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Autore: HeartBreath    31/07/2014    4 recensioni
“Dillo e basta, Smythe”
Un altro sorriso, probabilmente il più compiaciuto e perverso che il Warbler avesse mai messo in scena – e questo era tutto dire. “Ti porto a Parigi”
Kurt per un attimo pensò di aver sentito male. Spaesato, gli chiese di ripetere.
“Ti porto a Parigi, Hummel”
Gli uscì una risata secca e piuttosto aspra. “E' uno scherzo, vero?”
Sebastian non staccò quell'espressione vagamente maligna dalla vista di Kurt nemmeno quando aprì la tracolla e ne tirò fuori una busta. Ne mostrò il contenuto: due biglietti aerei.
“Ti sembra ancora che stia scherzando?”
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Uhm, hi.
Mai pubblicata una Kurtbastian prima, e sì: so che è un modo pietoso di iniziare un'intro.
L'idea per questa fanfic mi è venuta un anno fa, quando la mia sorellona (a cui è dedicata la storia) mi ha portato a Parigi. Ma, per un motivo che ancora non mi spiego, solo adesso ho iniziato concretamente a scriverla.
Per ora è tutto, se voleste dirmi cosa pensate di questo prologo ve ne sarei grata! ^^


V



















It's my little game







 

 





 


- Prologo -
Cambiare copione





Quale persona sana di mente si sarebbe avventurata fuori casa, con quella fitta coltre di nuvole nere che puzzavano di umidità? Anzi: quale persona sana di mente e una chioma perfettamente modellata e pietrificata con la lacca, l'avrebbe fatto?

Nonostante tutte le storie che si raccontava, Kurt conosceva la vera domanda. Semplicemente non gli andava di affrontarla.

Quale persona sana di mente si sarebbe avventurata fuori casa, nella città dove il suo ex viveva, per dirigersi nel posto dove il suo ex andava a fare colazione?

Forse quell'irresistibile voglia di caffè del Lima Bean che aveva sentito appena sveglio, altro non era che un inconscio desiderio di incontrare Blaine. Poteva negarlo all'infinito - e probabilmente l'avrebbe fatto -, ma le sue limpide iridi azzurre avevano continuato a guardarsi intorno per tutto il tragitto fino al bar, dandogli quell'aria da cucciolo smarrito che – lo ricordava chiaramente – Blaine adorava. Per non parlare dei sobbalzi, ogni volta che il suo sguardo si era imbattuto in un cespuglio di ricci scuri o il suo naso in una colonia al mughetto.

Non voleva vedere Blaine. Sapeva che avrebbe fatto troppo, troppo male. Ma ormai sapeva anche di avere una velata tendenza al masochismo, da quella notte che aveva passato incollato al computer a guardare tutte le foto più belle del profilo Facebook del suo ex ragazzo. O forse era uscito semplicemente per evitare il padre e la sua martellante domanda “Cosa vuoi fare al tuo compleanno?”.

Si sedette ad un tavolo casuale del Lima Bean con aria assente e un bicchierone di cappuccino in mano. In realtà, aveva preso da bere unicamente per non sembrare un idiota entrato in un bar senza motivo. Iniziò a sorseggiare malvolentieri: non aveva neanche voglia di quel sapore dolce di caffé, latte e schiuma - niente zucchero ovviamente. Non aveva voglia di nulla in quella placida e grigia mattina.

Perché diavolo sono uscito? Che ci faccio qui?, pensò, lasciandosi sfuggire uno sbuffo dalle labbra rosee.

"Non dovremmo provare a cambiare copione, ogni tanto?"

Quella voce, pungente e sarcastica come ogni maledetta volta, non poteva che essere di una sola persona. Kurt alzò lo sguardo col becco del bicchiere ancora accostato al viso. Ed eccolo lì, Sebastian Smythe, nel suo sorriso malevolo, nel gel che gli lisciava i capelli castani, in ogni spigolo del viso sottile e del corpo slanciato. Ma non nella sua divisa della Dalton Accademy - già, era sabato mattina. Sembrava ancora più magro, senza le spalline imbottite del blazer a ingannare la vista. L'insieme a Kurt aveva sempre ricordato l'immagine di un sibilante e viscido serpente - oppure, naturalmente, di una mangusta.

"Di che stai parlando? Quale copione?"

Con un movimento delle dita occupate a reggere un caffè medio, Sebastian lo indicò. "Tu seduto qui, io che ti vedo e ti vengo a dare fastidio solo perché il sapore del tuo risentimento si sposa così bene con quello del mio caffè... Non hai anche tu un déjà vu?"

Kurt sapeva che questo strambo discorso era solo uno dei tanti modi di Sebastian per dargli fastidio, infatti. Ma quanta voglia poteva avere di discutere con lui, se nemmeno riusciva a trovare quella di fare colazione?

