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Autore: Aine Walsh    31/07/2014    2 recensioni
[ONE SHOT DIVISA IN DUE PARTI]
E poi, dall'altra parte, ci sono quelle mattine in cui la sveglia continua a suonare fino a quando non ti ci accanisci contro e la scagli con violenza verso l'armadio; in cui scassinare una banca svizzera sarebbe cento volte più facile che riuscire a farti sollevare mezza palpebra; in cui tua madre ti tira via la coperta di dosso infischiandosene dei millemila gradi sotto zero segnati dal termometro, apostrofandoti con un «Victoria Chase, non costringermi a prenderti di peso anche stamattina!».
Niente sole, niente uccellini canterini, niente pancakes e niente uomo della mia vita.
Niente di niente di niente.
[...]
Avevo ragione, c’è un ragazzo accanto a me. È alto, ha un groviglio di ricci sulla testa e gli occhi verdi, mi guarda con un sorriso che si allarga a formare due adorabili fossette.
Sbatto ripetutamente le palpebre, incredula. L'unico mezzo neurone rimastomi in grado di pensare ritiene che stia facendo la figura dell'idiota, ma non mi importa molto.
Il ragazzo ride e apre le braccia, in un gesto che mi invita ad abbracciarlo.
Cosa che non faccio.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Logico #1
 
A mia sorella,
che da un "Ma chi sono questi cinque dementi che ascolti?"
si è ritrovata, una sera di fine Giugno, a piangere e strapparsi i capelli
tra gli spalti del San Siro.
Sei adorabile.
 
  • Prima Parte
 
Non succede quasi mai a due come noi
 di credere che sia possibile trovare
 un complice in questo disordine
 
Certe mattine il mondo prende a sorriderti nello stesso istante in cui apri dolcemente gli occhi: la luce del sole filtra tra le tende e il calore ti accarezza la pelle come se volesse salutarti; gli uccellini cinguettano allegramente sull’albero in giardino; l’odore zuccherino dei pancakes che cuociono giù in cucina sale le scale e s’infila sotto la porta, spandendosi per la camera e mandandoti visibilmente in estasi; l'uomo della tua vita si siede al tuo fianco, sul letto, e ti sveglia con un bacio appassionato, dopodiché si avvicina al tuo orecchio e ti sussurra un tenerissimo «Buongiorno, amore».
È perfetto, no? Quasi come risvegliarsi dentro una favola.
E poi, dall'altra parte, ci sono quelle mattine in cui la sveglia continua a suonare fino a quando non ti ci accanisci contro e la scagli con violenza verso l'armadio; in cui scassinare una banca svizzera sarebbe cento volte più facile che riuscire a farti sollevare mezza palpebra; in cui tua madre ti tira via la coperta di dosso infischiandosene dei millemila gradi sotto zero segnati dal termometro, apostrofandoti con un «Victoria Chase, non costringermi a prenderti di peso anche stamattina!».
Niente sole, niente uccellini canterini, niente pancakes e niente uomo della mia vita.
Niente di niente di niente.
A parte i nuvoloni plumbei al di là della finestra, la mamma che mi guarda dall'alto in basso con fare contrariato, l'imbarazzante pigiama costellato di orsetti sbaciucchiosi che indosso dall'Alba dei Dinosauri e il tremendo ritardo che mi costringerà a saltare la colazione.
Balzo letteralmente in aria e inizio a muovermi freneticamente in giro per la stanza alla ricerca di qualcosa di pulito da mettere, forte della rinomata modalità Fast&Furious di cui i miei genitori hanno pensato bene di dotarmi al momento del concepimento. Vale a dire che so essere davvero molto veloce, se e quando voglio. Un bel vantaggio, in certe occasioni.
Esco di casa che sto ancora finendo di infilare uno stivale, afferro la bici al volo e inizio a pedalare più veloce della luce, cercando di non farmi mettere sotto da nessuno e urlando varie scuse  ai vari autisti che mi scatenano contro la furia dei loro clacson. Non che lavorare in un supermercato sia la cosa migliore che mi sia capitata da quando esisto, ma non posso di certo permettermi il lusso di farmi licenziare. Un’altra volta, per di più.
Anche se, beh, forse dopo una giornata del genere avrei dovuto gettare la targhetta col nome in faccia al responsabile e licenziarmi da sola. Okay, ho vent'anni e sono la dipendente più piccola (NdA:l'età media lì dentro è di centocinquantacinque anni) e magari sono veramente un pelino distratta come dicono, ma non sono mica idiota e non permetto a nessuno di trattarmi come una fessa. O meglio, non lo permetterò. Nessuno più dovrà osare farmi il cazziatone senza un apparente motivo e davanti ad un solo cliente, per lo più. Un altro episodio così e potrei seriamente cominciare a credere che tornare a lavorare con zio Tom, nonostante il mio odio profondo verso i gatti e l’accenno di folle paura  nei confronti dei cani, potrebbe rivelarsi un'occasione d'oro. Oppure potrei ripresentarmi all’impresa di pompe funebri che mi aveva ingaggiata all’inizio dell’anno: chissà, potrebbero già aver dimenticato quella volta che mi sono messa a dare di matto perché convinta di sentire degli strani suoni provenire da una delle bare pronte per il trasloco al cimitero. Non potevo sapere che fossero topi, non ne ho colpa. È stato un brutto tiro giocato dall’abbinamento “film horror della sera precedente+contesto da brividi”, non avrei dovuto essere sbattuta fuori in quel modo per un motivo così futile.
Sospiro. Ma no, non mi riassumeranno mai.
