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Autore: mairileni    08/08/2014    5 recensioni
Di certo, non è stato un bacio di quelli che subito dopo ti vien voglia di pulirti la bocca con una manica per cercare di cancellarne ogni traccia. Gerard si chiede con tranquillità se ci sia l’eventualità che sia gay. Si risponde che non lo sa, ma che normalmente, se uno non è gay e viene baciato da un altro ragazzo, allora quella cosa del pulirsi la bocca con la manica dovrebbe farla subito.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte! 


Vi ringrazio davvero tanto per le recensioni che state continuando a scrivermi e che mi incoraggiano a scrivere il più veloce possibile c:

Troverete imprecisioni e svariati strafalcioni sulla vera storia dei My Chem, come al solito, ma sapete già che molte cose sono modificate ai fini della storia.


Mille mille baci e buona lettura,



pwo_










[Quattro]










Sembra che tutte le persone della terra abbiamo deciso di trovarsi all'Orange Festival nella sera del 29 ottobre, una bolgia infernale di metallari e sciamannati — tutti in prigione e via la chiave! — accorsi lì per passare cinque giorni nel proprio ambiente naturale. Gerard non vorrebbe ammetterlo, ma pensa che questo posto è la figata più figata che ci sia, mentre col naso all'aria di appoggia all'inferriata che tiene compatta la lunga coda di persone in attesa di entrare. Frank sorride stolidamente sotto al cappuccio del suo impermeabile nero, entusiasta come non mai. È periodo di nevicate, come notifica il cumuletto di neve sulla sua testa.

- Gli altri stanno arrivando col pulmino di Jesse -, informa, le braccia conserte nel tentativo di illanguidire il freddo. 

Il loro gruppetto, per ora, è formato solo da Jesse stesso, Mikey, Gerard e Frank, quattro ragazzetti dai vent'anni ai venticinque con in faccia l'impazienza di dare inizio ai festeggiamenti. Gee è di spalle, voltato verso la strada su cui continuano a camminare tecnici e componenti del personale con piglio serio e passo affrettato. 

- Jesse, com'è che hai lasciato le chiavi tuo pulmino a quindici persone che conosci appena? -, chiede. 

- Cosa vuol dire questa domanda?

- Mah, non so, non hai paura che te lo rubino, che te lo righino?

- Capirai, mancava poco che quei due hippy mi pagassero loro, pur di rifilarmi quel cassone! Se anche si rompe non ci rimetterò un patrimonio. E poi dove pensi che possano andare, quindici ladri su un'auto a fiori? 

Gerard non risponde; gli sembra un ragionamento logico. Sbuffa una nuvoletta di vapore caldo nell'aria e la guarda dissolversi. Mikey è rimasto zitto per tutto il tempo, ha lo sguardo vacuo incollato alla macchina con cui sono arrivati lì, come se non l'avesse mai vista prima (l'auto in questione è il famoso pickup appartenente alla famiglia Way da ormai quasi tre anni). Stiamo avanzando a circa un metro al minuto, pensa, la fila di persone non è dritta, ma serpeggia formando curve profonde, e le porte saranno a un trecento metri di distanza, roba da poterci mettere una Tour Eiffel sdraiata, breve calcolo... sì, tra trecento minuti, ovvero tra cinque ore, dovremmo riuscire a entrare! ... Dio di un Dio, cinque ore? Decide che terrà gli altri all'oscuro della sua sconcertante scoperta, giusto per non scoraggiare nessuno, e torna a fissare il pick-up, muto come un pesce. Spera di aver solo calcolato l'attesa rimanente in modo pessimistico. Dio di un Dio, cinque ore.

- Non so voi, ma io ho una fame assurda - è la prima frase che viene pronunciata dopo un lungo silenzio, e per essere precisi viene pronunciata da un Jesse elevato sulle punte dei piedi nel vano tentativo di avere una visione più chiara del posto in cui si trovano (come se uno, mettendosi in punta di piedi e allungando il collo, riuscisse a buttar l'occhio tanto più in là). 

- Sono le sei del mattino, Jess -, lamenta Mikey, rompendo finalmente il suo mutismo, - come fai ad aver fame?

- Guarda che io faccio colazione cinque volte, il mattino!

- Starai scherzando!

- Assolutamente no, la colazione è un pasto molto importante.

- Sì ma uno, non cinque -, si intromette Frank, facendo ridere tutti. - E comunque ho fame anch'io.

