Anime & Manga > Ranma
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Autore: S t r a n g e G i r l    05/08/2014    7 recensioni
Niente magie, niente maledizioni in queste storia.
I nostri amati personaggi tutti calati in vesti mai viste. Una Au dai contorni scuri e gotici.
Lui, vittima sacrificale. Lei, la sua carnefice.
Esiste anche in un universo di assassini il lieto fine?
Questa storia era stata postata tempo addietro sotto il nome di ''Fighting for a chance''.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You see all my light and you love my dark.

Twenty-sixth. Let go.
 
Non abbiamo mai detto che sarebbe stato perfetto; abbiamo solo detto che ci avremmo provato.
E quando hai detto che saremmo stati per sempre, credo fosse solo un'altra bugia.
Lasciami scivolare tra le tue dita, spero che tu sappia che questa volta è reale.
Sì, sai che non ho mai detto che sarei tornata a casa per un ultimo saluto.
Non voglio lasciarti andare se mi ami ancora, perchè non voglio vederti piangere.
Ma è come se io e te stessimo morendo e non ci fosse nessuno a salvare le nostre vite.
[...]
Come è possibile che il mio migliore amico sia diventato un estraneo?
Sembrava che tutto andasse bene...
Abbiamo già affrontato tutto questo, due volte, e non tornerò a casa per un ultimo saluto.

[Miley Cyrus]
 
"Ha lunghi capelli castani e dolci occhi grigi che al sole sembrano d'argento. Da piccola era un maschiaccio poi qualche mese fa è sbocciata come un fiore. E' bella da togliere il fiato e nonostante abbia decine di spasimanti non ha occhi che per me." *
Più la guardavo, più mi pareva che le parole di Ranma fossero riduttive.
Quella ragazza incarnava la femminilità in tutta la sua essenza.
Quando parlava, sembrava cantare e più che seduta rigidamente su quella carrozzella -sopra cui era imprigionata a vita- era dolcemente adagiata, come un passerotto su di un ramoscello.
Più mi soffermavo sui suoi lineamenti delicati, più mi sentivo sprofondare in una pozza di catrame poichè il confronto con me stessa era inevitabile.
Io avevo perso il conto delle mie cicatrici, collezionate una dopo l'altra nel corso dei miei anni bui come assassina; lei non ero nemmeno sicura ne avesse una dovuta alla sbucciatura di un ginocchio.
Tenni la guancia ustionata premuta contro il cuscino per non esporla al suo sguardo superbo e ricambiai con pari ardore ogni occhiata astiosa che mi veniva rivolta: mi sentivo come una belva feroce resa inoffensiva ma comunque oggetto di curiosità e diffidenza.
Si aspettava forse che le saltassi alla giugulare per strappargliela via a morsi?
Non che il pensiero non mi avesse sfiorato, dato il modo in cui si era presentata.
Mi chiamo Ukyo Kuonji. Sono la promessa sposa di Ranma.
Quelle parole, una volta arrivate a me, si erano tramutate in lingue di fuoco ed io ero stata ferita di nuovo, sfigurata ancora una volta. Il punto era meno visibile, vero, ma non per questo faceva meno male. 
Avrei dovuto aspettarmelo però: a cedere senza remore il cuore nelle mani di una candela, il rischio è quello di riaverlo indietro in cenere.
