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Autore: Karan Haynes    06/08/2014    1 recensioni
«Scusa, sono proprio un cafone. Io sono Kim Jonghyun, piacere!»
«Così va già meglio.
A ogni modo, io sono Kim Kibum», rimandai un sorriso.
«Tuttavia, quando ti rivolgi ad una persona che non conosci… non puoi dire “sei bellissimo”, anche se ad essere sincero sono lusingato di questo suo complimento». ― tratto dal secondo capitolo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Premessa: Questa storia è tra le primissime che ho scritto (e mai finito, ovviamente), risale a un lontanissimo 2012 (si parla di Settembre/Ottobre). La rilessi tempo (per togliere eventuali errori), ma sono sicura che saranno scappati una montagna di errori. Lo stile è molto diverso, tuttavia scrivevo almeno quattro pagine come se fosse nulla (che bella cosa!). L'unica cosa che vi voglio dire è: questa storia non è finita e il terzo capitolo l'ho solo iniziato, quindi sarà e rimarrà incompiuta.






Ho scelto te, per tutta la vita.


Capitolo I: Break of Soul








Mi svegliai presto quella mattina poiché, al piano di sotto si trovava quella disgraziata donna, mia madre.
Lei, non è graziosa, assolutamente, è altezzosa, capricciosa, e finge davanti a tutti, si fa vedere come una persona raffinata, attenta alla moda e di cosa succede nel resto del mondo.
L’unico momento in cui puoi parlargli è quando cucina, solo ad allora la si può considerare di buon umore e, volendo le si può chiedere qualsiasi cosa. Mi vestii, uscii dalla stanza e percorsi il corridoio in marmo fino alle scale lussuose della villa, e scesi le scale lentamente.
Entrando nella spaziosa cucina, che a parer mio c’era dello spazio inutilizzato, – e lo si sarebbe potuto utilizzare per uno scopo più utile – ma se mi fossi azzardato solo un poco a contestare mia madre, ella mi avrebbe linciato, sicuro!
Mi pronunciai con un “buongiorno!”, inutile direi, visto e considerando che fui trascurato, solo Jean, il nostro maggiordomo più giovane mi notò, si avvicinò a me e mi fece sedere, dicendomi che la mia regale – come annunciava lui – colazione sarebbe stata pronta fra qualche attimo.
Ad un certo attimo, ella si girò, mi studiò e mi chiese da quanto fossi lì e perché non mi fossi annunciato, gli dovetti rispondere che ero lì da poco, e dissi – dolcemente − che mi ero annunciato ma, in quanto assonnato, parlai a bassa voce.
Parve gradire la mia risposta, e si limitò ad un cenno con la testa, poi si girò e riprese quello che stava facendo.
Prima che me ne accorsi, Jean mi mise il piatto con la colazione sotto al naso. Lo guardai per un attimo e incominciai a mangiarlo.
Prima di alzarmi, quando si è in presenza di ella è importante eseguire tali movimenti: prima di tutto, bisogna schiarirsi la voce, non troppo piano, ma nemmeno troppo forte. Poi bisogna comunicarle dove si va e soprattutto per quale motivo ci si va!
Mi schiarii la voce e dissi: «Madre, penso che andrò nella biblioteca in città, oramai ho letto quasi tutti libri presenti nella nostra, e non credo che un poco d’aria mi faccia male».
Mi fece un cenno con la mano e disse debolmente “va bene!”.
Mi alzai e mi assicurai che Jean non mi preparasse una carrozza, volevo camminare e sciogliere i miei muscoli dall’immobilità.
Chiesi al nostro maggiordomo più anziano, Albert di prendermi, cortesemente il soprabito. Tornò quasi subito, m’infilai il soprabito e uscii di casa.
Oramai giungeva la primavera, si sentiva debolmente il calore del sole e giungeva il tipico venticello di marzo. Gli alberi ancora spogli, stavano tornando a nuova vita, in alcuni si potevano già vedere le piccole foglie, di un color verde chiaro vivace.
Percorsi a passi modesti il vialetto della villa, Albert mi aprii il cancello e mi salutò con familiarità, aggiungendo un: “State attento signorino!”.
Feci un cenno con la mano e m’incamminai per la strada desolata.


