IL QUINTO IMPERO
Hikaru
Hikaru
soffriva il mal di mare. Non che fosse mai salito su di una
nave, prima di allora, e che quindi potesse saperlo. Lo aveva scoperto
con le relative brutte conseguenze, ed ora era piegato in due sul bel parapetto
della Demea, la fronte appiccicosa di
sudore freddo e la voglia di buttarsi a mare che aumentava ogni secondo di più.
Hikaru odiava il mare.
-Ehi...
Se ci pensi troppo poi è peggio.- commentò debolmente
una voce dietro di lui. Hikaru si voltò lentamente, reprimendo l'ennesimo
conato, e puntò lo sguardo sul ragazzo con la coda dal colorito un po'
verdognolo, suo compagno di sventure -... Come faccio a non pensarci?-
piagnucolò. Non aveva la forza nemmeno per arrossire per il fatto di stare
parlando con uno sconosciuto. Fece per tornare con la faccia al mare, ma
l'altro riprese a parlare, sospirando piano, come se stesse facendo uno sforzo
enorme -Dove stai andando, a bordo della Demea?-
domandò, puntando un paio di occhi nerissimi in quelli
di Hikaru -Non ci sono molte navi, per il Continente. Per essere riuscito a
salire su questa, devi aver ricevuto aiuto. Di certo vai a fare una cosa
importante, eh?- rise da solo delle sue parole,
buttando indietro la testa, e la coda di cavallo corvina che portava gli
svolazzò sulle spalle.
Hikaru,
prima di rispondere, appena stupito dalla semplicità con cui lo sconosciuto gli
stava chiedendo i fatti suoi, raddrizzò la schiena e lo squadrò per qualche
secondo: nonostante la sfumatura verde, la carnagione del ragazzo di fronte a
lui (che non doveva avere più di ventun'anni) era scura, mulatta. Due grandiose
sopracciglia nere gli incorniciavano gli occhi grandi, e un naso abbastanza
imponente gli dava l'aria di uno che di esperienze ne
avesse fatte molte (come Hikaru potesse dedurre questo da un naso, non è
possibile dirlo). Anche se era rannicchiato su sè
stesso, con le ginocchia al petto, erano palesi il fisico ben allenato e le
spalle larghe. Aveva un'espressione allegra, nonostante il mal di mare, ed un
bel sorriso gentile stampato in faccia che gli dava un po' l'aria di un
sempliciotto.
Ad
Hikaru piacque immediatamente.
Sorrise,
mesto -Non so quanto sia importante. Vado a studiare,
lì.- spiegò, ed una smorfia di dolore comparve sul suo volto
quando lo stomaco gli si capovolse per l'ennesima volta. Si appoggiò con la schiena al parapetto della Demea -Sono un apprendista.- concluse, con un debole
sorriso. Era entusiasta del suo viaggio oltremare, solo che in quel momento gli
risultava parecchio difficile esultare.
L'altro
annuì, come a far intendere che avesse capito -Ci sono maghi, nel Continente?-
domandò, aggrottando le sopracciglia folte, per poi arricciare il naso quando la nave prese un'onda più alta delle altre,
salendo più del necessario. Emise un basso lamento, portandosi una mano sullo
stomaco.
Hikaru
scosse la testa -No.- rispose -Vado ad imparare le
arti alchemiche. Ci è vietato utilizzare la magia nel
Continente.- il Continente era l'unico luogo in cui la conoscenza dell'alchimia
fosse tanto sviluppata. Non esistendo più la magia da decenni, la popolazione
aveva potuto approfondire solo quella, e lo aveva fatto con grandiosi
risultati, anche perchè grazie ad essa il controllo di
Dominio che possedevano gli abitanti poteva essere accresciuto ulteriormente. Inoltre, proprio perché la magia era ormai scomparsa, agli
apprendisti e ai maghi era assolutamente vietato mostrare le loro doti sul
terreno del Continente.
-E
tu?- Domandò Hikaru, alzando la testa per cercare di inalare quanta più aria
possibile. Sentì le mani formicolargli dall’imbarazzo (non era abituato a tutta
quella confidenza, se non con i suoi genitori ed il Maestro suo
zio).
L’altro
si battè una mano al petto e sorrise –Vado nel Continente per temprare il mio
corpo ed il mio spirito- raddrizzò la schiena –così
potrò entrare a far parte in tutto e per tutto dell’ordine dei Monaci
Combattenti di Zhu.- dichiarò orgoglioso, ed Hikaru sgranò gli occhi –Un Monaco
Combattente? Davvero?- non che nella Terre fosse
strano trovare un Monaco Combattente, però faceva sempre un certo effetto
incontrarne uno. Cominciavano la loro formazione sin da piccoli, e la loro era una ferrea educazione. I Monaci Combattenti non avevano
altra famiglia se non la comunità, non conoscevano la propria
madre e si occupavano di aiutare chiunque ne avesse bisogno (oltre ad
essere davvero strepitosi nel combattimento, ovviamente). Ma Hikaru non
conosceva altro riguardo a quell’ordine, ed era molto curioso: nel suo piccolo
Villaggio ce ne erano molto pochi ed abitavano
distanti, si avvicinavano solo per il mercato settimanale.
Il
ragazzo rise di gusto –Si, devo prepararmi per
diventarlo a tutti gli effetti.- spiegò, poi si portò il polso alle labbra,
chiudendo gli occhi per qualche secondo. L’onda che
-No.-
scosse la testa –E’ un viaggio lungo e faticoso, e noi
non vogliamo avere nulla a che fare con il Continente. Ma
a me andava, quindi sono partito!- sorrise a trentadue denti –E poi gira voce
che il successore del Grande Monaco si aggiri lì…- abbassò il tono della voce,
pensieroso. Poi, rise ancora, e per l’ennesima volta
Hikaru
aggrottò le sopracciglia. Non era sicuro che i Monaci Combattenti, specialmente
se apprendisti, potessero prendersi certe libertà. Rabbrividì per il freddo –I-il Grande Monaco?- fece in tempo
a chiedere prima di essere costretto a voltarsi verso il parapetto della nave,
colto da un attacco di nausea più forte degli altri.
