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Autore: dreamlikeview    06/08/2014    7 recensioni
Castiel è un angelo, ama e ammira la razza umana, e desidera profondamente essere uno di loro, un umano. Nonostante agli angeli sia vietato interagire con gli uomini, viola le leggi del Paradiso, salvando una famiglia di cacciatori da un nido di vampiri, e da quel momento il suo desiderio aumenta a dismisura, spingendolo a fare una pazzia.
Un accordo gli permetterà di vivere sulla terra, e di comportarsi come un umano. Ma quale sarà il prezzo da pagare?
[Angel/Human!Cas, Hunters!Winchester Brothers, Destiel, semiAU, long-fic]
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Desclaimer: I personaggi non appartengono a me, per mia sfortuna, e io da tutto ciò non ci guadagno assolutamente nulla.

Credits: A Lu, per il banner! 

 

 
Erano passati sei mesi da quel giorno, dal giorno in cui il maggiore dei Winchester era stato tirato fuori dall’inferno dall’angelo di cui era innamorato, il quale, tornato in paradiso, lo aveva lasciato come uno stoccafisso, solo con se stesso. Dean come prefissatosi, aveva iniziato a cacciare senza sosta per tenere la propria mente occupata: trovava i casi più strani e bizzarri, spesso anche violenti e sanguinosi, uno dietro l’altro, quasi come se avesse fatto un patto con un demone, affinché riuscisse a trovare misteri paranormali e persone bisognose del loro aiuto. Era disposto a tutto, pur di far fuori qualsiasi essere vivente e non appartenente al mondo sovrannaturale. Fantasmi, demoni e qualsiasi altra creatura sovrumana non avevano scampo, davanti alla sua furia devastante. Era determinato a portare a termine ogni singola caccia, non si fermava mai, e spesso nemmeno dormiva.
Sam sapeva che questo era solo un piano per non pensare a tutto ciò che aveva vissuto, per distaccare la mente da quegli incubi che lo tormentavano durante la notte. Lo aveva sentito urlare spesso mentre dormiva, e a volte era anche accorso, restando pietrificato davanti all’immagine di suo fratello che si agitava nel letto, lamentandosi e urlando, ancora profondamente immerso nel suo sonno tormentato. Spesso, il minore aveva tentato di svegliarlo, fallendo miseramente, perché, come veniva toccato, Dean si spaventava maggiormente, cominciando a dimenarsi convulsamente tra le coperte, urlando più forte.
Sam sapeva che quegli incubi erano causati dalla sua lunga permanenza all’inferno, ma sapeva anche che essi erano causati dalla permanenza di un’altra persona all’inferno, una persona a cui il fratello teneva parecchio, una persona che ora non era più insieme a loro. A volte, infatti, Sam sentiva Dean gridare il nome di Castiel durante i suoi incubi. Non ne capiva il motivo, ma probabilmente era successo qualcosa tra loro due, che il maggiore proprio non voleva dirgli. L’ultima volta che Dean gli aveva parlato di Castiel, era stato qualche mese prima, quando gli aveva chiesto il significato di quel misterioso biglietto, lasciatogli da Castiel prima della sua morte, prima che Dean finisse all’inferno per salvarlo, prima che tutto quel dolore avesse inizio. In quell’occasione, il minore gli aveva spiegato che essi non erano altro che dei versi tratti dall’opera di un letterato inglese del ‘600, John Milton, Paradise Lost. Dean comunque non capì il loro significato e troncò di netto il discorso, senza approfondire la conoscenza di quello. Non gli importava, o meglio fingeva che non importasse, tanto che ogni cosa riguardante Castiel era diventata tabù. Sam non sapeva come gestire quelle reazioni del fratello, e non sapeva nemmeno fermarlo in quel momento, e per questo era immensamente preoccupato, nemmeno con l’aiuto di Bobby, che, in generale, veniva ascoltato dal più grande, lo aveva fatto ragionare. Dean non si fermava mai, cacciava, e cacciava ancora, senza fermarsi, senza pause. Era un non-stop di caccia, e notti insonni a cercare casi dopo casi, erano sempre in viaggio, e Sam nemmeno ricordava quando fosse stata l’ultima volta che si erano fermati in un motel per riposare decentemente. Sam si struggeva perché preoccupato per suo fratello e addolorato per non poterlo aiutare, nonostante si impegnasse come meglio poteva, ma Dean si stava autodistruggendo pur di non parlare di cosa provasse in quel momento.
