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Autore: REAwhereverIgo    29/07/2014    4 recensioni
La battaglia per difendere la luce e ritrovare il vero Kingdom Hearts è ormai vicina. Non si può più sfuggire al destino, questo i possessori del keyblade lo sanno bene. Ma cosa succederà a Ventus, Xion e Roxas? È davvero inevitabile una nuova guerra?
Una nuova alleata sarà chiamata a lottare per il predominio della luce. Ma è davvero questo ciò che vuole?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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L’ultima battaglia

Sogno

Rea dette un calcio fortissimo al comodino, facendosi male all’alluce. Gridò dal dolore e si tirò su di botto, senza rendersi conto di ciò che stava succedendo.

Si guardò intorno e poi si stropicciò gli occhi, stanca.

“Ancora” sussurrò.

Era messa con la testa al posto dei piedi, arrotolata come un salame nelle coperte e con un braccio incastrato nel lenzuolo. Provò a girare su se stessa per liberarsi, con il solo risultato di finire con la faccia a terra.

“Maledizione, fa male!” si lamentò, toccandosi il naso.

Sospirò sconsolata e si stese con le braccia aperte sul tappeto steso sul pavimento.

“Sono due settimane che non riesco a dormire tranquilla, si può fare una vita peggiore di così?” si chiese.

Faceva sempre il solito sogno, ormai: era bloccata in una specie di limbo oscuro pieno di piattaforme rotonde e galleggianti in aria, dove una voce le parlava. Ogni volta che provava a fare qualsiasi cosa, però, apparivano dei piccoli esseri neri simili a scarafaggi troppo cresciuti e la rincorrevano.

Ci provava a scappare, ma i ponti che collegavano le piattaforme scomparivano e lei rimaneva bloccata sempre nel solito punto. “Lotta, trova la forza” si sentiva dire, ma non sapeva cosa diavolo significasse. Trova la forza? Sembrava la frase di un film.

Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, sfinita. In pratica in quattordici giorni aveva dormito in totale trenta ore. Non riusciva mai a prendere di nuovo sonno dopo un incubo simile, quindi si metteva a fare altro. Tipo studiare.

Si era fatta una cultura enorme in quelle settimane, questo c’era da dirlo, e le sue prestazioni scolastiche erano decisamente migliorate, però il poco sonno la portava ad essere ipertesa. Era sicura di aver visto qualcuno seguirla, quella mattina, ma quando ne aveva parlato con sua sorella (con la quale faceva il percorso per andare a scuola) lei aveva riso dicendole che era troppo stressata. Probabile, aveva pensato, ma era comunque convinta che un signore molto piccolo e vestito di nero le andasse dietro.

Si mise a sedere e decise di tornare a dormire: magari non ce l’avrebbe fatta, ma almeno si sarebbe riposata!

 

Il mattino seguente, con due occhiaie pesanti e scure, Rea si avviò verso la scuola con sua sorella minore.

“Ti sei riposata stanotte?” le chiese.

“Macché, sono caduta mille volte dal letto, alla fine mi sono messa a leggere” rispose lei, sospirando sconsolata. Era talmente debole che anche portare la cartellina marrone le faceva fatica.

Si guardò intorno: le vacanze estive erano appena finite a Twilight Town e i ragazzi correvano qua e là ancora carichi dal mese di riposo appena passato. Tranne lei, ovviamente.

Salutò debolmente con la mano il gruppo di Hayner, che le passò davanti sorridendo.

“Mi raccomando, Rea, stamani ti vogliamo carica! Dobbiamo vincere al progetto di scienze!” la salutò. Lei ricambiò il sorriso.

“Ho tutto nei quaderni!” gli assicurò.

Alexis indicò una ragazza un po’ più avanti.

“Io vado, sorellona. Ci vediamo dopo!” le disse, correndo dall’amica.

Rea rimase sola, stanca e con la testa pesante. Aveva bisogno di riposarsi, si sentiva decisamente distrutta.

Fece un paio di passi in avanti, ma le gambe non riuscivano a sorreggerla.

“Tutto bene, cara?” le chiese la signora del chiosco dei gelati. Le sorrise.

“S-sì, non si preoccupi, io… io…”

Cadde a terra, in ginocchio, ma continuò a sorridere.