*****


Camminai almeno per una ventina di minuti, come minimo.
Il freddo venticello si faceva sentire, perciò decisi di affrettarmi a raggiungere la biblioteca.
La struttura della biblioteca risale alla fine del ‘600 e inizio del ‘700, è il grande vanto della città.
La struttura imponente, presenta una facciata convessa che sporge verso la strada, e le colonne sprigionano riflessi luminosi, tipico del barocco dorato.
L’interno presenta una pianta a croce greca allungata, con cinque cupole riccamente decorate da stucchi e altari laterali, impreziositi da marmi rossi e bianchi. All’interno si trovano vari dipinti dell’epoca. Molti stranieri vengono in questa modesta città solo per poter ammirare la nostra biblioteca.
E sapeste quanto orgoglio porta al nostro sindaco, non fa altro che vantarsi.
Alle volte, bisogna far finta di ascoltarlo, solo per renderlo buono e tranquillo, e guai se dici che egli è un garrulo, si anima e, ahimé, non lo ferma più nessuno.
Entrai per scaldarmi, e vidi al banco d’ingresso il nostro orgoglioso sindaco.
Era vestito elegantemente, portava dei pantaloni all’ultima moda, arrivavano a metà ginocchio, stretti e dei calzettoni bianchi di ottima qualità. La giacca che indossava era di un color smeraldo spento, probabilmente lo teneva nascosto nell’armadio. Penso lo indossi solo per certi eventi, anche se sbiadito si può facilmente capire che sia di buona fattura, quasi certamente sarà stato importato dalla Francia. Molti buon signori acquistano capi da là, credo anche, lo si possa capire dalla sciancratura alla vita evidente. Presenta volumi solidi e lisci e nelle maniche presenta un taglio curvo, assai curato. La camicia sotto, che la si può intravedere dalle maniche, è di lino pregiato, molto costoso e, oramai raro da vedere. Il colletto alto è ripiegato, attorno al collo presenta un papillon dello steso colore della giacca. Scelta saggia, se fosse stato nero, sarebbe stato inguardabile.
Egli, stava corteggiando la signora Hill, un personaggio davvero ammirabile, donna di grande carattere. Da quando il suo amato è venuto meno, non si è scoraggiata, ed è andata avanti a testa alta. Lei, è sempre vestita in maniera semplice, ma non volgare o sciatta. Incontrare una donna come lei sarebbe una benedizione.

Mi misi nell'angolo della biblioteca, era il posto più calmo dove leggere, e solitamente, nessuno passa mai da quella parte.
Appoggiai capotto e borsa, poi andai dalla signora Hill e gli chiesi cortesemente due libri: uno romantico e un giallo classico, con tanti colpi di scena. Mi rendono euforico i libri con tanti colpi di scena, forse per tutte quelle storie che raccontava mio padre, era un buon uomo, peccato che, ella, diceva sempre “Nostro figlio non ha bisogno di queste stupide storie. Smettila di dire certe fesserie!”
«Ecco a te i libri che hai chiesto!» mi ridestai dai miei pensieri, gli risposi con un sorriso tirato.
Li presi e mi andai ad accomodare, presi il libro con meno pagine, ossia il giallo classico.
In meno di un’ora lo finii, decisi di fare una pausa. Andai alla caffetteria della biblioteca.
Di fronte mi ritrovai la solita scena. Donne di mezz'età che sparlano dei loro grassi, pelati, problematici mariti.
Squittivano, gesticolavano e ridevano come delle ragazzine nella fase per-ormonale.
Il tutto risultava alquanto osceno, per via dei loro indumenti. Colori squallidi, abbinati con colori altrettanto squallidi, con scollature evidenti, troppo evidenti.
Oscene. Vorrei dirgli di cambiare stilista, o magari, chiedere parere ad uno di essi. Non sarebbe un idea malsana.
Lasciai perdere il loro squittire, e mi diressi al bancone della caffetteria. Premi un caffè e una brioche. Mi disse che me l’avrebbe portato al tavolo, perciò mi diressi nel tavolo vicino alla finestra, lontano da quelle donne irritanti.
Arrivò subito dopo con l’ordine. Chiesi quattro zollette di zucchero.
Consumai lo spuntino con calma. Quando ebbi finito il caffè mi diressi al bancone per pagare, uscii dalla caffetteria e mi diressi al tavolo per poter finire la mia lettura.
Mi sedetti e lessi. Ci misi un po’ di più dell’altro.
La trama di questo libro era complessa, erano presenti molti personaggi ma, nonostante tutto era ben caratterizzati.
Lyla di Remioromen. Devo ricordarmi di questo autore!
Finii il libro, controllai l’ora. Non era nemmeno l’ora di pranzo, mi alzai per leggere altri libri, magari di Remioromen, voglio leggere tutti i suoi scritti!
Presi i libri e li adagiai sul bancone. La signore Hill non era presente, e considerando che non era presente nessuno nei paraggi o che mi potesse vedere, scivolai dietro il bancone e sfogliai l’elenco degli autori presenti.
Trovai solo un libro scritto da lui, era una trilogia fantasy.
Il fantasy non è mai stato un genere che mi prendesse, ciononostante la voglia di leggerlo era immensa.
Guardai il reparto in cui si trovava, rimisi i fogli come erano prima e mi diressi verso la scaletta e andai al reparto.
Cercai prima negli scaffali bassi per poi passare a quelli più in alto. Ci misi quasi quattro ore per trovare i tre libri.
Ognuno presentava una grossa copertina ed erano, come minimo, composti dalle novecento alle mille pagine.
Molti miei conoscenti, della mia età, avrebbe considerato questa lettura alquanto noiosa e futile, infondo, non si può pretendere comprensione da persone che non leggono, e molto probabilmente non ne hanno mai aperto uno o si sono limitati ad aprire quelli di scuola leggerli o fare gli esercizi.
La trilogia si intitolava: Tre passi nella neve, il titolo mi elettrizza, l’adrenalina sale.
I sottotitoli per indicare i tre libri sono molto semplici: Primo passo; Secondo passo; Terzo passo.
Presi il primo, lo aprii ed inizia a leggerlo. Ad ogni parola, ad ogni frase, ad ogni pagina, il cuore prendeva a battere sempre più, l’adrenalina aumentò sempre più, i rumori si fecero sempre più distanti, divenni un tutt’uno con il libro.
Finii di leggere e si fece sera. Riposi i libri sul bancone, ritornai al tavolo, mi rimisi il capotto, presi la borsa e mi diressi fuori.
Era già sera, le luci dei lampioni erano già accese, era ora di cena.
Non immagino l’ira di ella. Dalla paura percorsi gli scalini e la strada di fretta.