-Ehi,
amico, tutto ok?- si informò, sviando il discorso, il
suo compagno di sventure, che ben presto entrò nel campo visivo del più
piccolo. Il ragazzo con la coda si abbandonò a sua volta sul parapetto,
prendendo grosse boccate d’aria –Comincia a tirare vento, eh?- cercò di
sdrammatizzare, tenendosi lo stomaco.
L’altro
cercò di sorridere, ma gli uscì più che altro una smorfia.
Fece
quantomeno per rispondere, ma la sua voce venne
coperta dal grido di uno dei marinai, che con tono vibrante ordinò a tutti
coloro che non facevano parte dell’equipaggio di tornare ai propri alloggi e
lasciare sgombro il ponte, che stava arrivando tempesta.
Il
ragazzo con la coda sospirò, mentre Hikaru sbiancava sensibilmente: sotto,
nella sua stanza, il movimento del mare sarebbe stato ancora più chiaro, ancora
più fastidioso, e sarebbe stato davvero male.
Ma non potè fare altro che
obbedire, e cominciò a muoversi verso le scalette di legno che lo avrebbero
condotto alla sua cabina. Il più grande lo seguì, traballante sul ponte
scivoloso d’acqua -Ryoma
Nishiki.- si presentò nel mentre che avanzavano, ed Hikaru sobbalzò, preso alla
sprovvista. Alzò lo sguardo e quello scuro e ridente dell’altro incontrò il suo.
Gli strinse titubante la mano che gli porgeva, e balbettò un –H-Hikaru.-
leggermente imbarazzato. Poi tossì, perché Ryoma gli diede una forte pacca
sulla schiena –Scommetto che faremo amicizia durante questo viaggio!- esclamò
raggiante –Dove hai detto che vai?- domandò subito
dopo, trascinandolo praticamente verso la cabina.
-A-ah… C-Cancer. Poi ho un passaggio per Gemini…- rispose Hikaru,
incerto sulle gambe, sollevato e contento di aver trovato qualcuno con cui
parlare un po’ nel mentre del viaggio.
La
tempesta esplose un paio d’ore dopo, accompagnata da tuoni che facevano tremare
la struttura in legno della Demea, dandogli ancora più nausea.
L’imbarcazione
si impennava, saliva e scendeva di colpo in balia
delle onde, e Hikaru si sentiva completamente esausto, ancora in preda ai
giramenti di testa.
Ryoma
se ne era andato circa un’ora prima, salutandolo
calorosamente con un “ci vediamo a cena!”, ma HIkaru non era più tanto sicuro
che avrebbe avuto fame.
La
tempesta era stata quantomeno prevista, e si che era
stato sicuro di poterla superare indenne. Non aveva fatto i conti con la sua
costituzione normalmente deboluccia.
Prese
un’enorme boccata d’aria e chiuse gli occhi, cercando di ignorare
l’ondeggiamento dell’imbarcazione. Forse stendersi sull’amaca adibita a letto
che gli avevano assegnato in quella stanzetta minuscola sottocoperta
non era stata un’idea esattamente geniale.
Alle
Altre Isole non c’era mai stato, da quando si aveva
memoria, qualcuno che avesse cercato il dominio sugli altri. Hikaru non sapeva
concepire nulla di diverso delle piccole comunità di
persone che formavano le città-stato che conosceva sin dall’infanzia.
Erano
regolate da leggi che tutti consideravano giuste, e tutti gli
abitanti potevano partecipare alle decisioni importanti. O meglio, gli
abitanti che avevano compiuto i ventuno anni di età, e
lui che ne aveva ancora sedici di certo non rientrava ancora nella categoria.
Ma
in realtà, non si era mai interessato di politica. Preferiva la magia di gran lunga. La magia, sul Continente, non esisteva più.
Anche per questo dalle Altre Isole si spostavano poco, al di
là del commercio, per farvi tappa. Gli abitanti del Continente
rimpiangevano la perdita della magia, e guardavano ai loro vicini con malcelata
invidia. In realtà, molti nemmeno ricordavano che fosse
esistita. Ma il territorio del paese era stato
profondamente ferito, calpestato duramente, sfruttato fino all’estremo,
nell’antichità, e
O
almeno, questa era la leggenda che era stata raccontata ad
Hikaru.
La
magia gli permetteva di fare cose meravigliose. Chiedeva aiuto alla Natura
stessa, ed era in grado di servirsi non solo di un elemento, ma di tutti e
quattro. I maghi più potenti potevano servirsi di qualsiasi elemento naturale
in qualsiasi condizione. Un po’ come… come si
chiamavano? Maestri di Dominio, se Hikaru ricordava
bene, nel Continente.
Ma
Hikaru non era assolutamente un mago potente. Era ancora
un’apprendista, e a dirla tutta, combinava un sacco di pasticci. Per
questo suo zio lo aveva inviato al Continente. Lì, dove la magia era
tremendamente debole, avrebbe dovuto impratichirsi,
sfruttare al meglio l’energia che poteva ricavare. Con rispetto, parsimonia,
saggezza.
Il
flusso dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto da uno scossone più forte
degli altri, che gli fece perdere l’equilibrio. Rovinò
a terra, e si rialzò a fatica, costretto a reggersi al legno della parete per
evitare di cadere nuovamente. Ci fu un altro movimento brusco. Udì delle urla
provenire dal corridoio fuori la sua stanza.
Si
mosse a fatica verso l’esterno, cercando di frenare la nausea, senza alcun
successo.
