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Autore: Sissi Bennett    09/08/2014    6 recensioni
Bonnie McCullough ha diciassette anni, i capelli rosso fuoco, il viso a forma di cuore ed è sempre stata considerata da tutti la classica ragazza dalla porta accanto. Circondata da amiche più popolari e speciali di lei, non si è mai distinta tra la folla e nemmeno ha mai desiderato farlo. La sua esistenza in fondo è tranquilla e ha tutto quello che una ragazza possa desiderare, compreso un migliore amico premuroso, affettuoso e piuttosto figo: Stefan Salvatore. Tanto è legata a quest’ultimo quanto non sopporta il fratello, Damon. I due Salvatore hanno sempre avuto degli attriti, ma ultimamente le cose si sono fatte più tese: Stefan è riuscito a conquistare il cuore della bella Elena, la giovane per cui Damon ha sempre avuto un debole. Ma cosa succederebbe se la gemella di Elena, Katherine, ricomparisse a Fell’s Church dopo anni trascorsi a Parigi?
E se Bonnie, dopo un’estate in Spagna, tornasse più matura, più bella, più affascinante, insomma più donna e iniziasse ad attirare gli sguardi dei ragazzi? Damon continuerebbe a considerarla solo come la migliore amica di suo fratello o cercherebbe di aggiungere il suo nome alla sua già lunghissima lista di ragazze con cui è stato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Katherine | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore, Elena Gilbert/Stefan Salvatore
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Crazy Little Thing Called Love

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Capitolo ventotto: Eventually

 

Mamma mia, here I go again
My my, how can I resist you?
Mamma mia, does it show again
My my, just how much I've missed you?
Yes, I've been brokenhearted
Blue since the day we parted
Why, why did I ever let you go?
Mamma mia, now I really know
My my, I could never let you go”

(Mamma mia- ABBA).

 

Londra era molto più incasinata di Fell’s Church. E molto più fredda.

I primi giorni non erano stati affatto facili. Ci avevo messo un po’ ad ambientarmi.

Avevo richiesto una camera singola al campus e questo non mi aveva facilitato a stringere amicizia. Erano tutti talmente presi dal trasloco e dall’inizio delle lezioni che ogni contatto si limitava a qualche chiacchiera di cortesia.

Avevo scoperto un delizioso caffè italiano in un vicolo vicino al college. Ogni mattina prendevo il mio cappuccino e mi dirigevo verso la fermata della metropolitana.

Dopo una settimana a girare nei parchi e nei musei, mi ero finalmente decisa a immergermi nella vita universitaria.

Lentamente avevo cominciato a conoscere gente, a integrarmi: mi orientavo per la città, avevo capito come funzionavano tutti i servizi della mia università e i miei compagni mi salutavano e riconoscevano quando entravo in classe.

Avevamo formato un piccolo gruppetto. Gli inizi erano stati molto formali, ma avevamo iniziato a entrare in fretta in coincidenza.

Eravamo tutti ragazzi lontani da casa, pronti a cominciare una nuova fase della nostra vita. Ci sentivamo accomunati da quel senso di novità e smarrimento.

Oltre a quella strana combriccola, avevo legato particolarmente con un’altra ragazza. Londinese doc, bionda, alta, con gli occhi azzurri. Tosta e impertinente, molto altezzosa. Non ero riuscita a capire chi mi ricordasse fino a che non avevo scoperto il suo cognome.

Rebekah Mikealson era la degna sorella di Klaus.

Emanava un incredibile fascino alimentato dalla sua ambizione. Una persona così si sarebbe mangiata Katherine in un boccone se l’avesse incontrata.

Rebekah era l’unica che riusciva un po’ a colmare il vuoto lasciato dalla mie amiche. Sapevo che prima o poi sarebbe passato ma non potevo fare a meno di sentire la mancanza di Elena, Caroline e Meredith. E naturalmente di Stefan.

Ci tenevamo in contatto praticamente ogni giorno tramite Skype. Ora condivideva con Elena un appartamento vicino all’università, quindi riuscivo a parlare spesso con entrambi.

I contatti con Meredith e Caroline erano un po’ meno frequenti, ma quando ci chiamavamo rimanevamo al computer per ore.

Tutto sommato me la stavo cavando più che bene ed ero molto fiera di me stessa. Superato lo spaesamento iniziale, ero gradualmente diventata parte di Londra.

