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Autore: Lost on Mars    30/07/2014    14 recensioni
Amelia Hogan aveva un solo obiettivo nella vita: essere qualcuno. Avrebbe fatto di tutto pur di non rimanere nell’ombra a condurre una vita qualunque. Era ambiziosa, forse troppo, ma aveva deciso che avrebbero smesso di dipingerla con l’indaco. Né viola né blu, un colore a metà, una via di mezzo. Ad Amelia le vie di mezzo non piacevano, ma era proprio di una di queste che aveva paura: Ashton Irwin, un ragazzo a metà, una via di mezzo. Diviso tra due mondi, proprio come lo era l’indaco tra due colori.
Dalla storia:
« Tu vuoi bene a qualcuno, Ashton? »
Lui esitò per un momento, abbassò lo sguardo a terra e per un breve istante mi sembrò innocuo e indifeso. Quando rialzò il capo, l’ombra di quel sorrisetto divertito che gli avevo visto prima era sparita del tutto, e il suo volto adesso era di nuovo una pagina bianca, senza emozioni disegnate sopra. Nemmeno un velo di tristezza, nostalgia o ricordo. Niente di niente.
Ma dopotutto, cosa mi aspettavo? Che Ashton Irwin avesse dei sentimenti?
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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1 – SYDNEY

 
Il sole sorgeva lentamente, tinteggiando il cielo di rosa e violetto, mentre l'aereo atterrava sulla pista. Già dal finestrino su cui tenevo la guancia appiccicata, capii che Sydney era una città grande, nuova, sempre sveglia. Sapevo già che sarebbe stato molto diverso vivere lì.
Avevo abbandonato la mia vecchia casa dopo mesi e mesi di esitazione, dopo averne parlato con la mia famiglia, e dopo essermi iscritta alla facoltà di scienze sociali grazie alla mia borsa di studio, avevo pian piano realizzato che avrei ricominciato totalmente da zero. Avevo un solo obbiettivo nella vita: essere qualcuno. Ero convinta del fatto che la vita andasse vissuta e andasse tramandata, avevo più volte giurato a me stessa che non sarei morta finché il mio nome non fosse apparso da qualche parte. Un libro, un giornale, uno show in TV... Avrei fatto di tutto pur di non essere solo un'altra grigia esistenza.
L'impatto dell'aereo con l'asfalto mi fece sobbalzare, dopo qualche manovra, l'aereo si arrestò del tutto, e quando la voce del pilota comunicò ora e meteo, mi slacciai la cintura e aspettai che la donna accanto a me si alzasse. Presi lo zaino dal portabagagli sopra la mia testa e aspettai pazientemente di scendere. Una navetta portò noi passeggeri fino all'edificio principale dell'aeroporto. Rimasi ad aspettare la mia valigia rossa per qualche minuto, carica di sogni e tante paure, per poi avviarmi verso l'uscita. E poi eccole, le porte automatiche, trecento metri a dividermi dall'uscita.
Ce l'avevo fatta: avevo ricominciato. Quando fui sul marciapiede, mi fermai per un attimo a guardare il cielo che pian piano diventava azzurro, senza traccia di nuvole, e a respirare quell'aria nuova che sapeva di smog e di storie non raccontate. Storie che morivano e nascevano sotto i passi della gente che mi camminava accanto e mi osservava; che si raccontavano nelle metropolitane sotto i miei piedi e nei grattacieli all'orizzonte. Sydney non era semplicemente un nuovo capitolo della mia vita, era la prima pagina di un altro libro. Bianca e immacolata, proprio come la mia pelle che al sole si scottava sempre, anche con la crema. Ritornai con i piedi per terra solo quando notai che un taxi si era finalmente accostato. Strinsi forte il manico della mia valigia e mi avvicinai alla vettura bianca. Dall'auto uscì un uomo con i capelli brizzolati neri e gli occhiali da sole. Mi aiutò a caricare la valigia nel portabagagli, mentre mi mettevo seduta sui sedili posteriori. Il tassista rientrò in macchina e, gentilmente, si rivolse a me. « Dove siamo diretti, signorina? » Allora tirai fuori un biglietto dalla tasca anteriore dello zaino e lessi il nome della mia università. « Alla USyd – che stava per University of Sydney –, per favore ».
