Anime & Manga > I cinque samurai
Ricorda la storia  |      
Autore: Korin no Ronin    04/08/2014    3 recensioni
Shutendoji, fattosi carico del ruolo di Kaosu, si trova ad agire in un mondo che gli è completamente sconosciuto; nello Youjakai i suoi vecchi compagni, invece, si trovano a fare i conti con la consapevolezza che accapigliarsi con lui era certamente meglio che sopportare la sfacciataggine di Kayura; Rajura non fa che rimuginare su questo, e inverire a denti stretti contro il malumore che non accenna a lasciarlo in pace.
Dal punto di vista temporale ci si colloca tra la ricomparsa di Shuten e l'attacco che verrà portato al castello.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo: Lontano dagli occhi non basta
Serie: Yoroiden Samurai Troopers
Capitoli: One shot
Rating: R
Disclaimers: i personaggi non sono di mia proprietà, non guadagno nulla (tranne un salutare momento di svago), eccetera… eccetera…
 
*******
Shutendoji aveva abbandonato il suo ruolo di generale di Arago senza rimpianti.
Aveva riflettuto parecchio su quanto gli aveva detto Kaosu e, alla fine, aveva deciso che avrebbe rinnegato il suo padrone. Nel momento stesso in cui aveva fatto la sua scelta, il monaco era comparso davanti a lui ben determinato a dare un’altra svolta decisiva al suo futuro; sempre che lui avesse voluto accettarlo, naturalmente.
Il generale avrebbe desiderato avere più tempo per parlare con lui, ma il monaco era stato perentorio nell’ordinargli di stare alla larga dalla battaglia. Allora aveva protestato e, alla fine, aveva obbedito.
Insomma non aveva fatto nulla di diverso dal solito, la differenza stava nell’averlo fatto in piena libertà.
Era anche consapevole che i suoi vecchi compagni non avrebbero avuto la sua stessa fortuna e che avrebbero aperto gli occhi troppo tardi; ormai non sapeva se compatirli o ritenere che fossero fortunati. Aveva cominciato a vederli sotto una luce diversa, ora che le passioni che lo avevano divorato per secoli si erano ritirate su se stesse. Aveva anche compreso quasi da subito perché loro quattro continuassero a cercarsi nonostante l’acredine che provavano l’uno per l’altro.
Era strano pensare a se stesso come ad un umano.
Shutendoji stava ancora elaborando quella realizzazione: nonostante ormai avesse riconquistato i ricordi della sua esistenza, gli era molto difficile abbandonare le vesti di demone, soprattutto perché, nell’epoca violenta in cui aveva vissuto, si era comportato esattamente come se lo fosse.
Aveva anche compreso perché Arago avesse imposto a lui la virtù della Fedeltà, nonostante conservasse quell’animo ribelle che lo portava ad accapigliarsi in continuazione con gli altri generali. Era il più potente dei quattro, la pedina che non era assolutamente possibile perdere.
Era chiaro perché il suo padrone lo avesse legato a sé a quel modo e quanto potesse essere devastante la sua furia verso Kaosu.
Sembrava tutto così lontano, in certi momenti aveva l’impressione che fossero passati secoli da che si era ritrovato a calcare il suolo del mondo umano.
E ora doveva fare i conti con la missione che gli era stata affidata e condurre cinque ragazzini nel mondo in cui aveva vissuto.
Aveva ancora l’impressione che fossero poco più che gattini arruffati, ma doveva riconoscere che i loro artigli si erano fatti più affilati e la loro volontà più solida.
Non per questo avrebbe detto loro più dello stretto indispensabile.
Un rumore lieve lo distrasse dai suoi pensieri.
Byakuen era uscito dal bosco da cui, probabilmente, non lo perdeva mai di vista. Con un brontolio lieve si accucciò al suo fianco. Shutendoji tese una mano e la poggiò sulla testa maestosa.
La tigre aveva accettato senza tanti problemi la sua presenza, si era degnata solo di annusarlo un paio di volte, prima di decidere di fidarsi di lui.
Certo non poteva dire lo stesso degli altri, anche se, in verità, era andata meglio di quanto si era aspettato. Sospirò appena.
L’impresa a cui si apprestava non lo avrebbe atteso ancora a lungo, lo avvertiva chiaramente nella vibrazione silenziosa della sua yoroi.
La yoroi non aveva dato alcun segno di ribellione di fronte alle sue decisioni, gli era rimasta fedele, poiché lui non aveva tradito la virtù che rappresentava e nemmeno la presenza costante dello shakujo di Kaosu aveva cambiato le cose.
La tigre mosse le orecchie e spostò lo sguardo dietro di sé.
Shutendoji sbuffò appena; probabilmente Ryo, o Jun, lo stavano cercando per convincerlo a mettersi qualcosa nello stomaco, ma sedersi tranquillo con i suoi vecchi avversari non era cosa per cui fosse pronto.
Fissò lo sguardo in direzione dell’ultima luce del crepuscolo.
Gli piaceva osservare il passare del tempo; gli ricordava in continuazione che era davvero un essere umano.
 
