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Autore: Artemis Holmes    06/08/2014    2 recensioni
John Watson sta per compiere cinquant'anni, quando, dopo aver passato una serata insieme all'amico Mike Stamford, si accorge di non aver concluso niente di veramente importante nella sua esistenza fino a quel momento. Così decide di ripescare la sua vecchia rubrica, nella quale trova, scritti su una pagina ingiallita, i nomi e i numeri di tutte quelle che erano state le sue ragazze in passato - più un undicesimo numero-, e un'idea tanto folle quanto brillante gli attraversa la mente: perché non tentare di nuovo? Perché non provare a dare nuovamente un senso alla sua vita?
Dal prologo:
"Tra poco più di due mesi sarebbe stato il suo compleanno e qual era il bilancio che avrebbe potuto fare allora? Un congedo anticipato dall’esercito, un lavoro part time all’ambulatorio, che gli fruttava una busta paga davvero troppo leggera, un piccolo appartamento in affitto e… nessuna relazione sentimentale."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Benvenuti in questa mia prima long!
Spero possa piacervi l'idea e che il prologo vi incuriosisca!
Si tratta di un esperimento per me, per cui se avete suggerimenti, critiche o semplicemente se il capitolo vi è piaciuto, lasciate pure una recensione.
Il raiting nei prossimi capitoli potrebbe essere soggetto a variazioni!
Buona lettura!







Prologo





John Watson attendeva di fronte all’ Irish Pub, le spalle ricurve e lo sguardo annoiato. Quella sera sarebbe volentieri rimasto a casa, nel suo appartamento a Shepherd’s Bush: sarebbe tornato dall’ambulatorio alla solita ora –cioè non prima delle diciannove-, avrebbe fatto una doccia rigenerante e avrebbe cenato con un pasto take away davanti alla televisione, per poi andare a letto presto. E invece si era ritrovato a tornare in fretta e furia a casa per cambiarsi e rituffarsi nella confusione delle strade londinesi.
Quel pomeriggio Mike Stamford lo aveva, infatti, costretto a uscire con lui, dicendogli: “Andiamo, John! E’ il mio compleanno! Compio cinquant’anni! Non vorrai lasciarmi da solo, spero!” Ovviamente il medico, sentendosi in colpa, non aveva potuto rifiutare l’invito dell’amico, e così aveva accettato suo malgrado.
Nonostante stesse tentando di farla tacere, l’immaginazione di John stava proponendogli immagini di lui seduto in santa pace di fronte alla sua piccola tv con un bel piatto di riso saltato con pollo giapponese, in totale contrasto con i rumori molesti che gli arrivavano dalla strada davanti a lui e dal locale alle sue spalle.
Dopo dieci minuti buoni e qualche sospiro rassegnato di troppo, Mike apparve accanto a lui, salutandolo calorosamente con un abbraccio.
“Grazie per essere venuto, John! Non avevo voglia di restarmene da solo stasera!” Esclamò.
John rispose con un sorriso tirato, sapendo di dover soffocare tutto il suo disappunto, che premeva per uscirgli dalla bocca.
I due amici entrarono nel pub, alla ricerca di un tavolo un po’ più appartato, per evitare quanto più possibile la confusione; quando lo trovarono, vi si sedettero e ordinarono due boccali di birra.
“Come va John? Che mi racconti?” Domandò Stamford, il tono di voce felice come quello di un bambino alle giostre.
John, che stava ammirando l’arredamento retrò del locale, si ridestò, concentrandosi sulla risposta da dare: bene non andava sicuramente, ma era anche vero che non poteva lamentarsi, anche se “discretamente” sembrava essere un parolone per definire la sua routine giornaliera.
“Normale.” Rispose, infine, neutrale.
Mike sospirò sonoramente e il suo sguardo si fece leggermente più cupo.
“Non sai quanto ti invidio! Da quando mia moglie ha chiesto il divorzio, non faccio altro che andare da un avvocato all’altro!”
