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Autore: Acinorev    02/08/2014    82 recensioni
"A quel punto Harry rise. Rise con le fossette accentuate ai lati della bocca e facendo un passo indietro, con una mano tra i capelli e gli occhi praticamente chiusi. «Ragazzina», esclamò affievolendo la risata. «Ragazzina, rallenta», ripeté.
Ed Emma assunse un’espressione un po’ più seria, mentre sentiva l’eco di quelle parole nella sua testa.
Ragazzina.
«Ascolta», ricominciò Harry, frugando nella tasca dei suoi pantaloni stretti e tirandone fuori un contenitore di metallo sottile dal quale estrasse una sigaretta, probabilmente confezionata da lui. Continuò a guardarla, però, senza lasciarla libera nemmeno per un istante. «Apprezzo l’intraprendenza, ma andiamo… Mi sentirei una specie di  pedofilo», aggiunse, scuotendo di nuovo la testa mentre una ciocca di capelli gli ricadeva sulla fronte."
Spin-off di "It feels like I've been waiting for you", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little girl'
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Epilogo - Gifts
 

 

Con l'intero contenuto dell'armadio rovesciato sul letto e su gran parte del pavimento, Emma aveva finalmente trovato qualcosa da indossare: solo poche settimane prima, in un pomeriggio piovoso ed insignificante, aveva approfittato della compagnia di sua madre per svaligiare alcuni negozi di vestiario. Tra i vari acquisti, che le erano costati la promessa di avere pietà del conto in banca della famiglia, compariva un abito di un giallo paglierino, semplice nelle sue linee aderenti, ma morbide: senza spalline né particolari decorazioni, le fasciava il seno ed il resto del corpo, arrivando a coprirla pudicamente fino a metà coscia. Sulla schiena la stoffa si divideva in senso ovale per svelare la sua pelle candida.
Emma appoggiò l'abito sul letto, sopra tutti quelli che aveva già provato e scartato, e prese ad osservarlo mordendosi il labbro inferiore, pensierosa. Il fatto che Tianna ed i gemelli stessero tramando qualcosa non la aiutava per niente: le avevano detto che l'avrebbero portata a cena fuori, per poi accompagnarla in un qualche locale nel quale non era mai stata, ma non erano bravi a nascondere un segreto, quindi era più che evidente che stessero tentando di farle una sorpresa. Lei non era di certo intenzionata a rovinarla, eppure le avrebbe fatto comodo avere almeno un indizio per scegliere l'abbigliamento adatto: in fondo era il suo sedicesimo compleanno, ne aveva tutto il diritto.
«Emma!» Esclamò concitata la voce infantile di Fanny, mentre la piccola spalancava la porta della stanza della sorella. Si precipitò verso di lei con gli zigomi arrossati ed i capelli in disordine, sorridendo anche con gli occhi vivaci.
«Quante volte ti ho detto che dovresti bussare?» La rimproverò bonariamente Emma, accarezzandole il capo senza distogliere lo sguardo dal vestito ancora sul letto.
«Ma ho finalmente trovato il regalo da darti!» Protestò Fanny, scansando con una mano il tocco della sorella e saltellando sul posto. Per tutta la mattina, infatti, aveva tenuto il broncio per la sua incapacità di pensare ad un regalo di compleanno adatto: si era chiusa in camera sua, nonostante le fosse stato detto che non fosse qualcosa di importante, e non ne era uscita se non per mangiare ed andare in bagno.
Emma corrugò la fronte e si riscosse dai propri pensieri, stupita da quella piccola novità. «Davvero?» Le domandò, osservandola con attenzione. «E cosa sarebbe?»
Fanny allargò il sorriso sdentato sul proprio volto e le porse la bambola di pezza che teneva tra le mani.
«Annabel?» Chiese la sorella, incredula. «Vuoi regalarmi Annabel?»
L'altra annuì, come se la risposta fosse stata ovvia.
«Ma è la tua bambola preferita» continuò Emma, sempre più sorpresa da quella decisione così improbabile: quell'ammasso di stoffa consumata e vissuta aveva condiviso con la piccola persino la culla, senza staccarsi da lei nemmeno per un giorno.
Il viso di Fanny si corrucciò in un'espressione concentrata, mentre lasciava il regalo alla sua destinataria. «Lo so» mormorò, abbassando lo sguardo ed incrociando le mani dietro la schiena. «Ma tu mi ci lasci giocare quando voglio, non è vero?» Ragionò, come se stesse illustrando un piano già elaborato ed approvato: sarebbe stato troppo strano se avesse deciso di separarsi da Annabel così definitivamente, quindi era ovvio che volesse scendere ad un compromesso.
«Certo» sorrise Emma, intenerita da quella richiesta simile ad una paura.
«E poi, così puoi tenerla con te di notte, quando sei triste» continuò Fanny, tornando ad illuminarsi con le labbra increspate in un sorriso speranzoso.
«Tu la usi per questo?» Le domandò la sorella.
«No, io ormai sono grande per queste cose» fu la risposta, accompagnata da un sottile tono indignato che la fece divertire appena. «Però magari a te può servire».
«A me?»
Fanny annuì sapientemente, con un'aria buffa che solo una bambina di sette anni può conservare.
«Io non sono triste» precisò Emma quindi.
«Ma qualche giorno fa ti ho sentita piangere, mentre eri qui» ribatté l'altra, vagamente confusa. Emma smise di respirare. «Perché piangevi? Hai fatto arrabbiare la mamma? Di solito, se le dai un bacio e la abbracci, poi lei non è più arrabbiata».
La sorella maggiore, stritolando tra le mani l'innocente bambola di pezza, serrò la mascella e deglutì a fatica: non pensava che qualcuno l'avesse sentita e voleva costringere anche se stessa a dimenticare l'accaduto. Non le succedeva spesso, anzi, era stata la prima volta dopo lo sfogo liberatorio al quale si era abbandonata tra le braccia solide di suo padre: a differenza di quello che aveva temuto, era riuscita a tenere insieme i propri pezzi abbastanza efficientemente da non lasciarsi andare al senso di vuoto che percepiva, che viveva ogni giorno passato senza Harry. E per un mese e mezzo aveva continuato a lottare, a nascondere dentro di sé ogni tipo di debolezza per non realizzarne l'intensità, fino a quando, senza alcun preavviso o motivo scatenante, aveva ceduto inesorabilmente. I propri sentimenti stavano sanguinando, agonizzanti per l'assenza del loro oggetto, e quando lei si accorse dell'effettivo dolore che questo provocava - quello che aveva cercato a tutti i costi di non vedere - non fu in grado di sopportarlo.