*******
 
Rajura era cosciente che il suo umore si fosse fatto ingestibile da quando il quarto generale era scomparso; i continui battibecchi con lui erano sicuramente meglio se paragonati al dover  sopportare l’alterigia della principessina che, all’improvviso, aveva abbandonato il suo padiglione per cominciare a dettare legge.
La lingua di Shutendoji era tagliente e i suoi colpi non erano da meno, tuttavia non c’era mai stato alcun motivo di usare dei riguardi nei suoi confronti; se le erano date di santa ragione più di una volta, insultandosi in modi irripetibili sotto lo sguardo divertito degli altri.
Aveva il sospetto che Anubis e Naaza si fossero scambiati spesso delle scommesse durante le loro zuffe.
Qualche volta, però, si era anche ritrovato con lui a bere sakè nella stessa sala affacciata sul lago della Città dei Desideri. Era raro che i generali condividessero più tempo dello stretto necessario, ma a volte si trovavano ad essere preda di uno strano senso di malinconia che, quasi, li costringeva ad apprezzare la compagnia reciproca.
Molto raramente, per loro fortuna.
Le notti di ira del loro padrone erano tutta un’altra questione.
Ora che però si ritrovavano in balia dei capricci di una ragazzina, tutti loro non potevano far altro che apprezzare il fatto che, con il loro vecchio compagno, si potesse giocare ad armi pari.
Lo avrebbero eliminato non appena ne avessero avuta l’occasione, certo, ma questa era un’altra faccenda.
Mentre rimuginava su queste questioni, Rajura intravide Kayura passeggiare nei pressi del suo padiglione. A debita distanza avrebbe potuto sembrare perfino amabile.
Il generale si defilò per rintanarsi nella sua stanza. Non aveva voglia di fare bagordi in città; nessuno di loro ne aveva, in verità, da quando la situazione era diventata così difficile. 
Rajura si sedette alla finestra e lasciò vagare lo sguardo.
Nel cortile sottostante, Anubis stava sfogando la sua frustrazione impegnandosi in un combattimento contro un numero irragionevole di soldati; probabilmente, da lì a qualche ora, avrebbero condiviso molto più del sakè e del loro malumore.
Il generale sbuffò contrariato. Non che gli spiacesse condividere quel genere di attività con l’altro suo compagno, certo, però era abbastanza sincero con se stesso da ammettere che il suo corpo non era così accondiscendente come quando si trattava di Shuten.
E non era solo quello.
Maledisse quella strana sensazione che sentiva dentro di sé, qualcosa che non sapeva identificare, ma che gli faceva pesare in modo forzato l'assenza del quarto generale.
 