Smonto dalla bicicletta e decido di proseguire a piedi: la strada è ancora bagnata per via dell’acquazzone che ha allagato la cittadina nel primo pomeriggio, e l’ultima cosa che desidero al momento è rischiare di cadere e rompermi un osso. Continuo a vagabondare per qualche metro, facendo un riassunto delle mie ultime sette ore spese a correre da una parte all’altra e armeggiare in questo o quel reparto. Improvvisamente mi accorgo di come la situazione rasenti livelli altamente critici: sono stanca morta, coi nervi a pezzi, un'espressione tra l'isterico e il malvagio stampata sul viso pallido-semi-trasparente che mi ritrovo e una fame da lupi che so mi farà divorare molto più di quanto sia richiesto e consentito dal fabbisogno calorico giornaliero.
C’è però una cosa che mi consola, e coincide con il fatto di avere davanti ancora un solo giorno lavorativo prima del weekend. Anche se forse la prospettiva di poter oziare per due giorni consecutivi non è l’unica a tirarmi su di morale: accosto ad un lato della via, chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Non so se a condurmi qui siano stati i miei piedi, il mio inconscio o il mio stomaco brontolante, ma sono estremamente felice di notare che mi basta voltare l’angolo per arrivare al forno.
Un caldo e delizioso profumo mi travolge e si fa strada su per le mie narici nel momento stesso in cui apro la porta della bottega e, quando riprendo coscienza di me, sto copiosamente sbavando sulla vetrina dei dolci. Non manca assolutamente nulla, un solo assaggio di uno di quei biscotti con le gocce di cioccolato bianco riuscirebbe ad addolcire persino la persona più acida. Mi perdo ad ammirare la grande varietà di paste, croissant e crostate e rivolgo un sorriso imbarazzato a Barbara, la proprietaria, nonché donna che mi conosce da quando ero in fasce e mi ha praticamente vista crescere, che ridacchia davanti a me.
«Giornataccia?» domanda col suo solito tono gentile.
Annuisco, troppo concentrata a scegliere per elaborare una risposta immediata. «Decisamente sì» dico infine. Mi chino in avanti e mi prendo almeno un minuto buono prima di decidermi, poi infilo una mano nella tracolla e tiro fuori il portafogli. «Potrei avere una ciambella con la glassa al cioccolato, per favore? Anzi, facciamo una ciambella e…».
«Un rotolino alla fragola?» completa una voce alle mie spalle.
«Sì, esatto» convengo a testa bassa, mentre tiro fuori una banconota e la allungo a Barbara al di là del bancone.
La voce dietro di me, che sono certa appartenga ad un ragazzo, torna a farsi sentire. «Dopo tutto questo tempo?» chiede.
«Sono una persona abitudinaria».
«Più che abitudinaria, non ti sembra di essere un tantino ripetitiva?» insiste.
Ma chi è questo? E che vuole da me? Possibile che adesso non si possa nemmeno comprare qualcosa da mangiare in santa pace? Mi alzo sulle punte dei piedi e afferro il sacchetto con la mia merenda, decisa a rispondere a tono: «Io veramente penso che…».
Pausa. Attimo. Mi serve un attimo.
Dopo tutto questo tempo? Ripetitiva?
Mi volto lentamente, mi sento come se fossi immersa in una scena al rallenti.
Avevo ragione, c’è un ragazzo accanto a me. È alto, ha un groviglio di ricci sulla testa e gli occhi verdi, mi guarda con un sorriso che si allarga a formare due adorabili fossette.
Sbatto ripetutamente le palpebre, incredula. L'unico mezzo neurone rimastomi in grado di pensare ritiene che stia facendo la figura dell'idiota, ma non mi importa molto.
Il ragazzo ride e apre le braccia, in un gesto che mi invita ad abbracciarlo.
Cosa che non faccio.
Perché io non l'abbraccio: nossignore, io mi fiondo contro il suo petto come se fossi una palla di cannone appena sparata verso il cielo.
«Haaaaaaroooold!» urlo, non troppo curante del fatto che lui debba aggrapparsi al bancone per evitare di cadere con le chiappe a terra.
Come stai?, che ci fai qui?, quando sei arrivato? e un altro trilione di domande vengono letteralmente rigurgitate dalla mia bocca ad una velocità talmente impressionante che ad un certo punto non riesco più a capire e sapere cosa gli stia chiedendo.
Harry appoggia il mento sulla mia spalla e ricambia la stretta, non ha ancora smesso di ridere quando sciogliamo l'abbraccio.
«Una domanda per volta, che ne dici?».
«Sarebbe meglio, sì» convengo, tutta presa a ridarmi un minimo di contegno. Probabilmente non si direbbe, ma sono enormemente felice di rivederlo.
«Bene. – annuisce, poi indica i miei capelli – Che diamine hai combinato?».
Mi prendo una ciocca tra le dita e la fisso per qualche secondo; non è la prima volta che la osservo, ma solo adesso mi sembra di vederla veramente. Strano, eh.
«Oh. È una lunga storia» rispondo nel tentativo di minimizzare il tutto.
Harry incrocia le braccia al petto e scuote il capo in segno di disappunto. «Non posso lasciarti sola un attimo che quando torno ti trovo con i capelli viola, a quanto pare» commenta con un finto tono da paternale.
So che sta scherzando, ma ciò non vuol dire che non possa ribattere. «Punto primo, sono solo alcuni ciuffetti; punto secondo, sono indaco perché il viola è scolorito da un pezzo; punto terzo, tu non sei stato via un attimo, Styles. Tu sei stato via mesi. Mesi! Quasi un anno!».
Barbara ridacchia, ricordandoci improvvisamente della sua presenza. «Sarà anche passato del tempo, ragazzi, eppure continuate a punzecchiarvi come se non vi vedeste da qualche ora o un giorno al massimo» ci fa notare, il suo faccino roseo e paffuto stirato in un largo sorriso. Ed ha ragione. Questa donna parla poco e il più della volte appare dietro di te quando meno te l'aspetti (prima o poi morirò di infarto per mano sua, è certo), ma dice sempre il vero.