Stavano dissotterrando un fantasma quando il maggiore crollò per terra, svenendo, probabilmente a causa della stanchezza e del dolore che provava, della sofferenza che si era gettato da solo addosso pur di non parlare di ciò che sentisse dentro di sé in quei giorni, in quelle settimane, in quei mesi. Si era semplicemente lasciato cadere per terra, battendo leggermente la testa sull’asfalto, perdendo i sensi. Sam aveva subito pensato che il fantasma avesse tentato di possederlo, e si era mosso a gettare la benzina e il sale sulle ossa, bruciandole l’attimo dopo, prima di soccorrere il fratello.
«Dean, Dean» lo chiamò, senza ottenere risposta, lo schiaffeggiò ripetutamente prima che quello aprisse gli occhi di scatto, sgranandoli del tutto, quasi come se fosse sconvolto da qualcosa, terrorizzato «Dean, che succede?»
«Niente» tagliò corto, alzandosi in piedi, ignorando il capogiro subentrato subito dopo il suo rialzo «dov’è quel figlio di puttana di un fantasma?» chiese impugnando il fucile caricato a sale.
«L’ho eliminato, ora andiamo in macchina e troviamo un motel. Devi dormire decentemente» impose il più piccolo, guardando con preoccupazione il fratello, che si ritrovò ad annuire con l’aria mesta. Non poteva dirgli che appena chiudeva gli occhi vedeva se stesso torturare Castiel, ogni singola volta. Non poteva rivelargli che il suo più grande incubo, era di aver detto sì, ed aver iniziato a torturare non un’anima qualsiasi, bensì quella di Cas, e in tutti i suoi sogni, lui era così dannatamente diverso da come lo ricordava, e, sebbene Dean sapesse che non era vero, ogni volta l'anima di Castiel nei suoi incubi gli urlava contro di odiarlo, e che era tutta colpa sua.
Dean non sapeva perché il suo subconscio producesse quelle immagini, dato che non si era mai piegato ai demoni, ma sapeva che appena provava a dormire, sentiva il desiderio di porre fine alla sua vita, sentiva le urla di Castiel come sue, e lui era il diretto responsabile di quella sofferenza per l’angelo, che, nonostante fosse andato via, lasciandogli un vuoto incolmabile al centro del petto, aveva un posto speciale nel cuore del cacciatore, anche se egli tale sentimento lo aveva scacciato, nascosto, celato agli occhi e alla mente, per non soffrire. Per quanto provasse ad eliminarlo, nel suo cuore era sempre presente, perché, nonostante lo scacciasse, la notte tornava a bussare alla porta della sua mente, insieme agli orrori vissuti e tutto diventava ancora più complicato da gestire.
No, Dean non voleva dormire.
Non voleva vivere l’inferno, e non voleva vedere Castiel soffrire, egli non lo meritava. Lui lo aveva salvato dall’inferno, e gli aveva regalato qualcosa che nessuno gli avrebbe mai potuto regalare: gli aveva fatto vivere qualcosa di così intenso da divenire indimenticabile, aveva portato la gioia di vivere e l’allegria che da tempo mancavano nella sua vita, che forse non erano mai state presenti in essa, ma poi quelle sensazioni si erano rivelate mere illusioni, perché Castiel era andato via, lo aveva svuotato, distrutto. Con un battito d’ali si era presentato nella vita del giovane Winchester, e con lo stesso battito d’ali, era volato via, lasciandolo solo nel suo dolore.
Dean non avrebbe mai ammesso, che prima di dormire, o almeno tentare di farlo, nel dormiveglia, all’interno della sua mente pregava. Pregava gli angeli affinché non facessero del male al suo angelo, pregava gli arcangeli affinché gli rimandassero Castiel, pregava loro promettendo che non avrebbe mai cacciato gli angeli – come aveva già promesso al suo angelo – che anzi, li avrebbe protetti; avrebbe fatto di tutto, pur di riavere Castiel accanto a sé. Ma era sempre il suo subconscio a parlare, lui, personalmente non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, non avrebbe mai detto di avere un bisogno spasmodico di quell’angelo, che ormai gli mancava quasi più dell’aria che respirava. Avrebbe fatto volentieri a meno dell’aria, pur di riavere Castiel.