L’equipaggio
della Demea correva come impazzito.
Su è giù per il corridoio, scendendo dal ponte per afferrare cordame e
strumenti.
Il
capitano (Hikaru credeva fosse la sua voce, ma la pioggia battente copriva i
suoni) gridava ordini, ed avanzando, il ragazzino notò che dalle scale che
portavano all’esterno scendeva una piccola cascata d’acqua piovana, che gli
lambiva i piedi.
Soffocò
un gemito quando un marinaio, nel mezzo della sua corsa,
urtò contro la sua spalla, e fu costretto a poggiarsi alla parete, prendendo
grandi boccate d’aria. La tempesta aveva preso una brutta
piega, constatò.
L’equipaggio
era agitato, e vide diverse persone uscire dalle proprie cabine e salire in
superficie. Si guardò attorno, alla ricerca di Ryoma, turbato. Poteva percepire
nella pelle la potenza dell’acqua che si stava abbattendo sul ponte sopra di
lui, e la cosa lo terrorizzava. Un presentimento terribile lo inchiodò per
qualche momento alla parete. Deglutì, capendo di non poter rimanere di più là
sotto, e combattendo il fastidio allo stomaco riprese
ad avanzare.
L’acqua
gli lambiva ora le caviglie, e la sensazione dei calzoni appiccicati alla pelle
gli provocò un brivido. A fatica, si mosse verso le scale che conducevano al
ponte, facendo attenzione a non scivolare. Altra gente
schizzò di fianco a lui, molto più velocemente di quanto Hikaru riuscisse a muoversi.
Arrivare
fino alla fine delle scale lo destabilizzò più del
dovuto, e rischiò di rovinare in accordo con i pericolosi ondeggiamenti della Demea, ormai in totale balia delle onde.
L’aria gelida della sera gli sferzò il viso assieme alla pioggia, che cadeva
pesante, coprendo qualsiasi altro suono. Presto si ritrovò zuppo dalla testa ai
piedi, incapace di respirare decentemente, tanta era l’acqua che gli arrivava
addosso.
Ancora,
la nave sobbalzò, più violentemente ancora, ed Hikaru si ritrovò senza neanche
rendersene conto sbattuto contro il parapetto dell’imbarcazione. Picchiò la
schiena, ed emise un lamento di dolore. Si voltò a fatica, ritrovando a pochi
centimetri dall’acqua scura dell’oceano. Gridò e cadde all’indietro, scivolando
sul legno bagnato del ponte. L’onda lo prese in pieno,
e rischiò di trascinarlo giù in acqua con lei. Lo salvò la presa ferrea di
Ryoma.
Sembrava
comparso dal nulla. La coda corvina era sfatta, ed i capelli lunghissimi gli
ricadevano disordinatamente sul viso, appiccicandosi fastidiosamente alla
pelle. Lo tirò su senza fatica –Stai bene?- gridò, per
farsi sentire oltre lo scrosciare della pioggia. Hikaru, gli occhi sbarrati dal
terrore, più bianco di prima, annuì febbrilmente. Gli tremavano le mani.
–Stiamo affondando!- continuò ad urlare Ryoma, senza sciogliere la presa sul
suo polso –La nave imbarca acqua!- lo avvertì, e la paura si impossessò
di Hikaru, strisciando fino allo stomaco, occludendoglielo in una morsa.
La
nave fu sbalzata nuovamente dalla corrente, e rovinarono
entrambi a terra. Intorno a loro, un caos di marinai che
gridavano e pochi passeggeri che fissavano terrorizzati il loro lavoro.
Non sarebbe servito a nulla tirare corde, ammainare le vele, spiegarle o
qualsiasi altra cosa. La nave sarebbe affondata senza ombra
di dubbio.
Hikaru
non pensava sarebbe morto così presto. In fondo, aveva
solo sedici anni, e così tante cose da fare. Avrebbe davvero voluto vederlo, il
Continente. Certo, si ritrovò a pensare, mentre Ryoma lo tirava nuovamente in
piedi per sorreggerlo, se solo fosse stato un mago un poco più potente, avrebbe
potuto dare una mano. Ma non aveva un controllo della
magia così forte. Tutta quell’acqua lo spaventava da morire,
lo terrorizzava. Era troppa, tutta insieme.
Troppa per un apprendista del suo livello.
-Dobbiamo
cercare delle scialuppe!- sentì di nuovo la voce di
Ryoma, e si aggrappò alla sua tunica, incapace di camminare sulle sue gambe.
Attraversarono il ponte a fatica, controvento, ingoiando l’acqua salata che
sbatteva contro i fianchi della nave e che faceva loro bruciare gli occhi.
Le
trovarono dopo poco, si. Totalmente distrutte, inutilizzabili. Hikaru sobbalzò
nel vederle. Non sembravano certo essere state distrutte dalla forza
dell’acqua. Ma in quel momento era troppo poco lucido
per porsi delle domande, quindi si limitò a stringersi ulteriormente a Ryoma.
Non lo conosceva, ma era l’unico appiglio che aveva. Contrariamente a lui, non sembrava affatto spaventato, solo ansioso di trovare una
via d’uscita da quella situazione. Oltre
Senza
nemmeno rendersene conto, aveva anche cominciato a piangere. Anche
nei suoi probabili ultimi minuti di vita, stava piangendo. Non voleva morire su
una nave in mezzo all’oceano, dannazione.
Intorno
a loro, erano unicamente rumori indistinti. Non riusciva a capire cosa stesse
effettivamente succedendo, troppo concentrato ad essere spaventato, e quindi
non sentì arrivare subito il grido di Ryoma.
Fu
veloce. Ma gli sembrò durare un’eternità.