< Tu non ce l'hai un nome? > mi chiese Ukyo, con più curiosità che ferocia. Inclinò la testa da un lato e mi osservò pensosa, muovendo la carrozzella verso di me.
< Mi chiamo Akane Tendo e sono l'assassina incaricata da tuo padre di uccidere il tuo futuro marito. > sputai con veleno, come fosse colpa sua.
In realtà forse avrei dovuto quasi ringraziarla: se non fosse stato per il risentimento di Daisetsu io non avrei mai incontrato Ranma e lui non mi avrebbe mai salvata.
Il mio cuore non sarebbe mai tornato in superficie, non avrei mai rivisto la mia famiglia nè ricordato come ci si sentiva ad essere qualcuno, ad essere amata.
Ma la stessa persona che, inconsapevolmente, aveva intrecciato la mia vita e quella di Ranma era ora la stessa che sapevo ci avrebbe diviso. Come avevo potuto essere così ingenua?
< Grazie. > disse Ukyo, cogliendomi di sorpresa.
Era un ringraziamento sterile il suo, null'altro che una constatazione. Non c'era la minima traccia di emozione nella sua voce e per un attimo mi parve di scorgere me stessa nei suoi occhi di un impenetrabile grigio acciaio.
Il dolore, l'abbandono, il rifiuto ti forgiano come metallo, rendendoti inaccessibile.
< L'hai risparmiato. Gli hai permesso di tornare a casa. > aggiunse.
< Non l'ho fatto certo per te. >
< No, ma non contano le motivazioni solo il gesto. >
< Cosa vuoi da me? > chiesi allora sulla difensiva, faticando a capire dove volesse andare a parare.
Dopo aver messo in chiaro il fatto che Ranma le apparteneva, perchè non era andata via? Doveva ulteriormente marchiare il territorio e beffarsi dei miei sciocchi sentimenti?
< Volevo solo incontrarti. >
< Bene, ora puoi anche andartene. > e lasciarmi sola a raccogliere la cenere sparsa fra le mie costole.
Ukyo arricciò il naso curiosa e poi sorrise compassionevole, disgustandomi: la pietà non l'avevo mai sopportata.
Se muovermi non mi avesse infuso dolori brucianti in ogni muscolo del corpo, l'avrei aggredita senza tante cerimonie. Il fatto che fosse relegata su una carrozzella non la rendeva certo indifesa: con le parole sapeva dove colpire.
Serrai i denti e attesi il suo fendente preciso.
< Tu lo ami, vero? >
Strinsi di riflesso le mani sul cuscino e ringhiai.
< Vattene. >
Allargò quel sorriso pietoso e annuì.
< Lo immaginavo. >
< Non sai un cazzo, invece. >
< Non puoi averlo. >
Per un attimo la sua esclamazione mi lasciò perplessa; ritrassi appena gli artigli e genuinamente chiesi: < Cos'hai detto? >
< Che Ranma non sarà mai tuo. > ribadì Ukyo con convinzione, serrando le mani sui braccioli imbottiti della sua sedia.
Risi.
< Stai parlando di lui come di un oggetto. Davvero credi che qualcuno possa costringerlo a fare qualcosa che non vuole? >
Lei d'un colpo sembrò a disagio e girò la carrozzella verso la porta dischiusa della stanza.
< E' tornato qui per me, Akane. >
Incassai il colpo in silenzio, incapace di ribattere.
< Rimettiti in fretta... > mormorò poi prima di andarsene, lasciando volutamente in sospeso la frase così che potessi concluderla io nella mia testa.
Rimettiti in fretta e poi sparisci. Non c'è posto qui per te.
Soffocai il viso del cuscino e piansi senza lacrime nè singhiozzi.

