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Autore: Mrs Carstairs    02/08/2014    1 recensioni
“ehi. Non sto ridendo di te. Non rido della tua paura, capito? Rido… di tenerezza. È che, vedi, tu rischi di cadere da un edificio di 20 metri tutti i giorni, correndo sui tetti con me, e lì la paura di morire dovrebbe essere viva dentro di te. Una paura tremenda di sbagliare un solo salto e… invece la cosa buffa è che tu… su un tetto, tu non hai paura di niente. Non c’è distanza che tu tema di saltare, non un comignolo che ti veda soltanto camminare sul bordo di un parapetto. Tu corri, non pensi, salti.”
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se ne stava lì, seduta sul tetto di casa sua, a fissare le luci della città di notte. l’aria fredda le sferzava il viso dolcemente, lasciandole l’odore della brezza notturna nei capelli. Come sarebbe stato questa volta? Avrebbe trovato il suo posto? Sarebbe riuscita a fidarsi di qualcuno tanto da farlo entrare nella sua vita? Si sentiva come se una morsa le si stesse chiudendo addosso, stringendo sempre di più. Si chiedeva se avrebbe potuto lasciarsi una volta per tutte il passato alle spalle, senza nessuno a ricordarle cosa aveva o cosa non aveva fatto. L’anno era iniziato bene, con la band e il resto… ma non aveva ancora messo piede a scuola. E non avrebbe voluto nemmeno farlo. Troppe cose da ricordare, troppi fantasmi da mandar via. Ma doveva farlo. Lo doveva a lei stessa e a suo padre, che voleva solo il meglio per lei. Suo padre. Già… almeno lei, l’orgoglio della sua vita, doveva renderlo davvero fiero di lei. Dopo quello che aveva combinato sua madre, spezzandogli il cuore, il minimo che poteva ricevere era qualche soddisfazione dalla figlia. Nonostante le dicesse sempre che era lei a tenere insieme i pezzi, da quando Hazel li aveva piantati in asso, Persephone non riusciva a non alzarsi tutte le mattine con la rabbia a ribollirle nel sangue, con il pensiero fisso di non poter far qualcosa per il padre che davvero potesse mirare anche solo a togliergli per qualche secondo, il dolore di dosso.
D’improvviso, due mani le coprirono gli occhi da dietro. Di scatto afferrò quei polsi con decisione, prima di rilassarsi, riconoscendo la persona a cui mani e polsi appartenevano.
“Michele… mi hai spaventato..” il ragazzo sedette accanto a lei, sorridendo.
“non mentire…- con un movimento distratto delle mani, si fece scivolare il cappuccio sulle  spalle, scoprendo i capelli biondo dorato a ricadergli sulla fronte- so che non è vero…” i suoi occhi chiari accesi di fermezza e divertimento.
“avevi i muscoli tesi. Se fossi stato qualcun altro saresti stata pronta anche a buttarmi giù dal tetto…”
“nah…- azzardò svogliatamente- buttarti dal tetto no… troppo cattivo… ti avrei solo riempito di botte”
“allora avevo ragione…” lavandosi la giacca, Michele si era sdraiato sulle scure tegole del tetto, sistemandosi un braccio sotto la testa, per poter rimanere con lo sguardo sulle luci e gli alti comignoli di Londra.
“forse…” Persie aveva smesso di guardarlo, puntando al muro dell’edificio di fronte. I pugni stretti, le spalle rigide e contratte, la fronte aggrottata e gli occhi socchiusi. Michele captò il messaggio, sollevandosi sui gomiti.
“Persie?”  la ragazza tirò indietro la testa, per afferrare i lunghi capelli e acconciarseli in uno chignon fermato da una matita. Sistemarsi i capelli era un gesto che faceva sempre quando era nervosa e Michele non aveva mancato di notarlo.
“Persie…”
“io…-Persie faticava a parlare ora, sembrava che qualcosa le ostruisse il passaggio dell’aria ai polmoni- io credo solo di aver paura”
“già. La paura.” Michele sbuffò quelle parole quasi ridendo. La ragazza rimase interdetta da quella risata. Perché rideva? Cosa ci trovava ti tanto divertente? Sapeva bene che era consapevole della fatica che gli era costata ammetterlo, eppure sorrideva scoprendo i denti bianchi e scuotendo la testa.