Harry mi lancia un’occhiata complice e divertita, grattandosi un punto non meglio specificato della sua zazzera disordinata. «Vedo che hai molta fame, uh?» allude ai miei acquisti.
Annuisco, appena imbarazzata e con le guance che pizzicano.
«Hanno proprio ragione a sostenere che certe cose siano dure a morire».
Non sapendo bene come rispondergli, mi avvalgo di uno dei più eloquenti gesti che l'essere umano abbia mai elaborato: la linguaccia.
Sì, sono stupida, infantile e quest'ultima azione corrisponde all'aver buttato in un gabinetto e tirato lo sciacquone sui miei vent'anni.
«Sei sempre così matura?» mi rimbecca.
«Sei sempre così antipatico?» domando piccata.
Styles si volta verso la sua vecchia datrice di lavoro, porta una mano a coprirsi parte della bocca e poi bisbiglia: «In realtà è contenta di vedermi, però non può fare a meno di essere arrabbiata con me perché non mi sono fatto sentire troppo spesso».
Incrocio le braccia. «Eh, ogni tanto riesci a dire qualcosa di intelligente» sbuffo.
«Ti prometto, qui e adesso, che cercherò di messaggiarti di più».
«Come no, aspetta solo che ci creda».
Harry assume un'espressione seria e si batte il pugno chiuso all'altezza del cuore con fare solenne. «Lo giuro sul mio onore, m impegnerò a farmi vivo almeno una volta a settimana. Se così non dovesse essere, autorizzo Barbara a suonarmele di santa ragione con la scopa».
Lo guardo scettica: se stessi masticando una gomma, questo sarebbe il momento perfetto per farla scoppiare con un sonoro Pop!.
«L'onore l'hai perso da un pezzo, ed entrambi sappiamo bene quando. – replico – Giura su qualcosa di più importante».
«Barbara che mi picchia non è importante?».
Fingo di pensarci su. «Non direi, no».
Sgrana gli occhi e mi fissa sbigottito, regalandomi un immenso sguardo verde-azzurro. Per un attimo mi chiedo come reagirebbe un'altra ragazza al posto mio: probabilmente sverrebbe, o urlerebbe, o partorirebbe istantaneamente tanti figli quanti sono i Puffi. Magari farebbe tutte e tre le cose contemporaneamente.
Io, dal canto mio, non ho mai fatto mistero della mia convinzione per cui reputo Harold Edward Styles il ragazzo con gli occhi più belli che abbia mai visto. Quando glielo dissi, più o meno un anno prima che diventasse il famoso Harreeeyyy che moltissimi credono di conoscere, non fece altro che pavoneggiarsi per settimane e settimane e settimane. Smise solo quando minacciai di non passargli le soluzioni del compito di matematica.
«Lo giuro su Simon Cowell» sentenzia infine.
«Simon Cowell?!».
«Sì, è la persona più importante della mia vita» spiega, facendo spallucce.
Scoppio a ridere senza un vero e proprio motivo, forse per via di quell'aria da deficiente che assume, stringendo la mano che tiene tesa verso di me.
«Andata, ma solo perché sono clemente» dichiaro con un atteggiamento così altezzoso e pomposo che la cara Elisabetta potrebbe benissimo scambiarmi per una sua nipote e incoronarmi principessa seduta stante.
Sì, la fame inizia a giocarmi brutti scherzi.
«Proprio clemente, già...».
«Non scherzare, sono così magnanima da sorprendermi io stessa. Dovresti inginocchiarti al mio cospetto».
«Non dovrebbe essere al contrario?» bisbiglia, facendomi l'occhiolino mentre mi passa davanti per raggiungere Barbara (improvvisamente scomparsa, manco fosse imparentata con Houdini) nel retro.
Idiota di uno Styles. Idiota, idiota, idiota. Nemmeno tu sembri essere cambiato troppo, dopotutto.
Mi avvicino alla porta d'ingresso e la apro, sbollentando l'ondata di calore che mi ha assalita con l'aria gelida proveniente dall'esterno.  Mannaggia a me e al mio continuo andare a fuoco per una qualsiasi cosa detta da un qualsiasi chissacchì di turno.
«Barbie, posso chiederti un permesso speciale?» sento Harry parlare dalla stanza accanto. È ovvio che abbia alzato il volume della voce per assicurarsi che io lo ascolti. «Posso uscire mezz’ora prima, oggi? Giuro che domani recupero e faccio il turno extra!».
Sorrido a capo chino: avrò già assistito ad una scena simile almeno un altro milione di volte in passato.
Le sue scarpe nere affiancano le mie Converse sul pavimento e, quando sollevo lo sguardo nella sua direzione, lo vedo sorridere e alzare entrambi i pollici come un bambino contento di aver ricevuto un nuovo giocattolo.
«Ha detto di sì» m’informa, infilando un braccio dentro il giubbotto.
«Bravo».
Si mette a dondolare sui talloni. «Quindi posso venire con te» aggiunge.
Eh?
«Come?» domando ormai fuori dalla bottega, in strada.
«Avanti, sappiamo entrambi che vuoi che ti segua».
Scuoto leggermente il capo, guardandolo confusa. «No che non lo voglio» rispondo.
«Allora vuoi che cammini al tuo fianco?» chiede incoraggiante.
Imito il suono di uno di quei buzz dei quiz televisivi, uno di quelli che parte quando il concorrente sbaglia la risposta. «Ritenta, Harold, sarai più fortunato».
«Non ti lascerò mai fare merenda da sola, se è questo che pensi».
Mi premo le mani contro le guance, nell'imitazione più scarsa della me scombussolata che riesco a fare. «Cavolo, hai scoperto le mie reali intenzioni!».
