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Autore: Luxie_Lisbon    31/07/2014    5 recensioni
I The GazettE non esistono più...
Non esistono più perchè ne io, ne Aoi, ne Kai e ne Uruha siamo riusciti a proteggere Ruki dai demoni interiori che lo stanno distruggendo...
Non esistono più perchè io non sono stato abbastanza forte da proteggerlo... e quello che ci resta ora è soltanto la morte
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quello che sto per postare è il capitolo più difficile ed intenso che abbia mai scritto prima di adesso.. scrivere questa fanfiction è stato davvero difficile per me, mi ha permesso di entrare in un mondo che mai avrei pensato di visitare. I The GazettE non sono eterni, potrebbe succedere qualunque cosa che potrebbe portarli alla fine, e bisogna sempre essere pronti per un’entualità del genere, anche se pensarlo fa malissimo..
Spero che l’ultima parte vi piaccia ^^
Ringrazio Fra per avermi fatto tornare la voglia di ascoltare i miei Three Days Grace ** da quando Adam se n’è andato ho iniziato ad ascoltarli meno, ma la sua voce mi aiuta sempre nei momenti di bisogno, e ritrovando la discografia nel computer ho scoperto una canzone perfetta per questa parte ^^
Ci vediamo alla fine ^^
Buona lettura :*

 
L’ALTRA PARTE DI ME


 
Quarta parte
Le porte si spalancano, e il fantasma di Midori attraversa  il mio, frantumando il mio essere in tanti piccole parti, perché ancora una volta devo assistere, impotente.
La mia anima si è staccata con forza da quella di Reita e adesso tutto quello che posso fare è tornare a guardare, da spettatore. Quando la mia figura si ricompone, vedo la sorella di Ruki accasciarsi sulla sedia accanto al vecchio me.

“dov’è? Come sta?” chiede la ragazza, appoggiando le mani sulle mie gambe, su quelle di lui.

“l’hanno ricoverato d’urgenza. Adesso sta facendo delle analisi del sangue” dice Aoi, le braccia conserte. Uruha è accanto a lui, sta cercando di non piangere, ma è tutto inutile e delle lacrime voraci gli solcano la pelle della guance come se fossero di acido.
Kai è lontano, accanto alla porta che conduce al pronto soccorso, non ha parlato nemmeno una volta da quando siamo arrivati qui.
Dopo aver chiamato un’ambulanza, Ruki è stato portato via e tutti i tentativi del mio vecchio me non sono serviti a nulla, sono dovuto restare al concerto, a spiegare ai fans quello che era successo. Kai è sparito poco dopo ed è la prima volta che lo vedo, dopo avergli dato le spalle per guardare la barella dove avevano adagiato Ruki che veniva portata via.

“che è successo?” chiede Midori, tremando.

“è svenuto durante una canzone. Io ero troppo lontano, ho visto soltanto che si portava una mano alla testa e poi è caduto, non sono riuscito a fare niente” dice Uruha, scuotendo la testa e lanciando uno sguardo al mio vecchio me.
Vorrei muovermi da lì, vorrei assistere ad un altro flash back, vorrei controllare di nuovo il mio corpo come poco fa, perché ne ho abbastanza. So che non è ancora arrivato il momento di svegliarsi, c’è ancora qualcosa da vedere, ma vorrei soltanto porre fine a tutto questo a modo mio.
Quando Midori si alza dalla sedia per stringere Reita abbasso lo sguardo e scelgo di non guardare più.
Le mie mani iniziano a perdere colore un po’ alla volta, sta succedendo di nuovo e nell’esatto momento in cui alzo gli occhi noto l’intensa luce che mi abbaglia per un attimo e ancora di nuovo il vecchio Reita mi compare davanti.
Questa volta ho difronte un me stesso di un passato recente, l’anno scorso, quando tutto è giunto al termine. I miei capelli non sono più biondi ma neri, la fascetta non esiste più e indosso dei vestiti anonimi, senza personalità.
I The GazettE si sono già sciolti.

“che cosa vuoi?” chiedo e quello sorride, scostandosi un ciuffo dagli occhi.

“c’è ancora molto da vedere Akira, lo sai vero?” mi dice mordendosi il labbro e venendo verso di me.

“si, lo so bene. Quindi fai in fretta” dico in modo brusco, socchiudendo gli occhi. Reita sorride di nuovo poi mi dà le spalle ed inizia a camminare.

Credo di doverlo raggiungere e anche se vorrei soltanto accasciarmi a terra muovo prima un piede e poi l’altro, seguendolo.
Reita mi conduce ad un passato che credevo di aver rimosso dalla mente, a causa della sua brutalità, ma quando ci sbatto contro mi rendo conto che non posso fuggire dai miei demoni interiori e che devo assistere a quello che Ruki ha vissuto, a quello con cui ha lottato per giorni, chiuso nella sua solitudine.

“sempre dritto” mi dice Reita indicandomi la solita barriera invisibile.

“lo so” dico a voce bassa, muovendomi di nuovo nella direzione prescelta.
 
                                                                                                         °°°                                                
https://www.youtube.com/watch?v=U13kLDINwZw

Ruki stava volando.
Poteva sentire in modo distinto le sue ali di farfalla vibrare dietro la sua schiena. Era tutto così bello, così puro e delicato, sapeva che ci era riuscito, che era riuscito a raggiungere il cielo.
Si chiese dove si trovasse, perché non vedeva assolutamente nulla, soltanto tante nuvole e forse, pensò, era morto.
Wow, la morte, ci aveva pensato molte volte, ma non avrebbe mai creduto di trovarla così soddisfacente, così ricca di benessere.
Aveva aspirato alla morte per mesi, credendo di riuscire a raggiungerla dimagrendo a vista d’occhio e adesso che era arrivata sembrava quasi troppo bello per essere vero.
Aveva forse smesso di soffrire? Poteva volare in assoluta libertà?
Una voce in lontananza, nella sua testa, lo fece fermare, chiudere gli occhi e riprendere fiato.
Qualcuno stava gridando il suo nome, una voce così bella, una voce che aveva udito fin troppe volte e mai dimenticato.
“Takanori”
Nessuno lo chiamava più con quel nome ormai, lui non voleva che qualcuno lo chiamasse ancora con quel nome maledetto, contaminato, scelto da un padre claudicante e subdolo. C’era soltanto una persona che poteva ancora chiamarlo in quel modo e quando Ruki lo comprese scoppiò a piangere.
Akira
Akira lo stava chiamando, voleva che tornasse da lui e per la prima volta dopo mesi e mesi di gelo perenne ebbe quasi caldo.
Gridò con forza chiudendo gli occhi, voleva raggiungerlo e quando tornò ad aprire gli occhi, dopo aver sbattuto più volte le palpebre, visualizzò un soffitto bianco e un pungente odore acre di disinfettante lo invase lentamente.
Quando spostò la testa a destra vide dei macchinari che non aveva mai visto e un prurito fastidioso al naso lo costrinse a muovere la testa e a portare una mano al volto. Fu allora che lo vide, che sentì qualcosa di diverso.
Un sondino.
Ruki spalancò gli occhi, incapace di muoversi e quando spostò lo sguardo alla sua sinistra vide in modo distinto sua sorella Midori in piedi davanti a lui.

