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Autore: cliffordsarms    02/08/2014    3 recensioni
[Forever Ends Here ]
Una scogliera, una foto allo specchio, un pianoforte.
"Giusto pochi secondi che sentì dei clacson, delle macchine che sgommavano e il rumore di qualche vetro rotto. Si affacciò alla finestra che dava sulla via e vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere.
«È tutta colpa mia, potrai mai perdonarmi? No, certo che no, è solo per causa mia che sei in questo stato. Non mi sono nemmeno degnato di dirti ti amo un’ultima volta, ma come potevo sapere che sarebbe stata l’ultima? Mi dispiace così tanto Zoe. Spero potrai perdonarmi, spero davvero che tu ora sia in un posto migliore, anche se sarà senza di me. Ricordo che dicevi sempre che ogni posto senza di me faceva schifo, spero che ora non sia così.»
[Luke McChesney]
Genere: Angst, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'Various Faces of Luke McChesney'
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You’d Be The Anchor That Keeps My Feet On The Ground
 
Take life, hold it tight,
Kiss it till it’s lovestruck,
Pack a ship full of old framed dreams.
 
Il vento iniziò a soffiare un po’ più forte, così dei brividi le percorsero tutto il corpo, provocandole la pelle d’oca. Si strinse di più tra quelle braccia che la avvolgevano e maledisse Luke per non essersi portato una coperta in più. I raggi del sole l’avevano svegliata ormai, non avrebbe di certo ripreso sonno. Cercò di uscire da quella stretta, ma si accorse che le loro gambe erano ancora intrecciate, avevano dormito così tutta notte. Sorrise a quel pensiero e cercò di divincolarsi senza svegliare quell’angelo che le dormiva accanto. Quando riuscì finalmente ad alzarsi, si stiracchiò e sentì il ragazzo, ancora steso su quell’asciugamano, mugugnare. Le scappò una risatina e, mentre lo osservava dormire, sedutagli a gambe incrociate a fianco, ripensò alla serata precedente.
L’aveva portata lì per scappare da una festa troppo rumorosa, troppo affollata per essere romantica. Le aveva preso la mano e le aveva detto nell’orecchio che l’avrebbe portata in un posto. Erano saliti in macchina e si erano diretti verso la costa. Scesi dall’auto, erano saliti su una scogliera e si erano messi seduti sotto una roccia, che aveva creato come una piccola caverna, a guardare il mare. Lui le aveva messo il suo giubbino sulle spalle e poi le aveva avvolte con il braccio, facendole appoggiare la testa sulla sua spalla. Poi si erano addormentati lì, stesi su quell’asciugamano.
Era l’alba, il sole aveva appena fatto capolino da dietro la roccia sotto la quale si erano rifugiati per proteggersi un po’ dal vento, che la sera precedente soffiava davvero troppo forte. La luce proiettava l’ombra di quella piccola caverna e creava un simpatico disegno sul mare, che s’increspava secondo i movimenti dell’acqua.
Luke mugugnò ancora e aprì un solo occhio, infastidito da quella poca luce che filtrava. Si coprì il viso con la mano, gesto che fece scappare a Zoe una risata troppo rumorosa.
«Buongiorno angelo.» gli disse sorridendo. Lui si mise a sedere e si stiracchiò un po’ le braccia, sbadigliando. Poi si voltò e si avvicinò per baciarla.
«Potrei dire lo stesso.» le disse. Lei si lasciò uscire un gemito di disgusto e lo spinse via.
«No, prima ti lavi i denti, poi mi puoi baciare.» disse. Lui fece una faccia da cane bastonato e lei rise ancora. La rendeva così felice, non si sentiva mai fuori posto quand’era con Luke.
Lui uscì lateralmente da quella piccola grotta e si guardò un po’ intorno, incantandosi quando la sua vista mise a fuoco il mare. Gli era sempre piaciuto guardare quella distesa d’acqua da quel punto e si era ripromesso che ci avrebbe portato solo la ragazza che avrebbe sentito di amare. E beh… Zoe era quella ragazza, sentiva di amarla davvero tanto, nessuna avrebbe mai potuto rimpiazzarla, era la cosa migliore che gli fosse mai capitata.