Ogni secondo trascorso dalla fine di loro, ogni secondo che lei aveva sottovalutato consapevolmente si era riversato nelle lacrime che aveva nuovamente versato nella sua stanza, con Fanny come ingenua ed invisibile testimone.
Emma chiuse per un istante gli occhi e si aggrappò al proprio contegno, poi si sforzò di sorridere. «Grazie del regalo» esclamò abbassandosi all'altezza della sorella, in ginocchio. «Mi piace molto» aggiunse, muovendosi per abbracciare il piccolo corpo che le stava di fronte e che era sempre in grado di darle un certo assaggio di conforto.
«Emma! Scendi un attimo! C'è tua zia Millie al telefono!» Urlò Constance dal salotto, aggiungendo un nome all'interminabile lista di parenti che quel giorno l'avevano cercata per farle gli auguri. Lei alzò gli occhi al cielo e lasciò andare sua sorella, che sgattaiolò via priva di alcun pensiero che avesse potuto turbarla.
Osservò Annabel tra le sue mani e la appoggiò sul letto.
 
Circa quarantacinque minuti dopo, Emma era pronta e suo padre stava borbottando qualcosa riguardo la lunghezza insufficiente del suo abito, cosa che avrebbe fatto anche se le fosse arrivato alle caviglie.
Quando il campanello di casa suonò, si alzò velocemente dal divano sul quale stava macerando la sua impaziente attesa e si avvicinò alla porta, con il rumore dei tacchi neri che la seguiva ad ogni passo. Ebbe appena il tempo di riconoscere le facce esaltate e calcolatrici dei suoi amici, prima che Dallas le si avventasse contro, coprendole gli occhi con una benda nera.
Emma sospirò e si rilassò. «Sapevo che avreste combinato qualcosa» esclamò soddisfatta e arresa, mentre aspettava che la stoffa fosse accuratamente assicurata ad impedirle la visuale.
«Invece ti sbagli» la corresse Tianna, con il suo profumo a solleticarle il naso. «Dobbiamo davvero portarti a cena, ma non vogliamo farti vedere dove» spiegò, sperando di essere convincente. Il fatto era che non ci riusciva nemmeno lontanamente, anche a causa del mezzo sospiro di Pete, che probabilmente era stato trascinato in quell'impresa senza grande entusiasmo.
«Certo, certo» rispose Emma, allungando le mani in avanti per orientarsi meglio, nonostante Dallas stesse tenendo una mano dietro la sua schiena per indirizzarla nella giusta direzione.
«Signor Clarke, allora noi andiamo» esclamò lui, prima di varcare la soglia di casa.
«State attenti, mi raccomando» rispose l'altro, ancora seduto sul divano e con lo sguardo serio. «E ogni tanto tirale giù quel vestito. Anzi, no: Tianna, fallo tu» si corresse subito dopo, facendo sorridere tutto il gruppo.
«E fate tante foto!» Si intromise Constance, scendendo le scale con Fanny tra le braccia.
«Va bene, ciao» tagliò corto Emma, scuotendo la testa e facendo un passo instabile in avanti. «Dallas, se cado, ti uccido» promise poi a bassa voce.
Lentamente e non senza piccoli scherzi con i quali i gemelli si divertivano a guidarla erroneamente, la festeggiata riuscì a salire nell'auto che era parcheggiata davanti casa sua: le avevano detto che li avrebbe accompagnati il padre di Tianna, come spesso accadeva, ma l'odore era diverso ed anche la morbidezza dei sedili. «Di chi è questa macchina?» Domandò allora, vagamente stupita. Era nel posto centrale, tra Pete e Dallas.
«Ciao, Emma. Tanti auguri» la salutò qualcuno dalla voce familiare.
«Signor Butler!» Ricambiò lei, stupita nel rivederlo, o meglio, nel sentirlo. «Non sapevo fosse tornato dalla Svizzera».
«Sì, purtroppo ogni tanto torniamo ad avere dei genitori» scherzò Dallas, con sicuramente un sorriso sulle labbra. Le piaceva molto il rapporto nella loro famiglia: difficilmente riuscivano a prendersi sul serio, sempre pronti a ridere e a far ridere, nonostante il lavoro in ufficio del signore e della signora Butler potesse consigliare il contrario. Per questo motivo il padre non si sentì affatto accusato dalla battuta del figlio: nessuno avrebbe mai potuto credere ad una frase del genere, perché i gemelli erano letteralmente innamorati di chi aveva donato loro la vita.
«La prossima volta, allora, non mi chiamare chiedendomi quando torneremo» ribatté il signor Butler scatenando leggere risate.
Emma aveva tentato di memorizzare tutte le curve intraprese in modo da orientarsi nella propria città, ma si era persa dopo i primi cinque minuti di guida: era agitata anche solo per il fatto di essere in un automobile - che se non era di Harry risultava ormai cento volte più spaventosa - ed era troppo impaziente per la serata che la attendeva, senza contare il fatto che i suoi amici stavano abilmente cercando di distrarla con battute sarcastiche e chiacchiere infinite. Aveva semplicemente dovuto arrendersi, promettendo a se stessa di non chiedersi più quale fosse la meta, ma di fidarsi ciecamente di loro.
Alla fine, quando l'auto si spense, Emma si irrigidì sul sedile posteriore e sorrise spontaneamente. «Alzati, forza, o vuoi che ti porti in braccio?» La spronò Pete con il suo solito tono incolore, ma intriso di quella confidenza che le impediva di indignarsi.
Lei si sporse verso il suo corpo, nonostante non potesse vederlo, e lo strinse a sé in modo scherzoso. «Sei sempre così dolce, che mi viene voglia di coccolarti fino a domani. Piccino» lo prese in giro, mentre lui cercava di divincolarsi dalla sua presa senza troppa convinzione.
«Smettila, idiota» la rimproverò bonariamente, ricambiando per un solo attimo quell'abbraccio impacciato ed improvviso.
La aiutò a scendere dall'auto, facendo attenzione a non farla inciampare sul marciapiede, e la guidò lentamente in avanti, mentre Tianna la prendeva per mano e le lasciava un bacio sulla guancia. «Ti ho già detto che stasera sei una strafiga?» Le bisbigliò all'orecchio.