Il problema di non ammetterlo, però, era che lui si illudeva di averlo dimenticato.
Era convinto che cacciando come un forsennato, che sopprimendo dentro di sé i suoi sentimenti, che lasciandoli solo al subconscio, avrebbe sofferto di meno, il dolore sarebbe affievolito, man mano poi sparendo. E invece per lui era sempre peggio, più sopprimeva i suoi sentimenti, più gli incubi erano frequenti, più sopprimeva più si sentiva soffocato da tutto, perché era tutto ingestibile, più grande di lui. Non ce l’avrebbe mai fatta da solo, ma non lo capiva, lui era convinto di poter fare tutto, di essere invincibile e di non aver bisogno di altri che se stesso per stare bene, niente sofferenze, niente amore, niente sentimenti.
Diceva a se stesso di stare bene, e se ne auto-convinceva. Andava bene così. Nemmeno Sam, però, sapeva che la mattina dopo essere stato ritrovato, Dean aveva scoperto di avere una cicatrice ben visibile sulla spalla. Era l’impronta di una mano, la mano di Castiel. Doveva avergliela lasciata quando lo aveva tirato fuori dall’inferno. Questa durante la notte iniziava a pizzicare, ma non era doloroso, era giusto un po’ fastidioso, e non appena Dean la toccava, quella sensazione si placava, e il cacciatore, come richiamato da quella strana pulsazione, si sentiva un po’ più vicino a Castiel, quasi come se potesse sentirlo, toccarlo, sfiorarlo con quel semplice contatto. Sam non sapeva che lui, almeno per il primo mese di distanza forzata, la sfiorava ogni qualvolta che sentiva troppo la mancanza dell’angelo, o che gli incubi erano troppo forti e violenti, ma con il passare del tempo, Dean aveva smesso di dar peso anche alla cicatrice, aveva ignorato la sua esistenza vivendo solo di incubi e sensi di colpa per i cinque mesi successivi.
Insieme a Sam, trovò un motel poco distante dal luogo in cui avevano distrutto il fantasma, ed insieme vi si diressero. Per tutto il tragitto restarono in silenzio, Sam, alla guida, di tanto in tanto fissava il maggiore, che teneva lo sguardo perso fuori dal finestrino, perso nei suoi pensieri, nessun fiato volò in quell’auto, fino all’arrivo nel motel. Dean scese in fretta, recuperò il suo zaino e andò alla reception, mentre Sam, rimasto in auto, parcheggiò e poi raggiunse il fratello già arrivato nella camera.
Non si dissero nulla per giorni, e Sam non cercò di insistere con il fratello, volendo lasciargli il tempo per sentirsi sicuro di parlare. Dean sapeva tenersi dentro le cose anche per anni, e poi esplodere inaspettatamente in uno sfogo.
Erano passati circa tre giorni, non avevano fretta di andar via, non avevano casi e il minore voleva dare al maggiore il tempo per riposare e recuperare le energie, sebbene non dormisse molto – Sam lo sentiva svegliarsi in tarda nottata, e girovagare poi per la stanza senza che riuscisse ad addormentarsi – guadagnava energie nello star fermo in un posto, senza far viaggi lunghi o dormendo in auto. Dean non si era aperto, e probabilmente, secondo il più piccolo, non lo avrebbe fatto tanto presto, ma aveva smesso con il suo mutismo forzato. Parlava con lui di casi da risolvere, di tornare qualche giorno da Bobby, di fare provviste, poiché le loro erano finite, e cose similmente futili, non toccava mai due argomenti: Castiel e l’inferno. C’erano volte in cui Sam avrebbe voluto forzare il fratello a parlare, costringerlo a rigettare fuori tutte le cose orribili che covava dentro di sé, anche a suon di pugni, ma sapeva che nessuno avrebbe cavato qualcosa dalla bocca di Dean, nemmeno torturandolo. Era il maggiore, d’altra parte, aveva imparato ad essere forte sia per se stesso che suo fratello, e questo Sam glielo riconosceva, ma avrebbe davvero voluto aiutarlo, non sapeva come, ma avrebbe voluto davvero farlo, quanto meno per ringraziarlo di tutto ciò che aveva fatto per lui, in tutti quegli anni.