Il tassista fece partire i tassametro e mise in moto. Passai i seguenti venticinque minuti a guardare fuori dal finestrino. Era molto presto, la città non era molto trafficata e il viaggio procedette senza intoppi. Una volta a destinazione, pagai il tassista e mi avviai verso la segreteria. Avevo avvertito telefonicamente che sarei arrivata di mattina presto, a causa del fatto che l'unico volo disponibile era di notte. Speravo comunque che ci fosse qualcuno anche a quell'ora. Entrati nell'edificio principale, la valigia faceva rumore dietro di me e mi metteva a disagio. Trovai una donna seduta dietro la scrivania, il cartellino di metallo poggiato sul legno diceva: Mrs. Carter.
« Salve, » iniziai con un filo di voce. La donna alzo lo sguardo su di me. « Sono appena arrivata e... mi dispiace per l'orario... qui ho tutte le carte che- »
 La segretaria si tolse gli occhiali e mi interruppe, ridacchiando. « Tu devi essere Amelia Hogan » disse. Io annuii energicamente. Storsi un po’ il naso quando sentii il mio nome pronunciato in quell’accento un po’ strano. Mi chiamò Ami-lia, prolungando la seconda i in un modo davvero sgradevole.
« Sì, ecco qui il foglio che mi avevate raccomandato di portare ». Porsi a Mrs. Carter un foglio già firmato fa me, lei ci mise un timbro sopra e poi lo archiviò. Si alzò e prese una chiave da un quadro reticolato alle sue spalle. C'erano molti buchi liberi, il che significava che quasi tutte le stanze erano occupate.
« La tua stanza è la numero 265, adesso la chiave è tua e la dovrai restituire solo alla fine del semestre, quando inizia la pausa estiva » disse, porgendomi la chiave. La presi e la ringraziai, chiedendole una mappa del campus. Dopodiché uscii e cominciai la ricerca della mia stanza. Avrei preferito arrivare quando erano tutti a lezione, in modo da non svegliare la mia compagna di stanza in questo modo. O compagno. Non ero sicura che all'università i dormitori fossero separati, ma lo sperai perché mi sarei sentita decisamente in imbarazzo a condividere la stanza con un ragazzo. Scoprii che la mia stanza si trovava al secondo piano dell'Edificio B, la trovai senza troppi problemi e infilai la chiave nella toppa entrando. Non appena aprii la porta, trovai una ragazza intenta ad infilarsi i jeans. Non potevo entrare in un momento migliore. « Luke, quante volte ti ho detto che non puoi entrare in camera mia alle sei e trenta del- » iniziò, voltandosi e facendo ondeggiare i suoi capelli neri. Mi guardò con le sopracciglia aggrottate, come se fossi un alieno. « Tu non sei Luke »  osservò.
« Sono Amelia, » dissi, le tesi la mano. Lei si avvicinò e me la strinse. « Sono la tua nuova compagna di stanza ».
« Oh, giusto me lo avevano detto che saresti arrivata, » disse lei con aria sognante. « Io sono Valerie ».
 Mi strinse la mano e si abbottonò i pantaloni. Io rimasi sotto lo stipite della porta per un po', poi entrai e posai la mia valigia sul letto rifatto, dato che l'altro aveva tutte le coperte a terra. « Scusa il disordine, non pensavo saresti arrivata così presto » disse.
« Sai, l'unico volo da Perth partiva alle tre del mattino, » le spiegai. « E poi non c'era traffico per strada ».
 Valerie si avvicinò al grande specchio accanto all'armadio e cominciò a truccarsi. Io cominciai a svuotare la mia valigia, cercando di spezzare il silenzio. « Allora, chi è Luke? » chiesi.
« Un mio amico... il mio migliore amico. Ha una copia delle chiavi ed entra nei momenti meno opportuni, dovrei dirgli di smetterla, dato che non sono più da sola » rispose Valerie.
« Oh, non ti preoccupare. Se vuoi passerò in stanza il meno tempo possibile e- ».
« Non dire cavolate, è anche la tua stanza, non mi piace stare da sola ».
Cercò di far sembrare quella frase scherzosa, ma da come lo disse, sembrava che avesse davvero paura di rimanere da sola, forse era per quello che Luke veniva sempre a trovarla. « Quando inizi le lezioni? » mi chiese.
« Domani » risposi, i miei vestiti ora erano tutti sul letto, cominciai a metterli nell'armadio.