Emma abbozzò una risata e si godette la sensazione piacevole del sole tiepido sulla propria pelle, pronto a tramontare e a dettare l'inizio della fine di quel diciannove giugno. «No, ma ti ringrazio» rispose sinceramente. Non era da lei recitare la parte della persona imbarazzata ed incredula, perché si amava abbastanza da credere nelle parole di Tianna: si sentiva bella in quel vestito. Un po' di più rispetto ai giorni precedenti, quelli nei quali aveva cercato di ricostruire la propria fortezza di consapevolezza, e un po' di meno rispetto a quando era Harry a farla sentire così, ma pur sempre bella.
«E il vestito ti fa un bel culo» continuò l'altra. «Pete, non le fa un bel culo?»
«Giuro che sei l'unica che può chiedere al proprio ragazzo un parere sul culo di un'altra» sbuffò lui.
«Che c'entra? Stiamo parlando di Emma» precisò lei. «Di certo non te lo chiedo su quella smorfiosa che ti corre dietro come una cagnetta in calore per tutta la scuola» continuò stizzita.
«Ci risiamo…» commentò Emma a bassa voce, con la risata di Dallas a dimostrarle di esser stata udita.
«Stai forse parlando di te?» Ribatté Pete.
«Razza di stupido» lo insultò la ragazza, tagliando corto.
«Ah, l'amore…» sospirò Dallas.
La festeggiata avrebbe voluto non avere quella benda scura sugli occhi, per poter osservare divertita ogni minima espressione sul viso dei loro amici. Poteva basarsi solo sui rumori che la circondavano - come il passo lento di Pete o i tacchi di Tianna sull'asfalto - e sugli odori, come quello familiare e confortante di Dallas. Non riusciva a definire la sensazione che provava nell'essere in loro compagnia: percepiva ogni implicito sforzo per farla sorridere, per regalarle una spensieratezza che aveva rischiato di perdere e che volevano riacquistasse almeno per una sera, ed era grata di avere il loro sostegno.
«Per carità, dovrei essere proprio una stupida masochista per amare un individuo del genere» esclamò Tianna, dando sfogo alla sua leggera stizza. Nessuna novità, visto che le cose andavano sempre così, e nessuna preoccupazione, dato che dopo cinque minuti sarebbero sicuramente scomparsi in qualche posto più appartato per riappacificarsi a modo loro. Talvolta Emma sospettava che Pete la provocasse di proposito, solo per poi poterla ammansire a suo piacimento.
Anche Harry si divertiva a stuzzicarla maliziosamente, prima di ricordarle da chi dipendesse inesorabilmente.
L'aprirsi di una porta la distrasse da quei pensieri pericolosi, quindi si concentrò sul gradino sul quale non doveva inciampare e sul chiasso proveniente dall'interno afoso del locale, mentre il battibecco tra la coppia continuava senza alcun disturbo.
«Benvenuti al Red's» li accolse la voce stridula di un uomo.
Emma alzò un sopracciglio e fu tentata di sbirciare da sotto la benda. Non conosceva nessun ristorante con quel nome, né un locale: sicura che nessuno le avrebbe rivelato qualcosa se non a tempo debito, non insistette per conoscere la verità.
Con attenzione fu guidata giù per due rampe di scale: la musica mista a vero e proprio rumore proveniente dal piano terra stava diminuendo di intensità, lasciando spazio ad un maggior silenzio. Forse si trattava di un locale che offriva anche un'area di ristorazione.
Dopo l'ultimo gradino, la mani di Dallas le solleticarono dispettosamente i fianchi, facendola ridere: «Sei pronta?» Le chiese soltanto, iniziando a scioglierle il nodo dietro la nuca.
Lei annuì ed aspettò impazientemente di poter riacquistare la vista, mordendosi il labbro in un sorriso smorzato. Quando la benda lasciò libere le sue iridi, smise di respirare e sentì il cuore tornare a battere con l'enfasi che non provava da un po' di tempo.
Erano tutti lì, per lei.
 
«Allora, che ne pensi?» Domandò una voce al suo fianco, sorprendendola.
Emma ingoiò il pasticcino alla crema che aveva silenziosamente rubato dal banchetto e si voltò alla propria sinistra: Zayn la stava osservando con le mani nelle tasche dei jeans scuri e con un'espressione serena sul volto. Non si era stupita nel ritrovarlo tra gli invitati, in compagnia di Melanie, perché aveva avuto l'occasione di conoscerlo meglio e di creare un rapporto che andava oltre quello della semplice conoscenza.
«Mentirei se dicessi che non me l'aspettavo» sorrise lei, inumidendosi le labbra. «Ma mi piace molto» ammise. Era ancora pervasa dal senso di calore provocato dall'impegno che i suoi amici avevano messo nell'organizzare la sua festa a sorpresa: nonostante non fossero stati abbastanza abili nel nascondere le proprie reali intenzioni, erano riusciti ad invitare tutti i suoi amici per farla sorridere, per farle sentire qualcosa. Affittando il piano inferiore del Red's - che alla fine era un semplice pub su due piani, consigliato da sua sorella Melanie - avevano predisposto dei tavoli per un buffet e chiamato il DJ della loro scuola per animare la serata con un po' di musica. Per come la vedeva, avrebbero anche potuto portarla in un vicolo colmo di cassonetti maleodoranti, ma ne sarebbe stata ugualmente felice.
Zayn sembrò sollevato e sinceramente appagato dalla sua risposta, poi si versò da bere in uno dei bicchieri e bevve a piccoli sorsi la birra amarognola. Entrambi restarono immobili, ad osservare la sala colma di persone allegre e spensierate: tra loro si era ormai instaurata una certa confidenza, anche se non era ancora ben chiara. Nonostante il loro legame non fosse profondo o costruito su solide basi, infatti, sembrava comunque più intimo di quanto fosse naturale: Emma credeva che dipendesse da ciò che indirettamente condividevano, da quella persona che aveva condizionato le vite di entrambi e che sembrava intrufolarsi cautamente in ogni loro dialogo ed in ogni loro incontro. Con le loro esperienze passate, avevano l'impressione di nascondere lo stesso segreto indiscreto: solo loro potevano sapere cosa volesse dire legarsi ad Harry, viverlo anche se in modi diversi, e questo era abbastanza per creare un'intesa implicita e comprensiva. Era Harry ad unirli, più di qualsiasi altra cosa.