«Avanti, è tristissimo mangiare in solitudine! Anche tu hai bisogno di compagnia, ogni tanto, altrimenti verresti sbranata dai pastori alsaziani e nessuno se ne accorgerebbe perché nessuno ti conoscerebbe!».
«Ma chi ti dice che io sia da sola?» dico quasi acida, un po’ offesa dal fatto che mi consideri un’asociale sociopatica.
Harry mi supera di qualche passo e si ferma poi di fronte a me, incrocia le braccia al petto e mi squadra dall’alto verso il basso e viceversa. «Dopo tutto questo tempo, pensi ancora di poterla fare franca con il sottoscritto?».
«Non è forse così?».
«Certo che no!» esclama. Roteo gli occhi e lui approfitta del mio silenzio per continuare. «Se ti conosco, Chase (e ti conosco, quindi stai zitta), saresti andata dritta filata a casa, ti saresti buttata sul divano e avresti cominciato a fare zapping in tv pentendoti di non aver comprato anche un pretzel. Fortuna che sono arrivato in tempo».
La verità delle sue parole è sconcertante, ma mi sforzo di apparire impassibile. Lo supero e riprendo a camminare. «Da quando mi chiami per cognome?» chiedo.
«Da quando l’ultima volta che ci siamo visti mi hai pregato di non chiamarti Victoria».
Non lo ricordo, ma la cosa non mi sorprende: ho sempre odiato il mio nome. «L’ho fatto?».
«Sì, Vic, l’hai fatto».
«Puoi ripetere, per favore?» lo invito, portandomi una mano all’orecchio sinistro come per sentire meglio.
«L’hai fatto, Vic».
Socchiudo gli occhi e sospiro soddisfatta. «Oh, vedi? Vic suona di gran lunga migliore».
«D’accordo, Vic».
«Okay, però non abusarne».
«Come vuoi» annuisce.
Camminiamo in silenzio per qualche minuto, accompagnati solo dal suono indistinto di alcune voci tra le varie vie. Harry continua a calciare un sasso ad ogni suo passo ed io sto attenta ad evitare che la bici finisca dritta in una pozza: non vorrei ritrovarmi a dover scrostare le macchie di fango.
L’aria pungente mi fa rabbrividire e mi fa pentire di non aver indossato una maglia a collo alto o di non aver preso una sciarpa mentre uscivo di casa, perciò mi…
RBURUBRUUUURBRRAAAAAAAAH!
Scatto sull’erta e mi guardo intorno, paonazza, pregando che Harry non abbia sentito la parata che si sta svolgendo dentro il mio stomaco. Invece il suddetto ragazzo ha ben udito quel tremendo brontolio (e come non avrebbe potuto? Il lamento è riecheggiato per tutta Holmes Chapel!) e si sta sforzando di non ridere.
«Ho come l’impressione che qui qualcuno abbia urgentemente bisogno di mangiare, non ti pare?».
Dissimula, Vic, dissimula.
«Hai fame?» chiedo svampita. Harry alza un sopracciglio e mi guarda come ad esortarmi a non sparare castronerie, motivo per cui aggiungo: «Okay, ho fame. Famissima. Mi sento come se non mangiassi da un mese. Mi sento come quella pubblicità di quei cracker, con la tipa che ingurgita un computer intero».
«Quanto la fai drastica» ridacchia.
«Non ho fatto colazione, comprendimi».
«Beh, questo spiega tutto. Quindi dove stiamo andando?».
Mi fermo sul posto, interdetta. «Non lo so, io stavo seguendo te».
Anche lui sembra improvvisamente spiazzato. «Io seguivo te».
«Nella mia famiglia non sono una maniaca del controllo, volevo fossi tu a scegliere».
Harry fa un cenno col capo e sorride a labbra chiuse. «Siamo gentili, oggi» scherza, offrendomi un braccio mentre con l’altro afferra la mia bicicletta.
«Sì, siamo molto gentili, oggi». Accetto la presa e lascio che sul suo viso si formi un’espressione compiaciuta.
Torniamo ad incamminarci e ben presto capisco che mi sta guidando in direzione del parco.
Mi rivolge un’occhiata di sottecchi e ridiamo quando si accorge che anch’io lo stavo già guardando.
«Quindi, – esordisce – come te la passi?».
Scrollo le spalle. «Sempre allo stesso modo: casa, lavoro, passeggiate domenicali con Alexis… La solita solfa».
«Nulla di nuovo all’orizzonte, insomma».
«Di questo passo dimenticherò presto cos’è, l’orizzonte».
Harry incrocia le braccia dietro la testa e alza gli occhi al cielo, dove inizia a spuntare qualche spiraglio di sole. «Hai ripensato alla mia proposta dell’ultima volta?».
«Quale?».
«Quella di trasferirti a Londra» risponde con indifferenza. Con finta indifferenza, forse.
Non riesco a dire niente, a parte un «Ah» mormorato appena. Non credevo se ne ricordasse: è passato del tempo, e in più ero convinta che l’avesse detto perché spinto dalle tre birre che si era scolato. Voglio dire, quella sera avevano tutti esagerato un pochino con l’alcol e alla fine non si riusciva nemmeno più a capire niente.
«Ci hai ripensato seriamente?» insiste, chinandosi per studiare la mia espressione confusa.
È ovvio che l’abbia fatto, quella mezza idea biascicata prima di addormentarsi è stata oggetto delle mie più profonde e meditate riflessioni per intere settimane. Ho continuato ad alternare sì e no, stati d’euforia a dubbi esistenziali per una o due pagine del calendario, poi Harry è sparito e con lui anche il mio spirito d’iniziativa.
«Non riuscirei a cavarmela, lì fuori. Non da sola. – spiego con calma, dopo essermi presa qualche attimo prima di rispondergli – Per quanto a volte mi stia stretto, mi trovo bene in questo piccolo angolo di mondo».