L’onda
lo colpì all’improvviso alla schiena, e per la seconda volta
andò a sbattere contro il parapetto. Gli si mozzò il fiato, ed un dolore
lancinante al petto lo rese del tutto inerme per una
manciata di secondi. Ingoiò altra acqua salata, e non riuscì a prendere aria
che una nuova onda lo colpì violentemente. Fu sbalzato oltre quel parapetto. Anche quello sembrò durare un’eternità. Era come osservarsi
da fuori, non partecipare in prima persona. L’acqua continuava a scrosciare, il
mare a ruggire, quando lui si ritrovò sospeso sul buio dell’oceano. Annaspò, il
respiro pesante. Ancora una volta Ryoma lo aveva afferrato, con entrambe le
mani. Gli teneva il polso, mentre lui ciondolava pericolosamente nel vuoto. Non
aveva nemmeno la forza di gridare. Colpì il fianco della nave, ed il lato
destro del suo corpo esplode di dolore. Sentiva la forza abbandonarlo ogni secondo di più –Resisti!
Resisti!- gli gridava contro Ryoma, che si sporse e
cominciò a tirarlo nuovamente a bordo.
Ma,
evidentemente, il loro destino non era quello di rimanere sulla Demea.
Una
nuova onda, più alta delle precedenti, si abbatté sul monaco. Hikaru lo vide
scivolare lungo il parapetto, picchiare la testa. E
poi, sbalzato oltre la nave. La presa delle sue mani si ruppe, ed Hikaru si
sentì trascinare giù dalla forza di gravità.
Un
sacco di pensieri gli si accalcarono in testa durante la caduta. E quindi alla fine moriva. Gli dispiaceva per Ryoma,
condannato allo stesso destino per colpa sua. Non avrebbe visto il Continente.
Non avrebbe imparato ad usare la magia. Non avrebbe mai più rivisto la sua
famiglia. Avrebbero avuto notizie di lui? Le scialuppe erano state manomesse da
qualcuno. Probabilmente anche la nave.
L’impatto
con l’acqua fu doloroso, tremendo, gli mozzò il
respiro in gola. Si ritrovò nel buio dell’oceano, sommerso per una decina di orribili secondi. Riemerse, cercando affannato aria, i
polmoni graffiati dal sale. Le vesti erano pesanti, lo
trascinavano giù. Ebbe qualche momento di smarrimento, lo sguardo
puntato sulla Demea inerme, che si
allontanava sospinta dalla corrente. Gli veniva da piangere. Un’onda lo tirò di
nuovo sott’acqua. Riemerse. Venne trascinato ancora
giù. Emerse un’altra volta. Cercò di sfilarsi la tunica in un attimo di
lucidità, per togliersi di dosso un peso, lasciandola alla furia dell’acqua.
Sapeva
nuotare, ma contro la forza dell’oceano avrebbe potuto ben poco, lo sapeva. Era
tentato di lasciarsi andare. Cosa avrebbe potuto fare,
lui?
Poi,
vide Ryoma. Lo scorse poco lontano da lui, in balia
delle onde. Lo chiamò una, due volte, ma non udì
risposta. Trovò la forza ed il coraggio di nuotare controcorrente, verso di
lui. L’acqua gli si abbatteva addosso, tentava di trascinarlo a fondo, ma si
oppose. Riuscì a raggiungerlo, a fatica, e ad afferrarlo per la vita. Pesava
molto più di lui, e tenersi a galla mentre lo sorreggeva era faticoso; non
avrebbe potuto nuotare in quelle condizioni. Tentò di trovare
una soluzione, ma proprio in quel momento, l’ennesima onda li travolse.
Sputò acqua in acqua mentre si trovava nuovamente
sommerso. Ryoma gli sfuggì di mano, e cominciò ad andare a fondo. Nel panico
più totale, si spinse verso di lui. Stava per svenire, lo sentiva, non avrebbe retto a lungo.
Negli
ultimi momenti di lucidità, decise di fare l’unica cosa che potesse
avere un minimo di successo: usare la magia.
La magia permette di
utilizzare
Ancora
immerso, senza fiato, troppo lontano dalla superficie per farcela, chiuse gli
occhi e si concentrò sull’unico elemento che poteva salvarli: aria.
La
bolla si plasmò tra le sue mani, tentennando. Cercare di non pensare alla sua
probabile morte imminente non era facile, ma non poteva distogliere
l’attenzione. Era una magia elementare, quindi ci vollero
pochi secondi. Non era una bolla grande, ma bastava. Vi immerse
il viso, inspirando aria, i polmoni che bruciavano.
Quindi
riprese a nuotare verso Ryoma, i muscoli indolenziti, le gambe che non avevano alcuna intenzione di collaborare. Lo prese dopo mezzo minuto
di puro terrore, tenendolo fermo con le gambe, che debolmente arpionò attorno
al suo busto. Si concentrò per creare una bolla più grande, mentre la propria
andava già esaurendosi. Le forze lo avevano abbandonato ormai del tutto, quando
riuscì a sistemarla su Ryoma.
Rimase
cosciente fino a che non lo vide tossire e sputare acqua, aspirando a boccate
il nuovo ossigeno a sua disposizione.
Poi,
la vista gli si annebbiò.
E
fu buio.
*
-Morto.
Dico morto.- la voce era profonda, quasi baritonale. La terra attorno a lui
parve muoversi, come in preda a piccole scosse di terremoto.
-No,
morto no. Respira.- un’altra voce si aggiunse alla prima, più dolce, ma sempre
molto bassa –Dovremmo aiutarlo.-
-Ma
morto.- replicò la prima voce.
-Ti dico respira.- ribattè la seconda voce.
Hikaru
non ci stava capendo niente. In realtà, capiva solo che la sua testa stava per
esplodere, e che non sentiva la parte destra (o era la sinistra?) del proprio
corpo. Non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi. Quando
ci provò, si accorse che la luce era davvero tropo forte per poterci riuscire.