Il medico roteò gli occhi. Sinceramente non aveva alcuna voglia di compatire l’amico- che già sembrava compatirsi da solo, a dire il vero-, ma la parte del suo animo gentile e altruista lo spronò a mettergli una mano di conforto sulla spalla.
“Vedrai, sono sicuro che tra qualche mese avrai già trovato un’altra donna, e magari sarà anche meglio della tua ex moglie!”
Stamford, abbattuto com’era, non fece caso al tono falso e per niente convinto che aveva sfoderato l’amico nel tentare di consolarlo, e così gli sorrise.
“Grazie, John! Sei davvero un grande amico!”
Quando arrivarono i due boccali di birra, qualche minuto più tardi, John ringraziò mentalmente tutti gli dei di tutte le confessioni religiose del mondo, dato che Mike, dopo nemmeno un quarto d’ora che erano arrivati, gli aveva già raccontato tutte le disavventure della vita matrimoniale, che avevano poi portato la moglie ha propendere per il divorzio, e tutti i cambiamenti occorsi al Barts Hospital negli ultimi mesi. Il medico, che fino a quel momento aveva finto di ascoltare con interesse gli aneddoti dell’amico, riuscendoci più o meno bene, si tuffò, quasi letteralmente, sulla sua pinta, afferrandola e bevendone il liquido ambrato; quando questo gli arrivò in gola, John si sentì quasi rinascere, pronto a sorbirsi almeno altre due ore di quelle noiosissime storie.
Quasi a metà del boccale, Mike gli aveva narrato le vicende personali di tutti i suoi studenti- tra l’altro John avrebbe giurato che l’amico non avrebbe potuto fare una cosa del genere, ma non aveva avuto il coraggio di farglielo notare per paura che avesse qualcosa da raccontargli pure in merito alle leggi britanniche riguardo la privacy-, quando improvvisamente il suo tono di voce si fece più basso e malinconico.
“Ho cinquant’anni, John. Cinquanta! Ho già vissuto metà della mia vita e neanche me ne sono accorto! Che cosa mi ritrovo in mano? Un matrimonio finito, un figlio che abita in America e che non sento da cinque anni e un lavoro mediocre!”
John si intristì sentendo le parole dell’amico: davvero credeva di non aver concluso niente in tutti quegli anni? Sentiva veramente di essere così insignificante? Dopotutto era diventato un docente con un buono stipendio, suo figlio era un bravo ragazzo, con una laurea in ingegneria nucleare e un buon lavoro a New York e il suo matrimonio era finito più per colpa della moglie che per colpa sua, a suo parere. Come poteva sentirsi così inutile di fronte a tutto questo?
 

A fine serata, dopo qualche discorso di consolazione, qualche brindisi a un futuro migliore e un paio di lacrime da parte di Mike, i due si erano salutati ed erano tornati alle rispettiva abitazioni.
John era corso a letto, pensando che l’indomani si sarebbe dovuto alzare presto per andare a lavoro; tuttavia non riusciva a dormire e continuava a rigirarsi tra le coperte: il discorso dell’amico riguardo la sua vita mediocre l’aveva scosso più di quanto non ci avesse fatto caso mentre era seduto al pub o mentre tornava a casa in taxi. Pensieri di compassione sbocciarono nella sua mente diretti a Mike, quando la coscienza sembrò sbucare da angolo remoto della sua testa: anche tu hai quasi cinquant’anni, John Watson. Compatisci Stamford, ma tu che cosa hai fatto di davvero importante in tutta la vita, da poterti permettere di consolare gli altri?
John gelò. Cielo, il suo subconscio aveva ragione! Tra poco più di due mesi sarebbe stato il suo compleanno e qual era il bilancio che avrebbe potuto fare allora? Un congedo anticipato dall’esercito, un lavoro part time all’ambulatorio, che gli fruttava una busta paga davvero troppo leggera, un piccolo appartamento in affitto e… nessuna relazione sentimentale. E Mike osava lamentarsi per la sua di vita?!