"Se è così, perché sei venuto a disturbarmi? Cambia copione e lasciami in pace"

"Oh, siamo di cattivo umore. E ne conosco la ragione, la stessa ragione che mi ha spinto a venire a salutarti" cantilenò Smythe come un bambino.

"Tu non sai niente di me"

"E' per via di Blaine, vero?"

Gli occhi di Kurt si ancorarono a Sebastian. Dio, avrebbe dato qualunque cosa per non dover sopportare quel nome sulle sue maledette labbra, non in un momento del genere.

"E tu come diavolo-"

"Me l'ha detto Jeff" tagliò corto il Warbler. "ma Blaine non ha voluto rivelargli perché"

Ovvio che non ha voluto. "E tu vorresti la versione dettagliata da me?"

Noncurante, Sebastian sorrise ancora. "Vedi che, se ti ci impegni, qualcosa la capisci anche tu?"

"Piuttosto vorrei capire cosa, esattamente, ti fa credere che siano affari tuoi"

"Beh, sarebbe una buona occasione per ammettere che Anderson ti ha mollato perché incapace di patire oltre l'attrazione nei miei confronti"

No. Non nei tuoi, pensò Kurt con amarezza, un sapore sulla lingua che certamente Sebastian non stava facendo attenuare. "Se ti può aiutare, non è stato per questo. Ora puoi anche sparire"

"Wow, siamo davvero di cattivo umore". Dicendo questo, il ragazzo afferrò lo schienale della sedia davanti a sé per spostarla e sedercisi sopra. Il gesto con cui poggiò il proprio caffè sul tavolo sembrò la firma di un contratto, vincolante e definitivo.

Non se ne sarebbe andato. Quando Kurt lo realizzò, la voglia di vivere che stava caratterizzando la sua giornata sprofondò ancora di più verso al centro della Terra. Parlò, solo per fargli avere ciò che voleva, così magari si sarebbe tolto dai piedi:

"Se proprio lo vuoi sapere, mio padre insiste perché resti qui a Lima fino al mio compleanno per poterlo trascorrere insieme. Ma, tra la possibilità di incontrare Blaine e la certezza di incontrare te, penso che mi armerò per trovare un modo di festeggiare nel mio loft a New York"

Il modo in cui aveva pronunciato la parola loft sembrava quasi far sentire l'eco di una stanza completamente vuota. A New York, Kurt avrebbe visto passare il suo diciannovesimo compleanno nella più totale solitudine: Rachel era partita per il Missouri con i suoi genitori. A quanto sembrava, i signori Berry volevano sfogare la crisi di mezz'età con un viaggio on the road in decappottabile, fingendo che Rachel avesse ancora sei anni e quindi loro appena trenta.

Deprimente pensare di trascorrere il compleanno da solo. Ma non riusciva a sentirsi a proprio agio in quella città, quella per lui non era più casa.

"E quando cadrebbe lo sciagurato giorno della tua nascita?"

Sospirò, per poi prendere un capiente sorso di cappuccino. "Il primo di dicembre"

"Uhm, due settimane. Se riuscissi a pensare a quella faccia da checca per più di due secondi senza voler vomitare, forse potrei persino farti un regalo"

Gli uscì una risata secca e ironica, più acuta di quanto non avrebbe voluto. "Non prenderei mai un tuo regalo, conoscendoti si tratterebbe un vibratore delle fattezze del tuo attrezzo"

"Qualcosa mi dice che in quel caso lo prenderesti eccome" sogghignò Sebastian, meritandosi un'occhiata disgustata da parte del ragazzo. "Comunque no, intendevo un regalo vero"

"Perché diavolo dovresti fare un regalo a me?"

"Per orgoglio personale: ho un talento innato nel fare regali impeccabili, riesco sempre a trovare l'idea giusta"

"Solo tu sei capace di trasformare una premura in un gesto d'egocentrismo" sospirò di esasperazione Kurt. "Se non c'è neanche il pensiero in un regalo, grazie ma passo"

"Certo, perché è il pensiero che conta" recitò l'altro con cinismo. "Scommetto che se io ti portassi il regalo perfetto, te ne strafotteresti del mittente"

"Credo non lo scopriremo mai, visto che sei totalmente disinformato riguardo ai miei gusti per essere capace di farmi un regalo azzeccato"

"Mi basterà entrare in un centro commerciale e cercare la sezione 'Teletubbies e tanga rosa shocking'"

Le gote di Kurt si arrossarono di rabbia, mentre i suoi occhi perforavano la fronte di Sebastian come dei proiettili.

"Se non mi credi capace, scommettiamoci sopra. Ci rivediamo qui a quest'ora tra una settimana esatta, e io scommetto che per allora avrò qui per te il regalo migliore che tu abbia mai ricevuto"

Sbatté le palpebre un paio di volte, tentando di mettere insieme le parti di quel ridicolo discorso. "Mi stai davvero proponendo questa cosa?"

"Ci stai o no?"