«Tua sorella è bellissima» mormorò piano Zayn, alzando una mano per ricambiare il saluto di Melanie, poco distante da loro. Il sorriso rilassato che gli distese il viso la meravigliava ogni volta di più: sembrava urlare senza riserve quanto sincero fosse il suo significato, come se Zayn si stupisse in ogni minuto di poter amare così tanto qualcuno.
«Oh, ti prego…» si lamentò Emma, alzando gli occhi al cielo e nascondendo parte dei suoi pensieri, per liberarsi dall'atmosfera di cuoricini immaginari che si stava diffondendo attorno al corpo del suo amico.
Lui abbozzò una risata e bevve un altro sorso. Quando si voltò verso di lei, il suo sguardo scuro era più serio, intenso: come poteva Melanie sopravvivere a qualcosa del genere?
«Che ti prende?» Domandò Emma, stranita dal suo comportamento.
Zayn alzò le spalle e per un attimo finse indifferenza, poi spostò lo sguardo sul proprio bicchiere e di nuovo su di lei. «Fuori, c'è qualcuno che ti aspetta» esclamò lentamente, osservandola con attenzione come a voler carpire ogni sua minima reazione.
Emma percepì qualche battito in più, ma non lo diede a vedere. «E chi sarebbe?» Chiese, con la voce sicura che sperava non tradisse il presentimento che le stava accartocciando lo stomaco.
«Vai a vedere» le consigliò Zayn, inclinando le labbra nel preavviso di un sorriso.
Lei non sapeva cosa pensare: una piccola parte di sé, quella più caparbia e forse stupida, le aveva instillato nella mente la possibilità che quel qualcuno potesse essere Harry, ma non voleva crederci. Probabilmente erano solo i suoi sentimenti ricchi di speranza a volerla tormentare in quel modo, probabilmente era solo un pretesto per farla uscire e darle un regalo o farle un'altra sorpresa, probabilmente era talmente patetica da fremere affinché fosse la prima opzione, quella giusta.
«Se non è stato invitato, vuol dire che non è importante» tentò di sdrammatizzare, con le gambe che cercavano di farla accasciare anche solo per un istante. Voleva aggrapparsi a quella possibilità, dato che tutti i suoi amici erano già presenti, per non sprofondare nel ridicolo e nella vergogna per se stessa.
Zayn indurì la sua espressione. «Emma, vai a vedere» ripeté, intimandole di non contraddirlo.
Lei ignorò la gola secca e serrò la mascella, guardando il suo interlocutore come a voler cercare una risposta sul suo viso: si chiedeva perché non potesse sapere di cosa stesse parlando e perché il suo istinto le gridasse di avere già una risposta, che non poteva basarsi su altro se non su una speranza disperata.
Alla fine inspirò profondamente e gli diede ascolto.
 
Emma camminava con la sguardo basso, fisso sulle proprie scarpe aperte e con la suola rumorosa: non voleva alzarlo prima del necessario, perché voleva aspettare e prendersi ancora un po' di tempo per accettare tutte le possibilità, o forse solo quella.
Aprì la porta del locale passandosi una mano tra i capelli e sospirando piano, mentre l'aria afosa le aderiva alla pelle nuda: a quel punto non avrebbe potuto rimandare oltre il momento della verità.
I suoi occhi si mossero veloci ma restii, trovando immediatamente il loro obiettivo.
Le sue mani si strinsero in un pugno rigido.
Il suo cuore si ritrasse, come a volersi proteggere prima ancora di subire una minaccia.
Ed il suo corpo si immobilizzò, pietrificato.
Harry era a pochi metri da lei, appoggiato con la schiena alla sua auto bianca e un po' più sporca di quanto ricordasse. Indossava gli stivali marroni che chissà se avrebbe mai buttato ed i jeans neri un po' consumati sulle tasche posteriori: la sua pelle era leggermente abbronzata, di un colorito più scuro che contrastava con la t-shirt bianca e che metteva in risalto il verde imperfetto delle sue iridi. Intense più di quanto la sua memoria le concedesse di ricordare, ammalianti più di quanto volesse sopportare, erano su di lei, inevitabilmente e come sempre.
Non lo vedeva da più di un mese, ma sembrava non fosse passato nemmeno un secondo, stando al turbinio di emozioni che stava nuovamente ospitando, anche a distanza di tutto quel tempo: aveva l'impressione di aver solo sbattuto le palpebre e di aver cambiato scenario con quel semplice gesto. Un battito di palpebre e loro due non si sfioravano più, ma l'amore di Emma era ancora pulsante e vivo.
Non mostrò l'impatto che il rivederlo ebbe su di lei, non reagì in alcun modo alla forma delle sue labbra schiuse o ad ogni tratto del suo viso. Finse di non notare il modo in cui gli occhi di Harry si posarono su ogni centimetro del suo corpo, forse accarezzando i suoi stessi pensieri, e si impose di non dar retta al proprio istinto. Aveva impiegato troppo tempo nell'imparare a recitare la parte di chi sta dimenticando, tanto da essere quasi riuscita a farlo davvero, quindi non poteva permettersi di azzerare tutti i suoi sforzi provocandone degli altri.
«Ciao» sussurrò Emma, restando ferma nella sua posizione e mettendo a tacere tutte le altre domande che insistevano per essere pronunciate. Avrebbe davvero voluto chiedergli perché fosse lì, perché dopo tutto quel tempo, perché, perché ed altri mille perché, ma non si sentiva ancora in grado di ricevere una risposta, che quasi sicuramente non sarebbe stata quella che più desiderava.
«Ehi» ricambiò lui, avvicinandosi di pochi passi, lentamente. La sua voce, invece, era esattamente come si ripeteva nella sua mente: l'ultima volta che l'aveva udita, le stava urlando contro con una tale rabbia da farla tremare, ma lei non la disdegnava. Si era aggrappata a qualsiasi sua sfumatura, a qualsiasi sua intonazione, e l'aveva ricordata su ogni centimetro della propria pelle.
«Buon compleanno» continuò lui con una certa cautela. Sembrava stesse valutando la situazione, le sue reazioni alle proprie parole: era sempre stato un attento osservatore e, per quanto Emma si sforzasse di nascondere tutto al meglio, la maggior parte delle volte riusciva nel suo intento.