*******
 
Byakuen brontolò appena e lo colpì con il muso sulla spalla.
Shutendoji sospirò afflitto. Non era un monaco, non aveva mai fatto altro che combattere: riuscire a entrare in contatto con lo shakujo era un’impresa che spesso gli richiedeva più fatica di quanto riuscisse a sopportare.
La tigre lo aveva capito subito, il solo motivo per cui non lo abbandonava era quello di aiutarlo a stabilizzare il suo legame con il bastone; e, forse, condividere anche parte dell’energia oscura che ormai era legata indissolubilmente a lui.
La presenza di Kokuenoh era tangibile quanto quella della tigre bianca.
Aveva scoperto molte cose da quando Kaosu l’aveva voluto con sé. Anche perché Kenbukyo avesse deciso di lasciare a degli umani la propria eredità: in un mondo completamente soggiogato, l’unica possibilità era chiedere l’intervento di una forza esterna.
Lo shakujo tintinnò lievemente e si adagiò a terra. Il bastone sapeva benissimo fin dove spingersi con l’umano che lo custodiva.
Il generale si concesse un lamento flebile. Quando il contatto si interrompeva veniva preso da una sorta di stordimento che gli intorpidiva la mente e il corpo. Il bastone non lo aveva mai lasciato solo, se non nei momenti in cui era perfettamente al sicuro.
Byakuen gli si accucciò alle spalle, facendogli sentire contro la schiena il calore e la potenza del suo corpo. Shuten si concesse un mezzo sorriso.
-Non sono uno dei tuoi cuccioli-.
-Davvero?-.
La domanda gli risuonò nella mente, chiara come il suono di una campana.
La tigre aveva deciso di comunicare con lui in quel modo appena lo aveva incontrato, benché fosse un privilegio che non concedeva nemmeno a Ryo.
-Allora, cosa saresti?-.
Il giovane scrollò appena le spalle.
-Sono un essere umano che ha creduto di essere un demone, perché, in fondo, ne possedeva la stessa natura-.
-Sei nato in un’epoca in cui gli uomini avevano poco di umano; io c’ero, so quel che dico-.
-Non so se gli esseri umani di oggi siano molto diversi-.
-Gli esseri umani fanno molta fatica a cambiare le loro abitudini- ammise lo spirito. -Ma, in questa epoca, sicuramente ci sono molte più persone buone che nella tua-.
-Insomma, c’è qualcosa che valga la pena di salvare-.
-C’è sempre qualcosa che vale la pena di salvare. Lo capiresti se passassi un po’ più di tempo con loro-.
-No-.
La tigre poggiò la testa sulle zampe, avrebbe avuto un sorriso sornione sulle labbra se avesse potuto sorridere.
-Non è che ti stai comportando da vigliacco, eh, generale?-.
Kokuenoh lo provocò con evidente soddisfazione. Era molto meno paziente di Byakuen.
Il giovane fece finta di non averlo udito. Non aveva fisicamente la forza di andarsene per porre fine a quella discussione.
-Visto che sei umano e adesso lo ricordi, non potrai fare finta per sempre di non avere bisogno di niente, tranne che del compito che ti ha lasciato Kaosu. Puoi raccontartela come ti pare, ma la solitudine forzata non è di giovamento a nessuno-.
-Non chiedermi anche tu di stare con loro come se non fosse successo nulla-.
-Proprio tu dubiti dei loro animi? Direi che ti hanno ampiamente dimostrato quello che sono capaci di fare. Il problema è che non hai fiducia nella tua natura, perché l’hai riavuta indietro da troppo poco tempo. In un certo senso, tu sei molto più pulcino di loro-.
Kokuenoh ridacchiò.
-La tua esperienza, in certi altri ambiti umani, non conta molto in questi frangenti-.
Shuten arrossì per la rabbia e l’imbarazzo.
Non tollerava che gli venissero rivolte parole simili, nemmeno da lui.
Fece per alzarsi, ma si dovette rassegnare al fatto di non essere ancora in grado di farlo.
La tigre rise di gusto
- Hai vissuto davvero troppo poco, Shuten -.
Il giovane scrollò le spalle.
-Che differenza fa? Non avrò comunque modo di imparare nulla a riguardo-.
-Non è detto che sia così-.
-Lo sarà, invece-.
-Non puoi cominciare una battaglia già convinto che la perderai-.
Il generale rise piano.
-Non ho detto che la perderò- puntualizzò.
La tigre rise sommessamente.
Gli piaceva quello spirito, probabilmente lo avrebbe apprezzato anche Kenbukyo. La parte umana del generale quasi non emergeva, però era facile scorgerla sotto la superficie di quello che mostrava.
-E’ davvero un peccato che tu abbia trascorso la tua esistenza alla corte di Arago -.
Shutendoji si rilassò, preferiva di gran lunga la compagnia di Byakuen, per certi versi.
-Non avrei condotto una vita poi molto diversa. Avrei continuato a combattere fino alla fine di miei giorni, non sarei certo potuto diventare un monaco- ridacchiò. -Anche se ora ne ho almeno l’aspetto-.
-Non ne hai solo l’aspetto, lo shakujo non starebbe con te, altrimenti. La fedeltà è un valore condiviso sia dai monaci che dai guerrieri. Kaosu ti conosceva bene, i cancelli non gli impedivano di avere visioni chiare dello Youjakai-.
La tigre sollevò la testa per gettargli un’occhiata.
-Non sottovalutare la portata della tua decisione. Tu rappresenti la Fedeltà e i tuoi vecchi compagni se lo ricordano benissimo. Il fatto che tu abbia tradito il tuo signore ha gettato delle ombre molto dense sulle loro certezze. Forse non se ne renderanno conto consciamente, però ti assicuro che nemmeno il loro l’animo umano è completamente sopito-.
Non fece ulteriori commenti, benché, dentro di sé, avvertisse le parole irriverenti di Kokuenoh.
Era solo un bene che si fosse instaurato quello stano rapporto di dipendenza tra i generali; certo, non era una interrelazione impostata su alti valori, ma,perlomeno, aveva salvaguardato, in qualche modo, la loro natura originale; e persino il lato umano di Naaza, ovunque potesse trovarsi ; e questo aveva decisamente del miracoloso.
 