Poi, i ricordi del naufragio gli tornarono in mente, vividi
come se li stesse rivivendo in quel preciso istante. Si sentì tremare, ma
probabilmente era stata solo una sua impressione,
visto che non riusciva a muoversi. A quanto pareva, era ancora vivo. Lo era
davvero. Fosse riuscito ad inalare aria come si deve, avrebbe
riso come un disperato. Le voci attorno a lui continuavano a bisticciare
sulla sua condizione (e avrebbe voluto dir loro “sono vivo! Sono vivo davvero,
almeno credo!”), in modo decisamente accorato, per
giunta.
Provò
a spostare una mano, quella destra. Le constatazioni furono due: primo, non ci
riusciva; secondo, gli faceva male da impazzire. Mugolò, e le voci si spensero.
-Vedi?
Detto che vivo.- dichiarò soddisfatta la seconda voce che
aveva parlato. L’altra non rispose, evidentemente
aveva accettato la sua sconfitta.
Hikaru
si sentì sollevare di peso, totalmente inerme. Riuscì a socchiudere gli occhi,
e stava per aprirli totalmente. Ma all’improvviso
percepì un dolore lancinante alla testa, preceduto da un forte “STONK!”.
Svenne
di nuovo.
Si
risvegliò in un tendone. O almeno, gli parve un
tendone all’inizio, il soffitto alto tenuto su da un’enorme trave di legno
lavorato. Sbatté le palpebre un paio di volte e tentò di mettere a fuoco altro.
La testa gli doleva più di prima, pulsazioni di dolore
lo costringevano a rimanere immobile. Voltò cautamente il capo, constatando con
sollievo di riuscirci. Il tendone era arredato a mo’ di casa. Un letto di
paglia era sistemato dritto davanti a lui. Si accorse di trovarsi lui stesso
disteso su un mucchietto di paglia. Vi strinse le dita della mano sinistra (la
destra era momentaneamente fuori uso), e sospirò di sollievo: era vivo sul
serio.
La
paglia di fianco a lui, constatò, era un po’ troppa per una persona sola, ma
non si fece domande.
Un
piccolo fuoco (se ne accorse dopo) scoppiettava da
qualche parte nella stanza, ma non riusciva a scorgerlo dalla sua posizione. Si
voltò dall’altra parte, a fatica. Trattenne un singulto solo perché altrimenti
gli avrebbe fatto troppo male. Di fianco a lui, Ryoma sorrideva a trentadue
denti, seduto a gambe incrociate. Si era quasi scordato di lui, e si sentì così felice nel constatare che stesse bene. Avrebbe
voluto piangere.
Il
petto abbronzato era scoperto, fasciato nel punto in cui aveva colpito con
forza il parapetto della Demea
–Ben svegliato.- alzò una mano, ed una risatina strascicata gli sfuggì
dalle labbra.
Hikaru
sentiva la bocca impastata –Dove… dove sono?-
sussurrò, senza voce. Si accorse solo allora che gli bruciava ancora la gola,
come se qualcuno vi stesse strofinando dell’ortica.
L’altro
si sporse in avanti, sembrava stranamente eccitato di
tutta quella situazione. Hikaru non lo era affatto.
–Nel villaggio dei Mangiatori di Sale.- rese noto.
L’apprendista mago tentò di ricordare qualche tribù che aveva studiato con quel
nome, ma non gli venne in mente niente. Doveva aver fatto una faccia abbastanza
confusa, visto che Ryoma continuò con i chiarimenti –Siamo
a qualche miglio dalla costa del Continente. Abbiamo fatto un sacco di strada
da dove abbiamo lasciato la nave!- incrociò le braccia al petto, come
rimuginando –I Mangiatori di Sale hanno detto che
andranno a controllare se c’è qualche superstite. Lo spero.-
sospirò.
Hikaru
socchiuse gli occhi. Non aveva la forza di chiedere chi fossero
questi Mangiatori di Sale, ma continuò a fare comunque domande –Come siamo
arrivati qui?- tentò di alzarsi, ma un grido di dolore gli sfuggì dalle labbra.
L’altro lo sostenne, intimandogli di rimanere giù, e solo in
quel momento notò le bende sulla parte destra del corpo. Gli venne da
piangere. Di nuovo.
-Mi
hai salvato la vita, amico. Wow, se non avessi fatto quella cosa (qualsiasi
cosa fosse) sarei annegato.- gli sorrise con
riconoscenza, e lui si sentì arrossire come un bamboccio –La corrente ci aveva
già portati parecchio lontani. Ti ho preso e ho nuotato. E
nuotato. E nuotato. Ho nuotato un sacco, in effetti!-
e scoppiò a ridere, portandosi una mano alla nuca,
buttando indietro il capo.
Hikaru
distolse lo sguardo. Già ammirava Ryoma. Era riuscito a salvarlo trascinandolo
per mare nonostante fosse ferito e stanco morto, quando lui era riuscito a
malapena ad afferrarlo sott’acqua. Dannazione.
-Quest’isola
è grandiosa, devi vederla assolutamente. Appena ti rimetti, ovviamente. I Mangiatori di Sale solo
pacifici, ci hanno offerto un passaggio per—
-Svegliato?-
la voce baritonale che Hikaru aveva sentito solo poco tempo
prima interruppe il discorso del suo compagno. L’aspirante mago non
vedeva la persona (o la cosa) dalla quale proveniva, ma sentì dei passi pesanti
avvicinarsi a lui. Deglutì, spaventato nonostante Ryoma l’avesse rassicurato.
Poco
dopo, una persona enorme entrò nel
suo campo visivo, in controluce. Quando si spostò,
riuscì a scorgerne qualche particolare: aveva ricci capelli di un viola chiaro,
quasi indaco, arruffati ed intrecciati di conchiglie ed alghe secche. Sembrava
malfermo sulle gambe tozze e, per gli dei!, sarà stato
alto almeno tre metri!
