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Autore: mikyintheclouds    07/08/2014    1 recensioni
Breve riflessione post 3x06. Alex è fragile e Sean la tratta in modo freddo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexandra Udinov, Sean Pierce
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi sono sempre chiesta cosa si provasse a stare lassù, sospesi nel nulla, a giocare con delle altalene appese chissà dove o a camminare sopra a un filo, con la consapevolezza che sotto di te c’è il vuoto.
Ogni volta che andavo al circo, attendevo con ansia i trapezisti e gli equilibristi e sempre chiedevo al mio adorato padre se non avessero paura, mentre, rapita, osservavo avidamente ogni mossa, ogni salto, ogni giravolta, con l’ansia che potessero cadere da un momento all’altro, con l’adrenalina che scorreva nelle vene e il cuore che batteva impazzito nel petto.
Erano illuminati dalle luci brillanti che li rendevano leggeri, quasi inconsistenti, eterei, la musica li accompagnava armoniosa, quasi fosse stata creata apposta per loro, le voci degli spettatori li incitavano ed io ero spaventata e affascinata da quelle persone che si lanciavano senza paura, incuranti della gravità, o camminavano con quella strana asta su un filo sottile, passando sopra la mia testa, da un capo all’altro del tendone.
A volte ho pensato che la vita fosse quella, in bilico sul nulla, saltellando tra l’insicurezza.
Ho sempre creduto di essere come loro, cammino su una corda o dondolo nel vuoto e allora ripenso a quei giorni, a quando ero bambina e li guardavo con occhi innocenti e ignari e vengo presa dalla paura, dal terrore, dall’insicurezza, perché io non lo so fare, non sono come loro, non sono coraggiosa, la sbarra cade e devo mantenermi in equilibrio da sola, ma è difficile, non riesco, perdo quel secondo essenziale, la mano scivola e l’altalena si sta già allontanando.
E cado.
Così mi sono sentita in passato, ogni volta che venivo presa, venduta, usata, cadevo sempre di più, precipitavo, come Alice nella tana del Bianconiglio, sempre più lontana dalle luci rassicuranti che illuminano i circensi, accompagnata dagli “oh” spaventati del pubblico.
Ma poi ho toccato terra, mi sono rialzata, sono risalita con fatica da quella scaletta stretta e ripida e sono tornata in cima, pronta a ricominciare a camminare con la mia nuova asta, pronta a gettarmi tra le braccia sicure di chi era, come me, appeso a quelle stesse altalene.
Poi ho conosciuto due braccia più forti delle altre, con una presa sicura, calda, rassicurante, non scivolosa, mi tenevano stretta ed io volavo e roteavo tra le luci, i trapezi, le persone, la musica, ero diventata la star e sentivo il pubblico che esultava estasiato, eravamo perfetti.
Quando camminavo sul filo non ero più sola, avevo qualcuno all’altro capo che mi incitava a proseguire, che mi diceva di camminare a testa alta, con le spalle dritte, in modo tale da non cadere, in modo tale che tutti vedessero come fossi fatta, in modo tale che i nostri occhi non si staccassero mai.
Aveva tessuto con pazienza, e un pizzico d’ironia e sbruffonaggine, una rete resistente sotto di me e non avevo paura di cadere, non più. Quella rete mi avrebbe protetta, sarei rimbalzata, ma non caduta.
Poi ho rovinato tutto, ho osato un salto mai provato prima, ho provato a ballare sulla corda ed è stato troppo, ho mancato la presa delle sue braccia, i nostri occhi non erano più incollati ed ero persa, sono scivolata e ho ripreso a cadere, lentamente ma con costanza, le luci che si affievolivano, le voci del pubblico sempre più preoccupate e nel mio cuore quella stessa sensazione di vuoto, di sconforto, di nullità che avevo allora, prendeva piede, sempre più velocemente.
“Michael mi ha chiamato e sono venuto; ho fatto il mio lavoro.”
Ed eccomi a terra.
Un tonfo, un rumore sordo, il mio corpo immobile, forse mi sono rotta un polso, un braccio, qualcosa dentro di me di sicuro si è spazzato.
La gente urla, ma io non la sento.
È tornato il buio.
Non mi ricordo dove sono le scale.
Piango.
La rete aveva un buco, quello che ho creato io.
Aspetto che si allontani, scivolo contro al muro, mi abbraccio le ginocchia e lascio che le lacrime sgorghino libere.
È colpa mia, solo colpa mia.
Il muro freddo e nero della Divisione per una volta mi protegge, non permette che gli altri mi vedano, quasi vorrei inglobarmi in esso e sparire.
Tutto quello che vorrei fare è tornare lassù, sulla corda, sul trapezio, roteare, ballare, provare emozioni, vivere, ma sono troppo debole, non so cosa mi stia succedendo, ma non riesco a risalire la scala.
Potrò tornare ancora a volare?
 
 
Ciao! Fatemi sapere cosa ne pensate =)
  
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