*******
 
Rajura ingollò il sakè con una certa rabbia.
Nemmeno un serio tentativo di ubriacarsi riusciva a fargli passare il fastidioso senso di insoddisfazione che continuava a tormentarlo.
Anubis e lui avevano giocato per un bel po’ alla lotta quel giorno, ma non era servito a nessuno dei due per scacciare il malumore.
Naaza si era rintanato nel suo alloggio a preparare cose di cui nessuno avrebbe mai voluto sapere l’utilizzo; quando la sua vena “creativa” si risvegliava non c’era mai da stare tranquilli.
Incurante del continuo ululare degli spettri, lasciò la sua stanza per raggiungere quella del Generale degli Orchi.
Aveva percorso quel corridoio moltissime volte, con ben altri pensieri per la testa. Spinse i pannelli e rimase ad osservare la stanza dalla soglia. Non aveva mai badato un granché all’arredamento, aveva avuto ben altro da fare quando vi era entrato. L’unica cosa che la faceva differire dalla sua camera erano le bordature verde tenue dei tatami e la raccolta di poesie che occhieggiava dal suo angolo.
Shuten aveva sempre avuto un’insana ossessione per quegli scritti. Lo aveva trovato molto spesso intento a leggere qualcosa, incurante perfino del fatto che un altro generale gli stesse arrivando alle spalle; in effetti, non è che avesse mai avuto motivo di temere alcunché in quelle occasioni, erano davvero gli unici momenti in cui potevano permettersi di abbassare la guardia gli uni rispetto agli altri.
Persino quando si lasciava sottomettere, Shuten non mostrava alcun segno di timore. Se Rajura avesse solo provato ad allungare una mano su di lui, al di fuori di quegli strani episodi, avrebbe certamente rischiato di rimetterci più di un osso.
Fece qualche passo per la stanza. C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui si sentiva, stando lì dentro, non era una sensazione a cui potesse dare un nome; era qualcosa di molto diverso da quello che prima lo aveva spinto a tornare lì forse più volte di quante avrebbe voluto. Non era piacevole e la cosa peggiore era che sembrava di non essere in grado di liberarsene.
Uscì e fece scivolare la porta alle sue spalle.
Forse un altro po’ di sakè sarebbe riuscito a distrarlo a sufficienza.
 