«Grazie» rispose soltanto, con un fil di voce. Non era più abituata a sottostare al suo sguardo, né ad averlo così vicino seppur così lontano. Non credeva possibile che si fosse davvero ricordato del suo compleanno. Non riusciva a comprendere perché si fosse presentato alla sua festa e perché non avesse parlato direttamente con lei, anziché informare Zayn. Non riusciva a tollerare la confusione che la sua sola presenza aveva risvegliato in lei.
«Non mi guardare così» esclamò lui dopo qualche secondo, facendo un altro passo in avanti. Aveva assottigliato gli occhi, come a pregarla fingendo che fosse un ordine.
«Così come?» Ribatté Emma, fingendo di non sapere a cosa si stesse riferendo. Era evidente che nelle sue iridi si stesse riflettendo ogni più piccola emozione che la stava attraversando, ma non poteva fare nulla a riguardo, né le interessava farlo. Forse, se il profumo di Harry fosse stato un po' meno forte, avrebbe avuto più possibilità di concentrarsi. Forse ne avrebbe avute se il suo amore si fosse davvero smorzato almeno un po', anziché ingannarla così infidamente per tutto quel tempo.
«Lo sai» rispose Harry seriamente.
Emma inspirò a fondo. «Lo sai anche tu» gli fece presente. Era inutile parlare per sottintesi, fare domande delle quali si conoscevano già le risposte. In che altro modo avrebbe potuto guardarlo e che forza avrebbe dovuto usare?
Harry si inumidì le labbra e sospirò piano, senza reagire a quello scambio di battute. La tensione tra loro era tangibile, insistente, e nessuno dei due sapeva bene come gestirla: in fondo dopo il loro ultimo incontro non si erano più visti né parlati, come se non si fossero mai appartenuti. Lui non l'aveva cercata, forse troppo arrabbiato e ferito per poter cedere ad un compromesso o arreso alla sua determinazione, della quale probabilmente si era stancato. E lei aveva preferito non litigare ancora, non tentare un chiarimento, perché le avrebbe fatto ancora più male, dato che rimaneva della convinzione che i loro sentimenti sarebbero sempre stati sbilanciati.
«Sono passato a darti il mio regalo» esordì Harry, dopo un paio di minuti di interminabile silenzio, di sguardi attenti e di battiti cardiaci in più.
Emma spalancò gli occhi e corrugò la fronte. «Mi hai fatto un regalo?» Domandò incredula, credendo che la stesse prendendo in giro. Dato il suo animo dispettoso e caparbio, era possibile che avesse scelto una sottile modalità di vendetta nei suo confronti.
«È tanto strano?» Replicò lui, alzando un sopracciglio. Ed Emma avrebbe voluto non conoscerlo così bene, non saper scorgere la sincerità nella sua voce roca e nella sua espressione pacifica. Avrebbe voluto essere in grado di ritenerlo un falso, perché avrebbe accettato meglio quella possibilità.
«Sì» rispose semplicemente. Non era intenzionata a mentire e si chiedeva come lui potesse non comprendere l'assurdità di quella situazione: da qualsiasi punto di vista la si guardasse, c'era qualcosa che stonava terribilmente.
«Invece no» la contraddisse, quasi offeso dalla sua convinzione. Emma riusciva a cogliere i significati sottintesi delle sue parole, ma non voleva ammetterli: non voleva credere che Harry tenesse ancora a lei a tal punto da volersi riavvicinare, da volerle porgere un regalo che non le aveva fatto nemmeno durante la loro storia. Doveva proteggersi a tutti i costi, quindi si travestiva di scetticismo.
«Credevo mi odiassi, o qualcosa del genere» gli spiegò allora, esponendo la sua motivazione principale. Impresse sulla sua pelle ed incastrate tra i suoi organi nobili, regnavano ancora le parole ricche di rancore che le erano state rivolte durante le loro ultime discussioni, così furiose da suggerirle che nascondessero poco efficacemente il disprezzo che lui aveva sviluppato nei suoi confronti, a causa delle diversità che li separavano.
Harry aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo, forse imponendosi un certo auto-controllo. «Sai che non è vero» esclamò piano, stringendo i pugni.
No, non lo so, pensò Emma. E non stava mentendo: era convinta che quel ragazzo che ora la stava guardando con rimprovero avesse perso la stima nei suoi confronti, che l'avesse calpestata perché incapace di comprenderla. Credeva di averlo allontanato e stancato definitamente, provocando una ferita cronica in quello che era solo l'incipit di un sentimento.
Non rispose alle sue parole, perché quelle che le vorticavano nella mente erano troppo confuse per essere espresse chiaramente e perché le mani avevano iniziato a tremarle impercettibilmente per il timore.
Dopo qualche secondo Harry abbassò lo sguardo e si voltò, facendole chiedere se se ne stesse andando e facendole fare un passo avanti, spontaneo e dettato dall'istinto. Emma si tranquillizzò solo quando lo vide aprire lo sportello del passeggero dell'auto e raccogliere qualcosa dal sedile: lo osservò mentre si avvicinava di nuovo a lei, con un pacchetto tra le mani grandi.
«Tieni» sussurrò lui, porgendole ciò che le apparteneva e ripristinando il contatto con i suoi occhi. Le era a nemmeno un metro di distanza, a tentarla con ogni suo particolare.
Emma si sforzò di respirare normalmente e si concentrò su quel regalo, prendendolo tra le mani e facendo attenzione a non toccare quelle di Harry, nemmeno per errore. La carta che lo rivestiva era di un verde pallido, decorato con fantasie astratte: la aprì cercando di non rovinarla troppo e chiedendosi se fosse stato lui ad impacchettarla così bene.
Quando le fu chiaro cosa stesse stringendo, sentì la gola chiudersi ad impedire qualsiasi passaggio di aria ed il cuore arrendersi a qualcosa che non era in grado di gestire. Percepì gli occhi inumidirsi e si disprezzò per la debolezza che non riusciva a debellare.