Erano le dieci di mattina del quarto giorno al motel, quando Sam chiese a Dean di andare a fare la spesa, il maggiore aveva accettato, perché passare qualche ora lontano dallo sguardo indagatore e preoccupato del minore non avrebbe fatto altro che giovare alla sua salute. A volte si sentiva oppresso da Sam, poiché lo riteneva troppo protettivo nei suoi confronti, tanto quanto il minore considerava Dean protettivo nei propri confronti, ma erano fratelli erano cose di normale routine.
«Mi raccomando, non dimenticare le verdure!» gli aveva urlato mentre era davanti al suo laptop intento a fare qualche ricerca, affrettandosi ad abbassare lo schermo, non appena il fratello fu dietro di lui. Sam sentì un conosciuto “sei il solito nerd”, prima di indossare le cuffie, avviando una riproduzione casuale di canzoni, per ignorare il fratello e i suoi possibili commenti in merito all’argomento di ricerca.
«Va bene, Sammy!» aveva urlato Dean, allontanatosi da lui, sull’uscio della porta, divertito dalle reazioni del fratello quando si invadevano i suoi spazi personali «ti comprerò…» stava dicendo, ma si interruppe, perché non appena aprì la porta il fiato gli mancò e tutto improvvisamente si fermò. Come se tutto l’ossigeno fosse stato risucchiato via dall’atmosfera terrestre, smise di respirare e le parole gli morirono nella gola, che parve arida come un deserto durante il giorno. Come se il tempo, il movimento terrestre, tutto, si fosse fermato in quel preciso istante, Dean stesso si bloccò. Tutto ciò accadde, perché l’inaspettato avvenne: nel momento in cui egli aveva aperto la porta, due occhioni blu – di un blu indefinibile, angelico – si erano materializzati davanti a lui, ostacolandogli il cammino, e ora lo studiavano con attenzione, captando qualsiasi suo movimento, allibiti anche loro, stupiti da ciò che si ritrovavano davanti. E improvvisamente, semplicemente il mondo si arrestò per un lungo istante.
Gli occhi del cacciatore erano semplicemente spalancati in un’espressione di puro sgomento, non credeva che potesse accadere, non in quel modo, non così velocemente, non così inaspettatamente: occhi blu, capelli neri, completo nero, camicia bianca e cravatta blu, fronte corrugata, occhi sgranati, espressione confusa, collo inclinato di lato, erano i tratti distintivi di una sola persona.
Non poteva essere altri che lui.
Castiel era lì.
Castiel era lì di fronte a lui, con una mano alzata a pugno, in procinto di bussare, e l’altra lungo il fianco, stringeva qualcosa che Dean non classificava, perché era troppo impegnato a metabolizzare cos’avesse, o meglio chi avesse davanti, perché semplicemente non poteva crederci. Sentiva lo stomaco, la mente e il cuore totalmente in subbuglio.
Le sensazioni che provava non erano uguali tra loro, bensì erano diverse le une dalle altre, contrastanti, da una parte voleva scappare, rientrare, chiudere la porta e dire a Sam di andare lui a fare rifornimento, voleva chiudersi nella camera del motel, riempire una valigia per andare da Bobby, o da qualsiasi altra parte e ignorare ciò che avesse di fronte; dall’altra parte avrebbe voluto abbracciarlo, baciarlo fino allo sfinimento, fino a che le labbra non avessero bruciato per il troppo attrito tra loro, e tenerlo con sé la maggior parte del tempo possibile, perché sapeva che loro due ne avessero davvero poco; da un’altra parte ancora, voleva urlargli contro, sfogarsi con lui, in un certo senso fargliela pagare, per il modo in cui l’aveva fatto soffrire, il modo in cui era mancato nella sua vita, così bruscamente e dolorosamente, tanto da farlo star male.
Perché era tornato?
Come aveva fatto a tornare?
Perché lo illudeva ancora? Non poteva essere possibile che fosse tornato, non l’avrebbe mai sperato, eppure era lì, di fronte a lui.
Che gli angeli avessero ascoltato le sue preghiere?
Era sul serio lui, perché improvvisamente si era sentito rilassato, quasi felice, libero da tutto ciò che lo aveva tormentato in quei lunghissimi sei mesi, leggero, come si era sentito solo al fianco di Castiel, nei mesi trascorsi con lui. Avvertiva una scarica di pace interiore che in tanti anni non aveva mai provato, ma che aveva iniziato a provare quando il moro dagli occhi azzurri era entrato a far parte della sua vita, e aveva smesso di provare quando l’angelo era volato via, dicendogli addio.