Oltre al mio bar preferito, avevo anche un parco preferito e una libreria e un delizioso negozio vintage.

Rebekah mi aveva portato in giro per la città, mostrando le meraviglie lontane dagli occhi dei turisti. Ormai potevo dire di muovermi tra quelle vie come una vera londinese.

Avevo ancora qualche problema con l’accento, ma fortunatamente nessun inglese mi aveva ancora additata come una stupida americana.

Dopo quasi tre mesi non provavo nemmeno più tanto nostalgia di casa. Papà e Mary erano già venuti a trovarmi una volta e li avevo portati in giro come un perfetto cicerone.

Erano rimasti parecchio sorpresi dal vedermi totalmente integrata nel mio nuovo ambiente e io ero altrettanto orgogliosa e contenta: mi ero finalmente lasciata alle spalle la ragazzina impaurita e piagnucolona.

Dopo tutto quello che avevo passato lungo l’anno trascorso, quel distacco non aveva fatto altro che fortificarmi ancor di più.

Capitava spesso che io, Rebekah e Klaus uscissimo assieme e durante uno dei nostri pranzi era saltato fuori l’argomento Damon.

Klaus si era finto dispiaciuto per averlo nominato, ma era più che evidente che l’avesse fatto di proposito per sapere che cosa era successo tra noi.

Rebekah era caduta dalle nuvole, chiedendo se il Damon in questione fosse suo cugino. Mi era toccato raccontare brevemente la nostra storia e il motivo che vi aveva poso fine. Mi sentivo libera di parlare con loro perché sapevo che non mi avrebbero giudicata o compatita.

 

“Che razza di stronzo. Proprio come me lo ricordavo. Hai fatto bene, Bonnie: lascia che ti rimpianga per il resto della sua vita. E poi chi si crede di essere questa Katherine?”.

“Sempre melodrammatica, Rebekah” la rimproverò Klaus.

“Hai il coraggio di difenderlo?” s’indignò.

“È un uomo. Noi uomini facciamo cazzate, ma non siamo così cattivi come pensate. Damon piace proprio perché è una mina vagante”.

 

Ed erano andati avanti a litigare su chi avesse ragione, senza interpellarmi minimamente.

Rebekah era davvero un osso duro e si lanciò in un discorso in difesa delle donne, sostenuto da parecchie delusioni personali.

Klaus cercava di smorzare la sua carica. Un po’ perché era stato il nostro primo vero sostenitore, un po’ perché aveva capito che l’argomento mi metteva a disagio.

Non avevo più avuto notizie di Damon da quando ero partita. Stefan mi aveva solo detto che si era laureato, ma non avevo chiesto altro.

La cerimonia coincideva con l’inizio delle mie lezioni, perciò ero rimasta a Londra. Avevo pensato di scrivergli qualcosa. Alla fine tutto mi sembrava inappropriato.

Avevo lasciato passare in silenzio anche quell’evento, rassegnata ad accettare la fine della nostra storia: ero andata a Londra per staccarmi da tutto e trovare veramente la mia strada. Tagliare qualunque contatto era stata la soluzione migliore.

Rebekah aveva imparato la lezione e non aveva più fiatato su suo cugino.

Avevo scelto la facoltà di scienze della formazione e giorno dopo giorno mi accorgevo di quanto fosse giusta quella materia per me.

I miei insegnanti non erano stati molto d’aiuto durante la mia crescita. Certo, avevo tutti fatto il proprio dovere, comportandosi da perfetti educatori ma non si erano mai una volta fermati a chiedersi che cosa io avessi da dare al mondo.

Mi sarebbe piaciuto essere un giorno per dei ragazzini ciò che era mancato davvero a me: una guida.

Tanti chilometri solo per diventare un’insegnante? Chiamatemi pazza, ma ne valeva la pena.

Giorno dopo giorno mi sentivo sempre più viva. Era merito di Londra, dei suoi quartieri eleganti e di quelli underground, era l’aria che si respirava.

Aria di innovazione, aria di ambizione, aria di professionalità e bravura.

Non avevo alcun problema con il tempo. Potevo accettare la pioggia e la nebbia se in cambio ricevevo tali stimoli.