Adocchiano un camioncino dai colori sgargianti parcheggiare proprio davanti a loro, dall'altra parte di un'aiuola che dovrebbe rallegrare il cortile di quella ex-acciaieria senza minimamente riuscirci. Dal camioncino in questione scende un uomo con le braccia nere di peli; sarà alto un metro e sessanta per cento chili, e prende ad aprire, chiudere, montare e smontare per trasformare il suo mezzo di trasporto in un chioschetto di hot dog.

I quattro raccolgono qualche soldo e Frank viene spedito in rappresentanza, il modo più semplice per comprarsi qualcosa da mettere sotto i denti senza per questo perdere un posto nella fila che è costato loro già quasi un'ora. Passa qualche secondo di silenzio, durante il quale Frank fa loro segno da lontano che il tizio davanti a lui ci sta mettendo tre ore, a scegliere il suo accidenti di hot dog. Poi Jesse tira fuori qualcosa dalla borsa: un cartoccio argentato.

- Qualcuno vuole dei biscotti? -, chiede, conviviale.

- Ma scusa, hai mandato Frank a... -, lamenta Gerard la mano tesa disordinatamente verso uno Iero sempre più esasperato dietro al lentissimo cliente che lo precede.

- Tempo che prende l'hot dog, faccio la seconda colazione della giornata! ... No?







Sono passate tre ore — gioia e giubilo — e ora sono a centoventi metri circa dalle grosse porte metalliche che li separano dall'Orange Festival. Mikey realizza con orrore che il suo calcolo era spaventosamente esatto, ne avranno ancora per almeno due ore. Jesse, comunque, ha già concluso la sua quarta colazione, leggera, sana, un triplo cheeseburger con formaggio e pancetta e maionese e carne e formaggio e carne e formaggio e carne e maionese e una foglia stenta di insalata messa lì per dare la parvenza di un briciolo di salubrità.

Per ingannare il tempo, addirittura, a un certo punto giocano a “vedo-vedo”, una disperazione unica. E comunque sta vincendo Gee, con più di venti punti all'attivo (a “vedo-vedo” Gee è proprio bravo, non c'è nulla da dire). Ora è il turno di Jesse, che invece per “vedo-vedo” è negato e che finora ha totalizzato menoquattro punti, al negativo perché si è preso delle penalità — è un gioco serio, insomma.

- Vedo-vedooo... un oggetto con le ruote...

- La macchina blu accanto al nostro pick-up -, tenta Mikey.

- No.

- La macchina gialla accanto alla macchina blu accanto al nostro pick-up -, rilancia Frank.

- No, no, no!

- La sedia a rotelle di quel signore indiano -, prova Gee.

- No -, l'invariabile risposta di Jesse. - Non avete indovinato. Non era la sedia a rotelle, era il signore indiano sopra alla sedia a rotelle! 

- Ma che cazzo dici, è una persona, non è un oggetto con le ruote! 

- Eh, solo perché vuoi vincere!

- Cinque punti di penalità a Jesse, che non ha ancora capito come si gioca -, propone Mikey.

- Giusto, ben detto!

- Cinque punti di penalità!

- Ecco! Siete delle merde!

- Ora sei a menodieci -, ricorda Gee.

- Eh no, sono a menonove!

- No, ti togliamo un altro punto perché protesti.

- Non protesto!

- Lo vedi che protesti?

- Confermo, siete delle merde!

- Menoundici per affronto ai giudici di gara!

- Non siete giudici di gara, siete delle merde! Vi siete messo d'accordo per farmi perdere, Mikey per primo!

- Menoventuno per calunnie! 

Alcuni ragazzi in fila attorno a loro hanno preso a seguire, divertiti e al contempo sollevati dalla presenza di un buon diversivo dalla loro attesa.

- Merde! Siete delle merde!

- Menosessanta per insistenza e grida moleste -, infierisce Frank.

- E va bene, rinuncio!

- Menocento per scarsa combattività!







Sono davanti alle porte di metallo e sì, sono passate poco meno di cinque ore. Gerard comincia a controllare i biglietti spasmodicamente, perché pensa se dopo tutta questa attesa ce li siamo dimenticati o li abbiamo persi. Sarebbe una tragedia, un dramma! Li trova, grazie a Dio, nella stessa tasca in cui ha controllato anche poco fa. 

- Ragazzi, ci siamo, ci siamo! -, trilla Frank.

