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Autore: Do_Not_Touch_My_Patria    31/07/2014    4 recensioni
Sono passate due settimane dalle vicende di "Trovami Almeno un Motivo per cui Dovrei Amare l'Italia".
Gli Amis de l'ABC sono tornati a casa, a Parigi, e la vita di tutti i giorni a ripreso a scorrere tranquillamente per tutti.
Beh, quasi tutti.
Infatti, se Combeferre e Eponine portano avanti una relazione ampiamente meritata, se Marius e Cosette si stanno preparando per il loro matrimonio, se Courfeyrac e Jehan possono godersi finalmente un po' di pace e se Bossuet e Joly sono finalmente diventati una coppia a tutti gli effetti, insomma, se tutti ora sono felici, lo stesso non si può dire di Enjolras e Grantaire.
Qual è il problema?
Semplicemente, il nostro caro Apollo ha finalmente realizzato di essersi impegnato con l'ultima persona che avrebbe mai immaginato, e adesso il suo cuore deve fare i conti con la sua mente.
Come far combaciare un'anima desiderosa di amare, di ridere e di vivere, con un cervello rigido e intransigente come quello del giovane Leader?
Grantaire non è molto preoccupato: sa che ci vorrà tempo, ma lui non ha alcuna fretta, basterà fare tutto un passo alla volta...
[Sequel di TAUM, ma tranquillamente comprensibile senza averla letta.]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV__Convivenza








Se c’era una cosa di cui Alexandre Frédéric Enjolras era fermamente convinto, era l’estrema, sadica e vagamente diabolica crudeltà delle sessioni estive.
Quell’anno, accidenti a lui, aveva calcolato male i tempi, e per la prima volta nella sua vita si era ritrovato l’estate occupata dagli esami.
Addio ferie, addio relax, addio tutto.
Se solo pensava che l’anno prima, a quell’ora, si trovava probabilmente nella meravigliosa Biblioteca Laurenziana di Firenze, quasi gli veniva da piangere.
Adesso gli unici libri di cui poteva permettersi di circondarsi erano gli odiosi manuali scolastici, grigi e pieni di nozioni inutili che avrebbe volentieri ignorato.
Non che ad Enjolras non piacesse studiare, intendiamoci, ma dover piegare la schiena sui libri, sottolineare, riassumere e ripetere al dodici di Agosto, con la colonnina di mercurio che toccava i trentacinque gradi e il tasso di umidità al settantotto percento, non era proprio il massimo.
Se non altro, almeno, anche i suoi amici si erano visti costretti a rimanere a Parigi durante l’estate.
Joly, impegnato con la Tesi, passava più tempo in biblioteca che all’aria aperta, Bossuet aveva finalmente trovato un lavoro decente come cassiere part-time in un supermercato, e entrambi avevano deciso di rinunciare alle vacanze per mettere da parte un po’ di soldi.
Stessa cosa per Ferre e Ponine che, progettando di andare a San Pietroburgo nelle vacanze di Natale, avevano lasciato perdere quelle estive.
Marius e Cosette erano andati una settimana in Grecia, ma si era risolto tutto lì, ed erano rientrati ustionati e felici come da pronostico per dedicarsi alla loro casetta piena di fiori e piantine colorate: Cosette adorava il giardinaggio, e Jehan non disdegnava mai di darle una mano a curare il piccolo e rigoglioso cortiletto.
Gli unici che si erano goduti un po’ di meritata vacanza, alla fine, erano stati proprio il poeta e Courfeyrac, che erano fuggiti dalla canicola per rintanarsi un mese nella tenuta di Nonna Courf, sulle selvagge e decisamente più ventilate coste Bretoni.
Certo, il Centro aveva subito una batosta colossale nello scoprire che sua sorella gli aveva dato buca all’ultimo minuto fiondandosi a Ibiza con un’amica, ma aveva prontamente sopperito all’assenza invitando Bahorel e Feuilly, che si erano presentati per una decina di giorni.
