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Autore: ThePirateSDaughter    06/08/2014    3 recensioni
Le condizioni avevano smesso di essere normali nel momento in cui si era autoinvitato a casa di Haru con una cassa di birre. [...] Nella mente aleggiava un qualche ricordo. Qualcosa come “Haru, non dirmi che non bevi mai”, “Ti sfido”, “Sfida accettata”. E quella cassa aveva cominciato a svuotarsi. Mah.
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“Sai qual è il colmo per te, Haru?”
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Rin Matsuoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bottiglia traballa pericolosamente oltre il bordo del letto e si infrange sul pavimento. Rin fissa curiosamente per qualche secondo i cocci di vetro sparsi a breve distanza l’uno dall’altro, mentre la macchia di birra sboccia e si allarga sulle assi di legno.
Haru pare aspettare solo pochi attimi prima di non riuscire più a trattenersi: dapprima è un basso grugnito, che sfocia in un suono a metà tra un ringhio e un gorgoglio, per poi far sì che il ragazzo scoppi a ridere senza più freni.
La testa che gli nuota, Rin si riscopre a fissarlo inebetito. È una cosa così rara, Haru che ride; e, come tutte le cose rare, così preziosa. Così bella. Haru è bello, quando ride. È proprio bello. Bello, bello, bello. Bello. “Bello” è una parola difficile. Anche “birra” è una parola difficile. E “bottiglia”. Ce ne sono tante in camera. Prima c’era anche la birra. Prima.
Haru sghignazza, – stava sghignazzando. Impone al suo cervello annebbiato di doversi ricordare di Haru che sghignazzava -  passandosi una mano sulla fronte. Lo regge proprio male, l’alcol, quello lì. Sdraiato prono sulla parte finale del letto, Rin si raddrizza, sollevando il busto e puntellandosi sui gomiti – la sua testa non stava ferma -, cercando di incontrare lo sguardo di Haru, che ora ridacchia piano, i capelli sparsi sul cuscino.
“Tu non ridi mai” puntualizza. Haru geme a bocca chiusa, senza scomporsi.
“Sì, è vero” borbotta, un braccio a coprirgli gli occhi “Squaletto di merda” aggiunge poi, a voce più bassa, ridacchiando.
Oh. Diventa pure maleducato, in certe condizioni. Rin pensa che, in circostanze normali e senza – tre? quattro birre in circolo? – se la sarebbe potuta prendere per l’affronto ai suoi denti e che avrebbero finito per scambiarsi frecciatine come facevano sempre; ma stavolta tutto quello che riesce a fare è sorridere appena, divertito. Haru toglie il braccio dagli occhi e solleva un indice, un’espressione di finta superiorità sul viso – quanto diamine ha bevuto? – che stona con il mezzo sorrisetto che esibisce, come se si stesse trattenendo dal ridere ancora.
“Sai” inizia “cosa fanno due squali ad una gara?”
Ma che cazzo di domanda è? Forse ha bevuto davvero troppo.
“… Ma che diamine… Gli squali non fanno le gare, Haru, che cazzo dici?”
Vengono squalificati” Haru affonda la testa nel cuscino e riprende a ridere, forte e senza sosta, a tratti contorcendosi appena a destra e sinistra. Rin è quasi incantato. È una risata rozza e resa quasi delirante dall’alcol, ma Haru sta ridendo ed è così...
È talmente innaturale che vorrebbe smettesse. Ma è anche così bello da non voler desiderare altro che rida ancora e ancora e ancora e vorrebbe essere lui a farlo ridere e sentirsi felice per esserci riuscito.
Così si raddrizza. “Sai qual è il colmo per dei libri di matematica?”
Gli occhi di Haru sono lucidi, mentre gira la testa per riuscire a guardarlo in faccia e rimanere sdraiato “Boooh”.
“Essere colmi di problemi”.
Ci sono tre secondi di silenzio esatti prima che riprendano a ridere come due imbecilli; Haru batte le mani a tratti, Rin affonda la faccia nel materasso e, ridendo, gli scappa anche qualche grugnito. Un angolo di cervello gli ripete come, in condizioni normali, quelle freddure non avrebbero sortito il minimo effetto su di loro, perché erano cazzate ridicole; ma le condizioni avevano smesso di essere normali nel momento in cui si era autoinvitato a casa di Haru con una cassa di birre. Come fossero arrivati da Haru che lo fissava interrogativo e ieratico agli squali squalificati e ai libri di matematica, non lo ricordava con chiarezza, ma nella mente aleggiava un qualche ricordo. Qualcosa come “Haru, non dirmi che non bevi mai”, “Ti sfido”, “Sfida accettata”. E quella cassa aveva cominciato a svuotarsi. Mah.
“E sai qual è il colmo per uno sgombroooh?” Haru strascica la vocale nell’ennesima risatina “Eh?”
“Non lo so, Haru” Rin striscia più vicino alla testata del letto, più vicino a lui. Haru sbuffa.
“Nemmeno io” confessa, rimettendosi il braccio sugli occhi “… Non c’è un’altra birra?”
