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Autore: Mokusha    27/07/2014    4 recensioni
Non riusciva a capire come si potesse provare così tanto disgusto per qualcosa che ai suoi occhi era semplicemente bellissimo.
Genere: Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Molko, Stefan Osdal
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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YOU KNOCK ME OFF MY FEET LIKE HEROIN.
(but your embrace is much warmer)


Brian guardava Stefan, ma non riusciva a vederlo. Voleva disperatamente vederlo, ma non ci riusciva. Era tutto sfocato e luminoso, troppo luminoso. Sapeva che il bassista gli stava davanti, e continuava a chiamarlo e a chiedergli cosa non andasse, ma lui proprio non riusciva a vederlo, e soprattutto non era in grado di capire quello che gli stava chiedendo.
“Brian, Brian, cos’hai?” Stefan stava ripetendo la stessa frase da dieci minuti buoni, cercando in tutti i modi di entrare nell’universo in cui l’amico sembrava essere smarrito. La sua voce era piena di terrore, la scomoda consapevolezza di quello che gli stava capitando sprofondava pesante nel suo stomaco. Guardava il cantante negli occhi, tentando disperatamente di scorgere anche solo uno spiraglio di quel blu così inumano da mettere quasi soggezione, ma non faceva altro che sprofondare nel nero.
Lo afferrò per le spalle e lo scrollò.
“Brian!” gridò “Cos’hai fatto?”
L’altro parve rinsavire per un momento, ma subito il suo sguardo tornò vacuo.
Lentamente, Brian sollevò una manica della maglietta leggera che indossava, tirandola su fino al gomito e gli mostrò l’interno del proprio braccio.
Stefan aveva visto Brian al suo peggio innumerevoli volte, spesso aveva addirittura partecipato alla sua autodistruzione, ma non era comunque pronto alla vista di quelle vene martoriate, dei lividi, dei buchi. Era convinto che ultimamente avessero costruito qualcosa, qualcosa che valesse la pena di essere salvato e protetto, qualcosa di bello, pulito e puro.
Si sforzò di staccare gli occhi dallo scempio che il cantante aveva inflitto a sé stesso per riportarli sul suo viso.
Stefan non aveva problemi ad accettare i marchi che gli aghi avevano sfacciatamente lasciato sul corpo di Brian, lui lo avrebbe amato anche rovinato, ogni volta che il suo sguardo si posava su quella creatura, tutto ciò che vedeva era amore. Lo amava in un modo talmente intenso da essere doloroso, quello che provava era simile alla più pura ed incondizionata venerazione e quando lo vedeva auto infliggersi dosi di disumana sofferenza, qualcosa dentro di lui si spezzava.
Sapeva di appartenergli irrimediabilmente: Stefan era, di fatto, di Brian. Da sempre. Fin dai tempi delle scuole, quando vedeva quel mocciosetto con il cielo negli occhi girare per i corridoi con il vuoto attorno, ma a quel tempo era troppo giovane, e troppo stupido per avvicinarsigli, perché Brian era troppo poco conformato, troppo lontano dagli ideali che dei liceali idioti si ostinavano a voler rispettare, e con il senno di poi, troppo straordinario, per entrare a far parte della sua vita. Solo dopo quell’incontro in metropolitana, Stefan si era reso conto di quanto quell’androgino ragazzino lo intrigasse, e ogni difesa era crollata di fronte al suo immenso talento e alla sua impressionante mente. Brian, con la più pura essenza di sé stesso era riuscito a conquistargli l’anima e ad impadronirsene senza che il ragazzo potesse scamparne.
Gli si era donato senza la minima esitazione, imparando però che non avrebbe mai potuto averlo completamente. Brian non sarebbe mai stato suo. Non era nemmeno di sé stesso, lui apparteneva all’arte e ad un’oscura e gelosa meraviglia  tessuta di magia e demoni. Tanti, troppi, demoni che lo straziavano da dentro senza concedergli un attimo di respiro.
Stefan aveva scoperto che Brian era la sofferenza personificata, vittima di una distruzione incontrollabile. Aveva imparato che quel suo modo di guardare chiunque come se gli provocasse fastidio non era che un’enorme proiezione dell’odio per sé stesso. Non riusciva a capire come si potesse provare così tanto disgusto per qualcosa che ai suoi occhi era semplicemente bellissimo.
Con il tempo, aveva intuito che nessuno gli aveva mai insegnato ad amarsi, e nessuno lo aveva fatto sentire amato per quello che realmente era, tutti avevano cercato di spingerlo lontano da sé, portandolo così a voler annientarsi a tutti i costi.
Stefan aveva deciso che non gli importava quanto gli sarebbe costato, Brian valeva la pena di tutto, gli avrebbe insegnato ad accettare di essere amato, gli avrebbe dimostrato quanto amore meritasse, e che doveva semplicemente lasciare che lo avvolgesse e sprofondarci senza riemergere mai.