“Ora vado a scuola” balbettò. L’attimo dopo era sdraiata a terra.

 

Quando riaprì gli occhi si ritrovò di nuovo nel suo incubo.

Si tirò su con un po’ di fatica.

“Ancora” sussurrò. Si sentiva stranamente sveglia, per essere un sogno.

Si spolverò i vestiti e si guardò intorno: stessa locazione di sempre. Nell’oscurità più completa tre piattaforme rotonde collegate tra loro da ponti di quello che sembrava vetro galleggiavano silenziosamente. Era tutto molto tetro e, nonostante la tranquillità, inquieto.

Rea rabbrividì pensando che quell’incubo la stava seriamente distruggendo e fece un paio di passi in avanti, guardando attorno con circospezione. Ormai sapeva che appena si muoveva quei piccoli scarafaggi neri le apparivano davanti e l’attaccavano, quindi aspettava con una certa calma la loro comparsa.

Si rese conto poco dopo che non sarebbero arrivati, quando una luce abbagliante l’accecò per un secondo.

“Ma che…?” si coprì gli occhi con le mani, infastidita da quel raggio luminoso, e dentro di sé si domandò se, magari, questa fosse l’ultima volta che sognava. Gli psicologi non dicevano che nel momento in cui cambia tutto allora significa che tutto sta finendo?

La luce scomparve poco dopo e Rea si domandò se poteva togliere le mani dal viso. Aveva una lieve paura a scoprire cosa stava succedendo, ma non poteva certo rimanere così per sempre.

Aprì gli occhi e vide davanti a sé tre piccoli altari bianchi, ognuno con sopra un oggetto luccicante: una spada; uno scudo; una sottospecie di scettro con la cima a forma di testa di topo.

Stava per decidere di non considerare quei cosi, quando una voce rimbombò intorno a lei.

“Con uno sarai più forte; con uno sarai protetta; con uno potrai salvare i tuoi amici. Scegli, portatrice di luce”

Si guardò intorno per capire da dove provenisse la voce o a chi appartenesse, ma c’era solo lei su quelle piattaforme.

Fece un passo in avanti, decisa a prendere lo scudo: meglio proteggersi, anche se era un sogno.

Arrivò davanti al piccolo altare, pronta a prendere l’oggetto, ma poi sentì dietro di sé un rumore sordo, come qualcosa che strisciava. Lo capì prima ancora di voltarsi cos’era, ma la paura l’assalì comunque quando vide un essere nero alto quanto le sue ginocchia apparire davanti ai suoi occhi dal nulla.

Arretrò senza riuscire a dire nulla mentre quello si avvicinava, inciampando nei suoi stessi piedi.

“Stammi lontano!” gridò impaurita, ma lo scarafaggio sembrava non sentirla, continuava ad avanzare verso di lei con una calma e una velocità inquietanti.

Rea quasi si mise a piangere quando sentì le spalle sbattere contro qualcosa di duro e si bloccò, impossibilitata a muoversi ancora.

“Svegliati, Rea… svegliati!” si gridò, dandosi un pizzicotto sul braccio. Sentì dolore, ma non si ritrovò nel suo letto come sempre.

Le venne il terribile dubbio di essere già sveglia, e quel pensiero la paralizzò per davvero: se era così, allora quel posto immerso nell’oscurità esisteva sul serio. E lei ne era prigioniera!

Lo scarafaggio le saltò addosso un secondo dopo, all’improvviso, e la ragazza gridò, rotolando da una parte per scansarlo. Alzò lo sguardo e vide sopra di sé quella sottospecie di scettro con la testa di topo, afferrandolo senza pensarci quando l’essere nero strisciò di nuovo verso di lei.

“Stammi lontano, ti ho detto!” gli urlò contro, picchiandogli lo scettro in testa.

Quello scomparve con un *puff*, lasciandola sola.

Rea non ebbe il tempo di accasciarsi al suolo, sfinita, che i tre altari iniziarono a scomparire, risucchiati dal pavimento colorato della piattaforma.

“La magia, protettrice degli amici e della famiglia, tu hai scelto questo potere. Da ora in poi, la tua missione sarà quella di aiutare tutti quelli che incontrerai” le disse la voce di prima.