L’avvertiva nuovamente, e non sapeva se esserne felice, o no.
Temeva che da un momento all’altro, Castiel volasse via, lasciandolo nuovamente perso nei suoi sensi di colpa, nel suo auto-commiserarsi, solo con i suoi peccati.
Chiuse per un attimo gli occhi, convinto che fosse un’allucinazione, ma quando li riaprì Castiel era ancora di fronte a lui, gli occhi ancora sgranati, di un blu indecifrabile. Le parole che non riusciva a dire erano imprigionate nella sua gola, come quelle che avrebbe voluto dire Castiel, ma nessuno dei due parlava, i loro occhi continuavano a scrutarsi e a studiarsi, come se fosse stata la prima volta che si vedevano, il loro contatto visivo era indistruttibile, inscindibile, nemmeno il rumore, prodotto dal minore dei Winchester con la tastiera del laptop, riusciva a distoglierli dal loro studiarsi reciproco. Erano totalmente persi l’uno negli occhi dell’altro, era come se in quel momento esistessero solo loro, come se il mondo circostante fosse svanito, loro due fossero un unico centro di gravità, e tutte le sensazioni più contrarie fossero attratte su di loro.
Il cacciatore sentiva la bocca e la gola secche, oltre a non avere per nulla fiato nei polmoni, la mente era totalmente vuota, nemmeno Castiel parlava o muoveva un muscolo, tant’era intenso quell’attimo; e intanto il tempo passava incessantemente intorno a loro, nonostante sembrasse essersi fermato nel momento in cui gli occhi verdi del cacciatore e quelli blu del’angelo si erano incontrati.
Dean era totalmente perso negli occhi di Castiel, che gli parevano ancor più belli di quanto non li ricordasse, mentre Castiel era incantato dalla bellezza del cacciatore, gli sembrava ancora più bello di quando lo aveva lasciato, era come vederlo per la prima volta, e innamorarsi ancora di lui, che di fronte a lui, quasi boccheggiava nel guardarlo, sorpreso dalla sua presenza. Castiel sapeva di sorprenderlo, sapeva che Dean, pessimista com’era, non si sarebbe mai aspettato di rivederlo, d’altra parte anche lui era convinto che, dato ciò che Gabriel gli aveva detto, l’avrebbe mai rivisto, invece gli arcangeli erano stati magnanimi con lui, e sotto la pressione di Gabriel avevano accettato di rimandarlo sulla terra, lasciandolo senza poteri, liberandolo dal limbo in cui era rinchiuso: voglio rivederti solo quando sarai vecchio e avrai vissuto la tua vita con quel Winchester, Castiel – aveva ordinato perentorio l’amico, prima di farlo tornare a vivere una vita davvero desiderata sulla terra.
E ora, Castiel, tornando, aveva lasciato Dean Winchester, che aveva la risposta per tutto, senza parole.
Quale essere vivente prima di lui era riuscito in tale impresa? Gli veniva da ridere in quel momento, ma comunque non riusciva a farlo, perché ogni sua facoltà mentale e fisica era impedita dall’effetto di Dean su di lui, il cacciatore non era l’unico ad esser rimasto folgorato e senza parole alla vista dell’altro, anche l’angelo non sapeva esattamente cosa dire o fare in quel momento.
In verità, nessuno dei due sapeva cosa fare in quel momento, tuttavia Castiel che aveva appena finito di scontare la sua pena di vent’anni angelici – sei mesi umani – rinchiuso in quel limbo, dov’era rimasto solo con i propri pensieri, era desideroso di tornare alla sua vita da umano, quella che in quei pochi mesi vissuti, lo aveva fatto sentire più vivo di quanto non lo avessero fatto mille anni da immortale in paradiso.
Era di nuovo umano, per il cacciatore aveva rinunciato di nuovo alla sua grazia, e quindi alle sue ali, ma non importava perché, in fondo, sapeva di non aver bisogno delle ali per volare; aveva bisogno solo dell’amore di Dean. Non importava che avesse perso di nuovo tutto, per passare la sua vita con lui, avrebbe fatto di tutto, ma sapeva che nel rivedere Dean, sarebbe rimasto senza parole, per questo aveva scritto su una pergamena presa in prestito dal paradiso ciò che avrebbe voluto dirgli, e in un attimo di lucidità, riuscì a tirarla fuori da sotto al braccio, e metterlo davanti allo sguardo del cacciatore.
