide fece un sorriso e disse: -Tranquilla, ti copro io!
 
La ringraziai e cominciai a vestirmi. Indossai calze trasparenti e più sottili di quelle che avrei portato di solito, un vestito rosso scuro che mi aveva prestato Rose, scarpe di vernice nere con il tacco abbastanza alto, la pochette regalatami da Isabelle e Daisy e il mio inseparabile cappotto grazie al quale mi ero guadagnata il soprannome di Cappuccetto Rosso. Avevo truccato un po’ gli occhi e messo un rossetto rosso che rendeva le mie labbra carnose ancora più piene e invitanti. Ringraziai ancora una volta mia sorella e uscii dalla finestra che dava sul tetto. Arrivata alla fine, lanciai di sotto la borsetta e le scarpe e mi calai di sotto usando la scaletta di legno per i fiori rampicanti che d’estate ornavano questo lato della casa. Una volta con i piedi per terra, infilai le scarpe, afferrai la pochette e sgattaiolai verso la casa dei Malone che abitavano a circa quattro case più in là di noi.
 
Emma aveva parcheggiato la macchina di suo padre sul ciglio della strada ed era intenta a truccarsi quando entrai in auto. Lanciò un fischio che mi fece ridere.
-La nostra piccola Lizzie è uno schianto! –esclamò mettendo l’auto di suo padre in moto.
-Stai molto meglio di me, Emma. Dove andiamo?
-Sciocchezze! Prima andiamo a prendere Pam e Diana e poi al ‘Blue Smoke’ a fare conquiste!
Scossi la testa rassegnata, sarebbe stato inutile discutere con lei e farle capire che non avevo nessuna intenzione di fare colpo su un uomo, tantomeno un soldato.
Sette case più in là viveva Pamela Walker che ci aspettava, insieme alla sua migliore amica Diana Roberts, appoggiata ad un albero mentre fumava una sigaretta. Avevano entrambe lunghi capelli scuri e lisci come la seta e occhi color cioccolato fuso. Pam era estroversa, spigliata e poco incline alle regole e il suo aspetto lo dimostrava. Diana, invece, sembrava più una bambolina delicata, ma aveva lo stesso carattere dell’amica; lei, però, non fumava perché lo trovava disgustoso e diceva sempre che il fumo faceva male alla pelle.
Pam e Diana facevano parte del nostro gruppo di amici più stretti e quando uscivo con loro due ed Emma il divertimento era assicurato. Salirono sui sedili posteriori facendo entrare nell’abitacolo caldo il gelo invernale e l’odore del fumo.
-Spegni quella dannata sigaretta, Pam! – esclamò Diana infastidita. La mora fece come richiesto e buttò quello che ne restava fuori dal finestrino.
-Auguri, scricciolo! –disse Pam sporgendosi dal sedile per darmi un bacio sulla guancia e macchiandomi di rossetto. Diana mi fece gli auguri a sua volta e usò un fazzoletto per pulirmi la guancia.
 
 
 