“La magia? Che stai dicendo? Chi sei?” gridò la ragazza, cercando di capire da dove venisse la voce, senza risultato. Lo scettro, che aveva stretto fino a quel momento, scomparve dalle sue mani in una nuvola.

Davanti a lei comparve una porta bianca.

“Attraversala per iniziare il tuo cammino”

Una luce intensa la investì quando quella stessa porta si aprì da sola, facendole perdere di nuovo i sensi.

 

Quando si risvegliò si trovava a casa, nel suo letto.

Si stropicciò gli occhi e si guardò intorno: ma allora era stato tutto un sogno? Tutto quanto, anche lei che si svegliava e andava a scuola con Alexis?

Sospirò: per fortuna ora era tutto passato.

Decise di andare a prepararsi per quella nuova giornata, ma quando si alzò capì subito che qualcosa non andava: la sua sveglia segnava le sette di mattina ma fuori era tutto buio. Dense nubi nere si stagliavano su Twilight Town, oscurando la luce arancione che illuminava sempre la cittadina.

“Ma che succede?” chiese preoccupata.

Corse fuori dalla sua camera per raggiungere la sua famiglia, ma in casa non c’era nessuno.

“Mamma? Papà? Alexis?” chiamò nel panico. Non ricevette nessuna risposta.

Si precipitò ancora in pigiama fuori in strada, cercando qualsiasi persona: Hayner, Pence, Olette, la signora del gelato, un insegnante…

Sin da subito comprese che non avrebbe trovato nessuno nei dintorni, che Twilight Town al momento era una città fantasma.

Rea si immobilizzò in mezzo al Corso della Stazione, paralizzata dalla paura.

“Dove siete tutti?” gridò impaurita.

Per tutta risposta un attimo dopo fu circondata da quegli esserini neri ancora una volta, ma adesso era sveglia.

“N-no…” sussurrò quando iniziarono ad avvicinarsi a lei, creando una specie di cerchio chiuso da cui non poteva scappare.

“NO!” urlò, raggomitolandosi su sé stessa non appena gli scarafaggi si scagliarono su di lei.

Non vide cosa stava succedendo, aveva troppa paura per muoversi, ma non sentì alcun dolore pervaderla. Gli scarafaggi non l’avevano attaccata.

“Uff, sempre la stessa noia” commentò qualcuno sopra la sua testa.

Rea voleva alzarsi, ma non ce la faceva, era immobilizzata.

“Ehi, tu, tutto bene?” domandò la stessa persona che aveva parlato.

La ragazza, ancora tremante, tolse le braccia da sopra la testa e, con gli occhi pieni di lacrime, si permise di sbirciare chi c’era.

Partendo dai piedi per arrivare alla testa, le si parò davanti un ragazzo alto almeno uno e ottanta, vestito di nero con una specie di lungo impermeabile chiuso addosso, la faccia sorridente e sfacciata e i capelli rossi, sparati sulla testa.

“Sto parlando con te” specificò sorridendo.

Lei annuì leggermente, sentendosi sfinita.

“S-sì, io sto bene…” rispose a mezza voce.

Il ragazzo le si inginocchiò vicino e le tese una mano per aiutarla.

“Andiamocene, ti hanno già trovata, dobbiamo fuggire prima possibile” le disse serio.

Rea deglutì.

“Fu-fuggire?” chiese.

“Sì” confermò lui.

Lei si alzò ignorando la mano che le stava porgendo e rimase in piedi appoggiandosi a una parete.

“Non voglio andarmene” rifiutò sicura.

“Sei in pericolo, qui” la informò.

“M-ma la mia famiglia e… e i miei amici…”

“Ascoltami, ragazzina, non abbiamo molto tempo. Ti spiego tutto una volta al castello, ma possiamo andare?” la bloccò il ragazzo, irritato. Rea scosse la testa.

“Non mi muovo da qui!” esclamò.

Lui sospirò e si scompigliò i capelli rossi, guardandola di sottecchi.

“Tutti uguali, voi detentori, eh?” commentò. La ragazza non ebbe il tempo di chiedersi cosa significasse quella frase: un attimo dopo il ragazzo le fu dietro e le dette un colpo sulla nuca, facendole perdere i sensi.

 

  
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