***

< Vecchio, quand'è che imparerai a cucinare? > apostrofai mio padre con poco garbo, ingurgitando controvoglia il riso insipido e scotto che mi aveva preparato per pranzo.
Lui sghignazzò.
< Quando tu smetterai di prenderle di santa ragione. > 
< Sei tu che prima fai il genitore amorevole dicendo che devo rimettermi e poi mi trascini in palestra per un allenamento, additando la patetica scusa che "il dolore fortifica corpo e mente". >
Lui annuì convinto.
< Esatto, figliolo. Più incassi colpi, ma stringi i denti e resti in piedi, più in fretta guarisci. Se impari a sopportare le fitte lancinanti... >
< ...potrò morire dissanguato senza quasi accorgermene. Ma che cazzate dici? Il sole ti ha cotto il cervello sotto quel fazzoletto rattoppato. > ringhiai e gli tirai un bicchiere che lui prese al volo con nonchalance.
< Ingrato. > mugugnò, servendosi una seconda abbondante porzione di riso.
< Padre degenere. > replicai stizzito, rinunciando a costringermi a mandare giù quel pasto aberrante.
Posai la mia ciotola sul tavolo e controllai con un'occhiata preoccupata le bende macchiate nuovamente di rosso che mi avvolgevano la spalla. 
< Forse dovresti farti dare un'occhiata dal dottor Shima. > 
< Già, grazie tante. > 
< Smettila di lagnarti. Ti ricordavo più uomo. > mi rimproverò lui, aggrottando le sopracciglia scure contrariato. 
< Tu non hai idea di quello che ho passato, vecchio! > sibilai, alzandomi di scatto, le mani sul tavolo e i denti serrati.
I suoi occhi severi corsero alla mia fasciatura e per un attimo parve pentirsi delle sue parole.
Sospirò.
< Quanto hai intenzione di restare? > chiese, cambiando argomento.
< Poco, il tempo di sistemare un paio di questioni. >
< Ucchan lo sa? > 
< Si, credo sì. > mugugnai a disagio.
La verità era che non riuscivo ad affrontare quel discorso con lei. Ci eravamo appena ritrovati e il solo pensiero di abbandonarla di nuovo, spaccarle ancora il cuore e lasciarla nelle luride mani di quell'avido di suo padre mi ripugnava, ma non potevo fare altrimenti: quello non era più il mio posto. Forse non lo era mai stato.
Iniziavo a sospettare che per anni mi fossi fatto andar bene addosso un vestito stretto che tirava sulle cuciture e che mi rendeva goffo in ogni movimento; ora non ero più disposto ad indossarlo, a farmi togliere il fiato dal colletto troppo stretto.
< Fra il pensare qualcosa ed averne la certezza c'è una bella differenza. Dovrai dirglielo apertamente, figliolo. > 
A disagio, mi incamminai stancamente verso la cucina senza rispondere.
Mio padre aveva ragione: la vita di Akane era altrove ed il mio cuore le apparteneva, perciò l'avrei seguita ovunque fosse andata, ma per qualche assurdo motivo non riuscivo a dare consistenza a quelle parole davanti a Ukyo. 
Ero forse diventato un codardo?
< Con questo atteggiamento la farai soffrire ancora di più, stupido che non sei altro! > mi gridò dietro lui, mentre mi sbattevo la porta di casa alle spalle.
 
