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Autore: Kokky    09/09/2008    5 recensioni
I notturni sono generalmente percepiti come tranquilli, spesso espressivi e lirici, alcune volte piuttosto pessimisti, ma in pratica pezzi che rientrano sotto la definizione di notturni comunicano svariate sensazioni e stati d'animo (Wikipedia).
27 = La nebbia stava salendo: divenne tutto uguale, il mondo, di un grigio candido che univa la terra e il cielo. Se non fosse stato per gli alberi vicini al treno, avrei visto soltanto una vasta lastra di vetro chiaro, opaco; un nulla.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Notturni

 

Le storie di questa raccolta sono racconti scritti di notte, quando avevo poco sonno o poca voglia di dormire. Tutti quanti originali, scritti con sonnolenza. Perciò non aspettatevi troppo xD

Buona lettura, Kokò

 

 

 

 

 

 

Arancino

 

A mio nonno

 

La maledizione ti uccide, ti corrode e ti lascia senza fiato – a crepare.

I denti si sono ingialliti col tempo, le rughe si sono diffuse sulla pelle, a rigare rovinare solcare il volto, le mani, il collo...

La maledizione ti tiene fermo, a guardar sciupare lì davanti tua figlia. Sempre triste, cerca solo di sorridere davanti a te. Non è più tua figlia, ma solo una martire che ti fa visita i giorni dispari.

Con la parvenza dell’allegria e il profumo del pianto.

 

Non è brutto vivere lì, pensi.

Hai un po’ tutto: un letto, dei vestiti, il cibo, i compagni di viaggio, dei giochi e delle persone che ti accudiscono.

Ma... ma dov’è tua moglie?

A volte racconti di lei, del suo viso, di quando andavi in banca, del pranzo insieme.

La maledizione però ti fa dimenticare tutto.

Hai una figlia?

Non ricordi più.

Annusi la tua posata d’acciaio, il tuo labbro stanco tremula mentre gli occhi ti si offuscano. Potresti morire proprio in quell’istante, sarebbe perfetto.

Ma ti giunge inaspettata la visita di tua figlia, passata a salutarti come tutti i giorni dispari. Non ricordi chi è. Però ti sembra familiare, così le chiedi una cosa – una sola.

« Un arancino. »

Vorresti un arancino.

Tua figlia sorride e sembra farlo per davvero, questa volta.

« Un arancino, papà? » ti chiede.

Tu annuisci. Non importa se ti ha chiamato “papà” e tu non ricordi chi è; ciò non conta.

 

Te li preparava tua madre, gli arancini.

Con il riso morbido schiacciato e un cuore caldo di ragù con i piselli, il formaggio fuso e pezzetti di carne.

Te lo gusti, l’arancino.

La donna, che poi è anche tua figlia, ha chiesto il permesso e sei uscito. Al bar, dove c’è luce, vita, chiacchiere e arancini, arancini caldi. Come quelli della mamma.

« Ti piace, papà? » ti chiede.

Tu annuisci e mordi, mangi, mastichi quel riso morbido e compatto; potresti morire proprio in quell’istante, sarebbe perfetto.

Il muco ti cola con le lacrime sul viso, sembrano catartici, e tua figlia ti pulisce per bene la pelle sporca.

« Ne vuoi un altro, papà? » ti domanda.

No, sei pieno.

Tornate a casa, alla grande casa. In macchina tua figlia ti racconta del suo cane.

Ascolti e intanto piangi senza motivo.

Nella tua camera la saluti.

Poco dopo passa Gennaro, che cammina piano e senza meta.

Ti corichi sul letto, in bocca senti ancora quel ragù misto alla carne e al riso e agli altri ingredienti: una pappa morbida appiccicosa tra i tuoi denti.

Con gli occhi annebbiati guardi il soffitto, sempre uguale.

Piangi ancora.

Le lacrime seguono i solchi delle rughe, innaffiano la tua pelle arida e assetata, sembrano pioggia. Potresti morire proprio in quell’istante, sarebbe perfetto.

 

 

La maledizione lo ha portato via a maggio.

I fiori gli circondano il corpo, freschi, ebbri di colori e di morte. La figlia si tiene un fazzoletto sulle guance, ad asciugare lacrime.

È morto felice, sorride pure. Poco prima aveva mangiato un arancino.

Nell’aria c’è solo la parvenza del pianto e il profumo della morte.

 

 

Fine

   
 
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