Arrivammo al ‘Blue Smoke’ nel giro di dieci minuti e faticammo a trovare un parcheggio libero. Il locale era pieno di gente, soprattutto in periodi come questo in cui i soldati erano in licenza. Aveva l’aria di essere un posto davvero vecchio, sembrava uno di quei bar clandestini aperti durante il proibizionismo. E in effetti era così. Il vecchio Bill Turner lo aveva aperto insieme al fratello circa trent’anni prima e da allora aveva cambiato nome un sacco di volte ed era stato chiuso all’incirca una decina di volte.
L’interno era semplice e con pochi elementi di arredamento. In un angolo dell’enorme sala c’era il bar, dietro al quale stava Bill, e il palco dove i musicisti si esibivano. La pista da ballo era enorme e fatta di assi di legno ormai consumato e liscio a causa dell’uso. Per il resto c’erano soltanto una porta dalla quale si accedeva al bagno e alcuni tavolini con tanto di sedie ai lati della pista che ora era strapiena di gente che ballava.
Soldati in uniforme e ragazze con i loro bei vestiti e le loro scarpe col tacco, pronte a rapire il cuore di un uomo almeno per una notte.
Ci sedemmo a un tavolo in un angolo della stanza e ordinammo da bere. Nonostante il vecchio Billy vendesse alcolici anche a chi non aveva l’età giusta decisi di non bere, non lo facevo quasi mai, dato che avrei dovuto guidare io se Emma si fosse ubriacata.
Emma e Pam lasciarono i loro cappotti sulle sedie e andarono in pista a ballare e a ‘cacciare’, come dicevano sempre. Io non ero come loro e Diana era felicemente e ufficialmente fidanzata già da un anno con Lucas Hemmings, nonché il mio migliore amico, che purtroppo ora era in Inghilterra a combattere contro i nazisti a soli diciotto anni.
Quando restammo sole, lei ne approfittò per darmi il suo regalo di compleanno – una spilla a forma di fiocco – e per parlarmi di Lucas. Aveva paura per lui, ma era contenta perché sarebbe tornato fra poco più di due mesi –cose che sapevo anch’io dato che me lo aveva scritto nella sua ultima lettera – e che appena tornato si sarebbero sposati, il che era una notizia fantastica.
-Oh, Diana, sono così felice per voi! –esclamai sincera stringendola in un abbraccio. Emma e Pam ci raggiusero più allegre di prima e con quattro soldati al seguito. Oh no! Che cosa si erano messe in testa quelle due pazze?!
 
 
 
In quel momento non lo sapevo, nemmeno lo immaginavo, che tutto stava per cambiare e non a causa della guerra.
 
 
 
Uno di loro aveva la mano attorno alla vita di Pam e le stava dicendo qualcosa all’orecchio facendola ridere; un altro correva dietro ad Emma scodinzolando come un cagnolino.
-Guardate un po’ che cosa abbiamo trovato! – esclamò Emma riprendendo il suo posto sulla sedia. Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo per non sembrare maleducata.
-Signore, è permesso? –chiese gentilmente il ragazzo che teneva Pam stretta a sé. Annuii.
Quello che mi colpì più di tutti fu il più silenzioso e appariscente, ma era anche il più bello e affascinante di tutti. Aveva i capelli biondo scuro e impomatati, occhi così azzurri da sembrare di ghiaccio, zigomi ben pronunciati e labbra rosso scuro. Sembrava avere sui venticinque anni. Sull’uniforme c’era un distintivo dallo sfondo azzurro e una medaglia al valore. Significava che era un ufficiale di grado abbastanza alto per uno della sua età – per la precisione maggiore -, e che aveva combattuto sul fronte.
Pam si occupò delle presentazioni: il suo soldato si chiamava Ethan Miller, quello di Emma Dave Coleman, il terzo –che aveva puntato Diana, ma non aveva nessuna speranza – Frankie Smith e James Carter era l’ufficiale.
-Stasera bisogna festeggiare! – esclamò Pam ordinando un altro giro di drink per tutti.
-Già, il nostro James è appena tornato dall’Inghilterra e dopo mesi di solitudine ha bisogno di una donna! – disse Dave bevendo un sorso di birra. James gli lanciò un’occhiataccia.
-Ed è anche il compleanno di Liz!
Pam poteva anche starsene zitta, non c’era alcun bisogno di sbandierarlo ai quattro venti. E si notava da un miglio di distanza che stavano cercando
-Allora brindiamo: a James e Liz! – esclamò Ethan portando in alto il bicchiere e imitato da tutti tranne che da me e James. Sembrava quasi a disagio a stare in mezzo alle persone. Non sapevo esattamente cosa avesse visto in combattimento, ma lo aveva segnato per sempre. Nei suoi occhi incredibilmente belli vedevo morte, sangue, cenere, dolore…
-Com’era lì? È vero che la gente muore in continuazione? –chiese Pam a James. Dio santo, non si poteva chiedere una cosa del genere. Certo che la gente moriva, dannazione, eravamo in guerra!
-Hey, tu! –dissi rivolgendomi a Frankie. Mi guardò sorpreso dato che non avevo parlato molto quella sera. –Diana adora questa canzone quindi portala a ballare. Ricordati, però, che è fidanzata e che fra poco si sposerà quindi non azzardarti a toccarla più del necessario, soldato!
-Sissignora! – esclamò e stava quasi per farmi il saluto militare il che mi fece ridere. Portò Diana in pista e Pam ed Emma li seguirono insieme ai loro cavalieri.
Ero riuscita a evitare quell’argomento così spinoso e doloroso per James.
 