Inutile dire che se l’amabile vecchina non avesse avuto la tempra indistruttibile e festaiola dei Courfeyrac avrebbe certamente cacciato di casa a calci nel sedere tutti e quattro già al secondo giorno di permanenza…
Insomma, a parte qualche caso isolato, si poteva dire che quell’estate non sarebbe certo passata alla storia come una delle estati più mirabolanti di sempre.
Dopotutto ci sarebbe voluto un vero cataclisma per superare in epicità ciò che era successo a Firenze…
Sopraffatto dal caldo, Enjolras allungò una mano fino al cartoccio di succo di mela, scoprendo con disappunto che vi aveva dato fondo verso la fine del capitolo sette.
Sbuffò infastidito e si alzò, strisciando verso il frigo alla ricerca di un po’ di frescura.
Aperta l’anta, però, si accorse con orrore che le riserve idriche erano finite.
Niente bottiglie d’acqua, niente cartocci di latte, niente brick di succhi o damigiane da litro di Coca Cola.
Niente di niente.
Avrebbe dovuto fare la spesa.
Fece dietrofront diretto al tavolo della cucina, ma la vista dei libri di Morale impilati uno sopra l’altro gli fece mancare il fiato, causandogli un pincipio di crisi isterica.
Faceva troppo caldo.
Troppo, dannato, schifossissimo e lurido caldo affinchè una persona umana potesse concepire di resistere sui libri –peraltro incomprensibili- con i capelli tutti appiccicati al collo e le mosche che ronzavano dispettose qua e là.
Dannazione, odiava l’estate!
Trasse un profondo sospiro  nel tentativo di calmarsi e rinunciò definitivamente a proseguire con lo studio.
Basta, per quella mattina aveva fatto anche troppo.
Si fiondò sotto la doccia, accogliendo con piacere indescrivibile il getto d’acqua ghiacciata che lo investì in pieno, raffreddando i bollori e portando un po’ di quiete nei suoi pensieri.
C’era effettivamente troppo caldo per continuare a studiare, e poi era avanti di tre capitoli sulla tabella di marcia, avrebbe potuto concedersi un pomeriggio di pausa. Come se non bastasse era quasi ora di pranzo, avrebbe dovuto organizzare qualcosa…
Ma sì, un po’ di sano riposo non gli avrebbe certo fatto male.
Sciacquatosi di dosso il sapone, uscì a malincuore dalla doccia, un asciugamano candido legato in vita alla bell’e meglio.
Fu così che accolse Grantaire di ritorno dal suo appartamento.
- Sono tornato! – lo sentì urlacchiare nell’ingresso.
Gli andò incontro e lo salutò con un sorriso sfiancato.
- Basta, Apollo… Tutta quella Filosofia Morale ti trasformerà in un maniaco omicida… - considerò.
- Ti ricordi in che condizioni aveva affrontato l’esame Ferre? – cercò di farlo ragionare riportandogli alla mente la settimana di totale nevrosi di cui la Guida era stato vittima alla vigilia dell’esame.
E se uno come Combeferre era andato in crisi, una qualsiasi persona normale avrebbe dovuto approcciarsi a quei libri con estrema cautela.
- Non me ne parlare. Nemmeno studiando sui suoi appunti riesco a venirne a capo. Il professore è un pazzo. Un pazzo! Non sono nemmeno sicuro che la lingua che parla sia Francese! – piagnucolò, terrorizzato dall’idea di ridursi come il suo migliore amico.
- Dai retta a me… - incominciò Grantaire, circondandogli il collo ancora bagnato con le braccia.
- Sospendi per un paio di giorni e riposati un po’… - e prima che il biondo potesse azzardarsi a replicare gli impegnò e labbra in un bacio lento e inebriante.
Quando però il suo Apollo lo prese per la vita nel tentativo di attirarlo più a sé, Grantaire emise un grido di dolore che fece fare al biondo un balzo indietro.
- Cosa c’è? Cosa succede? – domandò, terrorizzato.