Sapeva di non doverlo fare. Sapeva che scommettere qualcosa contro Sebastian Smythe era come vendere l'anima a Satana: c'era sempre la fregatura. Ma non era fisicamente capace di rifiutare una sfida lanciata dal suo peggior nemico.

"Che succede se vinco io?"

"Ti lascerò in pace. Semmai ti incontrerò qui o in qualunque altro luogo, non ti guarderò nemmeno. Troverò qualcun altro a cui dare fastidio"

"E se vinci tu? Io lascerò in pace te?" azzardò con un sorriso carico di acidità.

"No" fu la risposta. "Se vinco io, potrò chiederti tutto quello che voglio su Blaine"

Il suo sorriso si spense all'istante. "Ma si può sapere che t'importa del motivo per cui ho lasciato Blaine?"

"Oh, quindi sei stato tu a lasciare lui. Grazie: informazione gratis"

Kurt strinse le labbra, come ad assicurarsi di non far scappare qualche altro dettaglio.

Sebastian si rilassò sulla sedia e intrecciò le dita davanti al grembo. "In ogni caso, non intendevo questo. Potrei chiederti del motivo per cui non state più insieme, certo, ma sono più interessato ai dettagli delle sue... prestazioni”

"Non ci sto"

Ancora quel sorriso, quel sorriso, quel maledetto sorriso. "Guarda chi improvvisamente pensa che potrei fargli un regalo gradito..."

"Ripeto: tu non sai niente di me, Smythe. Ma questo non vuol dire che rischierei di dover sbandierare la mia vita privata ad un pervertito patologico"

"Se non so niente di te, il rischio non esiste. Andiamo, gioca un po' con me"

La sua pazienza aveva superato ogni limite concepibile dall'umanità. "Se accetto la sfida, ti togli dai piedi?"

"All'istante, Hummel"

Sospirò. "Bene, ci sto. Sabato prossimo, qui"

Come promesso, Sebastian riprese il suo caffè, saltò in piedi e uscì svelto dal Lima Bean come se non avesse mai nemmeno incrociato la figura del soprano.

Kurt restò lì a finire di bere il suo cappuccino, ormai tiepido. E cercò per il resto della giornata di far sembrare quell'incontro un semplice dettaglio nella sua complicata vita.


 


 


 

“Pensavo che potremmo andare a vedere uno di quei film stranieri che ti piacciono tanto”

Quella proposta, accompagnata dallo scoppiettio di un uovo in padella, provocò più o meno la stessa reazione in Kurt e Finn. Videro entrambi la propria espressione nello specchio del viso dell'altro: il quarterback all'idea di essere trascinato a vedere un film ungherese indipendente, il soprano perché, in una settimana, non aveva ancora trovato il coraggio di dire a Burt che non voleva passare il compleanno a Lima.

“Ehm... Papà...”

“Oppure ad un museo: ho letto da qualche parte che dovrebbe esserci una mostra di arte moderna a East Lima” continuò il signor Hummel come se nulla fosse, trafficando con la padella sul fornello.

“Papà...”

“Ma non siamo costretti a buttarci su qualcosa di culturale, per quanto mi riguarda anche giocare a prendere il tè come quando eri bambino andrebbe benissimo”

Seduti al tavolo della cucina Hummel-Hudson, Finn si sporse alla sua sinistra, verso il fratello. “Ti avverto, potrei anche sopportare un film straniero o un museo, ma giocare con tè e pasticcini no” sussurrò, in bilico tra un ultimatum vero e una risata.

Anche Kurt si ritrovò a ridacchiare, lasciando correre i discorsi del padre senza neanche volerlo. Da una parte la prospettiva di un compleanno in famiglia era piacevole, dopotutto. Ma - per quanto questo lo facesse sentire spregevole nei confronti di un padre disposto a sorbirsi un film con sottotitoli per fargli passare una bella giornata – non abbastanza. Quel macigno che gli appesantiva lo stomaco era troppo presente, e sapeva che col tempo sarebbe diventato più leggero. Ma era ancora presto. Per ora, ogni angolo di quella città gli ricordava Blaine, la sua vecchia vita, il liceo, quella rassicurante certezza di aver trovato la persona con cui avrebbe passato la vita. In Ohio era troppo vulnerabile, scoperto, era ancora il ragazzino completamente soggiogato dal suo primo amore. A New York, se non altro, poteva vivere l'illusione di essere cambiato - più adulto, più forte.

Perso in quei pensieri che pungevano il suo petto come aghi, non si accorse dell'uovo all'occhio di bue che Burt aveva allungato sotto il naso di Finn.

“Tu non fai colazione, Kurt? Vuoi un uovo anche tu?”

Colazione. Quella parola fece scattare mente e corpo insieme: saltò in piedi facendo sobbalzare il fratello accanto a sé.

“No! Ho un appuntamento al Lima Bean” ricordò. Corse in camera a vestirsi, pur sapendo che ci avrebbe messo ben più di mezz'ora per uscire di casa.

Pazienza. Smythe avrebbe aspettato.

  
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