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Autore: MartyJane1775    09/08/2014    3 recensioni
In cui Dean scopre che i poteri della sua mente penetrante (...più o meno...) vengono rallentati dall'alcool.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La luce che filtrava dalle finestre aperte lo risvegliò lentamente.
Dean Winchester mormorò un’imprecazione e si girò dall’altra parte, sottraendosi al sole che andava cancellando gli ultimi sprazzi del miglior sogno di sempre.
Ormai sveglio, gli occhi ostinatamente chiusi, lo rivide in un veloce replay: dita sottili infilate nella cintola dei suoi pantaloni, che lo tiravano verso un altro corpo; un fruscio di jeans contro pantaloni di cotone; le labbra di Castiel, morbide, lisce, ghiotte come ciliegie e più dolci perché inaspettate. Le sue mani che avevano preso il comando di azioni che Dean aveva agognato e progettato a lungo. La pelle innaturalmente fredda di Castiel, ancor più a contrasto con la sua, che scottava come fosse febbricitante, e in un certo senso lo era: era malato del corpo dell’angelo che stava esplorando.
Dean aprì gli occhi. Non aveva mai fatto un sogno così vivido. Il suo corpo aveva registrato ogni sensazione con dolorosa precisione.
«oh! …be’.» furono le sue prime parole quella mattina, borbottate ancora nella confusione del sonno, benché divertite, quando lanciò uno sguardo alla metà inferiore del suo corpo.
Con un ultimo, malinconico sguardo all’interno della propria testa ai sospiri affannosi di Castiel, che avevano preso lo stesso ritmo dei suoi, Dean decide di alzarsi e andare in bagno prima di far colazione.
«whoa!» grugnì muovendosi. Certo che la sua mente si era data da fare quella notte, in tutti i sensi: i muscoli avevano ruggito in un coro uniforme quando si era mosso. Dean ghignò, sempre più divertito.
Nemmeno vi avessi usato davvero, pensò mentre la porta del bagno si chiudeva con un clic.
Durante la doccia, l’acutezza del mal di testa e il vago senso di nausea lo riportarono alla realtà (una vera doccia fredda, ah-ah Dean, dovresti fare il comico).
Non era certo la prima volta che da ubriaco sognava Cas, e aveva smesso da un pezzo di sentirsene imbarazzato o scioccato o qualsiasi altra cosa.
Sicuro, la prima volta, quando si era svegliato il mattino dopo, aveva provato tutte le sfumature di shock prima, imbarazzo poi, e disgusto per sé stesso infine che era possibile provare.
Ma piano piano, gradualmente, si era reso conto che i suoi sogni non erano soltanto “fantasie”, in ogni possibile accezione del termine: quello che provava per Cas era Amore.
Era stato così complicato accettarlo, e proprio per questo alla fine così semplice.
Aveva provato a declassarlo ad amore fraterno, come quello per Sam, ma non gli ci era voluto molto per ammettere a sé stesso che su Sam non faceva quel tipo di sogni. (Ugh. Quello sì che sarebbe stato strano.)
Un brivido gli attraversò il collo, le spalle, la schiena, mentre l’acqua scorreva e un altro flash (stavolta non richiesto, perché diamine stava cercando di rilassarsi) si fece strada dietro le sue palpebre: il petto di Castiel, che Dean aveva guardato con sorpresa. Anzi, forse sarebbe stato più corretto dire “fissato”, e senza un’ombra di vergogna.
Per qualche motivo, l’aveva sempre immaginato glabro e scultoreo. Castiel era un angelo, dopotutto. Creatura soprannaturale e tutto il resto. Invece si era trovato a cercare di fotografare con la maggior dovizia di dettagli possibile e a catalogare tra i propri ricordi pettorali soffici, scuri peli riccioluti, e persino un accenno di pancetta.
«Il mio tramite è umano, Dean.» La voce di Cas gli carezzò le orecchie, e Dean si incrinò internamente nel rivedere il sorrisetto divertito sul volto dell’angelo, nel risentire la malizia del suo tono.
Va bene amico, se la metti così mi rifiuto di collaborare, gli lanciò un chiaro segnale il suo… ehm, John Doe.
Anche se aveva già passato troppo tempo sotto la doccia, con un sospiro decise di venire a patti con Mr Doe, e gli concesse per qualche minuto uno spazio tra i propri pensieri.
***
Non che avesse mai provato a dirlo, a Castiel. (Ugh. Quello sarebbe stato ancora più strano. “Ehy Cas, potresti fare un salto qui? Quel figlio di puttana di Crowley è sparito quando avevamo bisogno di lui e oh, a proposito, faccio sogni erotici su di te perché sono innamorato di te. Ti ricordi di prendere il sale grosso? Qui al bunker è quasi finito.)
Un asciugamano avvolto intorno ai fianchi e un altro a frizionarsi i capelli, Dean uscì dal bagno concludendo quel flusso di coscienza, e scoprì con una certa sorpresa che sul suo comodino era comparso un bicchiere di spremuta d’arancia. Sebbene perplesso, lo svuotò in due sorsi, gustando appieno il sollievo che il sapore fresco e aspro al punto giusto davano all’arsura e la nausea post sbornia.