Brian lo guardava, distrutto, pallido, un velo di sudore gli imperlava la pelle del viso, un viso talmente unico che Stefan non aveva ancora trovato un aggettivo per definirlo, spaventato, l’espressione di smarrimento misto a vergogna lo facevano sembrare ancora più piccolo, il bassista aveva paura di proferire anche un solo respiro, temendo che lo spostamento d’aria avesse potuto farlo crollare.
Aveva ancora il braccio proteso verso di lui, la manica sollevata, non si era mosso.
“Aiutami.” soffiò.
L’anima del ragazzone si accartocciò a quel sussurro, gli mancò il fiato, un sibilo sofferente proruppe dalle sue labbra.
“Ti prego.” supplicò Brian.
Delicatamente Stefan afferrò la mano del compagno e gli fece abbassare il braccio, quasi come se fosse una bambola di porcellana. In cuor suo, aveva sempre usato quella metafora per definirlo.
“Non voglio una comunità, Stef, io…”
La voce di Brian era distorta e rischiava di spezzarsi ad ogni parola.
“Okay.” lo interruppe in fretta “Okay. Ti aiuterò. Ti aiuterò io. Da quanto hai ricominciato?”
Gli occhi del cantante guizzarono via dallo sguardo del bassista e si puntarono al pavimento, le labbra si serrarono in una sottile linea chiara e tutto il suo corpo si irrigidì.
Stefan accorciò la distanza tra loro e gli appoggiò nuovamente le mani sulle spalle.
“Se vuoi che ti aiuti devi dirmelo, Brian.”
Per quanto il cantante si sentisse estraneo al mondo, la nota angustiata di disperazione che tingeva la voce dell’amico non poteva sfuggirgli.
“Un paio di settimane.” mormorò “Solo un paio di settimane, Stefan, posso… Posso liberarmene.”
Il ragazzo sopirò. Con l’eroina non si trattava mai solo di un paio di settimane.
Era fatale, demoniaca, viziosa, si insidiava nell’anima fino a diventarne il più oscuro, estenuante, ridondante bisogno.
“Non sarà facile.” lo avvertì.
Brian annuì, non era estraneo a certe esperienze.
“Voglio farlo.” spiegò “Voglio davvero.”
“Okay.” fece Stefan. “Mi fido di te. E voglio che tu ti fidi di me. Cerca…” deglutì, cercando di cacciare giù l’oppressione che gli premeva in gola “Cerca di ricordartelo, nelle prossime ore. Affidati a me.”
Brian non disse niente, seguì l’altro nell’ampio bagno dell’appartamento, la stanza, purtroppo, più adatta in cui affrontare la nottata che gli si prospettava davanti. Si lasciò scivolare sul pavimento, appoggiando la schiena alle piastrelle del muro. Strinse le mani a pugno, per cercare di contenere il tremito che aveva già iniziato a scuoterlo, e chiuse gli occhi.
Stefan si sedette di fronte a lui, abbracciandosi le gambe e poggiando il mento sulle ginocchia.
Nessuno dei due parlò più, aspettavano, silenziosi, che l’inferno si scatenasse.
Il giovane Olsdal conosceva molto bene la crisi d’astinenza, e non ne avrebbe augurato le pene neppure al più sadico dei killer.
L’idea di essere costretto a guardare Brian attraversarla senza poter fare assolutamente nulla per portargli sollievo, lo distruggeva.