 
****
 
Touma sbuffò appena, mentre si inoltrava tra gli alberi.
Non era dell’umore adatto per lanciarsi in una caccia notturna, ma avrebbero dovuto cominciare a pianificare una strategia, e la presenza di Shutendoji era assolutamente necessaria. Non si sentiva particolarmente entusiasta all’idea di collaborare con lui; tuttavia, visto che le yoroi non avevano mostrato alcuna avversione nei suoi confronti, aveva deciso di fare di necessità virtù.
In verità, apprezzava moltissimo il fatto che il generale non facesse nulla per imporre la sua presenza o il suo ruolo, però, in momenti come quelli, avrebbe preferito che si esercitasse nelle sue pratiche in luoghi un po’ più vicini alla casa; anche se, obiettivamente, non poteva che comprendere la sua necessità di avere intorno il silenzio e un po’ di tranquillità.
In fondo non sarebbe stato così difficile trovarlo, visto che non faceva nulla per nascondersi.
Si incamminò senza fretta lungo la sponda del lago.
Si mosse lentamente, con gli occhi fissi più sul lago che sui piedi.
Il cielo mostrava gli ultimi sprazzi di luce ad ovest, ma la riva era sempre stata sgombra di pericoli, non c’era bisogno di molta attenzione per percorrerla.
Scorse ad un tratto la sagoma bianca di Byakuen. Shutendoji era seduto accanto a lui, con la schiena dritta e lo sguardo perso sull’acqua.
Il samurai strinse le labbra. A suo tempo gli aveva fatto un certo effetto scoprire che il Generale degli Orchi in realtà era, almeno nell’aspetto, di poco più vecchio di loro.
In verità, tutti loro si erano aspettati che i servitori di Arago non fossero nemmeno umani.
Si fermò a un paio di passi dalla tigre. Il generale distolse gli occhi dall’acqua per posarli su di lui. Prima che il nuovo arrivato potesse dire qualcosa, aveva già afferrato lo shakujo per alzarsi.
Touma sollevò appena un sopracciglio.
I capelli intrisi di acqua di Shuten apparivano quasi neri alla poca luce rimasta.
C’era un che di fortemente ironico nel fatto che sia lui che Seiji possedessero caratteristiche che li facevano sembrare demoniaci.
Fu felice del fatto che l’altro giovane non sembrava avere molta voglia di parlare; in verità sentiva anche una certa comprensione nei suoi confronti. Sapeva perfettamente quante energie richiedesse una concentrazione prolungata nel tempo.
Ryo piombò su di loro in prossimità della casa e l’altro samurai fu certo di aver visto una profonda nota di rassegnazione comparire, per un secondo o poco più, sul viso del loro ospite.
Un’altra cosa che sembrava evidente solo a lui era che il generale mostrava una certa inquietudine all’interno dell’edificio. Il mondo in cui si era trovato gettato così all’improvviso era oggettivamente lontano anni luce da ogni realtà che avesse conosciuto.
Mentre pensava a questo, intanto, Shutendoji, seduto in bilico sul bordo del divano, stava osservando con una certa perplessità la matita che Nasty gli aveva messo tra le mani.
Il generale aveva intenzione di dare loro alcuni riferimenti chiave relativi al castello e a quanto gli stava intorno e gli era sembrato che una rappresentazione grafica sarebbe stata molto più chiara di qualunque descrizione.
-E’ una matita. Si usa per scrivere- esordì Jun.
Shuten sollevò un sopracciglio e provò a usarla, trovandola oggettivamente scomoda.
-Ah, scusa, non si usa così- disse Nasty, improvvisamente in imbarazzo.
Si defilò qualche minuto e tornò con un pennello e della china.
-I pennelli ormai si usano raramente- si scusò.
-Non importa-.
Il generale intinse le setole nella china, raccolse la manica destra tra le dita della sinistra e si chinò, finalmente, sulla carta.
Touma dovette ammettere con se stesso che il modo in cui il generale maneggiava il pennello era davvero uno spettacolo affascinante, sembrava che quello strumento avesse una vita propria, tanto era obbediente alla mano che lo guidava.
Dopodiché, il generale prese fiato e iniziò una spiegazione minuziosa della pianta del castello, della posizione degli ingressi e della dislocazione delle postazioni di guardia. Mentre parlava, aggiungeva dettagli al disegno e scriveva note a fianco con una calligrafia tanto elegante quanto incomprensibile. Finirono a notte inoltrata, senza che il generale avesse mai mostrato un attimo di cedimento al pensiero di stare pianificando la rovina del suo vecchio signore.
Shuten poggiò il pennello solo quando si accorse che, ormai, i suoi interlocutori non sarebbero riusciti più a memorizzare alcunché. A quel punto, Ryo si caricò Jun sulle spalle per portarlo a dormire.
Touma decise di seguirlo. L’ultima cosa che vide fu Nasty, china sulla carta, che chiedeva qualcosa riguardo ai caratteri usati per scrivere le note a margine.
 