Harry le aveva regalato una cornice in legno chiaro, di forma rettangolare e priva di qualsiasi sfarzo: ma al suo centro, al posto della solita fotografia illustrativa in vendita nei negozi, ne era posizionata una di Emma. Nuda e sdraiata a pancia in giù su un letto, era ritratta fino a metà busto, con le lenzuola ad accartocciarsi lungo i suoi fianchi magri: il viso dormiente sprofondava in un cuscino increspato, mentre i capelli disordinati le incorniciavano l'espressione innocente e gli zigomi lievemente arrossati. La sua pelle chiara contrastava con il buio della stanza, chiaramente illuminata solo da una debole luce, ed era macchiata da ben visibili lentiggini, indiscrete e libere da qualsiasi copertura Emma fosse solita imporre loro. La qualità dell'immagine era discutibile, cosa che le fece supporre che fosse il prodotto della fotocamera di un cellulare, e l'inquadratura sembrava non volersi concentrare sulla sua intera figura, ma su qualcosa che solo l'autore poteva indovinare.
«Te l'avevo detto, che mi sarebbe piaciuto fotografare le tue lentiggini» sussurrò Harry, riportandola alla realtà.
Emma alzò velocemente lo sguardo su di lui, stringendo la cornice tra le mani ed il cuore in una preghiera. Non poteva credere a quelle parole, a quel gesto: era doloroso immergersi di nuovo in un tempo così lontano, risalente a quando loro due non erano nemmeno qualcosa di definibile, incomprensibili l'uno agli occhi dell'altra e viceversa. Non era l'unica a ricordarsi di quel particolare, di quel messaggio ricevuto durante il pranzo a voler anticipare una riconciliazione.
«Quando...?» Riuscì solo a chiedere, tanto flebilmente da essere appena udibile. Voleva sapere quando Harry avesse scattato quella fotografia a sua insaputa. Quando fosse rimasto ad osservarla e avesse sentito il bisogno di immortalare la sua immagine in qualcosa che non aveva intenzione di rivelare. Quando si fosse tradito, viste le continue prese in giro che le rivolgeva quando insisteva per fotografarlo in più particolari.
Harry la osservò per qualche istante. «La prima volta» rispose piano.
Qualcosa dentro di lei si mosse così energicamente da spingerla a distogliere lo sguardo dal suo viso: come aveva fatto a non riconoscere immediatamente le lenzuola azzurre nelle quali si era arresa a qualcun altro? Ripensare alla prima volta nella quale si erano stretti così forte da rendersi deboli a vicenda era una vera e propria tortura, qualcosa che aveva evitato di fare sin da quando aveva capito che non ce ne sarebbe più stata l'occasione: ma pensare che Harry si fosse svegliato al suo fianco, quella stessa notte, e si fosse soffermato sui suoi dettagli facendo attenzione a non svegliarla, era ancora peggio.
Improvvisamente l'essersi presentato alla sua festa e l'averle portato un regalo - quel regalo - le erano di conforto: sembravano darle una risposta che aveva cercato ed immaginato per molto tempo. Più volte Emma si era domandata perché Harry si fosse limitato a criticarla senza indulgenza, al posto di farle comprendere cosa significasse per lui e che importanza avesse: troppo preso a scontrarsi con le sue convinzioni, si era come dimenticato di farla sentire accettata, preferendo urlarle contro tutto il suo disappunto, anziché insistere affinché potesse farsi capire. Ma in quel momento, non aveva più dubbi: non poteva averne, perché le era appena stata fornita un'ulteriore ed inaspettata prova dello spazio che occupava in Harry e che forse lui non era stato bravo a dimostrarle. Quello era stato il suo modo per scoprirsi un po' di più, anche se in ritardo.
Si sentì fremere per quella consapevolezza, fremere per i sentimenti che non aveva mai smesso di provare e che, ridotti ad un flebile e sottomesso bagliore, erano appena stati incendiati nuovamente da una scintilla non richiesta. «Harry…» provò a dire, ma inutilmente. Le sue parole, infatti, che non sapeva nemmeno dove l'avrebbero portata o cosa si sarebbero effettivamente lasciate sfuggire, furono interrotte casualmente nello stesso istante.
«Tra due giorni me ne vado» esclamò Harry, serio.
Emma respirò piano ed abbandonò le braccia lungo il proprio corpo. «Cosa?» Domandò a bassa voce, incapace di riflettere su ciò che aveva appena udito.
«Ho degli amici a Bristol che possono darmi un lavoro. Voglio cambiare aria, ora che la scuola è finita» spiegò Harry lentamente. Aveva ripreso a studiarla senza alcun filtro, attento a non tralasciare nemmeno un battito di ciglia.
Conscia dell'esame al quale era sottoposta, si impose con tutte le forze che stentavano ad animarla di non lasciar trasparire assolutamente nulla, nemmeno una briciola di quel dolore che l'aveva di nuovo incrinata. Non gli avrebbe più concesso niente, niente da usare contro di lei, niente da rubarle senza permesso. E sì, una parte di lei voleva sapere perché avesse deciso di andarsene, voleva sapere se allora tutto quel teatrino fosse stato solo un modo per salutarla, e voleva sapere perché mai avesse voluto farlo ed infierire, ma le sue labbra si serrarono inesorabilmente, rigide nella loro determinazione.
Non sapeva se Harry sperasse di essere fermato, se volesse ricevere attenzioni o se volesse semplicemente dimostrarle di essere andato avanti con la propria vita, pronto a ricominciare da capo, ma le bastava essere sicura che avesse preso quella decisione senza di lei. Di conseguenza, non sarebbe stato compito suo fargli cambiare idea.
«In bocca al lupo, allora» esclamò impassibile, mentre invece sentiva ogni cellula del proprio corpo ribellarsi a quelle insulse parole. Velò le proprie iridi di una stentata indifferenza e pregò affinché potesse risultare credibile, almeno quella volta.
Una strana espressione si dipinse sul volto di Harry, che fece un piccolo passo indietro. «Già…» rispose solo, in un respiro represso. Cosa avrebbe voluto dire, al posto di quella semplice sillaba? Quale rimprovero o preghiera avrebbe voluto rivolgerle? Stavano tralasciando così tante cose, tra di loro, da non sentirsi nemmeno più capaci di poterle recuperare.
Qualche istante dopo, Emma cedette inaspettatamente. «Quando torni?» Indagò soltanto, pentendosi subito dopo di averlo fatto.
Lui sembrò sollevato da quella indiscreta dimostrazione di interesse, ma non lo diede troppo a vedere. «Non lo so, dovrò sistemarmi e avrò poco tempo libero» le spiegò.