“oh mio Dio” esclamò la ragazza, sedendosi sul suo letto e stringendo forte il corpo magro del fratello.
Ruki era disteso su un letto d’ospedale, la pressione pari a quella di un serpente, le analisi del sangue avevano evidenziato che aveva una forte anemia e che lo stomaco si stava lentamente mangiando da sé. I suoi capelli avevano iniziato a cadere alcune settimane fa e Ruki era scoppiato a piangere nello stringere alcune ciocche, chiuso nel suo bagno dopo essersi pesato ancora una volta.

“tesoro mio” sussurrò Midori stringendo il fratello forte e Ruki scoppiò a piangere.

“Reita” chiese e Midori annuì tra le lacrime.

“sono tutti fuori tesoro, vuoi che te li chiami?” disse la sorella ma Ruki scosse la testa.
Lui non voleva vedere nessuno, voleva soltanto sapere che Reita stava bene, che non era morto con lui. Quando capì di non essere morto davvero ebbe un violento attacco di panico e la realtà di quello che aveva fatto a se stesso lo colpì al centro esatto del petto. Perse il respiro, iniziando a ad alzare e abbassare il petto in modo sconnesso, per cercare di far entrare di nuovo aria nei polmoni.
Lui era malato, malato di una malattia che lo aveva allontanato dalla sua realtà, dai suoi affetti, dai suoi amici, dal suo amore, dalla sua vita, una malattia che lo aveva rinchiuso in una dolorosa solitudine fatta di privazioni e delusioni.

“quanto pesi?” chiese Midori in lacrime, dopo aver stretto tra le mani il braccio di Ruki. Quando avvolse lentamente il suo braccio tra il pollice e l’indice, notando che le dita si toccavano senza difficoltà iniziò a tremare.

“non abbastanza… troppo…non lo so” disse Ruki scuotendo la testa, disperato.

“ascoltami bene Ruki, ti prego. Adesso devi fare tutto quello che ti dicono i medici, chiaro. Se ti comporti bene potrai uscire anche nel fine settimana” disse Midori cercando di sorridere ma tutto quello che uscì fu soltanto un’orribile smorfia di dolore.

“d’accordo. E poi?” chiese Ruki, stringendo con forza la mano della sorella.
Midori non rispose, non sapeva che cosa dire al fratello, a un fratello che pesava meno di lei, che aveva voluto morire di fame a causa del padre. Lei sapeva che il motivo era soltanto quello, lo sapeva, e si odiò per non averlo capito in tempo.
Ma come dirgli che una volta uscito da lì, i GazettE non sarebbero più esistiti, che tutto era finito, che la sua vita era finita.
Ruki scutrò con attenzione lo sguardo della sorella, senza trovare alcuna risposta alle sue domande poi si lasciò cadere sul cuscino, ad occhi chiusi.
La realtà era una sola.
Era riuscito a morire di fame, a morire lentamente dentro, soltanto che con lui erano morti anche tutti i suoi sogni, le sue speranze, il suo amore.
Reita non l’avrebbe amato mai più.
Come amare una persona tanto egoista.
Quando Ruki parlò di nuovo alla sorella fu soltanto per dirle che voleva stare solo, che se ne doveva andare. Midori lo guardò senza capire, restando immobile accanto a lui, quando il fratello liberò in modo brusco la mano dalla sua, urlando “vattene ho detto”
La ragazza si alzò lentamente, lanciandogli uno sguardo carico di apprensione e dolore per poi uscire dalla stanza.
Quella fu l’ultima volta che Ruki la vide.
 
https://www.youtube.com/watch?v=_tWBt_j2ayM

Il sole era così luminoso in cielo, i suoi raggi scaldavano qualsiasi cosa e le nuvole costudivano le tante grida di almeno un milione di fans, che avevano gridato di gioia nell’assistere ad ogni concerto dei The GazettE, pregando che anche solo una volta uno di loro si accorgesse della loro esistenza.
Adesso quel milione di fans aveva perso completamente la voce.
C’era chi si teneva aggiornato in internet, troppo lontano, c’era qui continuava ad ascoltarli con le lacrime cercando di capire che diamine fosse successo, c’era chi si prefiggeva per organizzare gruppi da 100 persone per preparare un video, una canzone, un pensiero per ogni componente della band.
C’era chi sapeva la verità.
Quella mattina almeno una mezza dozzina di fans un po’ da tutto il mondo si trovava immobile davanti all’ingresso del pronto soccorso, tanto che i medici si erano lamentati più volte, chiedendo più alle autorità di intervenire e tutti quei ragazzi e ragazze erano stati costretti ad allontanarsi, almeno dietro ai cancelli dell’ospedale.
Attendevano, attendevano risposte che non sarebbero mai arrivate, credevano di averle già in pugno.
Quando Kai uscì dalla porta principale, seguito da Uruha, Aoi e un silenzioso Reita i fans iniziarono a correre nella loro direzione ma il chitarrista più giovane disse loro che dovevano tornare a casa e che non avrebbero detto assolutamente nulla.
Nessuna dichiarazione, nessuna risposta, niente di niente.
Qualcuno pianse, altri urlarono, ma nessuno di loro disse una sola parola sulle condizioni di salute di Ruki.
Ruki, a sua volta, se ne stava rintanato nella sua camera d’ospedale, lanciando ogni tanto uno sguardo alla finestra. Ingurgitava tutto quello che gli portavano, cercando di stare alle regole soltanto per poter uscire da lì e ricominciare da capo.
Reita tornò a casa sua, ancora dannatamente vuota e quando si lasciò cadere sul pavimento ricoperto di polvere raccolse il suo corpo mettendosi in posizione fetale, stringendo tra le braccia le sue gambe. Fu preso da una serie di brividi sconnessi, rantoli e grugniti, lamenti dolorosi e febbrili che lo condussero lentamente all’annientamento.
Tornò a ferirsi, tagliando la carne con forza, senza parlare con nessuno eccetto con Midori, che si offrì di aiutarlo almeno con le faccende domestiche.
Uruha, Aoi e Kai si rinchiusero in sala registrazione.
Il primo distrusse tutto quello che avevano creato, annunciando alla casa discografica che non avrebbero mai più prodotto alcun cd, il secondo ripose tutti gli strumenti negli armadi e fece sparire i microfoni di Ruki. Kai a sua volta si rinchiuse in una dolorosa atmosfera di desolazione, organizzando l’intervista che avrebbe annunciato la fine dei The GazettE.
Quando Ruki uscì dall’ospedale aveva preso soltanto due chili e quando si sedette di nuovo sul divano di casa sua, vuota, nascose il volto magro dietro alle mani. Aveva fallito, aveva fallito in ogni cosa.
Reita lo odiava, non voleva vedere nessun’altro, soltanto il suo unico amore e lui non si era fatto vivo, non era andato a trovarlo neppure una volta.
L’anoressia lo stava aspettando a braccia aperte ma Ruki era fin troppo debole e per i primi giorni si limitò a mangiare degli yogurt e alcuni cereali. Non sarebbe riuscito comunque a mangiare altro, il suo stomaco si era ristretto.
Quando telefonò per la prima volta fu per chiedere a Koulu se poteva accompagnarlo allo studio di registrazione.