*******
 
Touma dormì pochissimo, non aveva bisogno di fare chissà quale ragionamento per comprenderne la causa. Avrebbe anche rinunciato a dormire per giorni, se questo gli avesse permesso di liberare i suoi compagni.
Si trascinò lungo il corridoio e poi sulle scale, sbadigliando, con l’intenzione di riuscire a svegliarsi anche a costo di rischiare un’intossicazione da caffè.
Si fermò qualche istante a guardare la mappa del castello. Su un angolo del disegno, erano sparsi dei fogli di appunti di Nasty. Accanto ai caratteri nitidi tracciati con il pennello, compariva la scrittura fitta della ragazza, con annotazioni su significato e pronuncia. Con tutta probabilità non sarebbe stato il solo a ciondolare per il sonno quel giorno.
Si arrestò sulla soglia della cucina. Shuten, con una spalla poggiata al vetro della porta finestra, osservava il lago con aria malinconica. Si riscosse quando udì il ragazzo colpire con le nocche l’intelaiatura della porta.
Touma aggrottò le sopracciglia. Il generale aveva di nuovo i capelli scuriti dall’acqua e addosso l’odore inconfondibile del lago.
-Puoi anche venire qui a farti un bagno caldo, sai- azzardò.
Per quanto fingesse che non fosse così, stare da solo con lui lo metteva a disagio.
-Lo so- ribatté l’altro, pacato. -Ma il mondo in cui vivete è davvero troppo complesso per me-.
-Non credo che prima fosse meno complicato, almeno per altri versi; certo, se ti riferisci alla tecnologia è un’altra cosa-.
Touma usò tutto il fiato che aveva nei polmoni senza pensarci, giusto per non dover stare in sua compagnia in silenzio. Era cosciente di stare dicendo delle sciocchezze, ma il suo orgoglio, a riguardo, non sembrava covare alcun risentimento nei suoi confronti.
Il generale sollevò un angolo della bocca.
-Non sentirti obbligato ad essere cortese con me-.
Il ragazzo si sentì improvvisamente sollevato. Scrollò le spalle.
-Non mi sento obbligato, è che al momento mi è difficile. E’ solo la forza dell’abitudine, nessuno di noi dubita di te-.
Shuten chinò appena la testa in segno di ringraziamento.
Il samurai strinse le labbra.
Se lui non aveva dormito a sufficienza, era certo che l’altro non lo aveva fatto del tutto: se non fosse stato così, la luce fioca del mattino non lo avrebbe costretto a socchiudere gli occhi.
-Dovresti fare più attenzione a te; il corpo umano non è fatto per sopportare a lungo certe privazioni-.
Il generale scrollò le spalle.
-Non ho tempo per preoccuparmi di questo-.
Touma sbuffò.
Anche Seiji a volte rispondeva quasi esattamente in quel modo, se qualcuno interrompeva i suoi momenti di meditazione per questioni che lui considerava sciocchezze.
-Puoi anche non avere tempo, ma a stomaco e cervello di certo non interessa- brontolò.
Shuten gli gettò un’occhiata perplessa e poi si concesse una risata leggera.
Touma, rinfrancato, riuscì finalmente a rilassarsi. Si mise ad armeggiare in un armadietto senza curarsi più di scoprire il fianco.
-Vorrà dire che avrò modo di farti conoscere un’altra delle stranezze di questo mondo- disse.
Qualche tempo dopo, il suo ospite osservava, perplesso, lo strano liquido scuro che riempiva la tazza che aveva in mano.
-Caffè- annunciò l’altro ragazzo. - Ci aiuterà a restare svegli-.
Il generale si portò la tazza alle labbra, dopodiché le strinse per contenere una piccola smorfia. Non era preparato a quel genere di sapore, non gli era sembrato nulla più che acqua sporca, nonostante il profumo che gli aveva solleticato il naso.
-Puoi addolcirlo-.
Touma lo osservava vagamente divertito, con il mento poggiato sulla mano destra.
-Credo che ne farò a meno-.
Era una situazione così surreale che Shutendoji rinunciò definitivamente a cercare di capire come potessero ragionare nell’epoca in cui si trovava. Si sentiva molto più tranquillo all’idea che anche Tenkou avesse accettato così in fretta la sua presenza, ma non era ancora sicuro di come avrebbero reagito gli altri. Soprattutto per quanto riguardava Kayura.
Ora che conosceva la verità, era riuscito a perdonarle i suoi atteggiamenti altezzosi, tuttavia si rendeva perfettamente conto che non avrebbe potuto obbligare nessuno a condividere le sue convinzioni. Decise allora di godersi in silenzio quegli attimi di pace, visto che sapeva, con certezza, che sarebbero stati gli ultimi.
 