Grantaire scoppiò a ridere, sollevando piano la maglietta per mostrare con orgoglio un gigantesco cerotto bianco.
Quella visione provocò in Enjolras una bizzara e divertente serie di reazioni: sgranò gli occhi, impallidì, aprì la bocca e la richiuse, poi allungò una mano in avanti e deglutì, per lasciare infine libero sfogo ai suoi timori.
- Santa Patria! Cosa ti è successo? Sei caduto in bici? Ti hanno investito? Non sarai mica finito in una rissa, vero? Cos’è, una coltellata? Dio, Grantaire, parla! Cosa è successo?! – snocciolò senza nemmeno prendere fiato fra una parola e l’altra, livido di terrore.
In tutta risposta lo scettico rise di nuovo, una risata così profonda e sentita da fargli venire le lacrime agli occhi.
- Calma, calma! Non mi è successo niente! Ho solo fatto un tatuaggio!– spiegò, in preda all’ilarità più totale.
Il viso di Enjolras si fece improvvisamente cupo.
- Un tatuaggio. – constatò, atono.
- Tu mi hai fatto venire un colpo per un semplice, misero, stupido tatuaggio. – continuò, questa volta decisamente lugubre.
- Non è un “semplice, misero, stupido tatuaggio”! – esclamò il ragazzo, offeso.
- E’ da quando ho quindici anni che me ne voglio fare uno, e adesso che ero riuscito a mettere da parte un discreto gruzzolo ho pensato di approfittarne… - spiegò poi, gettando un’occhiata oltre la sua spalla destra per sbirciare l’immenso cerotto.
Enjolras sbuffò, le braccia conserte.
- Mh, come vuoi. – borbottò, facendosi violenza per non limitare la libertà del compagno: tutti sapevano quanto il Leader degli Amis fosse contrario ai tatuaggi.
- E di grazia, cosa ti saresti fatto tatuare? – domandò, cercando di fingersi interessato.
Le labbra di Grantaire si tesero in un ghignetto birichino che lo fece sbuffare: quando si esibiva in espressioni simili non poteva significare nulla di buono.
L’artista solevò un poco il cerotto, trattenendo piccoli sbuffi di dolore.
- Vieni, dai, che fa un male cane! – lo esortò, voltandosi di schiena affinchè potesse vedere meglio l’opera d’arte impressa sulla sua pelle.
Enjolras si sporse in avanti e diede un’occhiata sotto al cerotto: vergate in un inchiostro scuro, eleganti nella loro calligrafia semplice ma scenica, se ne stavano intrecciate fra loro sei semplice lettere.
Una a, una p, una o, due l e un’altra o.

Apollo.


A p o l l o.


- Ti sei fatto tatuare il mio nome su una natica?! – sbraitò, paonazzo.
Grantaire rimise a posto il cerotto e abbassò la maglietta, alzando l’indice in un gesto vagamente saccente.
- Tecnicamente è ancora sulla schiena! E poi non è il tuo nome, Signor Sono-il-Centro-de-Mondo. Mai sentito parlare del dio greco delle Arti? – cinguettò, volutamente provocatorio, con il solo risultato di farlo avvampare ancora di più.
- Vabbè, si, è che credevo… - balbettò quello, imbarazzatissimo e ferito nell’orgoglio.
- Se vuoi però possiamo far finta che sia il tuo nome… - gli sussurrò poi nell’orecchio, lasciandolo di stucco e dirigendosi tranquillo verso la cucina.
Questa volta, però, fu il suo turno di fermarsi, bloccato da un urlo ancestrale.
- NO! – gridò Enjolras, uno scatto degno di un centometrista con il solo intento di precederlo e bloccargli l’accesso alla stanza.
- Come, scusa? – domandò Grantaire, composto nel suo stupore.
- Non puoi entrare. – replicò il padrone di casa, che aveva ricominciato a sudare in maniera imbarazzante.
- E perché mai? –
Quel comportamento era decisamente strano…
- Perché… Perché ci sono i libri. – balbettò, a corto di argomenti.