«Non saresti sola: io ti darei una mano col trasloco e tutto il resto, ce la faresti. I primi tempi potrebbero essere leggermente problematici, ma poi…».
«Ma poi andresti via. Tu vai sempre via, Harold».
Ed ecco cosa succede quando si parla senza prima aver atteso che cervello e bocca si consultino tra di loro. Mi capita spesso di dire cose a sproposito, non sono mai riuscita a farne a meno. Però... però adesso avrei dovuto tenere il becco chiuso. Non so che fare. Aiuto. Non sono nemmeno in grado di pensare a delle scuse o a qualunque altra cosa che possa togliermi da quest'impiccio; inizio solo a farfugliare frasi sconnesse che non hanno il benché minimo senso.
Cioè, ho appena fatto pesare al mio migliore amico il suo essere un astro della musica internazionale con tanto di premi e riconoscimenti alle spalle. In pratica gli ho sputato in faccia il fatto di non esserci stato quando avevo bisogno di lui: il che è vero, lui non c'era e non avrebbe potuto esserci, ma non posso mica fargliene una colpa. Il successo l'ha travolto e trascinato via, tutto qui.
Oh. Sono talmente presa dal mio sguazzare nell'oceano del Panico da non accorgermi nemmeno di aver raggiunto il parco. Harry è ancora accanto a me, non spiccica parola e si guarda brevemente intorno prima di puntare una panca in legno poco distante da noi. Lo seguo e mi siedo a gambe incrociate, lui  si lascia scivolare sullo schienale e infila le mani in tasca; continua a fissare assorto un punto in fondo, tra l'erba alta e i soffioni. Provo anch'io a guardare nella stessa direzione, ma non vedo niente che possa attirare la mia attenzione.
Sono così a disagio che quasi mi è passata la voglia di mangiare. Quasi.
«Sei l'unica persona a chiamarmi ancora Harold. – mormora infine, quando decide di riacquistare l'uso della parola – Neanche mia madre lo fa quasi più».
L'occhiata che gli rivolgo ha del, non so, pazzoide probabilmente. È quel tipo di occhiata con un occhio sbarrato e uno quasi chiuso, per capirci. Il tipo O-grande-punto-o-piccola, per essere maggiormente specifici.
«È tutto quello che hai obiettare, Harold?». Il mio tono di voce è più acido di quel che avrei voluto, ma Harry mi sorride di quel suo famoso sorriso tutto fossette e mi fa sentire un tantino meno tesa.
Dio, oggi sono tanto intrattabile quanto mia sorella in quei suoi giorni. Non mi capita mai di essere così arrabbiata col mondo, mai. Quasi mai. Solitamente. Va bene, mi capita spesso: due volte a settimana, almeno.
«No, in effetti c'è dell'altro» afferma, incrociando le braccia al petto.
«Sono tutta orecchie».
«L’Apollo Theatre potrebbe essere un buon trampolino di lancio prima di arrivare a Broadway. Perché tu... balli ancora, no? I musical e tutto il resto ci sono ancora, no?» aggiunge dopo poco.
Annuisco ripetutamente, pensierosa. «Sì. Sì, faccio ancora parte del gruppo. Però non credo che facciano spettacoli di danza all'Apollo Theatre. O forse sì. Li fanno?».
Harry ci pensa su, poi scoppia a ridere.
«Boh, e chi lo sa» risponde divertito.
«E tu saresti quello che vive a Londra, eh?».
«In un certo senso, non posso dire il contrario. Vedila così: io sono un cittadino del mondo».
Cittadino del mondo. Cittadino del mondo. Cittadino del mondo. Mi piace come espressione, sì. Non mi si addice forse appieno, ma mi piace.
Afferro la ciambella dal sacchetto e ne mordo un pezzo talmente grande che quasi fatico a chiudere la bocca. Mastico con calma e mando giù. «Allora dimmi, cittadino del mondo, preferisci la ciambella o il rotolino?» chiedo con nonchalance, trattenendomi dal ridere e riuscendoci veramente bene. Forse è vero ciò che dice la mia famiglia, forse sono sul serio un'attrice nata e mancata.
Harry fa scivolare lo sguardo dalla ciambella che continuo a mordicchiare al rotolino alla fragola ancora intatto; il gesto è chiaro come il sole in una bella giornata estiva in qualunque parte del pianeta che non sia l'Inghilterra, ma evidentemente il ragazzo non può fare a meno di reggermi il gioco e recitare la sua parte.
«Rotolino, – risponde dopo aver finto una lunga e acuta riflessione – non oserei mai derubarti della tua preziosa ciambella».
«Saggia decisione, bravo» mi complimento brevemente e con la mano parata davanti alle labbra prima di ingollare un altro pezzo.
Harry mangia con la stessa lentezza con cui parla, perciò, complice la mia assurda voracità di oggi (e di sempre, quando si parla di dolci e schifezze varie), passo parte del tempo a rigirarmi i pollici mentre lui continua a sfamarsi, morso dopo morso.
Dovrei smetterla di rosicchiare così le mie unghie, ammetto che non sia una cosa carina da fare. Infilo le mani nelle tasche del giubbotto.
«Comunque per andare a Londra non hai bisogno di prendere l'aereo» osserva d'un tratto, come se fosse stato folgorato sulla via di Damasco.
«Sì, questo lo so». Apre la bocca per parlare, ma lo zittisco. «No. Non al momento, almeno».
«Quindi tu vuoi sfondare come ballerina ma hai paura di muoverti da questo buco. – afferma, e lo dice in un modo che quasi quasi mi mette a disagio – Lì a sud gli artisti di strada vanno forte, sai? Balli hip-hop e la gente ti tira un sacco di monetine, qualcuno lascia anche delle banconote».
Opto per l'arrampicata sugli specchi.
«Non è paura, è timore» correggo.