“Sai qual è il colmo per te, Haru?” Non un neurone è più ragionevolmente operativo nella testa di Rin, mentre – completamente tranquillo – solleva una mano e sfiora la guancia di Haru, senza nemmeno pensarci. In circostanze normali, chissà quanti anni ci avrebbe messo, quante scuse e timori avrebbe posto fra lui e il raggiungimento e la realizzazione di qualcosa che sognava da un pezzo. Con l’alcol è tutto più semplice. Si sente la testa così leggera. Haru è così bello. Haru è così maledettamente bello, con le guance appena colorate dall’ebbrezza, i capelli scompigliati, gli occhi nascosti, la bocca appena piegata in un sorrisino. Gli gira la testa.
“Mmm” gli giunge in risposta, mentre gli sfiora il collo con il naso. È tutto così semplice. Da quando è diventato così semplice? Ha un odore meraviglioso. È così bello. Lo stordisce. Haru è bello e ha un buon odore.
“Ridere” mormora contro la sua pelle “E che sei stupendo”. Sente che quella parola è talmente carica di significato da quasi riuscire a bucare quella specie di bolla facile in cui è rinchiuso “E sei così bello, Haru” quando le sue labbra sono finite sul suo collo? “così bello…”.
Haru toglie il braccio e le braccia che stanno sostenendo il peso di Rin minacciano di crollare. Ha un’espressione concentrata, – sembra quella normale –ma la maniera in cui lo fissa rivela che c’è qualcosa di più, qualcosa di enorme, qualcosa di spaventosamente bello e complesso e se continua a fissarlo in quella maniera, quella cazzo di bolla scoppierà e tutto diventerà di nuovo complicato, o complicatamente stupendo e Rin ne ha quasi paura. Poi Haru riposiziona quel dannato braccio, un mugolio basso che gli esce dalla gola e Rin lo prende come un’incitazione. Non sa nemmeno cosa sta facendo, ma in realtà lo sa. Posa le labbra di nuovo sul collo di Haru, per poi sfiorargli la guancia e poi – se il cuore continua a battere così finirà per bucare quella bolla – si azzarda a posarle su quelle di Haru. Ed è un gesto che, come l’angolo di cervello ancora razionale gli sta urlando, è talmente importante, da quasi riuscire a rompere l’idillio di semplicità dei suoi gesti; e anche l’impercettibile movimento delle labbra di Haru in risposta minaccia di farlo.
“Vai avanti…” gli sussurra sulla bocca.
Rin rimane interdetto solo per qualche secondo. È successo. Non sa nemmeno come, ed è successo. Non solo gliel’ha detto, ma lui… lui è…
Scende di nuovo sul suo collo, a tratti delicato, a tratti nel pallone… Il silenzio e il rilassamento con il quale Haru lo lascia fare è un chiaro indice – perfino un ubriaco riuscirebbe a capirlo – di quanto anche lui potesse stare aspettando. E Rin non ci crede, è così… così…
Possibile che si sia voluto l’alcol? Possibile che, se non fosse stato per una birra di troppo, nessuno dei due si sarebbe azzardato a fare la prima mossa, o dare un segnale all’altro? Possibile che Haru gli piaccia così tanto e di come lui – né Haru stesso -non si sia mosso finora per farglielo capire?
Siamo proprio due libri di matematica.
E poi lo sente.
“Haru?”
Silenzio.
Troppo silenzio.
“Haru?!” Sposta di malagrazia il braccio che gli copre gli occhi.
… Vuole ucciderlo.
Si è addormentato.
Ringhia appena, lasciandosi cadere di peso sul materasso, pericolosamente vicino a lui.
“Certo che tu l’alcol lo reggi veramente male, Haruka Nanase”

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La sua testa è un trionfo di dolore e confusione. Rin barcolla e si appoggia allo stipite della porta del bagno, scoprendo di non potervi accedere. Haru è quasi abbracciato al gabinetto.
“Beh, buongiorno”
L’altro volta appena la testa nella sua direzione “Vaffanculo, Rin” esala. Ha gli occhi vitrei, i capelli appiccicati alla fronte e la faccia grigiastra appoggiata sulla tavoletta. Malgrado il mal di testa, Rin ridacchia.
“Porta fuori il culo di qui, Haru” ringhia a bassa voce, indicandolo.
“Non mi sono mai sentito così da schifo” decreta Haru senza muoversi di un millimetro “Mi sento un vero schifo e non… non mi ricordo niente di quello che è successo ieri sera”
Rin fa una smorfia, passandosi una mano sulla fronte che presto, lo sente, esploderà. E più tenta di ricordare quello che è successo ieri sera. – senza il minimo successo, peraltro – più la testa sembra pulsare più forte.
“Nemmeno io. Haru, per favore, devo…”
Gli occhi di Haru si spalancano appena e, nel giro di pochi secondi, il ragazzo ha di nuovo la faccia nella tazza.
Che schifo.
Rin sospira e sceglie di dirigersi nell’altro bagno della casa. Non sa come farà a scendere le scale senza sfracellarsi, ma d’altronde non ha altra scelta. Getta un’ultima occhiata alle sue spalle prima di andarsene e vede Haru di nuovo appoggiato alla tavoletta, gli occhi chiusi. Respira piano.
È bello anche così, non può fare a meno di pensare. Spera solo di riuscire a dirglielo, un giorno.
   
 
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