“che hai da ridere!?” il tono di voce di Persie colpì Michele come un pugno nello stomaco. Era amareggiato, quasi stanco. Offeso, in un certo senso e carico di tensione, deluso e deciso insieme. Volse la testa per guardarla, ora non rideva più. Persie continuò a guardare oltre ai camini e ai pinnacoli della città, guardando il cielo trapuntato di stelle e la luna, coperta da una cortina di nuvole leggera. Il ragazzo allora le si avvicinò, mettendole con disinvoltura due dita sotto il mento, volgendole la testa verso di sé.
“ehi. Non sto ridendo di te. Non rido della tua paura, capito? Rido… di tenerezza. È che, vedi, tu rischi di cadere da un edificio di 20 metri tutti i giorni, correndo sui tetti con me, e lì la paura di morire dovrebbe essere viva dentro di te. Una paura tremenda di sbagliare un solo salto e… invece la cosa buffa è che tu… su un tetto, tu non hai paura di niente. Non c’è distanza che tu tema di saltare, non un comignolo che ti veda soltanto camminare sul bordo di un parapetto. Tu corri, non pensi, salti.”
“e con questo?” Persie abbassò di nuovo lo sguardo, allontanando, con una mano fredda, quella calda di Michele da sotto il suo mento.
“e con questo volevo solo fare un paragone. Tu sai bene quanto me che la paura non è reale. Lo viviamo tutti i giorni. È solo un prodotto dei pensieri che noi stessi creiamo. Ovvio, non fraintendermi. Il pericolo è reale, ma la paura è una scelta. Puoi decidere di dominarla, di sconfiggerla, così da non averne più, come fai nel saltare da un tetto, oppure lasciare che ti vinca e ti immobilizzi, come stai facendo ora.”
“non è sempre così facile…” Persie si strinse le ginocchia al petto.
“lo so. Guarda che mi ricordo la prima volta che hai saltato. Eri terrorizzata. Potevi nasconderlo con le parole e il tuo atteggiamento disinvolto, ma il tremito del tuo corpo e gli occhi lucidi ti tradivano su quel parapetto. Ed ora, con quanta facilità salti dal tetto del signor Holmes per arrivare in Baker Street?”
E Persie lo ricordò, ricordò quella sensazione di vuoto allo stomaco che l’aveva aggredita quel pomeriggio sul tetto del famoso investigatore. Ricordò la paura matta di cadere. Poi lo slancio, la rincorsa, il vuoto per pochi secondi e poi… le braccia di Michele che la afferravano sicure e fiere del suo atto di coraggio.
Si voltò a guardarlo negli occhi. Ci vedeva ancora la tenerezza e la forza del ragazzo che aveva incontrato nella periferia di Londra, vedendolo atterrare ad un metro di distanza dopo un volo di qualche metro. Gli occhi pazienti che le avevano insegnato l’arte del parkour, e ci rivedeva anche il terrore di averla persa, come quando si guardava indietro, dopo un salto per passare da un tetto all’altro.
“beh… è ora che me ne vada… i ragazzi mi aspettano, il tetto del Posto  è ancora abbastanza solido per noi… ci vediamo” e così dicendo la salutò sciogliendole i capelli e intascandosi la matita che li fermava, per poi sparire dietro ad una fila di caminetti nella sua giacca di pelle lucida.
Michele. L’unica persona vera che aveva conosciuto in vita sua, ovviamente dopo suo padre. L’unico che non l’aveva mai tradita, nemmeno quando mentiva. Capiva tutto di lei, anche da un solo movimento.
Lo guardò andare via con una strana sensazione in corpo. Come se sparendo dietro a quel pinnacolo l’avesse privata di una parte di sé stessa, come se si fosse portato via un pezzo del suo cuore in tasca. Era una sofferenza vedere l’oro dei suoi capelli scintillanti alla luna sparire nel buio, ma non aprì bocca per urlargli di tornare indietro, per chiedergli di abbracciarla e rassicurarla…
   
 
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