Lei lo richiamò, così si voltò e le sorrise quando vide che aveva già sistemato tutte le cose e lo stava invitando ad andare a casa. «È proprio la migliore.» pensò.
 
Entrati in casa, Luke corse immediatamente in bagno a lavarsi i denti, non avrebbe aspettato un secondo di più per baciarla. Così poi, l’invitò in bagno con lui, per fare una foto allo specchio insieme. «Lui e le sue fisse.» pensò Zoe, scuotendo la testa e raggiungendolo in bagno. Si piazzò davanti allo specchio e lui l’abbraccio da dietro, appoggiando il viso sulla sua spalla. Durante lo scatto lui sorrise, mentre lei girò leggermente il volto per dargli un bacio sulla guancia. Guardarono la foto sullo schermo del cellulare di Luke, era uscita perfettamente.
«E bravo il mio fotografo.» gli disse, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo ancora. Lui le prese la mano e la trascinò nel salone, dove teneva il suo pianoforte. L’invitò a sedersi al suo fianco.
«T’insegno.» le sussurrò all’orecchio, provocandole dei brividi assurdi lungo tutta la schiena. Così Zoe mise le mani sulla tastiera e Luke appoggiò le sue sopra di esse. Iniziò a guidarla, creando la melodia di “River Flows In You” di Yiruma. Lei sbagliava spesso, anche se lui cercava di creare la melodia corretta. Ogni volta ridevano come matti e lui la baciava finche non smetteva di chiedere scusa.
Ogni volta che Luke si avvicinava per baciarla, Zoe si sentiva leggera, si sentiva sulle nuvole, era in paradiso.
Lui le procurava le farfalle nello stomaco ogni volta, i brividi e la pelle d’oca ogni secondo.
Per lei il suo sorriso era la cosa migliore del mondo, la luce che illumina di più la stanza anche quando c’è il sole, la cosa più preziosa, tanto che spesso s’incantava a guardare quel sorriso, che quando erano insieme era sempre presente sul suo volto.
I suoi occhi poi, azzurri, stupendi anche quando erano mezzi addormentati, come quella stessa mattina, quegli occhi che s’illuminavano quando la vedevano arrivare, quegli occhi che la guardavano in un modo molto particolare, in una maniera che la faceva sentire l’unica al mondo.
Amava i suoi capelli, forse un po’ lunghi, ma che le piacevano tanto, in cui amava affondare le dita, che amava scompigliare per poi sentirlo lamentarsi.
La sua voce che amava sentire, in qualsiasi modo, quando lui cantava, quando gridava, quando si arrabbiava, quand’era preoccupato; amava la sua voce, in tutti i modi, in tutte le salse, in tutte le sfumature, in tutte le tonalità; quando poi le sussurrava qualcosa all’orecchio, la faceva rabbrividire e le creava quella pelle d’oca, a cui ormai si era abituata ma che continuava ad amare sentire.
Le sue braccia, quando la stringevano, la facevano sentire protetta, al sicuro, la facevano sentire sua.
Le sue mani, che amava stringere e che amava quando stringevano le sue o si appoggiavano su di esse, come in quel momento, quelle mani che amava sentire appoggiate sui suoi fianchi e stringerla, quelle mani con cui amava giocare e dargli fastidio, sentendolo lamentarsi che avrebbe potuto rompergliele e poi non le avrebbe più potuto suonare serenate alla chitarra o al pianoforte.
Amava il suo stile nel vestire, alla moda ma allo stesso tempo punk rock, come diceva sempre lui.
Amava ogni cosa di Luke, amava lui.
E Luke amava Zoe. Amava come lo faceva sentire, come se non esistesse nessuno al di fuori di loro due, come se fosse l’unica cosa che contasse, come se nulla potesse dividerli.
Amava come sorrideva quando era con lui, quel sorriso così ingenuo, così solare e fresco, così genuino, così giovane; ma era un sorriso particolare, che riservava solo a lui, un sorriso che gli apparteneva.
Amava perdersi nei suoi occhi, castani con delle sfumature di verde, ma che alla luce del sole si trasformavano in verdi e, vivendo a Sydney, dove il sole è quasi sempre presente, lui poteva bearsi e contare e scoprire ogni volta una nuova sfumatura di quel colore: speranza, smeraldo, pastello, militare, muschio, a volte pensava di poter creare una lista di tutte le sfumature presenti nei suoi occhi.