« Ti farei fare un giro del campus e conoscere un po' di gente, ma devo vedermi al bar con Luke tra meno di mezz'ora e poi andare a lezione. Da mezzogiorno in poi sono libera, però » esclamò, riponendo pennelli e matite in un beauty-case.
 « Non ti preoccupare, credo che recupererò un po' di sonno perduto » risi e lei mi fece OKAY con la mano.
Dieci minuti dopo, Valerie uscì dalla stanza, augurandomi scherzosamente la buonanotte. Io però non avrei dormito. Non avevo sonno, anche se mi ero alzata praticamente all'una di notte per andare all'aeroporto. Mio fratello Josh per accompagnarmi non era andato proprio a dormire. Finii di mettere a posto i vestiti, misi il mio computer su una delle due scrivanie, tirai fuori la biancheria e i calzini e li misi nei cassetti del mio comodino. Posai i libri e il beauty-case sulla scrivania e mi misi sul letto. Il cellulare diceva che erano le sette e cinque. Sentii un rumore provenire dalla porta, poi questa si aprì, rivelando un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Intuii che quello fosse Luke.
Ci guardammo a lungo prima che lui mi chiese « E tu sei...? »
« Amelia Hogan,» risposi. « Sono appena arrivata. Se cerchi Valerie è già andata via »
« Cazzo, quella mi ammazza » si lamentò il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli.
« Sei in ritardo? » gli chiesi, alzandomi dal letto.
« Già, io sono Luke, comunque » mi strinse la mano frettolosamente.
« Luke come? » continuai io.
« Hemmings, ci si vede! » Detto questo, Luke si fiondò per il corridoio e io chiusi la porta, ridendo fra me e me. Sembravano tutti così simpatici lì dentro, non avrei fatto fatica ad abituarmi.

 
***
 
Il giorno dopo andai a lezione e vi rincontrai Luke e Valerie. Scoprii che frequentavamo tutti e tre sociologia alla stessa ora. Alla lezione dopo, ovvero antropologia, ero da sola. Mi piaceva un sacco stare lì, era tutto così bello e accogliente, le persone erano gentili, le cose da studiare mi piacevano e non erano quindi troppo pesanti. Iniziavo ad abituarmi, la prima settimana la passai a conoscere meglio Valerie, la mia compagna di stanza.
Aveva la mia età ed era la più grande di quattro sorelle, tutte femmine. Mi aveva detto che all’inizio non voleva andare all’università, ma poi aveva cambiato idea all’ultimo anno di liceo. Aveva conosciuto Luke ai tempi della scuola superiore, al secondo anno, e da allora erano amici. Mi aveva detto che Luke era un tipo a posto e mi aveva anche raccomandato di non chiamarlo Lucas, perché lui lo odiava, mentre io lo trovavo molto grazioso ed elegante.
Lei viveva a Sydney e quando io le avevo detto che venivo da una piccola città vicino Perth, lei quasi non mi aveva creduto – « Ma Perth è dall’altra parte dello stato! » –  eppure era così, Perth e Calum erano dall’altra parte dello stato e io volevo solo andarmene. La mia vita lì non era vita. Avevo una fantastica famiglia, vero, avevo però anche un cuore spezzato dopo due anni di fidanzamento. Non ce l’avevo troppo con Calum anche se era stato lui a lasciarmi, anche se era stato lui a farmi soffrire, dicendomi che una relazione a distanza non avrebbe funzionato. Forse eravamo giunti ad un punto in cui ci eravamo resi conto che due giocattoli rotti non possono aggiustarsi a vicenda. Forse, però, potevamo accorgercene prima di romperci ancora di più.
Ero fuggita dalla mia anonima cittadina, Nedlands, perché lì non succedeva mai niente. Andavamo tutti alla stessa scuola, tutti conoscevano tutti, un segreto non era mai tale e nel giro di pochi giorni si veniva a sapere sempre se due persone si erano lasciate, o messe insieme. Successe anche con me e Calum, in entrambi i casi. Ci eravamo messi insieme alla fine del penultimo anno di liceo, ci eravamo diplomati insieme e avevamo fatto tutti i passi più importanti mano nella mano. Poi un giorno mi ero svegliata e Calum non credeva più in noi. E adesso eccomi a Sydney, lontana da Nedlands, lontana da Calum e lontana dalla società opprimente che non mi permetteva di fare quello che volevo. Per quanto ne sapevo, nessuna persona di rilievo aveva mai abitato a Nedlands, i miei genitori avevano sempre vissuto lì e mi avevano chiesto perché non avessi voluto andare a studiare a Perth, che era molto più vicina. Non avevo mai saputo dare loro una vera risposta. Forse era proprio la troppa vicinanza che non volevo andarmene a Perth.