Quello significava che non sarebbe tornato per molto tempo, nonostante questa verità fosse mascherata da una frase di circostanza e parecchio vaga. Per Emma era doloroso sapere che non l'avrebbe più potuto incontrare: per tutto quel tempo era stata abbastanza fortunata da non rivederlo per strada o in altri luoghi, ma aveva comunque covato la speranza che potesse accadere da un momento all'altro. Averlo a chilometri e chilometri di distanza, invece, le toglieva anche quel granellino di possibilità che la alimentava.
«Tu come stai?» Continuò Harry poco dopo, interrompendo i secondi di silenzio che si stavano interponendo numerosi tra di loro.
Ad Emma venne da ridere per quella domanda, ma si limitò a sorridere appena, cordialmente, aggrappandosi ancora alla promessa di non concedergli più nulla. «Bene» fu la sua risposta, chiaramente futile e priva di spirito di conversazione.
Lui si accorse del tono usato e schiuse le labbra per intervenire, forse per insistere, quindi fu costretta a correre ai ripari, incapace di sopportare oltre parole non dette e di trovare un senso per provarci.
«Sarà meglio che rientri, Dallas è impaziente di farmi vedere la torta» si congedò Emma, dopo un minuto scarso nel quale aveva soppesato tutte le possibilità. Forse era meglio così: forse era meglio lasciarlo andare ed evitare altro dolore, svincolare entrambi da un legame che, per quanto desiderato, doveva affrontare troppi ostacoli per poter resistere. Nonostante negli attimi precedenti Emma avesse ceduto il controllo al suo istinto spericolato, che aveva tentato di guidarla verso un ulteriore tentativo di riappacificazione, poteva di nuovo vedere le cose chiaramente ed in modo oggettivo.
Avevano vissuto insieme per un periodo sufficiente a provare qualcosa che non avrebbero facilmente dimenticato, sufficiente a ferirli in modo abbastanza profondo da lasciar scritti nella loro interiorità insegnamenti che sarebbero stati ascoltati: Emma era stata costretta a levigare la sua irresponsabilità ed il suo estremismo, nonostante non avesse voluto farlo. Aveva imparato a tenere ad una persona a tal punto da non dare importanza a molto altro. Aveva imparato a sbagliare per le proprie convinzioni, a rischiare tutto pur di raggiungere uno scopo che ne valesse la pena.
A vicenda, si erano trasformati e adattati a qualcun altro, sforzandosi fino in fondo di far funzionare due cuori concordi solo sulla loro diversità.
«Certo, vai pure» replicò Harry, annuendo senza troppa convinzione: evidentemente non si aspettava un abbandono così precoce, così scarno. Eppure Emma non sapeva bene come comportarsi e cosa dire, perché le sembrava tutto troppo insulso: ormai aveva capito l'importanza di separarsi, di lasciarsi liberi per recuperare la propria identità senza andare a discapito di quella di qualcun altro. Avrebbero potuto parlare ancora ore intere, Harry avrebbe persino potuto rimandare o annullare la partenza per dar loro più tempo, ma le cose non sarebbero cambiate, i problemi non si sarebbero risolti perché troppo grandi per poter essere anche solo accettati, e non si sarebbero amati a dovere.
Emma lo guardò ancora per qualche istante, immobile davanti a lui, come a voler imprimere ancora una volta ogni suo dettaglio nella propria mente, conscia del fatto che non l'avrebbe più rivisto. Quando indugiare oltre le fu insopportabile, si voltò lentamente e si allontanò adagio, sperando che quello che sentiva fosse solo il rumore dei propri tacchi e non anche quello del suo cuore sempre più danneggiato.
«Aspetta» la fermò Harry, afferrandole il polso destro e costringendola a specchiarsi di nuovo nelle sue iridi. Lei non protestò, ma si irrigidì a quel contatto: non si era dimenticata di cosa volesse dire avere le sue mani addosso, sentirne ogni angolo morbido e tiepido, e credeva che fosse semplicemente crudele doverlo rivivere proprio in quel momento. «Aspetta…» sussurrò lui di nuovo, quasi non se ne rendesse conto. La sua espressione sembrava preoccupata, ma comunque in grado di controllarsi.
Emma schiuse le labbra per chiedergli cosa dovesse aspettare e perché, perché la stesse trattenendo in quel modo senza capire ciò che provocava quel semplice gesto, ma lui la anticipò: la attirò contro il suo corpo, stringendola tra le braccia fino a renderle difficile respirare. Lei restò inerme, sconvolta da quella sensazione di completezza e allo stesso tempo di impossibilità che la pervase, e chiuse gli occhi, circondandogli il busto per farsi ancora più vicina, per sentirlo ancora di più, un'ultima volta.
Harry nascose il viso nell'incavo del suo collo e ci respirò su lentamente, come era solito fare un tempo: le sfiorò la pelle con il naso e poi con la bocca, leggera ed umida, facendo rabbrividire la vittima dei suoi movimenti. La baciò sulle lentiggini delicatamente e senza fretta, come se avesse avuto paura di danneggiarla ulteriormente o di danneggiare se stesso: forse anche lui aveva percepito quanto entrambi desiderassero un altro tentativo, ma senza poterne effettivamente avere uno, e forse anche lui stava affrontando quell'ingiustizia crudele e priva di pietà, tentando di resistere al meglio.
«Ciao, ragazzina» sussurrò appena, posando un'ultima volta le labbra su di lei, mentre Emma si sforzava di restare in piedi. Quel nomignolo l'aveva assolta da qualsiasi tormento l'avesse minacciata fino a quel momento, come se l'avesse liberata da un peso che continuava ad incomberle sul capo: si era sentita riportata indietro, a quando Harry lo usava per schernirla e a quando era stato trasformato in qualcosa di così intimo e personale da essere indispensabile. In una parola era racchiusa tutta la loro storia, l'intera essenza di ciò che erano stati e che avrebbero potuto essere, insieme a ciò che erano in quell'istante, stretti l'uno all'altra in un perdono reciproco, che lasciava tracce di malinconia nei loro respiri e tra i loro profumi.
Emma impresse il viso contro il suo petto, cercando di appropriarsi di ogni suo movimento e riuscendo quasi a percepire il suo battito cardiaco, accelerato come il suo. Si allontanò lentamente, restia ad abbandonare un contatto che inizialmente aveva tentato di rifuggire, e sospirò piano, incontrando di nuovo le iridi profonde che tanto la destabilizzavano.
Come avrebbe fatto a voltarsi di nuovo per andarsene? Come avrebbe fatto a lasciare definitivamente qualcosa solo per non rovinarla ulteriormente?