“perché?” chiese il ragazzo, abbassando lo sguardo.

Lui e il resto dello staff aspettavano soltanto che il leader dicesse loro cosa fare ma Kai era irremovibile e stava attendendo di partecipare a quell’ultima intervista.

“perché ho bisogno di vedere una cosa” disse Ruki, la voce ridotta ad un sibilo. Kaolu sospirò con forza.

“non posso Ruki, non adesso almeno. Tu e gli altri dovete partecipare ad un’intervista” disse e il vocalist rabbrividì con forza.

“perché? Non abbiamo in programma nulla” chiese con un filo di voce.

“l’ha organizzata Kai. Vi aspettano allo studio del J-Melo domani mattina. Verrò da te per prepararti poi ti accompagnerò allo studio” disse Kaolu sbrigativo e senza attendere una risposta interruppe la telefonata.
Ruki fissò con agonia il suo cellulare, lasciandolo cadere poi sul pavimento, portandosi le mani ai capelli.
Era tutto finito.
 
Quella mattina di metà febbraio, Ruki si svegliò con le lacrime agli occhi. Avrebbe dovuto essere abituato a dormire da solo ormai, ma quando le sue mani scheletriche sfiorano la parte del letto accanto a sé, vuota, provò una dolorosa fitta al cuore.
Era tutto finito, Reita non l’avrebbe perdonato mai più, lui era destinato alla solitudine più nera, regolata da una malattia che lo aveva divorato lentamente un po’ alla volta.
Quando si alzò dal letto si asciugò le lacrime con un gesto brusco della mano, rinchiudendosi in bagno. Evitò di pesarsi, sapeva che la situazione era soltanto peggiorata, che i 40 erano diventati 42 e dando le spalle al suo riflesso si spogliò. Nel momento in cui lo fece ripensò a quello che era successo poche settimane fa, quando Reita lo aveva obbligato a pesarsi davanti a lui, riducendo il suo essere al nulla più assoluto. Ruki aveva avuto paura, sarebbe finito tutto, il suo mondo segretamente costudito per mesi stava essere portato alla luce, ma quando aveva smesso di vomitare e si era reso conto di quello che aveva appena fatto si ricordò di non essere solo in casa, che quel maledetto gelato che aveva scatenato il tutto era stata un’idea del suo ragazzo. Nel vederlo fermo sulla soglia del bagno tutte le sue certezze erano crollate, e aveva compreso che non avrebbe potuto mentire più.
Quando sfiorò le sue ossa sorrise tornando a piangere. Le ossa del bacino, le costole, le clavicole, le braccia, tutto quello che stava sfiorando gli piaceva, ci era riuscito e niente aveva importanza adesso.
All’arrivo di Kaolu Ruki provò paura, ma lo stilista non proferì parola, truccandolo e pettinandolo come aveva sempre fatto, concentrato nel suo lavoro, poi accompagnò il suo vocalist allo studio del J-melo.

“dove sono gli altri?” si azzardò a chiedere Ruki a Kaolu e lui lo guardò davvero per la prima volta da quando Ruki era stato ricoverato in ospedale.

“sono tutti dentro, manchi soltanto tu” annunciò sorridendo lentamente poi appoggiò una mano sulla sua schiena scheletrica, accompagnandolo dentro.
Una volta all’interno dello studio, Ruki portò con morbosa attenzione le dita alla sua giacca nera e rossa, cercando di coprirsi il più possibile, ma ormai tutti lo avevano visto entrare.
May J  gli sorrise facendogli un piccolo inchino, guardandolo con lo sguardo spento e quando Ruki si avvicinò al luogo dove avrebbe avuto luogo l’intervista per poco non scoppiò a piangere.
Reita era seduto davanti, le dita delle mani intrecciate, lo sguardo assente e perso nel vuoto. Quando Ruki lo vide il suo cuore prese a martellargli in petto e avrebbe tanto voluto abbracciare forte il suo bassista ma lo sguardo di Reita gli fece capire che non ne aveva alcuna intenzione, che non avrebbe ricambiato l’abbraccio.
Kai era seduto accanto ad un sedia vuota posta al centro, forse quella di Ruki, Aoi e Uruha erano in piedi dietro.
Kai lanciò uno sguardo carico d’odio al vocalist facendolo tremare dalla testa ai piedi, Uruha abbassò subito il suo a disagio e Aoi sorrise in modo triste. I suoi capelli neri e viola erano così mancati a Ruki e avrebbe tanto voluto prenderlo in giro come faceva sempre ma tutto quello che doveva fare era sedersi sulla sedia e annunciare al mondo intero che i The GazettE erano finiti.
Quando si sedette accanto a Reita e a Kai, Reita spostò la testa dall’altra parte, tutto pur di non vederlo e sentì chiaramente lo sguardo di Ruki sulla sua figura.

“bene, ragazzi, siamo in onda fra cinque, quattro, tre, due uno” annunciò l’assistente di scena e a Ruki quei cinque secondi apparvero i più lunghi della sua vita.
May J gli annunciò con il suo solito sorriso, poi lentamente la telecamera sfumò su di loro.
Ruki avvertì il movimento del corpo di Kai accanto al suo, e quando udì la voce del leader un pesante capogiro gli fece quasi perdere i sensi.

“siamo qui per annunciare in diretta la fine dei The GazettE. Sono desolato, avevamo in programma tanti altri live, cd, canzoni, ma sono costretto a dire al mondo intero che non suoneremo mai più, questa è in assoluto la nostra ultima apparizione. Vorrei ringraziare dal profondo del cuore tutti i nostri fans, tutti i fans del mondo che ci seguono dal 2002, le persone a cui abbiamo trasmesso qualcosa con le nostre canzoni, con i nostri testi, con la nostra musica. Vi siamo profondamente grati per tutto l’amore e l’affetto che ci avete donato, per il vostro continuo supporto e per la pazienza che avete avuto con noi. Ma i The GazettE, non esistono più”
Uruha chiuse gli occhi, cercando di trattenere una lacrima che pretendeva di solcare la pelle della sua guancia, prese un lungo respiro e il nodo che aveva in gola si fece sempre più grande. Quando sbattè le palpebre più volte fu soltanto per cercare di schiacciare quelle maledette lacrime.
Aoi abbassò lo sguardo sulle spalle di Reita seduto davanti a lui, ripensando a tutto quello che avevano passato insieme, dal 2002 in poi, fino al culmine, fino alla fine di tutto il loro sogno. Lui ci aveva creduto, ci aveva creduto davvero, anche se il suo sorriso inespressivo poteva benissimo dimostrare il contrario. In realtà lui sorrideva per evitare di scoppiare in un grido disperato, sorrideva per mantenere vivo il suo cuore.
Reita si immobilizzò, quasi non sbattendo neppure le palpebre, anche se aveva voglia di prendere a schiaffi Ruki, seduto accanto a lui. Erano così vicini eppure così lontani. Dov’era finito quel ragazzo innamorato perso del suo vocalist, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di vederlo felice, pur di farlo ridere. Perché non riusciva a perdonare? Quando Kai smise di parlare Reita abbassò il suo sguardo e il pensiero di tagliarsi gli attraversò la mente. Doveva tenere duro, fra poco sarebbe finito tutto.
Ruki non aveva mai guardato dritto davanti a se nemmeno una volta, si era concentrato a fissare con morbosa attenzione le mani di Reita intrecciate, adagiate sulle gambe del bassista, quel bassista che una volta era stato suo.
Non erano morti soltanto i The GazettE, ma anche il loro amore, Ruki lo sapeva benissimo.
Quando May J chiese loro se volevano dire qualcosa prima di spengere la telecamera, per l’ultima volta, Kai porse il microfono a Ruki senza pensarci due volte. Era una cosa che avevano sempre fatto, passarsi il microfono per parlare uno alla volta, magari sorridendo divertiti dalla leggerezza della situazione, ma questa volta lo sguardo di tutti era duro e freddo.
Quando il microfono arrivò tra le mani di Ruki, il ragazzo tremò. Stringere per l’ultima volta quello strumento gli fece girare forte la testa, pregò di morire all’istante poi fu costretto a parlare quando udì una voce alla sua destra.