Dean gli aveva dimostrato amore in tutti i modi, aveva mostrato di tenerci a lui più di altri, più di quanto non fosse possibile dimostrare per gli umani, perché si era sacrificato andando all’inferno per lui, senza chiedere in cambio, nient’altro che la sicurezza dell’angelo, e la sua incolumità. Castiel per ringraziarlo aveva fatto tutto ciò che era in suo potere, lo aveva tirato fuori dall’inferno, e poi aveva rinunciato a tutto per lui, era diventato umano. Se non era una dimostrazione d’amore quella, allora, cosa poteva esserlo? Tuttavia aveva promesso a se stesso di realizzare ciò che il cacciatore gli aveva fatto capire indirettamente con i suoi gesti, di non andare mai via da lui, e lo avrebbe fatto, non sarebbe mai andato via da lui, mai più. E sperava con quelle parole di fargli capire tutto ciò che gli passasse per la mente, sperava che capisse, perché lui a parole non avrebbe concluso nulla, non ci sarebbe riuscito semplicemente perché in presenza di Dean, gli mancavano fiato e parole, come in quel momento.
«I'm no angel, I'm just me,
but I will love you endlessly».
Dean spalancò ancor di più gli occhi, stupito. Cosa significava quella frase, per giunta di una canzone sdolcinata, per niente nelle sue corde? La sua mente era confusa, non sapeva cosa fare, cosa dire. Sentiva la gola sempre più secca, e più passavano i secondi e i minuti, più le parole mancavano, e non sapeva cosa fare, non si aspettava che lui tornasse, se n’era fatto una ragione, invece eccolo lì davanti a lui, in tutto il suo splendore e la sua ingenuità.
«Wings aren’t what you need,
You need me» si ritrovò a dire in risposta Dean, ricordando stranamente i versi di quella canzone, che forse aveva ascoltato al massimo un paio di volte – solo e rigorosamente quando a guidare era Sam – ma in quel momento parve l’unica cosa essenziale da dire.
E ora? – pensò il cacciatore, quando tra loro crollò nuovamente il silenzio, quando sentì lo sguardo di Castiel bruciare sulla pelle, Quello sguardo era in grado di farlo sentire inadeguato e in soggezione, ma anche in pace.
Perché dannazione sentiva così tante cose differenti le une dalle altre?
Perché non riusciva a provare qualcosa di coerente?
Mi sto comportando come una ragazzina, non è da me. E poi una canzone romantica? Sul serio? – troppi pensieri affollarono la sua mente, mentre Castiel continuava a scrutarlo con ammirazione, attenzione, adorazione. Quegli occhi erano fin troppo blu e reali per essere una delle sue allucinazioni. Lui era lì, e Dean sperava solo che non andasse mai più via.   
«Ciao, Dean» disse Castiel, dopo quelli che parvero secoli d’attesa, rompendo definitivamente il ghiaccio tra loro due. Qualcuno doveva pur iniziare una conversazione tra di loro, no? Il cuore palpitava nel suo cuore in attesa di una risposta da parte del cacciatore, che ancora boccheggiava, in cerca di parole e fiato, il quale deglutì non appena udì la voce del moro, che ora sorrideva e «mi sei mancato» diceva, sorridendo.
Dean parve risvegliarsi da un profondo stato di trance, e fece quel passo mancante che lo separava dall’angelo e contrariamente a ciò che gli suggeriva di fare il suo cervello in quel momento – prenderlo a calci e pugni, perché dannazione se era stato male senza di lui, e si presentava lì con una canzone smielata e un mi sei mancato – seguì il suo cuore, e lo abbracciò, avvolgendolo tra le sue braccia, e facendo congiungere i loro petti, sentendolo finalmente vicino a lui, sentendolo di nuovo suo, sentendosi di nuovo felice, davvero felice e in pace con se stesso. Appena realizzato che fosse lui, che fosse tornato, i suoi pensieri negativi, i suoi sensi di colpa erano scivolati via, con la stessa rapidità con cui si erano abbattuti su di lui sei mesi prima quando Cas era sparito. Se prima c’erano il vuoto e il dolore in Dean, ora era pervaso da pienezza e pace. L’angelo lasciò le braccia tese lungo i fianchi, mentre Dean avvolgeva il suo collo, lo stringeva possessivamente e avvicinava anche le loro fronti, guardando finalmente quei due occhioni blu da vicino, sentendolo vicino a sé, sentendo che ogni pezzo tornava al proprio posto, dopo essere stato lungamente desiderato e atteso.