- Apollo, il tatutaggio ti ha sconvolto così tanto? – scherzò il suo ragazzo nel muovere qualche altro passo verso la cucina.
Enjolras fu più svelto di lui, e si insinuò nella stanza fiondandosi a coprire il tavolo con il suo corpo, mentre raccattava freneticamente libri, appunti e foglietti sparsi, piegando in due il giornale e infilandolo nel manuale per poi fuggire.
- Non guardare! Se guardi ti strozzo! NON GUARDARE! – sbraitò, chiudendosi alle spalle la porta di camera sua con un gran tonfo.
Grantaire rimase immobile sulla porta della cucina, sconvolto e vagamente interdetto da quel comportamento.
- Boh… - borbottò, incapace di darsi una spiegazione. Fece spallucce, poi aprì il frigo, ben deciso a preparare un pranzetto coi fiocchi.
Nel frattempo, nella penombra della camera da letto, Enjolras cercava di recuperare una respirazione regolare.
Quella volta aveva rischiato veramente grosso…
Si cambiò velocemente e ripose i libri nell’armadio.
Prese fra le mani il giornale e lasciò che il suo sguardo scivolasse sui cerchi rossi attorno agli annunci delle case in vendita, poi lo piegò di nuovo e lo nascose in un cassetto della scrivania che si premurò di chiudere a chiave.
Era passato quasi un mese da quando, il giorno della Presa della Bastiglia, ne aveva discusso con Combeferre e Courfeyrac.
Quel pomeriggio lo avevano passato a distribuire volantini e coccardine tricolore, perché, insomma, quale giorno migliore del 14 Luglio per portare avanti la Causa?
Stravolti, erano passati a casa di Ferre per cambiarsi e farsi una doccia prima di incontrare gli altri a Bastille e andare a vedere insieme i fuochi d’artificio.
Era stato quando anche Courfeyrac, dopo venti minuti contati, si era finalmente degnato di uscire dalla doccia, che al povero Enjolras era spettato il terzo grado.
- Allora? Si può sapere qual è il problema? – aveva chiesto Combeferre, le mani sui fianchi nel suo solito atteggiamento di mamma indagatrice.
- Cosa? Io non ho nessun problema! – aveva sbottato lui, negando come sempre l’evidenza.
A quel punto Courfeyrac si era seduto sulle sue ginocchia con aria da diva, prima che l’amico se lo scrollasse di dosso.
- Andiamo, Enjy! E’ da quando tuo padre ti ha impedito di venire al corteo in terza media che non sei così cupo il Giorno della Bastiglia! –
Il ragazzo si era alzato in piedi e, incrociando le braccia al petto, aveva preso a camminare verso la finestra del piccolo balconcino di Ferre.
- E se fossero affari di cui non voglio parlarvi? – solo quando il silenzio che aveva seguito la sua frase aveva iniziato a farsi preoccupantemente pesante si era voltato.
I suoi amici lo stavano guardando come se avessero dovuto saltargli addosso e prenderlo a sberle da un momento all’altro.
- Oh, d’accordo! Come volete voi! Si tratta di Grantaire! – aveva confessato, consapevole di non poter mantenere il segreto ancora a lungo.
- Grantaire?! – aveva esclamato Combeferre, preoccupato.
- Che succede? Le cose fra voi non vanno più? – era stato il turno di Courf, melodrammaticamente e sinceramente preoccupato.
Enjolras aveva scosso la testa, prorompendo in un profondo sospiro.
- No, affatto… E’ che… Non ditelo a nessuno, è solamente un’idea, ma… Stavo pensando di proporgli di andare a convivere. –
Le urla di giubilo che si erano alzate nel piccolo appartamento erano state sufficienti a fargli capire che aveva l’appoggio dei suoi amici.
Così, in quell’ultimo mese, aveva scartabellato decine e decine di giornali alla ricerca dell’appartamento giusto, senza tuttavia ottenere gran risultati.