“avanti, dì qualcosa. È il momento di spiegare Takanori” disse Reita e tutti lanciarono uno sguardo verso di lui. Il bassista stava guardando Ruki con occhi infuocati, le mani strette a pugno sulle gambe, il respiro sconnesso, il cuore che ormai non batteva più.
Ruki rabbrividì poi si portò il microfono alle labbra e disse

“quando abbiamo suonato insieme per la prima qualcosa è nato in me, un sentimento che non avevo mai provato prima di allora. Speranza. Io ho sempre saputo che questa band avrebbe fatto strada, non ho smesso di crederci. Loro” disse indicando tutti gli altri “sono la mia famiglia. Ma io l’ho contaminata, non me ne sono nemmeno reso conto, ma mi assumo tutte le responsabilità delle mie azioni”, poi alzò lo sguardo verso la telecamera e sospirando terminò il suo addio con una semplice e desolata frase

“ sarete sempre nei nostri cuori, mi dispiace di avervi deluso, di aver deluso il mondo intero. Io personalmente non riesco neppure a guardarmi allo specchio senza provare vergogna per quello che sono diventato. I The GazettE non esistono più ma… diavolo, è stato bello finchè è durato, è stato meraviglioso. Grazie a tutti”
Tutti intorno a loro si immobilizzò, nessuno mosse un muscolo, Ruki lanciò un ultimo sguardo alla tele camera per poi abbassare lo sguardo e chiudere gli occhi, distrutto, con un pezzo mancante del puzzle. Il suo cuore si era frantumato, poteva udire in modo distinto il suono prodotto dai mille cocci sparsi nel suo petto. Tagliavano, graffiavano, riducevano la sua anima al nulla. Avrebbe voluto piangere ma l’anoressia si era portata via ogni cosa e quello che restava era soltanto un corpo vuoto.
May J si riprese, sistemandosi i lunghi capelli castani e tornando a sorridere alla telecamera, ringraziando di cuore tutte le persone che avevano seguito l’intervista, pensando che quella era in assoluto l’ultima volta che vedeva i The GazettE nel suo studio. Guardandoli uno per uno comprese all’istante che qualcosa fra loro si era rotto, ognuno di loro covava un sentimento recondito e freddo nel petto che li spingeva ad incolpare un’unica persona presente. May J sapeva che Ruki soffriva di anoressia, lo sapeva e basta, lo si leggeva negli occhi del ragazzo, la sua magrezza era qualcosa di atroce. Comprese anche che la colpa non era soltanto sua, ma anche di tutti gli altri, per non essersi accorti in tempo di tutto ciò, per non aver fatto nulla per aiutarlo.
Quando la ragazza salutò gli spettatori, la telecamera si diresse di nuovo sul gruppo, mostrando i The GazettE per l’ultima volta. Kai non sorrise, non mosse un muscolo, Uruha si limitò ad abbassare la testa con un gesto cortese di saluto, Aoi fece lo stesso e Reita fissò con morbosa attenzione l’obbiettivo, con il desiderio di mandarlo in frantumi.
Quanto a Ruki, il vocalist chiuse gli occhi e quel gesto fu sufficiente. Lo uccise all’istante, definitivamente.
L’immagine dei The GazettE sfumò lentamente e sullo schermo del computer dei fans di tutto il mondo l’ultima immagine fu quella di Reita che fulminava con lo sguardo Ruki, il quale abbassò lo sguardo, versando lacrime bollenti e corrosive.
Era tutto finito.
***
 
https://www.youtube.com/watch?v=ACONLT-N8cw

Quel ricordo non aveva più pareti a contornarlo, tutto si dissolse nel momento in cui vidi il vecchio me stesso voltarsi verso Ruki, verso quella persona che aveva tra le mani il mio cuore. Mi sembrò di vedere chiaramente i cocci stretti tra le sue mani scheletriche e tutto quello che mi sentii di fare fu abbassare lo sguardo.
Reita, quello più recente venne verso di me, mostrandomi un sorriso lieve e fasullo, che trasmetteva tutta la sua agonia. Lui avrebbe voluto fare qualcosa ma non c’è più niente da fare, lo sappiamo bene entrambi.

“perché devo rivivere tutto questo” chiesi al mio fantasma, restando fermo difronte a lui. Perché dovevo continuare a soffrire in quel modo, perché non potevo soltanto morire e basta, senza svegliarmi più. Adesso pretendevo la morte, la bramavo.

“perché è l’unico modo che hai per riuscire a perdonarlo” mi disse Reita guardandomi negli occhi, arrivandomi all’anima, quell’anima che non mi apparteneva più.

“perché dovrei? Lui ha smesso di amarmi quando quella maledetta malattia ha preso il mio posto” dissi senza più forze. Niente aveva più senso ormai, tutto si era spento quando avevo trovato il coraggio di tagliarmi la pelle del braccio con un coltello. La mia vita era finita e non provavo pena ne rimorso nel pensare a questo.

“non è vero, lui non ha mai smesso di amarti, e c’è un’ultima cosa che devi vedere prima di svegliarti e di tornare alla tua realtà dannata, un ultimo ricordo che però non ti appartiene. Avanti, fai quello che ti dico per l’ultima volta, voltati” disse Reita avvicinandosi a me e appoggiando le mani sulle mie spalle, annuendo lentamente.

“non voglio” dissi duro, la voce quasi metallica, socchiudendo gli occhi e provando odio, un odio devastante.

“fa quello che ti dico” disse quello, e il suo sguardo subdolo e spento annientò immediatamente il mio. Mi lasciai andare ad un lungo respiro e prima di voltarmi per l’ultima volta pregai di poter morire in pace una volta sveglio.