L'eco dell'ammonimento del mio vecchio mi ronzò nelle orecchie per tutto il tragitto fino allo studio del dottor Shima.
Fiaccato dal dolore e da quella che- a giudicare dai sintomi- aveva tutta l'aria di essere febbre ci avevo impiegato il triplo del tempo ad arrivare; tempo che avevo speso ad insultare me stesso.
Mi stavo riparando dietro un comodo alibi, mentendo prima di tutto a me stesso?
Quant'era labile il confine tra bugia a fin di bene e vigliaccheria? 
Maledizione, non riuscivo a non sentirmi responsabile per lei!
< Ranma, ragazzo mio, hai per caso sfondato un muro a spallate? > chiese l'anziano medico, arricciando il naso bitorzoluto mentre ispezionava la mia ferita.
< Mi sono solo allenato un po'... > cercai di giustificarmi, ma il suo sguardo bonario era svanito.
< Ti avevo raccomandato assoluto riposo! > 
< Lo so, ma... >
Il dottor Shima bofonchiò qualcosa e poi prese a disinfettarmi la ferita con un batuffolo di cotone imbevuto d'alcol che quasi mi fece perdere i sensi per la sofferenza.
Il dolore fortifica corpo e mente, un cazzo!
Mio padre me l'avrebbe pagata cara.
< Tutti uguali voi giovani: vi si dice una cosa per il vostro bene e fate l'opposto. > si lamentò il medico, strizzando gli occhietti piccoli da topo. 
Mi conficcai le dita nella coscia per non mettermi a strillare.
< Di chi... > attaccai, ma poi capii a chi si stava riferendo.
< Akane è sveglia? Posso vederla? > domandai con un salto, dimenticando la mia ferita e tutte le fitte di protesta che il mio corpo mi stava lanciando.
Il dottor Shima alzò gli occhi al soffitto, accarezzandosi il lungo pizzetto grigio.
< Solo se ti fai medicare a dovere e prometti di non fare sforzi eccessivi... >
Annuii più volte e lasciai che finisse il suo lavoro fremendo sullo sgabello, pensando a tutte le cose che avrei detto ad Akane non appena i miei occhi avessero incontrato i suoi.
Mi sembrava di non vederla da un decennio.
La sua assenza era come un costante coltello piantato nello stomaco, che andava più a fondo ad ogni passo.
Avevo bisogno di lei.
Non appena il dottore si voltò per riporre il disinfettante e le garze avanzate, scattai in piedi e corsi verso la stanza di Akane, prendendo fiato prima di bussare piano.
Uno, due, tre colpi.
Tum. Tum. Tum-tum.
Attesi una risposta che non arrivò ed allora, impaziente, entrai ugualmente, cercando di fare meno rumore possibile nel caso in cui stesse dormendo.
Lei, però, era sveglia ed era seduta sul futon, rivolta col viso verso la finestra.
La sua schiena era coperta da spessi strati di bende candidi, ma anche senza vederla io sapevo perfettamente dov'era la sua ferita. Il punto in cui il pugnale le era entrato nelle carni e quasi me l'aveva portata via.
Al solo pensiero, mi sentii mancare.
< Akane? > la chiamai.
Feci un paio di passi nella sua direzione e poi, spinto da un'irresistibile voglia di stringerla a me, la raggiunsi con una falcata e l'abbracciai con slancio.
< Non ti azzardare mai più a spaventarmi così, capito? > la rimproverai parlando con le labbra premute sul suo collo.
Era calda. Era viva. 
< Ranma... > mormorò, staccandosi da me.
La guardai in viso e negli occhi le vidi il fuoco di una battaglia che stava consumandosi nel suo petto.
< Cosa c'è? > chiesi, in ansia.
Le iridi di Akane erano traslucide, bagnate di lacrime non versate, e opache, come se impresso nella sua retina ci fosse un ricordo di cui non riusciva a liberarsi nemmeno battendo le palpebre.
< Stai bene? > s'informò, ma mi sembrò che la vera domanda che voleva pormi le fosse rimasta impigliata in gola.
< Sono stato peggio. > le sorrisi e le accarezzai il viso; lei tremò. < E tu? >
< Sono stata meglio. > disse con un tono vagamente scherzoso che mi fece sorridere; la sua bocca, tuttavia, non espresse il benchè minimo divertimento.
C'era qualcosa che non andava, qualcosa che avvertivo a pelle e mi metteva a disagio, rigirando quel maledetto coltello nella mia pancia.
< Devi dirmi qualcosa. > asserii deciso, cercando di spronarla a parlare.
Non era una domanda, la mia; sapevo che qualcosa bolliva sottopelle.
Akane mi sembrò di colpo arrabbiata e ferita insieme.
< No. > replicò dura e battè le palpebre, cercando di nascondere quei sentimenti che le brillavano nelle iridi e avrebbero potuto smascherarla.
Mi accigliai, senza riuscire tuttavia a impormi di non toccarla.
< Mi stai mentendo. >
Strinse i denti e voltò lo sguardo di lato < Smettila. >
< Smettila tu, stai facendo la bambina. Cos'è successo? >
Fece una smorfia derisoria e amara e dirottò il discorso su un terreno meno impervio, su cui camminare non faceva poi così rischioso.
< Dove siamo, Ranma? >
Mio malgrado, l'assecondai con un sospiro: tanto più io avessi tentato di estorcerle qualcosa che lei non voleva venisse alla luce, tanto più si sarebbe morsa la lingua e sigillata le labbra.
Ed il mutismo non ci avrebbe portato da nessuna parte.
< Nel mio villaggio. Era il più vicino: avevi bisogno di cure immediate. >
< Avrei dovuto aspettarmelo. > mormorò monocorde, con una linea di rassegnazione nel tono di voce.
< Che significa? > sbottai e la scrollai per le spalle; la sua risposta fu un'espressione sofferente.
< Cazzo, scusa...io non...non ho pensato che... >
Akane mi trapassò con uno sguardo tagliente ma non aprì bocca nè si lamentò.
Sospirai, guardai quelle mani che non avrebbero volute che darle sollievo e invece avevano svegliato il suo dolore e poi mi grattai la nuca, improvvisamente a corto di parole.
Che accidenti era accaduto in quei pochi giorni di distacco?
Perchè Akane sembrava essere regredita alla freddezza dei suoi giorni d'assassina? Perchè mi fissava come se fossi un estraneo e mi teneva a distanza, innalzando in fretta e furia un nuovo muro fra noi?
Cosa le avevo fatto? Come potevo rimediare?
Aprii bocca e non mi venne in mente niente da dire di più intelligente di < Ce ne andremo presto. >
Sorrise, ingoiando un singhiozzo e faticando a trattenere in equilibrio le lacrime agli angoli delle ciglia, e poi si sporse verso di me, stampandomi un timido bacio sulle labbra.
Sapeva di addio.
< Vorrei fosse vero. >