È tutta una questione di minuti, dopodiché daranno loro il dannatissimo braccialino dell'entrata e potranno transitare liberamente dentro e fuori senza ulteriori code per l'ingresso, come già vedono fare ad alcune facce che stavano davanti a loro fino a mezz'ora fa. Gli altri, con il fantastico pulmino fiorato di Jesse, hanno parcheggiato da poco nel primo posteggio libero, lontanissimo dall'entrata. Hanno provato a inserirsi nella fila assieme a Gerard e Frank, ma hanno desistito davanti alle occhiatacce dei poveretti che assieme a loro hanno atteso per cinque ore prima di poter entrare. Ed ecco che ora sono tutti laggiù in fondo, proprio dove alle sei del mattino si trovavano Gerard, Frank, Mikey e Jesse, che nel frattempo ha concluso la sua partita a “vedo-vedo” con menocentoquarantotto punti, un record storico. Accanto alle porte li attende un omone con capelli lunghi e barba nera.

- Biglietti, prego -, intima Omone con Capelli Lunghi e Barba Nera. 

Gerd glielo porge, lancia un'occhiata divertita agli altri. L'uomo guarda appena i rettangolini di carta arancione — arancione! — e con una manata severa li spedisce all'uomo-timbrino, che piazza il simbolo del Festival sulla mano di tutti e quattro. 

Sono dentro.







Un tizio sulla cinquantina picchietta indice e medio sul microfono, mormora: “Prova, prova” e attira su di sé l'attenzione di, a occhio e croce, più di ventimila teste. Siamo al palco 1, il palco più grosso, quello delle band davvero forti, quello più affollato di tutti, e dove i ragazzi da ogni parte del New Jersey e non si sono riuniti per stare a sentire il discorso di apertura. Il tizio sulla cinquantina si schiarisce la gola, ventimila teste si zittiscono e si voltano verso lo stesso punto.

- Buonasera, gente dell'Orange!

Urli, applausi. 

- Anch'io sono contento di essere qui! Mi chiamo Earl Stevens, e...

- È il marito della gelataia! -, gridano Mikey e Gerard assieme. - È lui, è lui!

Si guadagnano occhiate confuse da Frank e Jesse e una marea di “ssshht”, con tanto di dito davanti sulle labbra, da tutti quelli intorno a loro.

- ... Ed è per questo che nonostante tutte le difficoltà che ha incontrato, anche quest'anno, il Festival Orange continua, e con la stessa grinta con cui è cominciato! In questi giorni avremo l'onore di ospitare tutte le più brave band emergenti del momento, a partire dai Portland Bridge...

Un gruppo di ragazzine che stanno da qualche parte dietro di loro improvvisa il ritornello di una canzone che Gerard non ha mai sentito prima e che dopo pochi secondi si perde in un grido entusiasta. Earl Stevens non si lascia scoraggiare, perché tutto sommato a tumulti di questo tipo dovrebbe essere abituato, e continua a parlare per poco meno di altri due minuti, un lungo elenco di band in cui i quattro, e specialmente Frank, riconoscono vecchie conoscenze dei loro lettori musicali. Venti minuti circa passano senza che succeda nient'altro di rilevante, se non una blanda rissa da qualche parte alla loro destra. Durante questo breve periodo di tempo Jesse riesce anche a scorgere gli altri, che si sbracciano per farsi vedere, trenta file dietro di loro. Si accordano a gesti: almeno fino alla prossima esibizione, nessuno si muoverà da dov'è. Earl esce di scena e lascia il microfono dietro a una quinta, le luci si abbassano.

Si inizia.