Occhi dentro occhi, cuore contro cuore, e un mix di sensazioni contrastanti che si abbattevano su di loro, facendoli sentire stranamente bene, ma anche vulnerabili, era così che Dean si sentiva di fronte all’angelo, ed era così che quest’ultimo si sentiva con il cacciatore. Erano due metà che si completavano, come i pezzi di un puzzle, le cui estremità combaciavano alla perfezione tra di loro, senza lasciare margini di sbaglio, o di imperfezioni. Erano perfetti l’uno per l’altro, e finalmente, dopo tanto dolore e tanta sofferenza lo avevano capito. Ed erano lì, l’uno di fronte all’altro, in attesa.
«Tu, stupido figlio di puttana» mormorò troppo vicino alle sue labbra, sentendo il suo fiato scontrarsi con il proprio, in una danza singolare e particolare, che culminava sul viso dell’altro «non permetterti mai più di sacrificare la tua vita per me, o ti uccido io».
Lentamente, Castiel, lasciando cadere la pergamena sulla moquette scura del motel, sollevò le braccia, intrecciando le mani nei capelli fini di Dean, avvicinando il volto del cacciatore al proprio, stufo di attendere così a lungo il suo tanto agognato bacio di bentornato. Il cacciatore la stava tirando troppo per le lunghe e non andava bene, Castiel era impaziente.
«Sta’ zitto e baciami, Winchester» sussurrò l’angelo, appoggiando bramosamente le sue labbra contro quelle del cacciatore, assaporando di nuovo, dopo tanto tempo, il suo sapore. Dean non se lo fece ripetere due volte, e approfondì quel contatto con l’angelo a lungo, perdendosi anche nelle sue soffici labbra, fin troppo desiderate in quei mesi. Dean non sapeva spiegare come si sentisse in quel momento, ma sentiva che finalmente tutti gli sforzi che aveva fatto per far andare bene qualcosa, fossero serviti a qualcosa, perché Castiel stava bene, era di nuovo tra le sue braccia, e a quanto pareva era umano, definitivamente, e tutti i pezzi tornavano al loro posto. Poteva chiedere di meglio?
Proprio no. Castiel era lì, tra le sue braccia, tutto andava bene. Il bacio divenne man mano più bisognoso, e necessitato da ambo le parti, perché le mani di Castiel esploravano fin troppo i capelli del cacciatore, e li tiravano leggermente, mentre quelle del cacciatore premevano prepotentemente e possessivamente contro i fianchi dell’angelo, come se temessero che potesse volare via, e non tornare mai più, come aveva fatto mesi addietro, lasciandolo nuovamente solo. E no, non lo avrebbe mai accettato ancora, non di nuovo.
«Non volare via» gli aveva sussurrato tra un respiro e l’altro, in quel bacio così pieno d’amore e nostalgia, dolore e gioia, malinconia e felicità, rabbia e calma, pieno di così tante sensazioni contrastanti, difficili persino da esprimere a parole. Era un bacio loro, e a modo loro erano felici, davvero felici: Dean aveva trovato il suo paradiso, ed esso non era altro che Castiel, il quale gli aveva aperto gli occhi sul mondo dell’amore, e dei sentimenti, mondo al quale Dean non si era mai approcciato nemmeno per sbaglio, e Castiel finalmente si sentiva parte di un mondo che gli piaceva, nonostante le brutture presenti anche in quello, era parte di un mondo che aveva sempre ammirato dall’alto, un mondo in cui con fatica si era ambientato, ma in cui aveva anche trovato l’amore, aveva trovato Dean. Era finalmente parte del suo mondo, e niente poteva appagarlo più di quello, né il paradiso, né la vita eterna. Era parte del mondo di Dean, ed era felice.