«È lo stesso».
«No che non lo è».
«Okay, è timore. Però resti strana lo stesso».
«E tu lasciami essere strana come e quando mi piace» sbuffo infine, ponendo fine alla questione.
Casco di Ricci torna a concentrarsi sulla sua merenda, ma non passa molto prima che se ne venga fuori con un'altra delle sue.
«Ti vedi con qualcuno ultimamente?» domanda con questo suo nuovo fare bizzarro e ingenuo e impacciato che non ricordavo prima.
«Poi sono io quella strana, eh?».
«No, davvero, ti vedi con qualcuno?».
Distolgo lo sguardo da lui per uno o due minuti, spiazzata. «Uhm, no. – dico infine – Cioè, non al momento. Sono uscita  per un po’ con un ragazzo, ma la cosa non è andata in porto».
«Chi era?».
«Dylan O’Brien, non credo che tu…».
Harry salta inspiegabilmente su, la sua faccia diventa praticamente tutta occhi. «Quello di Teen Wolf?!» esclama.
«Chi?», ho nla voce ridotta ad un urletto stridulo.
«Quel Dylan O’Brien? Quello della serie tv?».
«Non ho proprio idea di chi sia… – corrugo la fronte e scuoto il capo – Dio, sei proprio scemo» sussurro.
«Un caso irrecuperabile».
«Esattamente».
«Quindi sono ancora l’unico Styles della tua vita?» ammicca.
Mi vien da ridere, ho una voglia matta di farlo, e mi lascio scappare un ghigno che dissimulo con un colpo di tosse. «Sì. Ti senti sollevato, adesso?».
«Molto». Un ultimo boccone e anche il rotolino alla fragola sparisce nel vuoto. «Come mai non ha funzionato?».
Appoggio la testa contro lo schienale della panca e guardo il cielo meno nuvoloso. «Credo fossimo troppo diversi, semplicemente questo».
«Hai rotto tu?».
«Strano ma no, abbiamo deciso entrambi di rompere. Era uno in gamba, lo devo ammettere, ma non era il tipo per me».
Si lascia scivolare più vicino a me, in modo che i nostri occhi siano alla stessa altezza.
«E tu? Ti vedi con qualcuna ultimamente?». Adesso tocca a me prendere il coltello dalla parte del manico.
«No».
Gli assesto una gomitata amichevole. «Bugiardo».
«Ahia!» sbotta, massaggiandosi il punto mortalmente ferito.
«Femminuccia».
«È vero, perché dovrei mentirti?».
«Vediamo... Perché potrei andare a spifferare tutto a qualche rivista che mi pagherebbe tanto oro quanto peso per saperne di più sul tuo conto?» azzardo.
Harry avvolge un braccio intorno alle mie spalle e mi dà qualche colpetto affettuoso sulla scapola. «Non lo faresti mai» risponde con sicurezza, facendomi scappare un sorriso.
«Sì, hai ragione» affermo poco dopo.
«E poi, anche volendo, non ne avrei tempo. Sei la prima ragazza con cui esco da non so più nemmeno quanto».
Toh, a quanto pare sono ancora una volta la prima.
«Mi sento davvero onorata di ciò» ridacchio.
Harold tira un profondo sospiro, le spalle (più grandi di quanto le ricordassi) si alzano e si abbassano. «È frustrante» sibila.
Strabuzzo gli occhi. «Come, prego?».
«Incontrare tante ragazze carine ogni giorno e non poterle invitare fuori, è… mi deprime».
Facepalm. Facepalm con tutte e due le mani.
Non so esattamente come reagire ad un affronto simile, potrei tentare una soluzione melodrammatica e buttarla sul ridere, in fondo so che non voleva offendermi. Faccio per mettermi in posa ed iniziare la mia performance, ma Harry impiega solo una manciata di secondi prima di connettere tra loro i suoi due mezzi neuroni e tentare di riparare allo strafalcione.
«Aspetta, – esordisce premuroso – non fraintendere. Io non intendevo che…»
«No no, tranquillo, ho capito: tu non intendevi dire che sono molto al di sotto dello standard di bombe sexy che incontri quotidianamente, proprio no. Non hai mai insinuato una cosa del genere, no».
Mi dà un buffetto sulla guancia a tradimento. «Dai, Vic!» ride, allungando più del dovuto la I del mio nome.
«Toccami ancora le guance e ti denuncio».
«Secondo me hai fatto scappare Dylan a gambe levate, ecco perché ti ha mollata».
«Mi erano mancati il tuo tatto e la tua delicatezza, sai?» borbotto. Mi allontano da lui e mi sistemo sull'estremità della panca, gli do quasi le spalle, ma ovviamente Harry mi afferra per i fianchi e vengo inesorabilmente ritrascinata indietro. Ahimè.
«Avanti, dimmi: com’è questo tuo "tipo ideale”? – mima con le dita – Deve ancora essere il più possibile somigliante a Justin Timberlake?».
«Oh, no: ho superato quella fase da un pezzo. Il mio tipo ideale deve essere Justin Timberlake».
«Ha poche pretese, la ragazza. – bisbiglia ad una terza persona che non c’è – Lo sai che è sposato, no?».
«Sì, e sua moglie è bellissima» dico mestamente.
«Quindi hai deciso di votarti all’ascesi per tutto il resto della tua lunga vita solo perché l’uomo dei tuoi sogni è già impegnato?».
Pft, ma per chi mi ha presa?
«Certo che no! Un bel giorno Justin si sveglierà nel suo immenso letto matrimoniale, proprio al fianco di Jessica, e d’un tratto realizzerà che lei non è più la donna giusta per lui. Per quanto ciò potrà dispiacergli, si vedrà comunque costretto a lasciarla e… Uhm, non ho ancora chiari i dettagli del nostro incontro e del nostro fidanzamento-lampo, ma ci sto lavorando sopra».