Hikaru
spalancò la bocca in un ovale perfetto, impressionato. Il nuovo arrivato aveva
occhi piccoli, porcini, ma non riuscì a scorgerne il colore. Lo vide piegarsi
su di lui e scrutarlo con curiosità, muovendo la testa da una parte e
dall’altra come un gufo –La testa.- sbottò, con la sua voce grossa.
-…
L-La eh?-
-…
Dolore?- domandò ancora, allungando una mano verso il suo capo. Hikaru fece per
ritrarsi, ma il tocco del gigante era lieve, quasi una carezza –Mi dispiace. C’era un albero.- sembrò veramente dispiaciuto, e
all’aspirante mago si strinse il cuore. Comunque, ora
sapeva perché gli doleva la testa a quel modo. Il gigante lo aveva fatto
picchiare contro un albero. Fantastico.
-Hikaru.-
s’intromise di nuovo Ryoma, in tono amichevole –Ti presento
Daichi! Daichi, lui è Hikaru!- allargò le braccia,
contento. Il gigante sorrise, agitando la mano per salutarlo. Si accovacciò vicino a Ryoma –Piacere.- ammiccò. Hikaru ricambiò
–P-Piacere…- inclinò il capo, ed un brivido di dolore lo
percorse da capo a piedi.
-Tu
ferito.- aggiunse ovvio Daichi, passandosi la mano sinistra sul braccio destro,
ad indicare i punti precisi –Preparato una cura. Veloce.- assicurò, rovistando
dentro un astuccio che teneva legato alla vita. Il suo abbigliamento era
formato da una semplice tunica di pelle legata in vita da una cintura di corda
–Fatta con l’aiuto del mare.- assicurò, come se questo potesse spiegare tutto.
Hikaru
era restio ad accettare una medicina da un totale sconosciuto,
ma Ryoma sembrava tranquillo in presenza di Daichi, e poi quel gigante
lo aveva salvato. Lo vide tirare fuori una piccola scodella di legno, e vi
versarvi del liquido azzurrino da una borraccia. Aveva l’odore dell’acqua di
mare.
Ryoma
lo aiutò a mettersi semiseduto, con non poca fatica, e Daichi gli fece
trangugiare la medicina. Era salata, tremendamente. Ma
non gli diede fastidio. Scese giù fresca, e si sentì subito meglio –Magia
d’acqua.- assicurò il gigante, che estrasse dall’astuccio qualche pianta.
Sembravano alghe. Le mise dentro la ciotola di legno che Hikaru aveva usato per
bere e prese a lavorare con un pestello. Ne venne fuori una poltiglia
verdeazzurra non molto carina da vedere.
Con
l’aiuto del Monaco Combattente, il gigante sfilò le bende ad
Hikaru, che gemeva di dolore, ed applicò il cataplasma sulle ferite e sui
lividi. Era incredibile, in pochi secondi si sentiva già in grado di mettersi
seduto, nonostante muoversi gli fosse ancora difficoltoso –Come…?- tentò di
domandare, ed il gigante sorrise, ancora concentrato sugli impacchi –Magia
dell’acqua.- ripeté. Ancora, il suo tocco era gentile e delicato, così piacevole
che ad Hikaru venne sonno –Siete- siete Dominatori?-
domandò, in un filo di voce.
Quello
alzò lo sguardo. Sembrava offeso –Noi non siamo
Continente. Noi usiamo la magia dell’acqua.- ribadì,
senza spazientirsi.
L’apprendista
mago sgranò gli occhi, sorpreso. Oh. Allora, lì erano veramente dei maghi.
Certo, sembravano specializzati in magia acquatica e basta, ma… era fantastico!
Hikaru scoprì una voglia pazzesca di visitare l’isola e parlare con la sua
gente, che per un secondo gli fece dimenticare quanto fosse effettivamente
terrorizzato di trovarsi su un’isola sperduta, in balia di un villaggio di
giganti, lontano dalla sua meta, in compagnia di un Monaco Combattente che
trovava il tutto molto educativo. Si, si sentiva già meno spaventato.
-Avrai un po’ sonno.- lo rassicurò Daichi, sorridendo mesto,
una volta finito di applicare le medicazioni.
Hikaru
non fece in tempo a comprendere quanto gli avesse detto,
che stava già dormendo di nuovo.
Quando si risvegliò, si sentiva del tutto in forze. Non si trovava più
nel tendone dov’era la volta prima, ma in una rozza costruzione di legno, di
dimensioni pazzesche. Era squadrata, ed il soffitto era sempre molto alto. Le
travi erano sistemate in modo ordinato, nonostante non fossero lavorate. L’aria
filtrava attraverso le molte finestre che si aprivano tutte intorno, ma la
porta sembrava chiusa.
-Svegliato.-
Hikaru trasalì. Di fianco a lui, Daichi –Dormito per giorni.
Guarito.- assicurò, con un enorme sorriso.
Hikaru
aggrottò le sopracciglia. Provò a muovere la mano destra, e si accorse con
sorpresa di non avere problemi. Raddrizzò la schiena. Fece forza sui palmi. Barcollò
un poco, non più abituato a camminare, e Daichi si offrì di fargli da sostegno mentre si rialzava su gambe tremanti. Ringraziò,
arrossendo, tenendosi alla sua veste. Gli arrivava appena alla cintura di corda
-… Quanti giorni ho-?-
-Sette
giorni, otto notti.- spiegò il gigante, dandogli lieve spinte
per dargli una mano a riprendere i movimenti. Ci mise poco, nonostante si
sentisse ancora un poco debole. Sette giorni. Il suo arrivo al Continente era
previsto in cinque giorni dalla partenza della Demea. Oramai il suo passaggio da Cancer fino a Gemini era saltato.