Amava i suoi capelli, che lei spesso raccoglieva in una coda alta, così da lasciare il viso e collo scoperti, quel collo che tanto amava baciare e su cui spesso lasciava qualche segno di troppo. I suoi capelli erano lisci, castano scuro, ma sfumati naturalmente sulle punte di una tonalità più chiara, quei capelli che, quelle rare volte che le incorniciavano il viso, amava spostare per poter vedere i suoi occhi e in cui amava intrecciare le dita quando le prendeva il viso tra le mani per baciarla.
La sua bocca poi, era come una droga, quelle labbra rosee, delle giuste dimensioni, né troppo grandi né troppo sottili, perfettamente definite; quelle labbra da cui non riusciva a stare separato per troppo tempo, amava baciarle, mordicchiarle, amava gustarle, riconoscendo ogni volta quel sapore di cioccolata e caffè.
Amava le sue mani che s’infilavano tra i suoi capelli, quelle mani che gli accarezzavano la schiena, il collo, che gli facevano i grattini sulle braccia, dove amava tanto riceverli e che gli procuravano una scia di brividi per tutta la schiena, che gli creavano la pelle d’oca sui bicipiti, dove lei si divertiva a passare delicatamente le dita.
E amava sentirla ridere quando si accorgeva dell’effetto che quei gesti gli facevano, amava la sua risata, era un’esplosione di colori, un fuoco d’artificio, un arcobaleno in primavera, una nevicata il giorno di Natale, un uovo di Pasqua con dentro la sorpresa che tanto desiderava e quella risata era sua, perché come il sorriso che gli rivolgeva, quella risata era riservata solo a lui.
Luke amava qualunque cosa di Zoe, la amava davvero tanto.
Erano l’uno il sogno dell’altra, il desiderio finalmente realizzato, la stella cadente precipitata in braccio. Come Zoe diceva sempre a Luke, erano “l’una l’angelo dell’altro”, e lui concordava pienamente.
 
«Luke, devo andare. Mamma mi cerca.» gli sussurrò sulle labbra, ma lui non si mosse di un centimetro. Erano sul letto di lui, stesi, lui sopra di lei a baciarla. Lui scosse la testa e si avvicinò al suo orecchio, mordicchiandone un po’ il lobo.
«Mamma aspetterà.» le sussurrò e sorrise soddisfatto quando la sentì rabbrividire e vide la pelle d’oca formarsi sul suo collo. Decise così di baciare proprio quei punti dove si era creata, o meglio, dove lui aveva fatto in modo si creasse, e di lasciare un piccolo segno del suo passaggio. Ma quando si staccò, ricevette un’occhiata seria da quegli stessi occhi in cui si perse per qualche secondo.
Finalmente si alzò e l’accompagnò alla porta. Si salutarono con un lungo bacio, alla cui fine entrambi sorrisero. Poi lei si voltò e lui le chiuse dietro la porta.
Giusto pochi secondi che sentì dei clacson, delle macchine che sgommavano e il rumore di qualche vetro rotto. Si affacciò alla finestra che dava sulla via e vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. Era lì stesa, da sotto quel cofano faceva capolino solo la sua testa. La vista si fece appannata e delle lacrime scesero sulle sue guance. Trovò, in qualche modo, la forza di chiamare l’ambulanza e si precipitò in strada.
Poggiò la sua testa sulle sue gambe e la chiamò, sperando in una risposta. Si accorse che i suoi pantaloni si stavano macchiando di sangue, proveniente proprio dalla sua testa. Lei aveva gli occhi chiusi, la bocca leggermente aperta, dal cui angolo scorreva un rivolo di sangue. Non poteva essere, non voleva che andasse a finire in quel modo.
Per tutto il viaggio in ambulanza le strinse la mano e le parlò, come se lei potesse sentirlo. Sapeva che ormai non c’era niente da fare, l’aveva lasciato, lo capì soprattutto perché si sentì addosso lo sguardo colmo di pena che l’infermiera gli rivolgeva.