Non sarei riuscito mai più a tornare alla realtà, era tutto dannatamente sbagliato, quei ricordi mi avevano distrutto, uccidendo anche quel briciolo di bontà che era rimasta aggrappata con tutte le sue forze alle mie viscere.
Chiusi gli occhi ed entrai nell’ennesimo ricordo, lasciando che le mie membra eteree si dissolvano lentamente.
 
 
°°°
C’è una sola cosa che tiene ancora in vita Ruki.
Il suo amore incondizionato per Reita.
Le sue mani stringono con morbosa attenzione il suo basso, uno dei tanti, quello che Reita ha lasciato nella sua casa, e quando le corde vibrano un po’ sotto ai suoi gesti, Ruki ha una dolorosa fitta allo stomaco. Avrebbe voluto essere più forte, avrebbe voluto porre fine a tutto questo senza arrivare alla loro fine, ma ha perso il controllo e tutto quello che gli resta da fare è morire.
Senza Reita, senza i The GazettE sa che non può continuare a respirare.
Lentamente dà le spalle allo strumento, dopo averlo adagiato con cura sul divano e muove un piede e poi l’altro, in direzione del bagno.
Quando le sue mani gelide si stringono attorno alla superficie della bilancia, quella dannata bilancia usata per pesare le sue colpe e misurare i suoi peccati, Ruki sorride, il sorriso più fasullo e spento che abbia mai lasciato uscire dal suo cuore.
Nel salire sulla bilancia non sentì più nulla, ne’ l’euforia delle prima volte, ne’ la paura, ne’ il desiderio, non sentì assolutamente nulla. Il vuoto.
39 chili.
Leggendo quel nuovo traguardo respirò lentamente, prendendosi tutto il tempo necessario per comprendere bene quello che stava vedendo e quando si rese contro che anche un altro obbiettivo era stato raggiunto… non sentì nulla.
50, 45, 43, 40, 39.
Avrebbe anche potuto pesare 0 ma non sarebbe mai stato abbastanza, lo sapeva bene, a lui non bastava più. Quello che voleva lui era soltanto volare, e quel dannato 39 era soltanto un intralcio, un ostacolo che gli impediva di raggiungere la sua meta, la meta finale.
Lui voleva liberarsi in volo, far frullare le ali, delicate, quasi evanescenti, e conosceva soltanto un modo per farlo.
Doveva morire.
Prese la bilancia un’ultima volta, la ripose al suo posto nell’armadio, poi uscì dal bagno, indossando velocemente un paio di pantaloni e una maglietta bianca. Poi telefonò a Kaolu chiedendogli di accompagnarlo alla sala di registrazione.
C’erano ancora delle cose da fare prima di morire.
 
“non c’è rimasto più niente ormai” disse Kaolu, restando immobile dietro ad un Ruki freddo e vuoto, concentrato a fissare il nulla. Nella sala di registrazione non c’era niente, niente batteria, niente amplificatore, niente monitor, niente di niente.

Soltanto il suo microfono, l’asta al centro della stanza, in attesa del suo legittimo proprietario.

“è stata un’idea di Kai. Mettere via ogni cosa, riporre le cose appartenenti al passato. Dovresti fare lo stesso” aggiunse Kaolu, accennando al microfono. Quando Ruki non proferì parola il ragazzo disse soltanto “ti lascio solo”. Poi gli diede le spalle ed uscì, mentre nella sua testa, nella sua mente, tutto si frantumava.
Ruki attese che lo stilista si allontanasse per dirigersi con passo deciso all’asta, stringendola con forza. Nel farlo il suo corpo venne attraversato da un insieme indistinto di scariche elettriche, che lo condussero in un’altra dimensione. Una dimensione in cui stava ancora cantando, circondato da loro, da Kai, da Uruha, da Aoi, da Reita.
Reita.
Quell’unica persona che era riuscita a farlo innamorare, quell’unica persona che era stata in grado di capirlo davvero, di stringerlo a se, di prendersi cura di lui.
Quando le sue labbra sfiorarono il microfono Ruki iniziò a cantare quella loro prima canzone, Wakaremichi, e nel momento in cui la sua voce gli giunse alle orecchie pianse, pianse lacrime di ghiaccio. Le piccole gemme si adagiarono sulle sue guance, sul suo collo, sulle sue mani e quando arrivano a terra, ghiacciarono all’istante. Il ghiaccio avvolse tutto, tutto il suo essere, soltanto la sua voce continuava a scaldare, a scaldare quel nulla che lui aveva creato.
La sua voce era qualcosa che Ruki credeva di aver dimenticato e provò un forte senso di appagamento quando smise di cantare, adagiando il microfono sul pavimento.
La felicità durò poco, alcuni intensi e devastanti istanti, e la realtà di quello che lo aspettava lo avvolse con forza.
Lentamente portò una mano alla tasca del giubbotto, estraendo il cellulare.
Compose un numero che conosceva a memoria, cercando di non scoppiare in lacrime e quando avvertì un suono chiuse gli occhi.

“che cosa vuoi?” chiese Reita, facendolo rabbrividire.

“ volevo dirti soltanto che ti amo, ti ho amato e ti amerò per il resto dei miei giorni. Tutto quello che ho fatto non l’ho fatto per egoismo, non l’ho fatto per porre fine al nostro rapporto, a noi. Tutto quello che ho fatto è nato da una mia debolezza, ora lo so, e vorrei tanto tornare indietro ma non posso. Reita, ti prego, perdonami” disse tutto d’un fiato.
Prima di porre fine alla sua vita voleva sentire la voce della sua vita, del suo unico amore, voleva sentirsi dire che anche lui lo amava, che lo perdonava. Ma Reita restò in silenzio.

“Reita” lo chiamò Ruki, la voce ridotta ad un sibilo.

“ti amo anche io Ruki, ti amo da morire. Ma tu hai ucciso tutto quello che c’era tra noi, tutto quello che avevamo costruito, e non posso, non posso perdonarti non ce la faccio. Ho bisogno di tempo” disse Reita furioso, stringendo con rabbia il suo cellulare.

“hai bisogno di tempo? È tutto quello che sai dirmi?” urlò Ruki, in lacrime.

“ è tutto quello che ti chiedo” rispose Reita “tutto quello che ti chiedo è soltanto tempo. Lasciami solo Ruki”

“certo, come vuoi. Non devi preoccuparti, non farò mai più nulla per ferirti” disse Ruki, per poi chiudere gli occhi.

“ti amo” disse poi e Reita non rispose, piangendo, versando lacrime che lo fecero tremare in modo convulsivo, dalla testa ai piedi.
Poi Ruki chiuse la telefonata, spense il cellulare e lo adagiò sul pavimento, accanto all’asta del suo microfono.
Poi uscì dalla sala di registrazione, senza più voltarsi indietro.
 
“l’unica camera disponibile signore è la 19” disse il proprietario dell’albergo a Ruki, sorridendogli in modo cordiale. Il ragazzo nascose il volto magro dietro alla sciarpa, annuendo, per fargli capire che andava bene, che un numero valeva l’altro, anche in questo caso.