Non riuscì a dispiacersene. L’idea di rimanere in quel villaggio ancora un po’,
circondato da maghi dell’acqua, lo allettava parecchio. Voleva uscire, visitare
l’isola. Si chiese dove fosse Ryoma.
-Tuo
amico a caccia.- quasi gli stesse leggendo nel pensiero, Daichi ammiccò
all’esterno –Vuoi uscire?- gli propose. Lui annuì appena –Ma
non riesco ancora a- AH!- si sentì sollevare, all’improvviso. Daichi lo aveva
afferrato per la vita e lo aveva tirato in aria. Lo poggiò sulla sua spalla,
senza lasciarlo, ma Hikaru era talmente terrorizzato che gli si appiccicò ai
capelli, tirandoli –Ahi, ahi, ahi,
male!- si lamentò quello, ed il più piccolo si impose
di calmarsi, sciogliendo lentamente la presa –S-scusa—balbettò, tremendamente a
disagio.
Quello
non pareva essersela presa, né pareva essersi reso conto che la sua spalla fosse un po’ strettina per una persona, ma Hikaru rimase in
silenzio, non voleva di certo contraddire un gigante.
-Abbassa
la testa.- gli intimò quello, e lui obbedì, mentre la
porta si apriva ed altro sole inondava la stanza, ferendogli gli occhi.
La
prima cosa che vide fu il mare, a perdita d’occhio su quel lato dell’isola. Poi,
some per fargli avere una visione d’insieme, Daichi girò su sé
stesso, ed Hikaru scorse, dietro il capanno, piccole colline brulle, baciate
dal sole. Un ammasso informe di alberi e piante che
non aveva mai visto si apriva alla sua destra, e dava sulla spiaggia di sabbia
bianchissima ai suoi piedi. Sembrava sale, per quanto era chiara.
Girando
ancora, ad ovest, i suoi occhi incontrarono le cime di quelli che aveva creduto
essere tendoni. In realtà erano vere e proprie abitazioni. E,
quando Daichi cominciò a camminare in quella direzione, si accorse che si
trovavano sull’acqua. Erano palafitte, incastonate nella sabbia del fondale di
un’insenatura piuttosto rientrata rispetto al punto in cui si trovava lui. E le pareti erano di legno, non di tessuto, incavate verso
l’interno proprio come una tenda. Erano collegate tra di
loro tramite ponti di legno rialzati. Sembravano stare su da soli, senza nulla
che li reggesse. Solo dopo Hikaru notò i sostegni che si inabissavano.
Ma
la cosa più spettacolare non era di certo quella.
Daichi
avanzò, oltre il villaggio, ed Hikaru si perse ad osservare tutte le persone
che lo popolavano, alte dai due metri e mezzo ai quattro, intente nei lavori di
tutti i giorni. Non distolse lo sguardo da loro finchè non
oltrepassarono l’intera cittadina sull’acqua, passando vicino alla
spiaggia. Il fondale non era troppo alto per Daichi, nel punto in cui stavano
attraversando. Lasciatisi alle spalle le case-capanne, camminarono per un altro
quarto d’ora, girando attorno all’isola.
Ad
un certo punto, dietro una serie di scogli non tropo alti, sui quali era stata
costruita un’impalcatura in legno per consentire il
passaggio, si aprì una distesa immensa di bianco abbacinante, separata dalla
spiaggia da un muro di pietre. Dagli scogli, bisognava inerpicarsi verso il
basso per raggiungerla. Hikaru si coprì gli occhi, battendo le palpebre
velocemente per mettere a fuoco: una dozzina di giganti danzava al limitare di
quel mare bianco, incantando l’acqua dell’oceano che lambiva i loro piedi.
L’acqua si alzava e tendeva ai loro comandi. La trasportavano dentro grandi
secchi di legno, quindi continuavano la loro magia, separando l’acqua da…
-Sale.-
sorrise contento Daichi, salutando con la mano i suoi compagni, che
ricambiarono, senza però smettere di danzare.
Hikaru
dedusse che la distesa bianca che aveva visto fosse,
appunto, una sorta di deposito di sale. Sale, e sale e
sale. Ci saranno stati metri e metri cubi di sale. Notò un paio di giganti che caricavano alcuni
secchi e si dirigevano al villaggio –Cosa ci fate con tutto quel sale?- domandò, esterrefatto.
La
risposta, a ben pensarci, era ovvia –Lo mangiamo.-
replicò Daichi.
Solo
allora il nome “Mangiatori di Sale” acquistò un senso. Non era
un soprannome, era proprio un dato di fatto. Quei giganti si nutrivano
di sale. Era pazzesco. Hikaru non aveva mai sentito nulla del genere, nemmeno
da suo zio, che pareva sapere sempre tutto. Quella gente avrebbe
potuto sopravvivere in mare senza alcun tipo di problema!
Stava
per partire con una sessione di domande a raffica, sempre meno intimorito e
tremendamente interessato a sapere di più, quando qualcuno lo distrasse –Perché
lo hai portato qui?- proruppe un gigante, facendolo trasalire. Hikaru lo
inquadrò solo in quel momento: era più alto di Daichi, anche se più snello. Gli
occhi ambrati lo scrutavano con diffidenza.
Era
vestito in modo più consono del suo compagno. Sopra i pantaloni di pelle
portava una casacca bianca. Odorava di salsedine.
I
capelli erano rossi, e ordinati., Due basette gli
incorniciavano il viso smunto, e sulla fronte prorompevano simili a corna. Erano intrecciati di telline ed alghe secche come quelli di Daichi,
ma nel complesso, quel gigante risultava molto più (minaccioso) elegante.
-Tadashi.-
brontolò il gigante che lo portava in spalla, senza guardare il compagno, ed
Hikaru desiderò di sparire sotto quella massa di sale. Di nuovo, si sentì
terrorizzato –Amico. No fa niente di— continuò Daichi.