Mangiano tutti assieme in un bar a metà strada tra due tendoni per i concerti. Jesse e un certo Ray, un tizio dai capelli ricci e neri che questi ha conosciuto mentre suonavano i Portland Bridge, devono stare in piedi a causa della scarsa quantità di posti, mentre Gerard, Mikey e Frank siedono l'uno vicino all'altro. È un sollievo, per Gerd, che Mikey sia in mezzo, e per diversi motivi — tra cui l'odiosa prospettiva di dover trovare qualche argomento di conversazione con uno come Frank, che se può le conversazioni le tronca sul nascere. Poi però succede. Succede che Mikey annuncia che deve andare in bagno, davanti alla porta del quale c'è una coda di almeno una sessantina di persone, e che quindi tornerà al tavolo tra una mezz'oretta buona (se gli va bene). E succede che a Ray viene improvvisamente un gran mal di gambe, che sostiene di poter placare solamente trovando un posto a sedere, e che Frank, per fargli spazio, si appiccica a Gerard, che ora sente il braccio a contatto con il suo diventare talmente caldo che per un attimo teme che gli cadrà. Questo Ray è già partito malissimo, pensa, ma effettivamente che altro si poteva fare? Non fare spazio a un poveretto con un mal di gambe lancinante? Dargli una legnata in faccia per neutralizzarlo? Non avrebbe fatto buona impressione, ecco. E così, Gerard si ritrova con la bocca impastata di un boccone troppo grosso (per la distrazione non se n'era accorto) e con un dispensatore di baci non richiesti — attenzione, “Non richiesti” non vuole necessariamente dire: “Non apprezzati” — appiccicato al braccio, dispensatore di baci non richiesti meglio noto come Frank Iero, lo strambo con la matita attorno agli occhi. Però... nota che oggi non è truccato. Lo dice.

- Noto che oggi non sei truccato.

Si maledice per averlo detto, ma quando Frank gli chiede di ripetere lo dice di nuovo. 

- Noto che oggi non sei truccato.

- Già.

Ecco. Fine della conversazione. Il bello è che non è che Frank gli risponda in modo antipatico, o male, il bello è che Frank gli risponde e basta — “Bella giornata, eh?”, “Già”, “Come stai, oggi?”, “Bene”, “Ti ricordi di quando...?”, “No”. Gli risponde e poi sta zitto, in attesa di nuove domande o più semplicemente con un sorrisetto enigmatico che potrebbe esprimere la volontà di essere amici tanto quanto una totale indifferenza alla presenza di Gerard. Forse alla festa di Clawson era ubriaco. Forse non voleva nemmeno baciarlo in bocca, magari puntava all'orecchio e aveva sbagliato mira. Gerard si rassegna a giocherellare con il porta-tovaglioli sul tavolo, se lo rigira tra le dita con finta aria assorta. Ed è buffo che, ad un certo punto, diciamo due minuti di assoluto silenzio dopo, Frank si alzi avvisando gli altri che lui e Gerard si faranno un giro per le bancarelle presenti al festival. È buffo soprattutto perché Gerard, del fatto che ci fossero delle bancarelle e che ci sarebbe andato con Frank, non sapeva proprio nulla. Rimane zitto (non vuole grane, lui) e attende che gli eventi continuino a susseguirsi secondo il loro corso.

- Ci troviamo qui per il prossimo concerto? - chiede Jesse.

- Sì -, risponde Gerard.

- No -, risponde Frank. - Ci vediamo al tendone tre. Beh, no, ci sarà casino, quindi probabilmente no, non ci vediamo neanche per un cazzo. Facciamo che dopo il concerto ci troviamo qui al chiosco. 

- Ma cos'è che dovete comprare? 

- Nulla -, risponde Gerard.

- Un sacco di cose -, risponde Frank.

È una situazione piuttosto bizzarra. Una ragazza bionda che Gerard ricorda di aver visto qualche volta da Starbucks e che fa parte del gruppo di invitati di Frank fa per mettersi in spalla lo zainetto.

- Anch'io vorrei fare un giro per le bancarelle -, dice, - posso venire con voi?

- Assolutamente sì -, risponde Gerard.

- Assolutamente no -, risponde Frank. La ragazza torna a sedere con aria stupita, ma il resto del gruppo sembra non aver notato quest'ultimo scambio, e ignora la cosa. 

- E ora con permesso -, conclude Frank con un inchinetto scemo. - Noi andiamo a far compere.







- Che cosa devi comprare? -, chiede Gerard cercando di stare dietro all'altro, che si muove a passo spedito nella calca immane dell'Orange Festival. 

- Io nulla, tu? 

Gee pensa che Frank debba davvero fare pace col cervello. A parte che il prossimo concerto a cui vogliono andare inizierà tra quasi due ore, perché nel frattempo si esibiranno band che non interessano a nessuno dei due, quindi, in qualche modo, quelle due ore devono farle passare. E poi, se proprio voleva compagnia, Frank poteva evitare quella di uno come lui, che non è in grado nemmeno di sostenere una conversazione. Viene urtato da un ragazzino ubriaco che canta disordinatamente una strofa dei Ramones e in un attimo perde completamente di vista Iero, che come se non bastasse è pure bassissimo, e nella folla sparisce in men che non si dica. Si guarda intorno, spaesato, cercando l'identificativo ciuffetto nero del suo... amico? No, non amico. Sì... no, no. Sì. No. Boh. Forse. 