Un gemito sommesso spezzò il silenzio, la testa di Stefan scattò.
Brian si copriva gli occhi con le mani e tremava convulsamente, i capelli, già impregnati di sudore erano appiccicati alla fronte.
Subito le mani del bassista corsero a quelle del cantante, cercando di spostarle, senza risultato. Stefan lo chiamava, cercava di scuoterlo e di strapparlo a qualsiasi orrore stesse vedendo, ma non ci riusciva. Non poteva, perché il compagno era lì solo fisicamente, la sua mente era altrove e una psichedelica, malsana oscurità la stava divorando.
Brian vedeva tutto distorto, ogni cosa era spaventosa e perversamente sbagliata. Il terrore che lo possedeva lo immobilizzava, e lui non poteva scappare, era costretto ad assistere a quell’orrore fino a che non l’avesse consumato.
Le allucinazioni erano così vivide e realistiche che presto dimenticò di aggrapparsi ad un mantra di “non è reale, non è reale” febbrilmente ripetuti.
Brian vedeva colori trasformarsi in demoni, segreti e incubi, vedeva le sue fragilità e insicurezze personificarsi e schiacciarlo, il tremore era così forte da spaccargli le ossa e lui voleva solo fuggire via, sballarsi tanto da fottersi definitivamente il cervello.
Non riusciva a parlare, non riusciva a chiedere aiuto, non riusciva ad urlare il dolore opprimente che lo sopraffaceva.
Stefan non si era mai sentito tanto impotente in tutta la sua vita, avrebbe voluto strappargli di dosso quella sofferenza e stringerlo, oh, sì, stringerlo come se non fosse mai stato abbastanza e affogarlo nel proprio amore.
Ma l’espressione di dolore che deturpava il viso della sua piccola fragile bambola, lo immobilizzava come se fosse stato incatenato al tavolo delle torture dell’Inferno e non osava toccarlo.
All’improvviso Brian spalancò gli occhi, le pupille avevano smesso di inghiottire le sue iridi blu.
“Mi divorano!” gemette.
Il brivido che percorse le spina dorsale di Stefan rimbombando in ogni sua vertebra avrebbe tormentato a lungo i suoi incubi.
Gli prese una mano, ma l’altro si divincolò all’istante dalla presa.
“Mi divorano!” singhiozzò di nuovo.
“Sssh, Brian, no. Non c’è niente qui, ci sono solo io. Nessuno vuole farti del male, nessuno. Non è reale, ti prego, ti prego, torna da me.”
Stef si rendeva conto di quanto fosse ridicolo che fosse lui a supplicare, ma non poteva farne a meno, man mano che le ore passavano la situazione si faceva sempre più inesorabilmente straziante.
Una scarica di dolore, a Brian parve che si sprigionasse direttamente dal proprio cervello, gli scosse le viscere, e non poté trattenere un guaito che distrusse quasi tutta la buona volontà a cui Stefan si stava appellando per non lasciarsi prendere dal panico.
“Mi divorano.” pianse.
“Chi?” domandò l’altro, disperato. “Chi ti divora, B?”
Brian lo guardò per un momento eterno, Stefan quasi si sciolse in quel tormentatissimo oceano.
“Le fiamme.” mormorò.
Al cantante sembrava che la propria pelle stesse andando a fuoco, e, se fosse stata ancora intatta, avrebbe dato l’anima per avere un qualsiasi arnese per spogliarsene.
Il fuoco si stava cibando di lui, e niente poteva dargli sollievo, era condannato ad incenerire.
Sussultò, si voltò verso la tazza appena in tempo per poterci riversare all’interno tutto il contenuto del proprio stomaco.
Il tocco gentile e appena accennato di Stefan sul proprio viso sembrava lontano, un sogno, un’utopia che non avrebbe mai meritato.
Il bisogno di sballare si era fatto così viscerale che si voltò di scatto verso Stefan, strinse la stoffa della t-shirt che il ragazzo indossava e lo attirò verso di sé.
“Ti prego.” supplicò. “Ti prego, Stefan dammi qualcosa.”
Il ragazzo si inumidì le labbra secche.
“No, Brian.”
“Ti prego. Ne ho… Ne ho bisogno.”
“No. Hai bisogno di altro, non di quella merda.”
“Dammi qualcosa. Dammi qualcosa. Dammi qualcosa, Stefan, qualsiasi cosa, ma ti prego non lasciarmi così.”
“Io non ti lascio…” biascicò Stefan “E ti darò qualunque cosa tu vorrai, qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno. E’ una promessa. Ma io devo salvarti, non ucciderti.”
Brian serrò gli occhi e scosse la testa, perché Stefan non capiva che non avrebbe mai potuto sopravvivere senza una dose e che ne aveva bisogno all’istante?
Si alzò in piedi, traballante, sostenendosi al lavandino.
Il proprio riflesso lo sbeffeggiò allo specchio, urlandogli in faccia fallimento e debolezza.
“Dammi qualcosa!” urlò sbattendo i pugni contro la parete di vetro.
Il suono dello specchio in frantumi era lo stesso dell’anima di Stefan che si rompeva in miliardi di frammenti. 
Brian crollò di nuovo sul pavimento, tra i cossi, schegge di vetro gli avevano ferito i polsi e il sangue colava caldo sulle sue braccia.
Cominciò a piangere, non aveva più ritegno, più vergogna, più dignità, si sentiva un rifiuto umano rigettato dal mondo, indegno, sbagliato, un abominio mostruoso, incompleto, indefinito, senza forma né essenza.
Stefan cercava di farlo stare fermo, ma lui scattava al minimo contatto.
“Fermo!” ruggì, devastato “Devo.. Devo medicarti. Per favore, per favore. Per favore, Brian, sta fermo. Fidati di me. Sono io, B, fidati di me.”
Il cantante si limitò a mugolare piano e a sussultare di tanto in tanto mentre l’altro gli puliva le ferite e gliele fasciava.
“Perché vuoi distruggerti?” mormorò Stefan.