***
 
Alzai lo sguardo verso il cielo, per non dirigerlo indietro.
Se avessi anche solo sbirciato alle mie spalle non mi sarei mossa e dovevo farlo. Lo dovevo a me stessa.
La luna era pallida, come spenta, e mi guardava silente; compii un primo passo incerto.
Kasumi quand'ero bambina, mentre mi pettinava i capelli in una treccia, mi raccontava storie di fantasia inventate sul momento per insegnarmi cose nuove sul mondo che mi aspettava una volta adulta.
Era una brava narratrice, lei, con la sua voce melodica e delicata ed il modo in cui dava vita a forme e persone solo con le parole; tutto il contrario di me, che senza l'ausilio delle mani e delle maniere forti non sapevo esprimermi.
Il finale delle sua favole, ad ogni modo, non sempre era felice.
< Non ti parlerò di quanto sia bella e semplice la vita, sorellina. Non è così. Devi sapere a cosa vai incontro; al mondo esistono anche cose brutte e dolorose: la separazione, la lontananza, la guerra, la morte... >
Mi ero cibata dei suoi racconti per anni, apprendendo curiosa tutto quel che poteva darmi, tuttavia ogni volta che i due protagonisti di una bellissima storia d'amore si dividevano per qualche motivo -più o meno grave che fosse- non potevo trattenermi dal chiederle sempre la stessa cosa: < Perchè? >
Kasumi sorrideva con amarezza e mi spostava le ciocche della frangetta dal viso, per depositare un piccolo bacio sulla mia fronte e poi chiudermi in un abbraccio caldo e profumato di bucato.
< Sarai tu a dirmi perchè, prima o poi, tesoro. > rispondeva enigmatica, lasciandomi sempre insoddisfatta.
Mossi un altro passo, un po' più deciso, poi un altro ed un altro ancora, lentamente per non rischiare di far riaprire la ferita sulla schiena e quella che mi trapassava il cuore dal parte a parte.
Non avrei pianto, ero forte; avevo smantellato un'intera setta di assassini, sarei sopravvissuta ad un po' di mal d'amore. Col tempo avrei smesso di sanguinare e sentire dolore.
In fondo, stavo facendo ciò che era meglio per lui, ciò che era più giusto, ciò che gli avrebbe evitato sofferenza e angoscia: lo stavo liberando.
Quando ami, Kasumi, quando ami tanto, devi lasciare andare, ora lo so.
 
*Capitolo XIII "Still here"


Cambio d'ufficio, chiusura di ben due trimestri, ferie alle porte = ispirazione, ciao ciao!
Ecco spiegata, con una piccola ma esplicativa equazione, il motivo di quest'attesa.
Pardonne moi.
Anche -e soprattutto- per le mancate risposte alle recensioni...ma o il capitolo o quelle.
So bene che aspettate con sempre meno entusiasmo questa storia perchè dopo ben 26 capitoli ancora non riesco a chiuderla e a lasciarvi andare, ma quantomeno mi sto impegnado per terminarla degnamente.
Trascinarla più del dovuto, ad ogni modo, non ha senso, perciò il prossimo sarà il capitolo conclusivo, cui poi seguirà un piccolo epilogo (credo) e beh, poi sarà davvero finita.
Conclusa questa storia, chiuderò per un po' i rapporti con EFP suppongo. La scrittura mi porta via tempo che non ho e mi svuota di energie e se non posso dedicarmici con entusiasmo, non ha senso farlo.
Forse tornerò sporadicamente con qualche one-shot sui telefilm che seguo (aumentano di giorno in giorno, sono diventata dipendente :S) ma nulla di più, per ora.
Ho bisogno di cose nuove e di vivere un po' io stessa, prima di poter dare di nuovo vita a personaggi di carta inchiostro e fantasia.
Beh, non è ancora il momento dei saluti ma ci siamo quasi, perciò tenete duro e mettete da parte una grossa dose di fazzoletti.
Mi mancherete tutte, ma aver condiviso questo viaggio con voi è stato bellissimo.
Grazie.

Strange
   
 
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