Per quanto si sforzi, Gerard non riesce a trovarlo, e si chiede quand'è che anche Frank noterà di star camminando da solo. Dato che non si stavano parlando, né Frank si girava mai per controllare di essere ancora seguito, Gerard suppone che probabilmente l'altro non si è nemmeno accorto di averlo perso per strada. 

- Gee.

Per prima cosa vede una mano, e solo dopo segue il corso del braccio e vede anche la testa.

- Frank. 

E poi, per la prima volta, o almeno per la prima volta genuinamente, Frank gli sorride, ma non di un sorriso indecifrabile, più di un sorriso che sembra dire...

- Prendimi questa cazzo di mano e muoviti.

... Sì, più o meno. Gerard se l'era immaginata un po' diversa, ma anche così può andare, non c'è nessun problema. Obbedisce, avvolge le dita attorno alla manina bianca e gelida di Frank e si lascia trascinare fino a un cancello su cui è affisso un cartello che reca la scritta: “VIETATO ENTRARE”.

Frank entra; tiene stretta la mano di Gerard, talmente forte che questi non potrebbe evitare di seguirlo nemmeno se ci provasse. 

- Dove stiamo andando, Frank?

- ...

- Frank?

Ecco! Ecco, ora mia ammazza!, pensa già, sulla fiducia, mentre con gli occhi cerca di registrare tutte le possibili vie di fuga dalla stradina cementata in cui Frank lo sta portando. Per ora, tuttavia, se venisse ammazzato ci sarebbero dei testimoni, tipo quella ragazza laggiù, quella con la gonnellina scozzese. Si trovano nella lingua di strada che separa un edificio dall'altro. L'ex-acciaieria in cui si svolge l'Orange è un grosso complesso industriale, ed è normale che, anche per un evento musicale importante come quello, alcuni blocchi non vengano utilizzati, vuoi perché non servono, vuoi perché sono poco sicuri o troppo bui. Fatto sta che c'era scritto: “VIETATO ENTRARE” e Frank è passato lo stesso, tranquillamente e senza indugiare nemmeno per un attimo. Svoltano più volte, se vogliamo essere precisi due volte a sinistra, una a destra due a sinistra e un'altra a destra, finché si trovano davanti a un grosso blocco di cemento dalla porta metallica. Sull'insegna è scritto: “Club 24”. Ci sono soltanto due gruppetti di persone, nei dintorni, nulla a che vedere con la bolgia dei tendoni principali.

- E questo posto che cos'è? -, chiede Gerard.

- Birra.

- Questo posto è birra

- No, in questo posto c'è birra.

- La birra c'era anche al chiosco, Iero.

- Ma al chiosco c'erano anche delle persone che conosciamo e con cui siamo più o meno in confidenza, Way.

- Io li chiamo “amici”.

- E io li chiamo “persone che conosciamo e con cui siamo più o meno in confidenza”.

- ...

- ...

- E allora?

- E allora beviamo.

- Ma io non voglio bere! -, esclama Gerard, e fa per girare i tacchi. Frank gli posa una mano sulla spalla, che da sola non fermerebbe nemmeno un bebè, ma che a lui basta per darsi una calmata. Sarebbe meglio che non bevessi, pensa, tornando a inchiodare i propri occhi in quelli di Frank. Lo dice.

- Sarebbe meglio che non bevessi.

- Dov'è il mio regalo di compleanno? -, chiede allora Frank, cogliendolo completamente alla sprovvista.

È una domanda piuttosto maleducata, se vogliamo analizzarla bene. Un festeggiato non dovrebbe ma propinare una domanda simile a un suo invitato. Non si fa. No, non si fa! 

- Come sarebbe a dire: “Dov'è il mio regalo”? -, ritorce Gerard cercando di assumere sicurezza nella voce. - Il tuo regalo te lo darò dopodomani, nel giorno del tuo compleanno!

Frank non fa una piega.

Ma dove vuole arrivare?

- Non ti credo.

- Che cosa?! 

Questa esclamazione non doveva uscirgli così stridula, davvero. Ma ora Gerard è più spaesato dell'idea platonica di atopia, non sa nemmeno se deve sorridere e assecondare oppure inarcare le sopracciglia e opporsi. Nel dubbio, continua a mantenere il suo fiero tono stridulo.