Ma lui continuava a parlarle imperterrito, continuava a dirle che era solo colpa sua, avrebbe dovuto lasciarla andare, avrebbe dovuto farla andare immediatamente, avrebbe dovuto darle ascolto, forse non avrebbe incontrato quel pirata che non si era fermato col rosso, forse ora sarebbe a casa sua sana e salva, a scrivergli quel messaggio che ogni volta che si vedevano gli inviava, quel messaggio in cui scriveva sempre “Grazie per il pomeriggio amore mio, sei la cosa migliore che potesse capitarmi, ci sentiamo domani, ti amo. Grazie ancora di tutto quanto, per tutto quello che fai per me, per il modo in cui mi fai sentire.
A domani,
Zoe xx.” o qualcosa di simile, che ogni volta lo faceva sorridere. Invece non avrebbe mai più ricevuto quel messaggio, non avrebbe mai più ricevuto nessun messaggio da parte sua. Non avrebbe nemmeno mai più sentito il suono della sua voce, non avrebbe nemmeno mai più sentito quel sapore di cioccolata e caffè che tanto amava, perché non avrebbe mai più potuto baciare le sue labbra.
Lei se n’era andata, lei l’aveva lasciato, lei era morta.
«Ragazzo, non è colpa tua, sarebbe potuto succedere comunque.» cercò di rassicurarlo l’infermiera. Ma lui continuava a piangere e, anche se non lo diceva ad alta voce, continuava a pensare che fosse solo colpa sua.
«Eri la mia ancora Zoe, eri la mia salvezza, eri il mio tutto. Come farò ora senza di te? Non m’innamorerò mai di nessun’altra ragazza, non amerò mai nessuna come ho amato te. Perché nessuna sarà mai come te e non potrei amare qualcuna diversa da te. Dimmi che non è vero, Zoe, ti prego, dimmi che sei solo svenuta, per favore, dammi qualche segno se sei ancora viva. È tutta colpa mia, potrai mai perdonarmi? No, certo che no, è solo per causa mia che sei in questo stato. Non mi sono nemmeno degnato di dirti ti amo un’ultima volta, ma come potevo sapere che sarebbe stata l’ultima? Mi dispiace così tanto Zoe. Spero potrai perdonarmi, spero davvero che tu ora sia in un posto migliore, anche se sarà senza di me. Ricordo che dicevi sempre che ogni posto senza di me faceva schifo, spero che ora non sia così. So che sarai sempre con me amore mio, non mi lascerai mai, me l’avevi promesso e tu le promesse le mantieni sempre. Mancherai anche a Jackson, sono sicuro, anche lui ti voleva molto bene. Ammetto che sono stato un po’ geloso a volte, ti amavo così tanto che mi sono ridotto a essere geloso del mio migliore amico, capisci? Ma ora è troppo tardi, quando arriveremo in ospedale gli chiederò di raggiungermi lì, credo che avrò bisogno solo di lui in quel momento. Mi dispiace davvero molto Zoe, ti ho amata sul serio e resterai l’unica che mai amerò. Ti amerò anche ora che sarai lontana, lo giuro, perché promettertelo sarebbe troppo poco. Addio amore mio.»
 
Notes
Heeey theree!
Sono già qui, di nuovo, a intasare questa sezione che ancora non è stata creata, lol.
Duuunque, questa storia… è un casino, ho fatto un disastro, lo so.
All’inizio tutti felici e poi tutti tristi come mai. Scusate, non avrei mai voluto far soffrire così tanto Luke per la perdita della sua ipotetica fidanzata (che poi sarei io :D). Ammetto che quando mi è venuta l’idea, la storia si sarebbe dovuta fermare alla scena del pianoforte, ma poi mi sono lasciata prendere dallo scrivere e dall’ispirazione e da tutto quanto, e ho deciso di mettere questo finale tristissimo.
In questa storia mi sono anche immaginata un Luke diverso da quello che era nell’altra, spero che rimarrà comunque perfetto u.u. Immagino che forse questo sia il Luke autentico, cioè credo che lui, nella realtà, sia più così che come me l’ero immaginato nell’altra storia, ma non si può mai sapere. ;)
Mi faccio pubblicità, as usual. Ho una long in corso sui 5 Seconds of Summer, appena aggiornata oltretutto, se vi va di passare si chiama “She Hasn’t Been Caught”, vi aspetta.
Alla prossima,
@cliffordsarms
  
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