Insomma, aveva trovato qualcosa di suo gusto, sì, ma se a Grantaire le scelte non fossero piaciute? Se non gli fosse piaciuta l’idea e basta?
Da quando aveva preso quella decisione, infatti, il Leader non si era azzardato a farne parola con il suo ragazzo, terrorizzato dall’eventualità di un rifiuto.
Adesso però era giunto il momento di smetterla di comportarsi come un bambino e affrontare la vita a testa alta.
Aveva preso una decisione? Bene, ora però doveva andare fino in fondo.
Trasse un profondo sospiro e uscì da camera sua, spalancando la porta della cucina con un’espressione così seria da sembrare quasi arrabbiato.
- Taire, dobbiamo parlare. – esordì.
Il moro sbiancò, lasciando i fornelli e barcollando fino a una sedia.
- D’accordo… Di-dimmi… - balbettò, senza immaginare nemmeno lontanamente dove quella conversazione li avrebbe condotti.
Nulla che incomincia per “dobbiamo parlare”, però, ha mai un risvolto positivo, e questa verità universalmente riconosciuta lo mandò in panico.
Enjolras rimase in piedi, cercando le parole.
- Questa casa è troppo piccola per due persone. Non… non si può più vivere così. – provò.
Grantaire si sentì svenire.
Lo stava scaricando.
Così, senza motivo, con la più assurda delle scuse.
Lo stava scaricando.
- Io… Enjolras, io… - esalò, avvinghiato al tavolo per contenere i sentimenti devastanti che si stavano impossessando di lui.
Non era pronto. Non era assolutamente pronto.
Deglutì, non voleva che lo vedesse piangere.
- Ed è assurdo che tu debba fare avanti e indietro fino a casa tua quando hai voglia di dipingere… e continuare a pagare l’affitto quando praticamente ormai sei sempre qui, e insomma… -
Il groppo in gola che si era formato a mano a mano che Enjolras parlava svanì lentamente.
Quello non sembrava esattamente un discorso architettato per mollarlo.
Anzi.
Assomigliava quasi al voler gettare le basi di qualcosa di più solido.
No. Un momento. Che avesse frainteso tutto?
- Apollo… Dove… dove vuoi andare a parare? – domandò in un soffio.
Il biondo buttò l’aria fuori dai polmoni e si passò una mano fra i riccioli, lo sguardo puntato a qualsiasi cosa non fossero gli occhi del suo ragazzo.
- Sto… sto cercando di proporti di andare a vivere insieme. Davvero. In una casa nostra. – si decise a proporre tutto d’un fiato.
- Non è vero. – replicò di getto Grantaire.
- Cosa?! –
- Non me lo stai chiedendo davvero. Sono io che me lo sogno. Non me lo stai chiedendo davvero. – spiegò, sulle labbra un sorrisetto ebete.
- Beh, sì, ormai è un anno che stiamo insieme e… Aspetta. Vuol dire che per te andrebbe bene? – si azzardò a domandare, teso come la corda di un violino.
In tutta risposta Grantaire si alzò in piedi e lo baciò con un trasporto tale che Enjolras ebbe quasi le vertigini.
- Portami dove vuoi, ti seguirei anche nella peggiore bettola di Saint Denis… - sussurrò contro le sue labbra, mentre il soffritto iniziava a sfrigolare nella padella.
Enjolras scoppiò a ridere, una di quelle sue risate spontanee, profonde e così rare da vedersi sul suo viso.
Abbracciò il compagno di slancio, affondando il viso nell’incavo del suo collo.
Quanto si sentiva leggero, quanto si sentiva potente!
Con Grantaire al suo fianco avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, nulla ormai avrebbe più potuto fargli rimpiangere la vita aspra e solitaria che conduceva prima di tutto quello.
- Ti amo, Tristan Grantaire… - sussurrò, sentendo i suoi battiti accelerare al ritmo di quelli dell’artista.
D’ora in avanti nulla avrebbe potuto fermarli.