Il medico sentì la disperazione attanagliarlo. Non poteva essere possibile! Doveva esserci qualche dettaglio che aveva tralasciato nella sua esistenza, qualcosa che gli suggerisse che la sua vita avesse un senso e che non fosse veramente così vuota.
Si concentrò mentalmente sui suoi ricordi, tentando di ripescarne almeno un paio che potessero avvalorare quella tesi. Si ricordò che una volta da adolescente era riuscito a prendere il voto più alto della classe in un test di biologia e che, durante il servizio militare in Afghanistan, aveva salvato le vite a parecchi soldati, ma stranamente quei momenti di gloria non lo rendevano più felice e orgoglioso come un tempo, non adesso che si ritrovava da solo nel suo letto.
Si sentiva mancante, John Watson, mancante di tutte quelle cose che aveva rifiutato di possedere in passato: un posto come insegnante al Barts, al fianco di Mike, una bella casa, che avrebbe sicuramente potuto permettersi con uno stipendio migliore, e… qualcuno con cui poter condividere la propria vita. Non che il medico non avesse avuto occasione di trovare la sua anima gemella, ma ogni volta che si tuffava in una nuova relazione, sembrava che non fosse mai con la persona giusta, e così finiva tutte le volte per trovare nell’altra difetti su difetti e per esasperarle, finché uno dei due non si decideva a lasciare l’altro.
Ma ormai il medico si sentiva troppo vecchio per tornare alla ricerca di una compagna: non aveva più la forza di intraprendere una nuova relazione, di ricominciare a uscire e a flirtare; avrebbe soltanto voluto schioccare le dita e vedersi apparire di fronte la sua anima gemella, o almeno di vedersi comparire davanti qualcuno che già conoscesse, con il quale provare a fare un secondo tentativo, un esperimento in extremis.
E fu in quel momento che un lampo di genio gli attraversò la mente, spingendolo a tuffarsi giù dal letto e a correre verso la scrivania, aprendone il cassetto: eccola lì, proprio sul fondo di questo, giaceva la sua vecchia rubrica. John la afferrò famelico, soffiando sul sottile strato di polvere, che sembrava ricordargli per quanto tempo fosse rimasta inutilizzata, e la aprì con uno scatto. La sfogliò, finché non giunse a una pagina ben precisa, ovvero quella dove era solito scrivere tutti i nomi e i corrispondenti numeri delle ragazze con cui usciva: una decina di nomi segnati con vari tipi di inchiostro, accumulati nel corso degli anni, si stagliavano sul foglio ingiallito; alcuni di essi risalivano addirittura ai tempi della superiori, altri soltanto a tre o quattro anni prima.
John scrutò per qualche istante quella pagina: tutte le ragazze con cui aveva condiviso la sua vita sentimentale erano inchiodate lì sopra, come se il tempo non fosse affatto trascorso e il medico non fosse invecchiato di un solo giorno. Li contò mentalmente: erano dieci nomi- più uno-; quelli che erano stati forse i nomi più importanti della sua vita attendevano inermi che dicesse qualcosa e prendesse una decisione: richiudere il libretto oppure farne nuovamente la sua rubrica, tornando a chiamare quei numeri.
Si prese qualche minuto, riflettendo sul da farsi: che cosa aveva, in fondo, da perdere? Quale mai catastrofe si sarebbe potuta abbattere sulla sua esistenza se mai avesse provato a ricontattare quelle persone? Dopotutto la sua vita sembrava fargli già abbastanza schifo così com’era, dunque qualche semplice telefonata non avrebbe potuto peggiorare troppo la situazione, giusto?
Può andare soltanto meglio, John. Soltanto meglio!
E alla fine John Watson prese la sua decisione: avrebbe contattato quelle persone, avrebbe digitato nuovamente quei numeri, avrebbe incontrato ancora una volta quella dieci donne- e anche l’undicesima, forse-, e infine avrebbe trovato tra di loro la compagna della sua vita. 
   
 
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