A pranzo, andai presi un panino al volo al bar del campus, dato che non avevo una macchina e non potevo spostarmi al di fuori dell’università. Fu allora che capii che forse dovevo trovarmi un lavoro, uno qualsiasi, per racimolare un po’ di soldi e comprarmi un’automobile. Ero al computer quando Valerie rientrò in stanza con una pila di libri che sembravano pesantissimi. Li posò con un tonfo sulla sua scrivania e sospirò.
« Questo semestre è iniziato da due giorni e io sono già distrutta, » disse, buttandosi sul letto. Io mi lasciai scappare una risata distratta. « Cosa stai facendo? »
« Cerco un lavoro. Mi serve una macchina » risposi, continuando a scorrere tra le pagine web.
« Non ci riuscirai mai così, » Valerie si alzò dal letto e venne vicino a me. « Aspetta qualche mese e dai qualche test. Se sei particolarmente brava i professori ti indirizzeranno a degli stage. Funziona così, qui. Poi si organizzano dei concorsi per diverse discipline e in genere il premio è in denaro, ciò non vuol dire che non siano tutti pretesti per far venire qualche manager a dare un’occhiata a potenziali talenti ».
Rimasi affascinata dalle parole di Valerie. Era proprio quello che avevo sempre sognato. Farmi notare, farmi valere, essere un potenziale talento.
« E sai se ne hanno indetto già uno? » chiesi, riferendomi ai concorsi.
« Ufficialmente no, ma Luke, che fa da assistente al prof. di letteratura, ha detto che tra poco metteranno al bando un concorso di scrittura creativa. Io e la penna non siamo mai andate d’accordo, ma se te la cavi... tentar non nuoce! » esclamò, dandomi una pacca sulla spalla. Sorrisi. « Oh, e se te lo stai chiedendo... Luke non è un leccaculo ».
Scoppiammo entrambe a ridere, chiusi il mio computer portatile e mi alzai dalla sedia. « È ancora valido il giro per il campus? » chiesi, incrociando le braccia al petto.
Valerie parve illuminarsi e gettar via tutta quella stanchezza di cui parlava pochi minuti prima. « Speravo me lo chiedessi ».
Poi mi afferrò per un polso, si accertò di avere la chiave della stanza con sé, e mi trascinò fuori in corridoio. Per prima cosa, scendemmo al piano di sotto, dove c’erano altre stanza, e raggiungemmo la numero 174. Valerie bussò e Luke venne ad aprire. Non riuscii a vedere chi altro ci fosse nella stanza, ma non c’erano rumori, per cui immaginai che stesse da solo. Forse non aveva ancora un compagno di stanza.
« Hey, che ci fate qui? » ci chiese, col suo solito sorriso divertito.
« Sto facendo fare ad Amelia un giro del campus, vuoi accompagnarci o eri impegnato a fare l’asociale? » gli domandò scherzosamente Valerie. Luke sospirò e alzò gli occhi al cielo.
« Sono con voi ».
Presele chiavi della stanza e si richiuse la porta alle spalle. Cominciai a parlare anche un po’ con Luke, e già il secondo giorno mi ero fatta due amici. Non era poi così male, avevo il terrore di non riuscire a rompere il ghiaccio con nessuno, una volta arrivata qui.
Luke e Valerie mi fecero vedere un angolo del cortile che era sempre all’ombra, sotto una grande quercia, lontano dai tavoli e le panchine frequentate da tutti. Mi fecero vedere l’edificio dove c’erano i dormitori dei senior, ovvero gli studenti dell’ultimo anno. Noi tre eravamo delle matricole, per cui ci trovavamo nello stesso dormitorio. A quanto avevo capito, vi erano tre dormitori, uno per ogni anno. Sorrisi tristemente tra me e me, alla fine, la gerarchia dell’università non era poi così diversa da quella del liceo. In seguito, mi fecero vedere il bar – ma io c’ero già stata per pranzo – e il teatro in cui a volte l’università ospitava concerti e rappresentazioni.