 














 
I mesi erano passati, il caldo torrido dell’estate spazzato via dal venticello frizzante dell’autunno e dalle pesanti nevicate invernali.
Dicembre aveva infine bussato alla porta, recando con sé un manto di neve candida che aveva come immerso la città in un’atmosfera fiabesca.
Grantaire e Enjolras si erano trasferiti nel loro nuovo appartamento da una decina di giorni, e avevano ancora scatoloni e scatoloni di cose da sistemare.
- Taire, aiuto! –
Il moro accorse al salvataggio, liberando Enjolras di una pila di scatoloni che minacciava di piombargli dritta in testa mentre sistemava uno degli armadi.
- Quelli potresti metterli nello studio, per favore? – domandò indicando con un cenno della testa i tre scatoloni in cima alla pila.
Grantaire annuì e li sistemò meglio fra le braccia, bilanciando il peso per non venirne sopraffatto.
- Una domanda sola, Apollo. Perché vuoi mettere degli scatoloni colmi di pietre nello studio? – fece, ironico.
- Non sono pietre! –
- Cadaveri? – ritentò, lasciandoli cadere pesantemente sulla scrivania.
- Sono agende! – gridò Enjolras per farsi sentire dalla stanza accanto.
Agende? Cosa se ne faceva di tre scatoloni colmi di agende rigorosamente rosse?
L’artista ne raccolse una e se la rigirò fra le mani, incuriosito da quella bizzarra scoperta.
- Le uso per annotare tutti i progressi che otteniamo con la Causa! – spiegò il biondo, facendo capolino dalla porta e muovendo qualche passo verso la scrivania.
- Ho incominciato in seconda media e, beh… Insomma, sappiamo tutti quanto io abbia bisogno di scrivere per fare ordine in testa… - fece, un poco imbarazzato, mentre l’altro apriva l’agenda alla prima pagina e spalancava gli occhi, come pietrificato da chissà quale visione.
Enjolras non fece caso al turbamento nel compagno, né alla sua respirazione ora leggermente affannata. Semplicemente gli prese l’agenda dalle mani e diede un’occhiata, sorridendo dolcemente nel riconoscere la prima di una lunga serie.
- Ricordo ancora la notte in cui la rubai dall’ufficio di mio padre… - sussurrò, rivolto più a sé stesso che a Grantaire.
A quel punto un cartoncino rettangolare appiccicato alla prima pagina si scollò e volò per terra, adagiandosi ai piedi del Leader.
Quello lo raccolse, guardando con affetto la riproduzione un po’ infantile di Place de la Bastille in una giornata di sole.
- L’ha fatta un ragazzino a Notre Dame. Era davvero bravo… - ricordò a mezza voce.
- Chiedeva l’elemosina. Lui, che aveva su per giù la mia età, era costretto per chissà quale motivo a chiedere l’elemosina, mentre io, Courf e Ferre stavamo andando al cinema! E’ grazie a quel ragazzo se ora esistono gli Amis de l’ABC, è lui che mi ha  fatto capire che bisognava fare qualcosa per cambiare il sistema… - continuò a raccontare nel silenzio dello studiolo, la luce biancastra del pomeriggio nevoso ad accarezzargli gli zigomi.
- Non so nemmeno come si chiama… - concluse con una punta di rammarico voltando il disegno e vagando con lo sguardo alla ricerca della sigla dell’autore.
- Forse io lo so… - sentì sussurrare Grantaire, la voce appena incrinata da un sentimento che non seppe riconoscere.
Fu in quel momento che la vide.
Era scarabocchiata nell’angolo in basso a destra, sbiadita dal tempo e dalla colla.
Piccola, tremolante, quasi non avesse avuto alcuna importanza.
R.
Alzò lo sguardo di scatto, e improvvisamente ricordò gli occhi azzurri di quel ragazzino, occhi così tanto abituati alla disperazione da rifulgere come il sole per la gioia scaturita da un semplice atto di carità, di giustizia.
Occhi che adesso lo stavano guardando increduli, adombrati ogni tanto da quei ricci scuri che ormai aveva imparato a conoscere.