Sì, sono estremamente convinta di ogni singola sillaba che ho appena pronunciato: devo credere nei miei sogni se voglio che si realizzino.
Mi aspetto che Harold prenda a sghignazzare e sfottermi come se non ci fosse un domani, invece si limita a guardarmi con interesse, con un angolo della bocca sollevato in un mezzo sorriso divertito. Ricambio istintivamente prima di proseguire: «Comunque sto ancora aspettando che tu mi presenti Liam, ricordi?».
Alza le spalle e mette su una finta aria desolata. «Anche Liam ha già la ragazza, mi dispiace».
«Beh, allora presentami Niall». Seriamente, non vedo dove sia il problema.
«Perché dovrei farlo?» sorride allegro, il mento sul pugno chiuso e il gomito poggiato sul ginocchio. Mi soffermo a studiare le sue gambe prima di rispondere, paragonandole con le mie: stronzo, potrebbe fare concorrenza a Kate Moss con delle gambe del genere. Io invece... io... io sembro uscita da un dipinto di Botero, ma vabbeh, illudiamoci pure del fatto che abbia i muscoli sviluppati per via dei miei innumerevoli anni di danza.
«Perché è il minimo che tu possa fare dopo i tanti sacrifici che ho fatto per te».
Che battuta ad effetto, eh? Peccato che non sembra proprio aver ottenuto il risultato sperato.
«Tanti sacrifici, addirittura», adesso ride proprio di gusto.
Gli punto un dito contro, pronta a difendere le mie ragioni. «Hey, ti ho fatto copiare anni e anni di compiti per casa, dovresti essere più riconoscente».
«E dovrei mostrarti la mia riconoscenza presentandoti un mio amico?».
«Vedo che hai capito, gioia. Ti ho sempre ritenuto abbastanza intelligente da poter fare i tuoi compiti da solo, dopotutto» mi cimento in un'imitazione della signora Alcott, la nostra vecchia e secolare e bassa e bionda e antipatica professoressa di Storia, che sarebbe stata perfetta se alla fine non mi fossi messa a ridere come una deficiente.
Anche Harry ridacchia un po', prima di sganciare le bomba.
«È troppo chiederti di accontentarti di me?» domanda.
Ah?
È troppo chiederti di accontentarti di me?
AH?
È troppo chiederti di accontentarti di me?
Ah.
Signore e signori, è con immenso piacere che vi presento Harry Styles, il ragazzo più discreto di tutta la via Lattea.
Se avessi ancora quattordici anni probabilmente trillerei qualcosa tipo «Opossum!» e farei finta di mettermi a dormire, ma alla mia età attuale mi sembra una cosa terribilmente fuori luogo.
Però dico, è il caso di venirsene fuori con interrogativi del genere? Non è un tantino crudele da parte sua mettermi in difficoltà in questo modo talmente barbaro? Un attimo prima siamo lì a parlare di quel gran figo ex-biondo-riccio-impomatato-degli-N*Sync e un attimo dopo ripeschiamo discussioni più stagionate di una ruota di parmigiano in un caseificio italiano.
Il tempo sembra dilatarsi, Harry aspetta sicuramente una risposta ed io ho come l’impressione che sia già passato un millennio. Apro la bocca, ma la mia mente annebbiata è completamente vuota e svuotata di ogni cosa (a parte un’immagine di mia sorella Greta che non smette di ripetermi che ho la testa utile solo per completare il resto del corpo) e la richiudo senza nemmeno farne uscire un verso di qualunque tipo. Non mi resta altro che sperare che Harold annunci trionfalmente di star scherzando, lottando nel frattempo per non accendermi come una grossa lampadina rosso fluo; anche se temo di essere già in ritardo per questo.
E poi, eccolo, il tanto sospirato miracolo. Il cellulare nella tasca vibra e mi precipito a rispondere come se da quella telefonata dipendesse tutta la mia vita.
È mamma: mi chiede di rincasare il prima possibile per aiutarla in cucina.
«A quanto pare avremo ospiti a cena» bofonchio rivolta al telefonino. L’idea di passare una serata in compagnia di Jade (che da “migliore amica” è passata al rango di “amica?”) e di quell’oca di sua sorella minore mi alletta tanto quanto una nuotata nei fiumiciattoli infestati dai piranha in Amazzonia.
«Perché non mi sembri tanto contenta?».
«Perché non lo sono affatto». Mi alzo, infilo la tracolla e allungo una mano verso il manubrio della bici. Styles scatta in piedi e mi segue in silenzio. «Proprio il completamento perfetto per una giornata perfetta» borbotto tra me e me.
Harry mi passa una mano tra i capelli perfettamente piastrati, arruffandoli tutti. È il suo modo di dimostrarsi affettuoso e compassionevole delle mie sciagure, perciò lo lascio fare senza arrabbiarmi.
«Lo credo bene, – sghignazza – sono stato il sole nel tuo cielo nuvoloso!».
«Eh?».
«Ti ho rallegrato alla grande» spiega.
«Ah… sì. – rispondo distrattamente – Avrei bisogno di averti fra i piedi più spesso, forse».
Lo vedo spalancare le braccia con un gesto plateale. «Chiedi e ti sarà dato!» esclama euforico.
Ci siamo appena lasciati l’ingresso del parco alle spalle, è tempo che le nostre strade si dividano.
«Beh, non mi hai ancora detto per quanto ti fermi stavolta».
Sembra leggermente impacciato mentre si guarda intorno, evitando il mio sguardo. «Oh, eeeehm, fino a domenica… quasi una settimana… sono arrivato lunedì sera e…».
Non occorre nemmeno che finisca la frase. «Sei arrivato lunedì sera e nemmeno sei venuto a cercarmi?!» strillo.