-Grazie! –La sua voce era la cosa più virile, sensuale, dolce ed erotica cosa che esisteva al mondo. Alzai lo sguardo verso di lui e davanti a quegli occhi mi sentii nuda, come se mi avesse privata di tutti i vestiti e mi stesse guardando dalla testa ai piedi e persino dentro di me. Arrossii.
-Mi dispiace, Pam può sembrare superficiale ma è una brava ragazza. Non ha ancora realizzato che cosa sta succedendo, vive ancora nel suo mondo ovattato.
-Forse è meglio così. Beata innocenza - disse malinconico.
-Oh, Pam è tutto tranne che innocente – ribattei scoppiando a ridere e lui mi seguì. Aveva una risata così bella che mi faceva tremare il cuore.
-E tu sei innocente, Elizabeth? –chiese con un tono di voce più basso, serio e sensuale. Era come se mi avesse chiesto qualcosa di scandaloso o tremendamente erotico. Divenni ancora più rossa in volto e non riuscivo a fare altro che tenere lo sguardo puntato nel suo. E poi, nessuno mi chiama Elizabeth perciò la domanda sembrò ancora più intima di quanto non lo fosse.
-Più di lei, maggiore! –risposi evitando di mordermi il labbro. Ed era vero, non solo il mio corpo ma anche la mia anima, il mio spirito erano più innocenti dei suoi. Non avevo fatto le esperienze che aveva fatto lui e non avevamo visto le stesse cose. Solo in quel momento mi accorsi di quanto fossimo vicini l’uno all’altra, fisicamente intendo, perché a quanto pare mentre stavamo parlando ci eravamo avvicinati inconsciamente.
-Ti va di andare a fare una passeggiata fuori di qui? –chiese e io accettai subito, senza pensarci su. Non avevo paura di lui, della differenza d’età fra di noi, della sua esperienza, del fatto che fosse stato lontano da una donna per mesi perché una persona che mi faceva sentire come James Carter mi faceva sentire non poteva farmi alcun male.
Lasciai un biglietto alle mie amiche sul tavolo, scritto con una matita su una cartina per sigarette:
 
 
‘Sono uscita per una passeggiata con il maggiore Carter, mi accompagnerà lui a casa perciò non preoccupatevi. Ci vediamo domani.
Liz’

 
Infilai il cappotto, afferrai la pochette e uscii dal ‘Blue Smoke’ aggrappata al braccio del maggiore.
 







Angolo autrice:

 
Salve a tutte/i!
Questa storia è racchiusa in un cassetto da circa quattro anni. L'ho abbozzata in seguito a un sogno che mi aveva particolarmente colpita e poi l'ho lasciato perdere. In questi quattro anni l'ho ripreso/corretto/ modificato diverse volte, ma non mi sono mai decisa a pubblicarlo. Credo che sia arrivato il momento.
Elizabeth e James sono con me da così tanto tempo che mi sembra di conoscerli, sono parte integrante di me. Li ho nascosti per troppo tempo.
Una settimana fa ho deciso di tirare fuori il quaderno nel quale erano racchiusi, spolverarlo e iniziare a scrivere e ad approfondire la loro storia di vita, d'amore, di guerra.
Voglio sapere che cosa ne pensate, se ne vale la pena continuare e anche eventuali consigli.
A presto :)
  
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