“bene, laggiù ci sono gli ascensori, oppure può prendere le scale se desidera” disse l’uomo indicando un corridoio alla sua destra e Ruki annuì, prendendo la chiave della stanza numero 19, poi diede le spalle all’uomo e si incamminò.
Voleva morire a suo modo, in silenzio, in assoluto e dignitoso silenzio, nel modo che aveva scelto, perché non gli restava più niente per continuare a vivere.
Quando varcò la soglia della sua camera, dopo aver preso le scale, si chiuse la porta alle spalle, adagiando la schiena sul muro e chiudendo gli occhi.
Quell’hotel era anonimo, quasi deserto vista la stagione, non l’aveva riconosciuto nessuno, non c’era più nessuno a cui doveva dare spiegazioni e nel muoversi lungo la stanza provò un doloroso e opprimente senso di vuoto.
Si tolse le scarpe, adagiò le chiavi sul letto e lanciò uno sguardo al soffitto. Avrebbe agganciato la corda al lampadario, per poi salire sul letto, avvolgere il nodo attorno al suo collo e lasciarsi cadere nel vuoto. Aveva deciso come morire, e tutto quello che gli restava era il nulla.
Quando si voltò verso la porta per assicurarsi che fosse ben chiusa i suoi occhi spenti si adagiarono sul tavolo. E fu allora che lo vide.
Un piccolo frigorifero.
Quando Ruki si fermò a guardarlo tutto in lui si riaccese e nell’istante in cui comprese la gravità della situazione il desiderio di morire lo lasciò per un attimo. Lentamente si avvicinò al frigorifero, con cautela e attenzione, mantenendo le distanze, poi si inginocchiò sul pavimento, portando le dita tremanti alla maniglia.
Spalancò l’anta e la vista del cibo gli diede alla testa. Quel maldetto cibo, la fonte di tutti i suoi problemi. Lo odiava così tanto, avrebbe voluto farlo sparire ma ormai era troppo tardi.
Quando le sue dita sfiorarono la bottiglia di acqua decise che poteva andare, che poteva benissimo bere un sorso, che sarebbe riuscito a controllarsi, ma si sbagliava, si sbagliava di grosso.
Bevve un sorso d’acqua, poi riportò l’attenzione sul cibo, le sue dita si adagiarono sulla barretta di cioccolata, e prima di riuscire ad impedirlo iniziò a mangiare, a mangiare tutto quello che c’era in quel frigorifero.
Non prese neppure fiato, ingurgitò ogni singola cosa, dalla maionese alla cioccolata, dal latte al Coca Cola. Il suo stomaco iniziò a fargli un male allucinante ma lui non si fermò, rizzandosi in piedi e agguantando il telefono in dotazione all’albergo.
Ordinò altro cibo in camera, disse al cameriere che doveva lasciarlo sulla porta e nell’attesa si graffiò la pelle delle braccia, urlando con forza.
Quando la voce del cameriere dall’altra parte della porta lo fece rizzare in piedi, Ruki gli ordinò di andarsene, scagliandosi sulla maniglia come un furia, stringendo tra le dita il vassoio che conteneva dolci, panini imbottiti, un pezzo di pizza.
Si sedette sul pavimento e si cacciò in gola ogni cosa, senza neppure masticare, e nell’esatto momento in cui si rese conto di quello che stava facendo si alzò in piedi, correndo in bagno e crollando difronte al water.
Nel portarsi le dita alle labbra, nel spalancare la bocca, nel vomitare l’anima sino a vedere il sangue pregò di morire. Urlò con forza, sporcandosi di vomito, piangendo, poi crollò sul pavimento, senza più alcuna forza.
Riuscì soltanto pronunciare una sola parola, un nome, un nome che gli era entrato nel cuore dal primo momento.
Reita…

***
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Lentamente, con pochi semplici passi, uno alla volta, i piccoli frammenti del mio cuore si unirono in un unico insieme, un insieme di elementi. Un po’ di carne, un po’ di sangue, tutto al posto giusto.
La mia mente iniziò a vagare, e tutto quello che vidi fu un accecante e abbagliante sole, che mi permise di socchiudere gli occhi quando mi resi conto di essere ancora vivo.
Buffo, credevo seriamente che il mio essere si fosse già consumato in precedenza, al contatto con i fantasmi del mio passato, ma il cuore batte ancora, il cervello funziona, la mia mente crea immagini non più oniriche e tutto quello che riesco a pensare è che voglio rivedere il mio piccolo amore.
Con un piccolo movimento della testa riuscii a comprendere di essere ancora vivo, spostandola lentamente a destra, visualizzando un soffitto bianco.
Sbattei più volte le palpebre, cercando di capire dove mi trovassi, e quando avvertii un calore avvolgermi piano il corpo, un po’ alla volta, decisi di rischiare.
“Reita”
Udii il mio nome nella nebbia, i miei pensieri erano ancora aggrovigliati e nell’esatto istante in cui sentii una voce alle mie spalle credetti di essere ancora confinato in un sogno.

“Reita, mi senti?” chiese la voce sconosciuta e di nuovo quel calore mi scaldò il corpo, un po’ alla volta.
Avrei voluto parlare ma temevo di udire la mia voce, non sapevo come l’avrei trovata, non sapevo che cosa sarebbe successo da lì in avanti, non sapevo che cosa avrei fatto una volta averlo rivisto. Per la prima volta desiderai di non essere mai nato, quel dolore era insopportabile, e il senso di colpa mi stava uccidendo.

“Reita, tesoro, guardami”
Di nuovo quella voce, di nuovo quelle parole. Il mio essere voleva essere annientato, non l’avrei sopportato, non avrei dovuto continuare a vivere dopo tutto quello che avevo fatto, dopo tutto il dolore a cui avevo dovuto assistere. Ma stranamente quella voce mi voleva ancora con se e decisi di fare quello che mi stava chiedendo. Mi voltai verso di lei, e fu allora che la vidi.
Midori.
La mia migliore amica mi sorrise, portando una mano tiepida alla mia fronte gelida e quando le sue dita si adagiarono sulla mia pelle mi aggrappai con forza a quell’unico gesto d’affetto, chiudendo gli occhi.

“sei sveglio finalmente. Ci hai fatto preoccupare” disse guardandomi negli occhi.

“dove sono?” chiesi, la voce roca e mi stupii nel pensare che ero ancora in grado di parlare nonostante tutto quello che avevo visto, nonostante tutto quello che avevo subito.

“alla clinica. Eri con Ruki quando hai perso i sensi. Dimmi la verità, erano giorni che non dormivi vero?” mi chiese Midori accarezzandomi piano il viso, sorridendo lievemente.
Annuii, senza forze.
Era vero, non avevo chiuso occhio, non c’ero riuscito, non dopo aver saputo che Ruki era stato ricoverato in una clinica.

“stai bene?”

“si, credo di si. Lui dov’è?” chiesi cercando di mettermi seduto. Ero malamente disteso su un letto, il letto accanto a quello di Ruki e quando mi voltai per cercare di vedere il suo piccolo corpo, non trovandolo mi sentii moire, ancora una volta.