Harry intrecciò le dita tra i suoi capelli sciolti sulle spalle, accarezzandoli come riassaporando un vecchio ricordo. La guardò come se avesse voluto dire qualcosa, chiuse gli occhi per nascondere una venatura di tormento e continuò a tenerli chiusi, quando Emma portò la mano libera dalla cornice sul suo collo. Lo sfiorò riconoscendo ogni suo millimetro ed ogni sfumatura della pelle che lo costituiva.
Lui increspò le labbra e trattenne il respiro, poi si sporse in avanti per appoggiare la fronte alla sua, in un contatto che non poteva essere più puro o sincero. Entrambi stanchi e feriti, stavano cercando di redimersi per abbandonarsi a vicenda, ma era così difficile e faceva così male da obbligarli a restare immobili ancora un po', ancora vicini.
Harry le lasciò un bacio sulla fronte e non la guardò più, privandola di un ulteriore contatto visivo che forse avrebbe solo reso tutto più arduo: si separò dal suo corpo e si voltò, allontanandosi velocemente senza indugi evidenti. Emma si sentì nuovamente sola e disorientata e lo osservò salire in macchina, per poi scomparire alla prima curva imboccata con il piede pesante sull'acceleratore e le mani strette sul volante.
 
Quella notte Emma dormì con Annabel stretta al petto.


 





 


EPILOGO????!!!!
Io davvero non riesco a credere che questa storia sia finita: sono ancora convinta di aver pubblicato il primo capitolo e di non avere nessuna idea riguardo gli avvenimenti ahahah Ma bando alle ciance, nelle quali mi perderò più avanti, e passiamo a questo benedetto epilogo!
Sicuramente molte di voi si aspettavano una riconciliazione, altre ancora saranno deluse da questo finale etc etc, ma ripeto ancora una volta che dipende tutto da come si interpretano le cose! Andiamo per punti, che è meglio:
- Annabel non so da dove mi sia uscita, ma spero vi sia piaciuta l'idea! Nella mia mente Fanny è una piccina adorabile!
- Pete/Dallas/Tianna: non potevano di certo mancare, anche se non rivestono alcun ruolo fondamentale in questo capitolo. Sono più che altro delle comparse in una scena quasi quotidiana, e spero li abbiate comunque apprezzati! A proposito: chi riconosce il locale in cui la portano è il TOPPPPPPP :)
- Zayn: gli ho riservato una piccola parte, in quanto amico ritrovato di Harry eheheheh (ovviamente, è ancora super-mega-innamorato di Melanie)
- HARRY: vi aspettavate che si sarebbe presentato, quando ho parlato della festa? La scena di loro due mi ha fatto penare abbastanza, perché ho dovuto presentare al meglio il loro "nuovo" rapporto, soprattutto dal momento che è così diverso rispetto a prima. Come ho scritto nel capitolo, dopo il loro ultimo incontro hanno definitivamente interrotto ogni tipo di contatto per un mese e mezzo: molte di voi hanno giustamente detto che avrebbero dovuto parlare da persone civili, al posto di urlarsi solo addosso, ed io sono d'accordo, ma noi non siamo Harry ed Emma e loro non ne sarebbero stati capaci. Non è nel loro modo di essere, sono troppo estremi e testardi per potersi confrontare in un altro modo. Quindi, quindi, quindi, che dire? Spero davvero di aver descritto bene l'imbarazzo e la tensione, accompagnati da parole e frasi di circostanza ma anche con un significato mal celato!
Harry le ha portato un regalo, e che regalo!! Ho cercato di far trasparire l'immagine che ho io in mente di Emma in quella foto, ma ovviamente la vostra immaginazione lavorerà anche al posto mio hahah Con questo gesto, con questo piccolo dettaglio rivelato, ho voluto compensare la durezza di Harry, perché credo sia stata largamente fraintesa (l'idea della foto mi è entrata in testa già da quando lui aveva detto di volerle fotografare le lentiggini: AH, bei tempi quelli!!). Spero che sia chiaro che Harry tiene molto ad Emma, nonostante le abbia urlato contro nelle loro ultime discussioni: il suo atteggiamento non vuole essere una prova di indifferenza, ma solo di una ferita che lo rende cieco e ancora più testardo. Voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto il regalo?
Riguardo la sua partenza, BE', non c'è molto da dire: per un attimo, Emma ha ceduto al suo istinto e ha pensato "figa oh, magari possiamo ricominciare", visto che era presa da tutte quelle emozioni derivanti dalla foto e dal suo significato, ma ben presto ha dovuto tornare a contatto con la realtà! Cosa credere in proposito? Harry voleva essere fermato oppure ha solo cercato di salutarla nel migliore dei modi?
Per il loro saluto, non ho molto da dire: ho evitato qualsiasi parola sdolcinata o da libro Harmony perché non sarebbe stata da loro, mi è venuto sponteneo descrivere tutto in quel modo, più attraverso particolari che con frasi fatte.
Per il resto, lascio a voi la parola! Mi piacerebbe davvero conoscere le vostre idee su questo epilogo, i vostri pareri sul finale! Ripeto ancora una volta che questo finale è programmato già da molti capitoli, forse da prima ancora che loro diventassero una coppia effettiva: è l'unico che avrei potuto scrivere e che può rispecchiare l'identità dei due protagonisti. Qualsiasi altra variante sarebbe stata insoddisfacente e inappropriata, per quanto a tutti piacciano gli happy endings: Harry ed Emma sono troppo diversi per continuare a stare insieme e, nonostante lo vogliano entrambi, sanno che non è possibile, che devono lasciarsi andare a vicenda.

Mi sto dilungando davvero troppo! Vi ringrazio ancora una volta per tutto quello che avete fatto per me e per questa storia! Siete state meravigliose e mi siete state di grande supporto :) Non ho davvero parole per esprimere la mia gratitudine! Spero mi farete sapere un ultimo parere su questa storia! Magari anche chi non ha mai commentato, può farsi sentire almeno in ultima battuta, perché mi farebbe davvero piacere :)

AH, dimenticavo: ci rivediamo a settembre con il SEQUEL :)))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))
Lo so, avevo detto che non l'avrei scritto e bla bla bla, ma stavo mentendo spudoratamente perché è in programma già da molto ahaha

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
 
    
  
  
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