- Come sarebbe a dire che non mi credi, Frank? Ce l'ho davvero, il tuo regalo, è in macchina!

- No, non hai nessun regalo.

- Ma che cosa dici, sì, invece!

- No, invece.

- Perché non dovresti credermi quando ti dico che il tuo cazzo di regalo di compleanno è nella macchina?!

Gee gesticola come un matto, Frank si mette a braccia conserte e assume un'aria supponente e anche vagamente divertita insieme.

- Non ti credo.

- E allora cosa vuoi che faccia, perché tu mi creda? Vuoi che ti dica già che regalo è?

- No. Voglio che tu mi fai la garanzia. Il regalo devi farmelo ora.

- Ma non ho soldi.

- Ce li ho io.

- Vuoi che ti compri un regalo con i tuoi soldi? Dio santo, Frank, spiegati!

- Non hai capito un cazzo, Gee. Il regalo fammelo ora: stai con me in questo bar. E bevi.

Gerard alza gli occhi al cielo, si guarda intorno nell'assurda speranza di trovare qualcuno che lo aiuti. Niente, niente, niente. E soprattutto nessuno. Non capisce perché Frank abbia tutta questa urgenza di trovarsi un compagno di bevute. Iero, dal canto suo, non ha staccato gli occhi da lui nemmeno per un attimo, in attesa di una risposta che già conosce. 

- E va bene -, capitola Gerard. - Ma sia chiaro: se pensi che mi ubriacherò, ti sbagli di grosso.







Gerard è ubriaco. Non ubriaco normale, eh, proprio fradicio. Gli occhi lucidi, segue con devozione un racconto di Frank, ubriaco anche lui, mentre dall'altra parte del complesso industriale il loro gruppo di amici salta al ritmo dell'ultima canzone dei Seventh Rose, il concerto che avrebbero dovuto vedere tutti assieme. Poi, però, il palco del Club 24 si riempie di passi. Un'altra band è pronta a suonare, nonostante gli spazi ridottissimi. All'Orange Festival è quasi impossibile entrare in un locale senza imbattersi in un gruppo di alternativi emergenti! I quattro ragazzini emo che calcano la scena si presentano brevemente come i Black Owls, e poi il pub è subito avvolto da un riff di chitarra graffiante, lento e ansimante. Roba da gettarsi a terra e darsi all'autoerotismo. 

- Sono forti! -, grida Gerard a vuoto, mentre già alcuni ragazzi formano un piccolo grappolo di spettatori sotto al palco. I Black Owls sono la classica band senza esperienza, ma che suona di pancia, e con talmente tanto entusiasmo da potersi permettere di imbroccare una nota su cinque. 

- Vieni -, gli urla Frank.

Gli afferra un braccio, corre in direzione del palco senza preoccuparsi del fatto che né lui né Gerard siano in grado di mettere un passo dietro l'altro senza cadere, sopraffatti dall'alcol. Sono praticamente in braccio ai Black Owl, che si trovano a tre, forse due metri da loro. Sono forti, sì. Sono dannatamente forti. Gerard e Frank ridono senza nessun motivo a giustificarli, e ballano. Ballano tanto, uno di fronte all'altro, finché una ragazza con il trucco gotico e i codini alti da bambolina spinge Frank per avvicinarsi al cantante che sta sul palco; e allora Frank sbatte contro qualcosa di molto morbido e profumato, che poi è il collo di Gerard, e Gerard sente sbattergli contro qualcosa di duro e nient'altro, che poi è il cavallo dei pantaloni di Frank. È una cosa che Gerard stesso registra con distrazione, obnubilato dalla birra e da qualsiasi cosa fossero quegli altri drink che Frank mi ha rifilato con un sorriso da orecchio a orecchio. Gerard, comunque, ha già deciso che prima di togliersi Frank di dosso lascerà passare ancora un pochino.

- Iero, ti è forse venuto dritto?

Non gli veniva in mente nulla di più elegante. Gli è rivolto dall'altro un ghigno malizioso e indecentemente stupido, che sa di birra, sonno e ancora birra. Frank avvicina le labbra al suo orecchio, e da come mormora si capisce che sta ancora sorridendo.

- Sì. È un problema, Way? 

Dio santo, pensa Gerard. Roba da gettarsi a terra e darsi all'autoerotismo.









   
 
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