“l’hanno portato a fare delle analisi. Pesa troppo poco e ha perso i sensi quando…” poi Midori si fermò, guardandomi negli occhi.

“quando si è lasciato troppo prendere dalla gioia” finii la frase per lei, mettendomi seduto. Quando mi guardai intorno mi accorsi della figura di Aoi ferma davanti alla finestra della camera. Il ragazzo stava guardando fuori, le braccia dietro alla schiena. Non aveva ancora parlato ne’ si era avvicinato a me, mi ero quasi dimenticato della sua esistenza.

“quanto pesa, Reita?” mi chiese Aoi senza voltarsi, restando immobile.

“pesa 38 chili” risposi guardando lui e poi Midori, che abbassò immediatamente la testa, stringendo le mie mani tra le sue.
Ruki aveva perso i sensi perché pesava troppo poco, non aveva abbastanza forze, neppure per ridere, per abbracciarmi, per dirmi che avrebbe fatto di tutto pur di guarire.
Io avevo perso i sensi perché non ero riuscito a chiudere occhio, a dormire dopo aver scoperto che era stato ricoverato.
L’incontro con quel ricordo che ancora una volta non avevo vissuto mi aveva aperto gli occhi. Ruki voleva morire, io l’avevo abbandonato, ancora una volta e lui aveva scelto di morire, perché senza di me non avrebbe potuto continuare a vivere. Io ero stato un egoista, mettendo al primo posto soltanto quello che sentivo io, la mia rabbia, dimenticandomi per un attimo di quanto lui in realtà soffrisse, di quando in realtà lui volesse guarire. Fu allora che compresi che niente avrebbe avuto senso senza di lui, che il suo annientamento avrebbe generato di conseguenza anche il mio, e così quello di Midori, e di tutto quello in cui abbiamo sempre creduto, di tutto quello che abbiamo costruito. La nostra famiglia, il nostro gruppo era finito, non potevo permettere che ciò accadesse di nuovo.
Volevo stringerlo forte a me e dirgli che l’avevo perdonato, che avrei fatto di tutto per farlo uscire da quell’orribile malattia, e che tutto si sarebbe sistemato.
Sperai soltanto che lui fosse in grado di perdonare me. Di ricominciare a vivere, di uscire dal mondo fatto di ghiaccio in cui era caduto.

“fra poco verrà qui un medico. Ci dirà che cosa è successo quella notte” disse Aoi voltandosi a guardarmi e quando i miei occhi incontrarono i suoi scoppiai in un pianto silenzioso, abbassando subito lo sguardo.
Ruki, quattro giorni fa, si era rinchiuso in una camera d’albergo, si era abbuffato con tutto quello che era riuscito a trovare per poi svuotare il sto stomaco nel bagno. Io sapevo soltanto questo.
Quando Midori mi ha telefonato per dirmi che suo fratello era stato ricoverato in una clinica specializzata in disturbi alimentari avrei voluto strapparmi il cuore e farlo a pezzi.

“starà bene?” chiese Midori, guardando Aoi, poi me, sorridendo lievemente. Lentamente mi avvicinai a lei e la strinsi forte, appoggiando le labbra tra i suoi capelli.
La ragazza mi strinse a se, la sentii tremare ma fu un attimo, perché poco dopo mi lasciò andare, carezzandomi la guancia con le dita della mano destra.

“deve, per tutti noi” disse Aoi sedendosi sul letto accanto a me.
Feci per dire qualcosa quando il medico che mi aveva accompagnato alla stanza varcò la soglia. Nel vederlo provai vergogna e mi alzai immediatamente, mettendomi difronte a lui. I peluche, i palloncini dei nostri fans erano ancora li, alcuni dei palloncini bianchi erano sgonfi, a dimostrare che la purezza di Ruki era finita, e restava soltanto un mucchietto di ossa a reggerlo in piedi.

“ bene, ora che ci siete tutti, vorrei parlare con voi di quello che è successo al signor Matsumoto la notte prima di essere portato qui” disse il medico, guardando prima Midori, poi Aoi e infine me.

“il signor Matsumoto ha trascorso le ore più difficili di tutta la sua vita, per usare un eufemismo, in quella camera d’albergo. Ha ingurgitato una quantità elevata di cibo in poco tempo, e nel momento in cui si è autoindotto il vomito, il suo fegato era già danneggiato, le ghiandole salivari a pezzi, lo stomaco dilatato. Le pareti del suo stomaco mostravano già i primi segni di necrosi.. Vomitando di continuo stava per lacerare il suo esofago. Per un miracolo, il signor Matsmoto era troppo stanco, il suo corpo non ha retto lo sforzo a causa dell’assenza di cibo per giorni, del digiuno, e l’azione come quella del vomitare nelle sue condizioni lo ha distrutto. Si è addormentato, letteralmente, cadendo sul pavimento. Pochi attimi, ma preziosi, perché se avesse continuato a vomitare il suo esofago si sarebbe rotto, procurandogli la morte per collasso”

Quando il medico smise di parlare, tutto intorno a me prese a girare in modo vorticoso, togliendomi l’equilibro, ma mi sforzai di restare in piedi. Midori strinse con forza il mio braccio, Aoi accanto a me aveva sicuramente smesso di respirare, potevo sentirlo chiaramente.

“adesso resterà qui per un po’, dobbiamo tenerlo sotto controllo, cercare di fargli assumere un peso sufficiente a permettergli di ingerire cibi semisolidi. Quando sarà arrivato ai 45 potremo passare ad una dieta più bilanciata, ma adesso tutto quello che possiamo fare è somministrarli liquidi attraverso il sondino” aggiunse l’uomo serio, guardandomi negli occhi.

“lui dov’è adesso?” chiese Midori, alzandosi e mettendo accanto a me.

“è all’ospedale della clinica, abbiamo appena terminato le analisi del sangue. Se volete, potere vederlo, ma una persona alla volta” ci disse l’uomo sorridendo lievemente, senza smettere di guardarmi.

“la ringrazio dottore, non so neppure cosa dire per ringraziarla, le sono profondamente grata” disse Midori stringendogli la mano e l’uomo le sorrise, cordiale.

“si figuri signorina. Se volete vi aspetto al reparto, si trova in fondo al corridoio. L’ultima porta a destra” e dopo aver stretto anche la mano ad Aoi si voltò verso di me. Lo guardai negli occhi e quando allungò una mano verso di me io nascosi le mie.
Lui mi guardò a lungo, a disagio poi lentamente sorrise, dandoci le spalle ed uscendo dalla stanza.

“Reita” mi chiamò Aoi “vai prima tu. Io chiamo Uruha e Kai e li faccio venire qui, poi andrà Midori e infine io. Lui vuole vedere te”

“si, vai tesoro. Lui ha bisogno di te” aggiunse Midori, prendendo il mio viso tra le mani. Annuii senza forze, tremando e lei mi strinse a se, dopo avermi dato un lieve bacio sulle labbra.

“ti amo” mi sussurrò, facendo scivolare le dita lontano dal mio braccio.