Quando si staccarono, entrambi avevano un ampio sorriso sul volto, e senza rendersi conto, si presero la mano l’un altro, in un muto segno di assenso, come per dire che la loro relazione era vera, da quel momento in poi lo sarebbe stata a tutti gli effetti, e in quel muto gesto si dissero tutto ciò che non erano in grado di dirsi a parole, tutti i loro sentimenti e le loro paure, tutto racchiuso in quella muta stretta di mano. Non avevano bisogno di parole per comunicare, in quel momento.
Dopo un altro fugace bacio a fiori di labbra, da parte dell’angelo, il cacciatore si voltò verso Sam, il quale solo in quel momento si era reso conto di ciò che era capitato sull’uscio di quella porta e si stava avvicinando a loro con lo sguardo allibito e felice contemporaneamente.
Dean con il sorriso di chi non sapeva assolutamente niente di quanto accaduto, da perfetto innocentino, alzò la mano che teneva stretta a quella di Castiel, sventolando le loro mani in sincrono, allegro, felice e sereno come non lo era da mesi, persino Sam era stupito di vederlo in quel modo, perché da qualche mese a quella parte, vedergli un sorriso sulle labbra era un’impresa impossibile. In quel momento era raggiante, luminoso come mai prima di quel momento, e solo uno che lo conoscesse bene come Sam poteva sostenere che Dean non fosse mai stato così felice, prima di quel momento, ma… c’era Castiel lì accanto a lui, quindi di cosa si sorprendeva il minore? Dean, sorprendendo ancora Sam, stringendo forte la mano dell’angelo, e sorridendo urlò verso il fratello:
«Sammy, Cas è tornato tra noi!» 
The end.

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Tecnicamente, la storia si sarebbe dovuta concludere con il capitolo precedente, con Cas e Dean che si dicono addio e tante lacrime di Dean, ma... oltre ad essere un inguaribile romantica (amo gli happy endings çç) ho avuto il lampo di genio per un sequel di questa storia. Quindi sì, avrete un sequel! Non so dire quando finirò di scriverlo, per ora sono solo al terzo capitolo, e shhh. Credo che in un futuro prossimo arriverà. Quindi, avendo il sequel, questa non poteva finire male, perchè sì, perchè si amano e tante cose belle... non è adorabile che Gabriel abbia permesso a Cas di tornare? Su, sotto sotto ogni personaggio di questa storia shippa Destiel, Sam è il primo per ovvi motivi. LOL 
Comunque, siamo arrivati alla fine in un modo o nell'altro. Chi detesta gli happy endings può considerare il precedente l'ultimo capitolo, e io ringrazio immensamente tutti coloro che l'hanno seguita, chi ha recensito, e chi ha seguito silenziosamente la storia, chi l'ha aggiunta alle storie preferite, chi l'ha ricordata e tutti coloro che hanno speso un click per leggerla. Davvero non so come ringraziarvi. Amo ogni singola cosa che scrivo, e ho amato questa perchè è una delle prime Destiel che ho scritto (terza credo, ma le altre due non hanno visto la luce della pubblicazione) e perchè scrivere di questi due mi rende felice, e perchè loro sono... fantastici, e tutti avrebbero bisogno di un Castiel o un Dean o un Sam. Questa era un'avventura in un fandom in cui non avevo mai pubblicato nulla, e vi sono grata per avermi accolta così. Spero di non aver deluso nessuno con questo capitolo o con la storia in generale. Spero vi sia piaciuta, e spero che in futuro leggerete altro, perchè chi mi conosce sa che di me non ci si libera facilmente, e nulla. Attendiamo tutti insieme con ansia la decima stagione di SPN, e io vi lascio con un'adorabile gif dei nostri protagonisti. 


Grazie ancora a tutti, ci rivedremo presto, ovviamente, non vi libererete di me, questa è una minaccia molto cattiva. *puppy face*. Grazie a tutti, davvero, grazie a chi c'è stato dall'inizio, a chi ha letto solo, a chiunque. Vi prenderei e vi abbraccerei tutti. Vi ringrazio calorosamente, e noi ci becchiamo prossimamente, su questi schermi. Thank you <3 
P.s la canzone che citano Cas e Dean è "Endlessly" ed è una canzone che amo, e che ci stava maledettamente bene in quel momento. Credo di aver finito, stavolta.

So, I say you: Goodbye! 
 
   
 
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