«Sam…?» chiamò, uscendo dalla sua stanza del bunker e dirigendosi verso la cucina, bicchiere in mano.
«È andato a correre. Ha detto che torna oggi pomeriggio.»
Dean si pietrificò. Il bicchiere gli scivolò di mano, ma lui era troppo scioccato per sentirlo infrangersi sul pavimento.
Era Castiel.
Castiel davanti all’angolo cottura, padelle sfrigolanti alle sue spalle, in gloriosi boxer (non il tipo aderente, ma quelli a calzoncino largo, che gli abbracciavano i fianchi in un modo sicuramente illegale) e gli inequivocabili capelli di chi ha passato la notte insonne, e non a rigirarsi tra le lenzuola (perlomeno, non da solo).
Dean era sveglio ormai, ne era certo, ma con il mal di testa che lo martellava alle tempie non osava processare in un insieme coerente le immagini che aveva rivissuto sotto la doccia e quella che si trovava davanti ora.
«Ho fatto la colazione.» annunciò l’angelo, piuttosto orgoglioso di sé stesso. Era così rilassato, così oltre ogni difesa, ogni scudo, da non sembrare lui. Gli occhi azzurri e i capelli nocciola erano i suoi, e anche la sua voce e i suoi gesti e quel tocco perenne di barba di un giorno, ma aveva qualcosa di nuovo, che Dean non aveva mai visto.
Impiegò qualche minuto a capirlo: non c’erano rughe d’espressione sulla sua fronte o agli angoli degli occhi, che si formavano quando aveva la fronte aggrottata. Vale a dire: il suo ciglio abituale.
Invece ora Cas lo guardava rilassato, e gli sorrideva con un affetto che aveva visto solo raramente rivolgergli, in momenti che (non l’avrebbe mai ammesso) aveva conservato in profondità dentro di sé, lontani dagli occhi di chiunque, persino dai suoi.
Dean prese in considerazione varie ipotesi:
-Il bunker era blindato e a prova di soprannaturale. Quindi niente demoni, mutaforma o cose del genere.
-Era sveglio. Decisamente. Quindi niente sogno persistente.
-Non ricordava di essere morto, stavolta. Però, a questo punto…
«Dean, stai bene?» chiese Castiel, il suo sguardo si scurì istantaneamente, le rughe sulla fronte ricomparvero. Dal suo punto di vista, Dean lo stava fissando impietrito, e Cas non riusciva a capire.
«Questa è la mia versione del Paradiso?» blaterò Dean, inconsequenziale.
Castiel scosse la testa, serio.
«Ne sarei lusingato, ma lo credo improbabile. Non c’è Sam.» spiegò.
Dean si lasciò cadere su una delle sedie intorno al lungo tavolo.
Castiel lo seguì con uno sguardo che si faceva sempre più interrogativo.
«Non capisco, Dean.» disse poi.
Nemmeno io, pensò l’altro.
«Sei… infelice?» chiese l’angelo, titubante, incerto, e il suo sguardo si scurì ancora un po’. La sua mascella si contrasse. Era come se ad ogni frase lo sconosciuto nel corpo di Castiel stesse cedendo di nuovo terreno a Castiel.
Dean lo guardò (come se non l’avesse fatto già abbastanza a lungo), poi si voltò verso il corridoio, nella generale direzione della propria camera.
«Cas…» esordì infine, suonando tanto incerto quanto l’altro poco prima. «Noi… per caso… stanotte…» iniziò a borbottare, un po’ a caso, incapace di finire di pensare la frase, figurarsi dirla.
Castiel piegò la testa di lato, guardandolo dritto negli occhi e leggendolo senza esitazione, come se fosse il suo libro preferito. Un’epifania calò su di lui.
«Non ti ricordi.»
constatò, e per Dean fu abbastanza.
«Abbiamo fatto sesso.» Poetico, romantico Dean.
«Sì.» ribatté Castiel, senza battere ciglio.
«Non era un sogno.» continuò il primo.
«Direi di no.» concesse l’altro, e sorrise di nuovo.
«Non sorridere. Mi spaventi.» bofonchiò Dean.
Castiel roteò gli occhi.
«Quando sei diventato così umano?» lo incalzò Dean. Sì, era bello vederlo così, ma dannazione se era inquietante.
«Tecnicamente? Direi tra le due e le tre di stanotte.» rispose Castiel, dopo averci pensato un momento.
«osservarti durante l’atto è stato molto… istruttivo.» spiegò poi, e il sorriso sulle sue labbra si fece decisamente malizioso.
E fu in quel momento che Dean si arrese. Il ghigno che si aprì sul suo viso era una delle cose più scandalose che Castiel avesse mai visto e sperimentato.
«Oh, Cas, hai tante di quelle cose da raccontarmi…» disse infine Dean, l’espressione compiaciuta e… irresistibile. L’angelo si alzò dalla sedia con lentezza studiata e gli restituì lo sguardo.
«Magari più tardi...»
  
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