“ lo so piccola” risposi sorridendo lievemente, poi con cautela mi spostai, dando le spalle a lei e a Aoi.

Tutto quello che volevo fare era stringere forte Ruki tra le mie braccia.
 
 
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“sta dormendo signor Suzuki, ma può sedersi accanto a lui” mi disse il medico, dopo avermi aperto la porta del reparto. Annuii, superandolo ancora una volta e muovendo il mio corpo nella direzione indicatomi. Quando vidi il suo piccolo corpo adagiato sul letto sorrisi, il cuore che aveva finalmente ripreso a battere in modo regolare.
Mi sedetti accanto a lui, sfiorando il suo viso delicato con le dita, il suo piccolo volto di bambola, una bellissima bambola di porcellana.
Al contatto con la mia pelle si mosse lentamente, aprendo gli occhi e visualizzando il mio volto.

“ehi” dissi sorridendo, tremando.

“Reita” disse lui, semplicemente il mio nome, nient’altro e quando mi chinai su di lui, appoggiando le labbra sulle sue, Ruki rabbrividì, portando le dita gelide al mio braccio. Appoggiai il palmo della mano sulla sua fronte, carezzando i suoi capelli castani.

“come ti senti?” gli chiesi guardandolo negli occhi.

“ho paura” mi disse lui, piangendo, e raccolsi le sue perle con un altro bacio.

“perché piccolo mio?”

“perché sto morendo Akira. Anzi, sono già morto, questo è il paradiso” disse facendomi sorridere senza pensare.

“no, tu non sei morto e non morirai. Non permetterò che accada”

“si, sono morto, perché soltanto nel paradiso tu puoi sorridermi così. Io… io sto sognando un angelo” disse tremando sotto al mio tocco.

“ no piccolo mio. Non sei morto amore, io sono qui, sono vivo, tu sei vivo amore”

“mi hai chiamato amore? Davvero?” disse Ruki piangendo sempre più forte, aggrappandosi al mio braccio.

“ si amore mio, sei il mio piccolo amore, non dimenticarlo mai Ruki” dissi serio, stringendo tra le dita alcune ciocche dei suoi capelli.

“che ne sarà di me?” disse guardandomi, facendo per alzarsi e fu allora che portai le braccia alla sua schiena, tornando a reggerlo, questa volta ancora più forte di prima. L’avrei retto sempre, lui avrebbe sempre potuto contare su di me, sempre. E volevo che lo sapesse, volevo che riuscisse a perdonare la mia immaturità. Perché adesso, io avevo capito che la sua subdola malattia l’aveva svuotato e trasformato i suoi desideri in incubi, perché tutto quello a cui aspirava era raggiungere i suoi obbiettivi mortali. Non avrei permesso che accadesse di nuovo. Sarei stato più forte, tutti noi lo saremo stati.

“ ti proteggerò mio piccolo amore. Ti aiuterò ad uscirne, te lo prometto” dissi guardandolo negli occhi e Ruki sorrise tra le lacrime.

“sarai bellissimo, sarai la creatura più bella e delicata del mondo, anche senza di lei” dissi parlando della sua malattia.

“no, non ce la faccio. Lei è dentro di me, non ci riuscirò mai, non senza di te” disse Ruki scuotendo la testa.

“amore, io sono qui, te lo prometto. Non ti lascerò mai più da solo. Ritroveremo i nostri sogni, il buio si dissolverà e vedrai soltanto la luce. La luce del sole, un sole che ti scalderà e che scioglierà tutto il ghiaccio. Ci riusciremo amore, insieme” dissi portando le dita al suo collo delicato e appoggiando le labbra sulla sua fronte.

“mi…mi hai perdonato?” mi chiese, stringendo con forza la mia schiena.

“si” dissi piangendo, lasciando scivolare il mento sulla sua testa, e Ruki adagiò piano la sua fronte sul mio petto.

“Reita… grazie. Io… ti amo così tanto. Ti chiedo scusa, scusa per tutto quello che ho rovinato, per tutto il male che vi ho procurato. È tutta colpa mia”

“ehi” dissi senza staccarmi da lui, ad occhi chiusi “smettila Ruki. Nessuno ti incolpa di nulla, non è colpa di nessuno. Ricominceremo da capo, te lo prometto, ma smettila di incolpare te stesso, ti prego” dissi senza neppure riprendere fiato.

“te lo giuro” disse lui, la voce ridotta ad un sussurro.
Quando mi distesi accanto a lui fu per stringerlo forte a me, trasmettendo al suo piccolo corpo tutto il mio calore.

“ti amo” gli dissi, ad occhi chiusi, disegnando tratti leggeri sulle sue braccia con le dita.

“ti amo” mi rispose lui, sfiorandomi il petto, senza smettere di piangere.
Lanciai uno sguardo alla finestra e la luce del sole ci avvolse piano, scaldando entrambi, sciogliendo tutto il ghiaccio che ancora ci avvolgeva.
Nel mio cuore c’era soltanto fuoco adesso, in quello di Takanori speranza di rinascita, una rinascita che ci avrebbe condotti alla pace.
Lui aveva me, io avevo lui, non c’era bisogno di altro.
Ruki aveva perso il controllo senza di me, il suo cuore, il suo piccolo corpo erano stati manovrati da un demone interiore che ci aveva allontanati, conducendolo quasi alla morte. I nostri incubi si erano uniti, creando un unico essere disgustoso che ci stava distruggendo, mangiando le nostre viscere, dilaniando il nostro corpo.
Ma i ricordi non mi fanno più male, adesso riesco a conviverci, e la strada verso l’annientamento di quel demone è pronta per essere affrontata.
Non esiste un segreto inconfessabile, il nostro passato sarà sempre presente nei nostri cuori. Esiste un cammino verso la speranza, verso la liberazione, verso il sole, un sorriso, una canzone cantata da una voce melodiosa, uno specchio che riflette un’immagine che fa star bene e in pace con se stessi.
Tornai a guardarlo negli occhi, sfiorando le sue labbra con le mie, giurandogli amore eterno, e tutto il mondo attorno a noi svanì, lasciandoci soli.
Ma questa volta, non avevamo più paura.
***


***note***
Oh mamma, ho davvero scritto tantissimo, questo capitolo, spero davvero di non avervi annoiato DX
Siamo giunti alla fine anche di questa storia purtroppo, già mi manca, e il mio amore per Ruki e Reita è aumentato a dismisura **
Vorrei davvero sapere che cosa ne pensato della parte dell’intervista in particolare, perché scriverla è stato difficile e mi ha tramesso delle emozioni intense e dolorose, che spero di non provare mai più ;(
Cercherò di creare altre Reituki, perché ne vale davvero la pena, questa è soltanto la seconda che scrivo e spero non sia l’ultima ç_ç
Bene, detto questo mi dileguo, scusate ancora per la lunghezza del capitolo ;( avevo pensato di dividerlo ma è meglio così, via il dente via il dolore ;)
Presto aggiornerò anche la Het, è praticamente finita ^^
Alla prossima e grazie ancora a tutte le dolci ragazze che mi hanno recensito **
Vi amo
Alla prossima
Effy
 
  
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