*******
 
Rajura espirò l’ultima boccata di fumo e poggiò accanto a sé la pipa sottile. Si versò del sakè e lo lasciò dov’era. Si poggiò alla balaustra di legno della finestra e fece vagare lo sguardo.
Non aveva mai fatto caso al paesaggio che si scorgeva dalle stanze di Shutendoji. Da quella prospettiva, la città si adagiava attorno al palazzo con grazia molto maggiore di quanto aveva visto fare da quelle umane.
Sbuffò pesantemente. Sembrava che non ci fosse nulla che potesse dargli soddisfazione. Avevano catturato tre dei loro nemici e, per una volta, Arago si era degnato di lodarli per quanto avevano fatto, ma questo non aveva sortito alcun effetto sul suo umore, tranne uno stato effimero di euforia svanito nel giro di una notte.
Nemmeno la battaglia imminente sembrava avere il potere di smuoverlo.
In ogni caso, alla fine, ognuno si sarebbe mosso per conto proprio, non c’era nulla che valesse la pena di pianificare. Tanto valeva che perdesse tempo a quel modo.
-E così, che ci fai qui?-.
Ecco, quello era decisamente il modo peggiore di impegnare il tempo.
-Non vedo perché debba interessarti- rispose, senza nemmeno voltare la testa.
Aveva creduto che quella ragazzina sfrontata frequentasse unicamente la sala principale. Sicuramente era venuta per sbeffeggiare i loro prigionieri, però non avrebbe dovuto passare da lì per farlo.
-Siamo prossimi alla battaglia e nessuno di voi può permettersi di fare errori-.
Rajura sentì montare la rabbia. Se avesse potuto, non avrebbe esitato un istante a levarle dalla faccia quel sorrisetto strafottente.
-Nessuno di noi farà errori- ribatté, caustico.
-Finora non mi pare vi siate impegnati così tanto per riuscirci-.
Rajura si portò il sakè alle labbra e finse di non averla ascoltata.
-Tornatene al tuo padiglione- disse, ancora senza guardarla. -Non dovresti essere qui-.
Kayura rise.
-Io posso fare quello che voglio- arcuò le labbra in un sorrisetto maligno. - O forse sei solo di malumore perché non hai più con chi passare il tempo?-.
Rajura si voltò così velocemente da rovesciarsi sullo yukata ciò che restava del sakè nella coppetta. Strinse i denti per non farsi sfuggire l’insulto che gli era salito alle labbra. Non poteva permettersi di reagire e lei lo sapeva.
Come anche sapeva bene che la sua illazione aveva il giusto peso per colpire nell’orgoglio l’uomo che aveva di fronte a sé.
Ottenuto il suo scopo, Kayura proruppe in una risata sonora e si allontanò lungo il corridoio.
Il generale emise un ringhio di frustrazione e non trovò di meglio che versarsi un’altra razione generosa di alcool.
Non credeva che la principessina conoscesse davvero le implicazioni di quello che aveva detto, ma, col suo comportamento, le aveva dato sicuramente un appiglio perché in futuro potesse tentare di nuovo di fargli perdere il controllo. Era stato superficiale e, quel che era forse peggio, era che la sola presenza di Kayura riusciva a innervosirlo.
Sbuffò.
Che cosa Arago trovasse in lei di tanto prezioso, per lui sarebbe rimasto un mistero.
 