Molko non lo sentì neppure, così come non udì il sussurrato “…e fare a pezzi anche me.”. Non sentiva neppure il dolore ai polsi.
Adesso era il freddo a fare da padrone, un gelo che toglieva il respiro a cui avrebbe potuto rimediare solamente con un’altra dose di pericolosissimo calore iniettata nella prima vena sana che fosse riuscito a trovare.
Impallidì ulteriormente, le labbra assunsero un’innaturale sfumatura violacea sotto lo sguardo angosciato di Stefan, che riconobbe un debole briciolo di sollievo farsi strada nel suo cuore. Il freddo era l’ultima fase della crisi d’astinenza.
Aprì il rubinetto della vasca facendo scorrere l’acqua bollente. In poco tempo il vapore riempì la stanza. Avvolse Brian negli asciugamani, tremava così forte che non riusciva nemmeno a rendersi conto di esistere, e lo fece immergere.
Il cantante si aggrappò a lui con talmente tanta forza, che malgrado la notevole differenza di statura, riuscì a trascinarlo con sé nella vasca da bagno.
“Stef, Stef…” mormorava, sussultando.
Stefan non poté resistere oltre, aveva il bisogno fisico di abbracciarlo. Avvolse le braccia attorno alla sua fragilissima, eterea, straordinaria creatura, e lo strinse contro il proprio petto, contro il proprio cuore, talmente forte da causargli sicuramente dolore, nel tentativo di trasmettergli tutto sé stesso.
"Sono qui."
Gli poggiò le labbra contro una tempia, continuando a sussurrargli quanto amore meritasse e che non avrebbe mai smesso di darglielo, nemmeno se  fosse stato costretto ad attraversare tutto il male del mondo.
Brian si rilassò poco a poco tra le braccia del bassista, che non poté fare a meno di sorridere quando riuscì a comprendere la dolce litania che le labbra del cantante avevano preso a mormorare.


“Mi fido di te.”




Note: Insomma, salve soulmates, sono venuta a portare angst e tormento anche in questo fandom, gioite.
Io/Angst = OTP.
Insomma, niente, questa botta di allegria e arcobaleni mi ronzava in testa e ho pensato di buttarla giù per farmi del bene, e visto che sono riuscita a partorire solo cose belle, ho pensato bene di condividerle con il mondo, no?
Insultatemi pure nelle recensioni, non me la prenderò troppo a male, al limite vi sguinzaglio dietro un Molko Yogurt Scaduto Mode, ma non abbiate paura di farmi sapere cosa ne pensate di 'sta malattia delirante  questa fanfiction e al massimo tirateli a me gli yogurt scaduti.
Siete belli,
ciao ciao :)

Mokusha.


ps: la cosa di paragonare Brian ad una bambola di porcellana vuole essere una cosa da fluff, batuffoli e tantoAmore, e non un presa per il culo/nomignolo da zoccola in saldo/baggianta sentimentale di serie Z.




 
   
 
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