*****


Mi ritrovai in poco tempo davanti al cancello di casa. Per la paura e un po’ per la corsa, il mio cuore non smise di battere e il fiatone si fece sempre più intenso.
Presi un respiro profondo ed aprii il cancello, a passi modesti percorsi il vialetto e con titubanza aprii la porta di casa.
Le luci erano accese. Sbirciai la sala da pranzo, vuota e in ordine.
A passi leggeri percorsi il soggiorno, una stanza a cui non ho dato ancora uno scopo. Poco dopo arrivai in cucina.
Il cuoco non c’era, ed era tutto in ordine. Ne approfittai e presi qualcosa da mangiare, giusto per non dormire a stomaco vuoto.
Ero sorpreso di non trovare ella, furiosa dalla rabbia, e ancor più strano, la casa sembrava vuota.
Uscito dalla cucina, percorsi le scale ed arrivai in camera da letto. Mi cambiai e mi misi l’indumento da notte, in seta bianca pregiatissima.
Mi coricai nel letto, spensi le luci e chiusi gli occhi.
Sognai. Sognai un mondo meraviglioso, senza paure e violenza, dove l’amore era libero senza essere giudicati dagli altri.
Avrei voluto restare in quel sogno, ma una voce, da lontano mi chiamava e qualcosa sconquassò il mio corpo, con violenza.
Aprii gli occhi e vidi Kain, il nostro maggiordomo anglo-coreano. Aveva un espressione irritata e sospirava ogni cinque secondi.
Chiesi con una voce debole ed assonnata «Kain, qual è il tuo intento? Darmi fastidio? Sparisci!».
Chiusi gli occhi e mi girai dall’altra parte. Non vidi il suo volto. Ma potei immaginare la sua collera, la sua faccia rossa.
Ad un certo punto senti che mi prese dalla schiena, mi buttò a terra, poi mi afferrò i piedi e mi trascinò. Urlai. Feci degli urli acutissimi, ma più urlavo e più mi trascinava con foga.
Arrivammo verso le scale, mi lascio i piedi per prendermi in braccio.
Mi dimenai, ma fu inutile, Urlai come un folle, ma fu inutile.
Mi arresi e gli chiesi cosa volesse. Nessuna risposta. Cambiai domanda e gli chiesi dove andassimo. Nessuna risposta.
Mi portò in soggiorno. Era tutti riuniti tranne che ella. Mi mise sul divano, il primo a proferire parola fu Albert.
«Signorino, dobbiamo parlare di sua madre», lo guardai perplesso, lo incitai nel proseguire il discorso.
«Su madre non sta bene. Qualche mese fa, abbiamo notato che alcune bottiglie di vino erano sparite. Avevamo sospettato che fosse la signora, ma non siamo intervenuti perché ne spariva una a settimana. Ma ultimamente ci sono sempre più bottiglie vuote. La signora è molto irritabile, e pochi giorni fa sono spariti alcuni dei superalcolici».
«Kain, c’era bisogno di prendermi in quel modo per una questione come questa?» nessuno parlò, continuai «Se può essere problematica per qualcuno mandatela dalla zia Augusta o in un centro apposito. Io non posso farci nulla. Prendete provvedimenti».
Mi alzai dal divano, e me ne ritornai in camera. Mi rimisi a letto e cercai di prendere sonno.




*****



Angolo Autrice: Ho già detto molto nella premessa, ma vorrei dire alcune cosine. L'idea mi è venuta da Bonnie, stavamo parlando di storie ammuffite e gli era venuto in mente di pubblicare alcune storie mai finite. Ciò mi ha dato da pensare: perché non fare lo stesso? Mi dispiace tantissimo vedere alcune storie lasciate nell'antro oscuro della mia chiavetta e così ho scelto di pubblicarle comunque.
Ah, e se avete qualcosa da dire o errori da segnalare, vi invito a farlo... perché tanto so che è brutta e banale (e il titolo è poraccissimo) ♥

   
 
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