*******
 
Nasty si fermò sulla sommità della scala. Stentava davvero a credere ai propri occhi. Non sapeva se trovare più sorprendente il dialogo serrato che Touma stava tenendo con Shuten o il fatto che si fosse già svegliato.
Il generale indicava con sicurezza i punti sulla mappa, con gli occhi che correvano in continuazione dal disegno al viso del suo interlocutore. Possedeva una notevole capacità di pianificazione; se tra i generali non ci fosse stata tanta disorganizzazione, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Sollevarono entrambi la testa quando la sentirono scendere i gradini.
-Avete fatto colazione?-.
Touma disse qualcosa sul caffè, poi aggiunse strane parole di cui Shuten ignorava completamente la natura e a cui fecero eco altri termini sconosciuti, quindi Nasty sparì in cucina.
Il samurai tornò ad immergersi nella memorizzazione della pianta, poi prese una matita abbandonata e scrisse qualche nota.
-Se non c’è altro, posso pensare io a ricapitolare le cose per Ryo, oggi- disse con leggerezza, poi gli gettò un’occhiata fin troppo penetrante. -Immagino che restare in contatto con lo shakujo sia già abbastanza faticoso di per sé-.
Il generale accennò un sorriso.
Era impensabile per lui che qualcuno si prendesse la briga di fargli un favore, tantomeno che si rendesse conto delle sue esigenze.
Tenkou si alzò e si stiracchiò, piegando la schiena come un gatto.
-Andiamo- disse, in tono che non lasciava spazio alle repliche. -Che ti piaccia o meno, a stomaco vuoto non si conclude nulla di buono. Con quello che ci aspetta, non possiamo permetterci di non essere nel pieno delle forze-.
L’altro giovane lo guardò perplesso.
-Non ho mai detto di avere digiunato. Ricordo ancora come sopravvivere in una foresta-.
Touma aggrottò le sopracciglia.
Non comprendeva fino a che punto Shuten fosse oggettivamente inconsapevole di quanto gli stava attorno, o quanto stesse cercando di schermirsi. La sua vita, in effetti, non gli aveva dato molte occasioni per apprezzare la compagnia altrui; soprattutto quella dei propri vecchi nemici non doveva essere particolarmente piacevole.
-Sarebbe davvero una scortesia rifiutare il cibo che Nasty sta cucinando- insistette.
Era necessario cementare in qualche modo l’insolita relazione che si era venuta a creare fra tutti loro. Aveva compreso che il generale considerava primariamente se stesso responsabile del fatto di essere caduto sotto la sovranità di Arago. Non si concedeva alcuna attenuante e questo poteva avere dei risvolti negativi.
Touma non aveva ben chiaro da dove gli venisse questa certezza, ma era certo che le cose stessero in quel modo e, perciò, era risoluto a non lasciarselo sfuggire.
-Perché ti ostini tanto?- chiese il generale. Non comprendeva, davvero.
Touma sbuffò.
-Perché hai bisogno di ricordarti cosa vuol dire essere umani. E perché io ho voglia di fare colazione con qualcuno che non strepiti e non si ingozzi come se fosse l’ultimo pasto della sua vita- disse in tono un po’ brusco.
Shuten depose le armi, semplicemente non aveva voglia di affrontare una discussione che non gli avrebbe garantito alcuna probabilità di successo. Tenkou aveva l’aria di un segugio sulla pista, non lo avrebbe lasciato in pace in ogni caso.
Così, il generale non ebbe il tempo di lasciarsi pungolare da quella strana malinconia che lo prendeva ultimamente, ma dovette preoccuparsi solo di affrontare una strana pietanza che aveva le sue origini in un paese dal bizzarro nome di Francia.
 
 
*******
 
Rajura si affacciò alla finestra della stanza di Shutendoji con piglio marziale. Avvertiva come una sensazione fisica l’imminenza della battaglia, una sorta di formicolio che gli percorreva i polsi e le dita delle mani.
Si voltò e lasciò spaziare lo sguardo sulla camera. Non c’era nulla di diverso dall’ultima volta che vi era entrato, eppure la percezione che ne aveva era completamente diversa dal solito. Pensò dipendesse dal fatto che quel giorno non aveva bevuto; perfino la fastidiosa sensazione di malinconia che lo aveva tormentato fino ad allora si era attenuata.
Ridacchiò.
Se non fosse stato tanto prossimo allo scontro, si sarebbe anche concesso il piacere di tormentare un po’ i loro prigionieri.
Davvero, non c’era niente di meglio di un combattimento per scacciare qualsiasi male.
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > I cinque samurai / Vai alla pagina dell'autore: Korin no Ronin