«Fammi finire di parlare, aspetta! Sono arrivato lunedì sera ed era troppo tardi perché venissi a trovarti…».
«Vergogna, Styles. Vergogna, vergogna, vergogna».
«…e allora sono passato da casa tua martedì pomeriggio, ma tu non c’eri, e ieri sono uscito con Will e il resto dei ragazzi e oggi… ehm… L’importante è che ci siamo incontrati, no?» sfodera un ottimistico sorriso a trentadue denti.
«Appunto, ci siamo incontrati».
«Questo è un buon segno, vuol dire che il Fato è dalla nostra parte!». Ed io che fino a qualche ora fa mi reputavo la campionessa assoluta dell’arrampicata sugli specchi.
«Per il tuo bene, non rivelerò a nessuno questa battuta».
«Tanto sai che sono capace di farne di più squallide» m’informa.
«Sì che lo so, e mi addolora notare che peggiori col tempo».
«E tu come…?».
«Youtube».
«Ah. – è palesemente sorpreso – Da quando in qua mi stalkeri su Internet?».
«Da quando tu sei sparito nel nulla ed io non ho più avuto notizie». Mi sto mentalmente congratulando con me stessa, avete indovinato.
Harry alza le braccia in segno di resa e scuote il capo, i ricci gli danzano davanti al viso. «Okay, la questione si sta decisamente rivoltando a mio sfavore e non posso fare a meno di evitare questa situazione spinosa, perciò, – sfrega tra loro le mani – hai da fare domani?».
«Lavoro. Quasi tutto il giorno, per di più: c’è una riunione per non ho capito cosa alla quale sono tenuta a presentarmi, anche se sicuramente non mi sarà data l’occasione di aprire bocca perché sono troppo giovane».
Io sospiro, lui fischia.
«Ti trattano bene» commenta.
«Coi guanti di velluto».
«Allora sabato? Posso anticipare gli impegni a domani ed essere a tua completa disposizione per un giorno intero, se ti va».
Faccio cenno di sì con la testa, egoisticamente felice e onorata della sua proposta. «Sembri uno che ha molto da farsi perdonare» assumo un’espressione buffa, a metà tra il divertito e l’astuto. O almeno, mi auguro che risulti buffa e che non mi faccia apparire ancora più insulsa.
«Passo a prenderti per le nove e mezza e, ti supplico, ti supplico ti supplico ti supplico, non lasciarmi ad aspettare fuori dalla porta».
«Non accadrà mai, mia madre ti farà entrare e ti offrirà il solito caffè di sempre» perché ha il solito debole per te di sempre, penso. Monto in bicicletta per evitare di ritardare ancora, anche se questo significa che dovrò mettermi veramente a pulire via il fango prima di salirvi sopra un’altra volta. «Sarà meglio che scappi a casa, adesso» gli comunico.
«Sarà meglio, sì» risponde, scoccandomi un’occhiata furba. So esattamente cosa vuole e non ho intenzione di negarglielo, così alzo un pollice e gli do il via libera.
Harry agita un pugno per aria, poi poggia le mani sulla mia schiena e comincia a correre per prendere velocità e darmi la spinta che serve, allo stesso modo di quando eravamo bambini e lui mi insegnava a pedalare.
Sono ormai distante qualche metro quando lo sento vociare «Mi sembra solo ieri che andavi ancora sul triciclo! La mia bambina è cresciuta!».
Rido a cuore aperto.
Stupido Styles, quante ne abbiamo combinate.

 
Stop the traffic, let 'em through!

Un mese e due giorni. 
Sono dovuti passare un mese e due giorni prima che io riuscissi a scrivere qualcosa.
(Sono anche passati roba tipo tre anni prima che mettessi di nuovo piede in questa sezione, forse è per questo che ho l'ansia da prestazione)
Oibò, la storia c'è.
È divisa in due parti perché mi stavo dilungando troppo, e l'idea di postarvi l'Iliade omerica non mi andava proprio a genio.
Spero che questa prima parte vi sia piaciucchiata almeno un pochino, la seconda è già in massima parte abbozzata e mi auguro di riuscire a postarla tra giovedì e venerdì prossimi, impegni permettendo. In pratica, non linciatemi se ritardo. Sono molto esigente con quello che scrivo e non faccio altro che farmi paranoie. A proposito, vi prego di scusare eventuali orrori ortografici e ca...stronerie scritte, il mio cervellino bacato ha dato forfait e penso di essermi lasciata parecchie schifezze alle spalle.
Ed è tutto!
Vi ringrazio per l'attenzione *rotola palla di fieno* e per aver aperto la pagina, facendo salie il numro di visualizzazioni lol
Alla prossima,

A.

Note speciali per mia sorella:
Hai letto? Hai letto tutto? Lo so che non sono brava quanto Rick Riordan, ma almeno degnami della tua attenzione e leggimi.
Questa povera formichina curiosa sta sgobbando tanto per scrivere qualcosa di decente con te protagonista (ho anche messo vari riferimenti che spero tu abbia capito) e vorrebbe avere un tuo parere. Anche se non ti piace. Tanto lo sai che non ti lincio. Al massimo salgo in camera e brucio tutte le tue cose <3
Battute tristi a parte, spero ti piaccia. Almeno un po'. Perché mi sto impegnando un botto per non descriverti antipatica come sei e perché ho deciso che questa sarà la prima e l'ultima volta che scrivo di te.
Ultima cosa: Harry.
Non potevo shipparti con Niall perché è mio, quindi beccati Styles e andate a mangiare un gelato/fare qualche giro al parco divertimenti/fare shopping/costuire un aquilone e tutte quelle altre belle cose di cui parlavamo l'altra notte xD
Ti lovvo.

P.S.: È per te che ho ingrandito i caratteri, visto che sei cieca, così non ti lamenti.


 
  
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