- Se te lo stai chiedendo, no, non sono uno stalker, giuro! – scherzò Grantaire nel tentativo di sdrammatizzare.
- Non credevo che fossi tu, io… - sussurrò poi, salvo venire interrotto dall’abbraccio di Enjolras.
- Grazie. – disse solamente il biondo mentre le braccia dello scettico gli circondavano il busto.
E se entrambi avessero creduto nel Destino non avrebbero certamente potuto evitare di pensare che, da quel grigio giorno di primavera in cui i loro sguardi e le loro anime si erano incrociati per la prima volta, un qualcosa di più grande li avessi condotti per mano fino a incontrarsi di nuovo, finalmente liberi da qualsiasi restrizione, finalmente pronti a essere loro stessi senza più preoccupazioni.
Lentamente, senza fretta.
Un passo alla volta.






















 
Note:

Erano passati giorni, settimane, mesi... gli anni si erano avvicendati fino a mutarsi in secoli, e l'account di Do_Not_Touch_My_Patria era diventato un luogo malsano e cupo, pieno di ragnatele e spifferi di vento...
Ok, basta stronzate.
SIAMO TORNATE! ~ :DDDDD
Sì, va bene, sento già l'odio dei lettori  -e di Ame- riversarsi su di me...
Ebbene, Mesdames et Messieurs, questo è l'ultimo capitolo di Step by Step, pubblicato -giusto per fare un po' schifo- alla vigilia dell'anniversario della pubblicazione di TAUM.
Sì, sono una persona triste e ho tenuto il conto dei giorni.
Domani, l'anno scorso, il prologo di quella storia così dannatamente idiota faceva capolino su EFP catapultando me e Ame in un fandom stupenderrimo, quindi tenere il conto dei giorni e festeggiare un po' è cosa buona e giusta! V.V (?)
Comunque, torniamo alla storia.
Non c'è che dire, Enjolras e Grantaire sono due complessati e mi diverto tantissimo a scrivere su di loro.
Su Taire tatuato.
Su Enj che si ansia.
Su Ferre e Courf che, diamine, se non ci fossero loro io non so...
E poi beh, la casa.
Quello della convivenza è un grande passo per Enj, che ha sempre visto matrimonio et similia con leggero terrore.
Ma Grantaire è quello giusto, e ormai c'è più poco da rimuginarci su...
E poi il finale... Beh, il finale è un po' la ciliegina sulla torta, la fine di un percorso lungo e tortuoso per queste due povere anime disagiate. Nel caso vi fosse sfuggito qualcosa, vi consoglio caldamente di (ri)leggervi Place de la Bastille, che abbiamo pubblicato qualche decade fa, e raddoppiare la dose di feels~
Orbene, concludo queste note di fine capitolo con la lacrimuccia già pronta all'angolo dell'occhio ricordandovi che -purtroppo- le idee malsane partorite dalle nostre menti malate (da quella di Ame, per lo più) sono ben lungi dall'essersi esaurite, e che prima o poi ritorneremo con altre mirabolanti avventure degli Amis de l'ABC, perciò state all'occhio~
Si, lo so, suonava come una minaccia.
Volutamente. <3 xD
Adesso, dopo una terrificante sessione estiva -la prima parte del capitolo è stata brutalmente autobiografica, lo ammetto!-, la sottoscritta e Ame si concedono un mesetto di vacanza, ergo, se non decidiamo di restare a Parigi per sempre, intorno a Settembre/Ottobre dovreste vederci rispuntare fra le pagine di EFP.

Come sempre un grazie infinito a chi legge/recensisce/segue/ricorda/preferisce.
Senza di voi saremmo solo un mucchietto di feels rantolante e senza senso. <3

Au revoir et Vive la France!
Ame&Koori


P.s. Abbiamo creato questa paginina su Fb nella quale metteremo le varie novità dell'account. Se avete voglia di passare <3
  
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