-Non
è uno dei nostri.- sbottò tale Tadashi, duro -Salvato.
Curato. Ma non in giro per l’isola.- il gigante
socchiuse gli occhi, e l’aspirante mago rimase a corto di parole.
Tadashi
rimase in silenzio qualche secondo, a scrutare Daichi. Sembrarono
parlarsi tramite gli sguardi, e alla fine il gigante dai capelli rossi sospirò,
esasperato, sviando lo sguardo –Va bene.- brontolò, chiudendo gli occhi. Poi li
rivolse nuovamente ad Hikaru –Attento a quello che
fai, umano.- gli intimò, per poi farsi serio–Attenzione anche tu, Daichi.
Attenzione. Non fidarti.- si raccomandò, quindi prese aria e fece per farlo passare, lanciando altre occhiate ostili al povero
Hikaru, a cui tremavano le ginocchia.
-Daichi.-
pigolò quello, deglutendo, gli occhi fissi in quelli
di Tadashi.
-Mh.-
-V-va bene così, davvero. Sono un po’ stanco, possiamo tornare
indietro?- domandò, e l’altro nemmeno rispose, facendo
dietrofront, dopo aver rivolto un’espressione profondamente offesa al compagno,
che sembrò tutto ad un tratto a disagio, ma non li seguì.
Tornarono
al capannone quadrato in riva alla spiaggia, in silenzio. Hikaru non aveva più
voglia di fare domande. Perché quel gigante si era
comportato in modo così ostile? Cosa aveva da temere da un essere umano altro
nemmeno la metà di lui, magro, emaciato, debole dopo
una settimana di convalescenza?
Chi erano i Mangiatori di Sale? Perché lui non ne aveva mai sentito parlare?
Davanti
al capannone, Ryoma li aspettava, con in mano un cesto
pieno di… piante?
-Ehilà,
Hikaru! Ti sei svegliato! Mi stavo preoccupando, quando non ti ho visto!- dal
modo in cui lo aveva detto, non sembrava poi così preoccupato. Tendeva ad essere molto espansivo, notò Hikaru.
-Allora,
ho preso da mangiare!- alzò i pollici, mostrando il cestino –Finalmente
possiamo condividere un pasto come si deve.- annuì. Sembrava molto contento.
Hikaru non sapeva come comportarsi, in realtà. Non era abituato a tutta quella
confidenza, e si sentì arrossire. Si accorse di avere una fame tremenda.
-Il
tuo amico. Mangia sempre vicino a te. Anche se dormi.-
gli spiegò Daichi. Avvampò –E tutti i giorni va a
caccia.- spiegò. Sembrava davvero orgoglioso di Ryoma.
-Caccia?
Ma quelle sono erbe.- biascicò Hikaru.
-Bhe,
si, noi monaci siamo vegetariani. Ma fidati, trovare questi è stato come andare
a caccia!- assicurò, scuotendo la testa.
Hikaru
si ritrovò a sorridere, senza neanche rendersene conto.
C’era ancora tempo per visitare l’isola, abituarsi ad i suoi abitanti
e fare domande, pensò.
Daichi
lo mise a terra, e lui barcollò verso Ryoma, che lo sorresse –Allora, le
preferisci bollite o grigliate?- domandò, come fosse
una questione della massima importanza.
Ma per il momento, poteva anche rilassarsi e mangiare un po’.
*
No,
ok.
E’
passato un po’ tanto tempo dall’ultima volta che ho aggiornato.
Potrei
dire che ho avuto gli esami, e che buh, e che blah, ma
la spiegazione più semplice è che- non avevo ispirazione per mettermi davanti al
pc e scrivere questo capitol-
E’
un capitolo di passaggio, abbastanza lento, lo ammetto (e sempre molto lungo,
vi prego davvero di farmi sapere se è troppo spaccapall- ahem, noioso così, che
provvedo a fare capitoli più brevi), ma Hikaru avrà un
ruolo particolarmente importante nella storia. Perché non
se lo fila mai nessuno e merita le luci della ribalta, ogni tanto (MA COSA). E c’è anche Nishiki. Non so perché abbia scelto lui da
mettere assieme ad Hikaru in questo capitolo, ma mi…
andava, ecco. Nishiki mi piace molto, e al fianco di Hikaru secondo me può dare il meglio di sé <3 non avrà capitoli dedicati
a lui personalmente, ma sarà molto presente.
Per quanto riguarda i Mangiatori di Sale… Allora. Daichi è, ovviamente,
Amagi; Tadashi invece è Mahoro. Lo specifico perché nemmeno
io sapevo i loro nomi prima di scrivere questo capitol- AHEM. Si vede
che li scippo un po’-? No, vero-? COFF. In ogni caso. Bhè, allora, facciamo un
po’ di geografia. Allegherei un’immagine, poi vedo se
ci riesco, perché non sono capace co sto cos- IN OGNI CASO. Il Continente è una
bella PALLA di terra in mezzo al mare. Una PALLA molto grande. E’ ovviamente
piena di città, e le dodici principali hanno i nomi dei segni del nostro
zodiaco (ovviamente i personaggi non comprendono la figata di questa cosa, ma
piaceva a me, quind-). Le Altre Isole, sono un arcipelago di, appunto, isole, non troppo distanti dal Continente. Sono dodici, ed in ognuna, la città principale ha il nome di
un segno dello zodiaco cinese. Quella da cui viene Nishiki, per esempio, è la
città di Cinghiale. Ma io ho messo il nome in cinese perché
è molto figo.
La
nostra prima lezione di geografia è conclusa. Man mano che andrò avanti,
chiarirò molte altre cose, ecco, uhm (?).
Bhè,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che nonostante i miei reiterati
ritardi, continuiate a seguirmi <3
Pace
amore e sacher torte *regala fette di torta* <3
Al
prossimo capitolo gente <3
Greta.