Infine, Valerie mi parlò delle confraternite che si trovavano dalla parte opposta del campus, raggiungibili solo con la macchina o con l’autobus. Comunque, Luke, dal canto suo, mi fece intendere che nelle confraternite vivevano tutti i figli di papà con la puzza sotto il naso, ragion per cui non mi avrebbe mai permesso di andarci.
Scoppiai a ridere a quel punto, forse perché Luke aveva un carattere che lo portava ad essere subito amico di tutti e a comportarsi con tutti come se li conoscesse da una vita. Era semplicemente carismatico, ma sapeva scegliere le persone più importanti, sapeva con esattezza chi far entrare e chi no. Poteva essere una cosa positiva quanto negativa, ma continuai a sorridere e a scherzare con lui per tutto il tempo, senza lasciar intendere le mie domande.
Stemmo in giro per il campus tutto il pomeriggio, poi Valerie si offrì di accompagnarmi a cena in città. Luke disse di avere da fare delle cose per il prof. di letteratura, ma quando tornammo in camera per prepararci, Valerie mi disse che, dato che Luke aveva balbettato, probabilmente aveva impegni con una ragazza e che sarebbero passate minimo tre ore prima che la chiamasse in preda al panico per farsi dire cosa fare e come comportarsi. Desiderai all’improvviso di avere un’amicizia bella come la loro, e non era perché ero appena arrivata a Sydney. Nemmeno a Nedlands avevo un rapporto del genere, tranne che con mio fratello Josh.
Valerie, nei suoi jeans neri e stretti, ed io, nei miei chiari, uscimmo dal dormitorio  e prendemmo la sua macchina, per uscire dal campus passammo davanti una delle confraternite, dove fuori c’era un gruppetto di ragazzi in abiti firmati, e lì davanti Valerie accelerò, cercando di passare il più inosservata possibile. Non feci domande.
Valerie parcheggiò la macchina proprio fuori il ristorante, come se non volesse fare nemmeno un po’ di strada a piedi. Era diventata incredibilmente taciturna, e dopo averla sentita parlare e scherzare con me e Luke per tutto il pomeriggio, vederla così era piuttosto strano. Comunque, non le avrei chiesto niente, mi sarei sentita in imbarazzo. L’unica cosa che notai, fu una macchina parcheggiare accanto a quella di Valerie e un ragazzo che ne uscì da solo, senza nessun amico. Grazie alla luce del lampione, riuscii a vedere che indossava una maglietta nera un po’ sgualcita e aveva i capelli biondo platino, resi più chiari dalla luce giallastra. Istintivamente, pensai che fosse strano venire da soli in un ristorante, poi pensai che forse lavorava lì come cameriere. Vidi che anche Valerie lo aveva notato e che aveva affrettato il passo, stavolta però, feci la mia domanda.
« Chi è quello? ».
Valerie deglutì e aspettò che entrammo nel locale per rispondermi. « Un tipo da cui devi stare alla larga ».


 
Marianne's corner
Salve! Come potevo non incasinarmi la vita con un'altra fan fiction? Fondamentalmente, non potevo, quindi sono di nuovo qui a rompere le balls. Time will heal giunge al termine e io ho bisogno di scrivere sui miei ragazzi, solo che questa storia sarà un po' particolare (la cosa che mi lascia sconvolta è che è una storia totalmente HET,prima di tutto O.o). Facendo le persone serie, lo sappiamo tutti che 5SOS sono brave persone che non farebbero mai del male ad una mosca e tutto il resto e questa storia non rispecchia minimamente la realtà e... ci siamo capiti, no? xD Se qualcuno ha mai letto altre mie storie (no, non ti si caga nessuno Marianne) saprà che preferisco la terza persona, ma per il genere di storia che voglio scrivere credo sia più adatta la prima, quindi nulla. Sto dicendo un sacco di cose inutili. E niente, questo primo capitolo è stato un po' introduttivo e mi dispiace se è un po' noioso, già dal prossimo le cose cominciano ad essere più interessanti. Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, anche piccolina. Non avete paura a scrivere qualsiasi cosa, non vi mangio mica c': Tanto avete già capito chi è il tipo misterioso, vero?
Grazie a chi ha avuto il coraggio di arrivare fin quaggiù e grazie a chi recensirà ♥ Alla prossima,
Marianne


 





 
   
 
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