Ero lì da poco, eppure cominciavo già a valutare l’idea di traferirmi definitivamente. L’idea di  lasciare, una volta ottenuta la laurea, quella magnifica città mi stringeva il cuore.

La mia avventura che era partita, com’era prevedibile, con titubanza e malinconia, stava continuando con trepidazione e entusiasmo.

Era impressionante guardarsi indietro e vedere tutto quello che era successo in un solo anno: la mia vita si era completamente ribaltata, così come le mie convinzioni e relazioni.

Ci stavamo avvicinando a Halloween e non potevo non pensare alla festa passata, al momento in cui tutto aveva iniziato radicalmente a cambiare, a quell’incontro (meglio lo scontro) con Damon, nella mia vasca da bagno, dopo essermi persa nel bosco per colpa di Katherine.

Avevamo litigato e per la prima volta avevo sentito una scossa nel profondo, per la prima volta avevo deciso di reagire e non crogiolarmi nella mortificazione.

A così tanto tempo di distanza, mi accorgevo che quell’istante aveva segnato l’inizio della nostra connessione, volenti o meno.

Avevo chiarito le mie posizioni, lo avevo rimesso al suo posto e lui era rimasto in silenzio, impressionato e basito. E aveva iniziato a trattarmi alla pari.

Mi piaceva credere che fosse merito mio, che l’avessi finalmente convinto, o almeno incuriosito, ma non potevo mettere la mano sul fuoco. In quel periodo la bellissima scommessa era già in atto.

Una parte di me mi spingeva, mi pregava di credere alle giustificazioni di Damon, alla sua sfacciataggine quando mi aveva detto di non esserne pentito, dato che altrimenti non si sarebbe mai avvicinato a me come poi era in effetti avvenuto.

Quindi sì, forse mi aveva cercato per via della scommessa incitato da Katherine e forse sì quello che ne era scaturito non era soltanto una bugia.

Inutile tormentarsi. Damon al momento era fuori dalla mia vita e dopotutto non stavo così male, perché nonostante la mancanza, la mia indipendenza ne stava di sicuro traendo beneficio.

Osservai il mio quaderno: la pagina era praticamente vuota. Rebekah mi avrebbe ammazzato. Era via per impegni di famiglia e le avevo promesso di prendere appunti anche per lei.

La lezione era finita e non c’era speranza di rimediare. Dovevo assolutamente cercare qualcuno e recuperarli.

Uscii dalla classe e trovai lì ad attendermi, sulle panche del corridoio, la più inaspettata delle sorprese.

 

“O mio Dio!!” urlai e per poco non feci cadere la borsa.

Tre voci ripeterono in coro le mie parole, poi tre paia di braccia mi strinsero fino a togliermi il respiro.

Elena, Meredith e Caroline mi liberarono dall’abbraccio e finalmente riuscii a guardarle in volto. Nonostante le avessi toccate con le mie stesse mani, faticavo a credere che fossero davvero lì.

“Ok, ti risparmio qualche domanda e ti racconto subito come siamo arrivate qua” tagliò corto Caroline “Due giorni fa ci siamo trovate tutte a Fell’s Church e abbiamo iniziato a ricordare l’ultimo anno del liceo e ci siamo accorte che qualcosa mancava. A fine serata avevamo prenotato i biglietti per Londra”.

“Voi siete pazze!” commentai “Vi sarà costato una fortuna”.

“Abbastanza, quindi per Natale per favore torna tu” disse Meredith.

“Ma ne è valsa la pena” affermò Elena abbracciandomi di nuovo “Stefan non è potuto venire, aveva delle cose da sbrigare all’università ma si è raccomandato di baciarti tutta per lui” sorrisi e mi stampò un sonoro bacio sulla guancia.

“Ecco perché ieri sera sembrava così strano. Mi ha detto che non potevi venire al telefono per un’intossicazione alimentare” spiegai.

“Il solito melodrammatico” scherzò.

“Dove alloggiate?” chiese.

Le tre si guardarono colpevoli.

“Domandalo alla tour operetor qui accanto” borbottò Meredith, indicando Caroline.

“Ho letto male, va bene?!” si spazientì questa “Smettetela di darmi la colpa, la prossima volta potete occuparvene voi”.

“Che cosa è successo?” indagai.

“Care non ha prenotato l’albergo o meglio l’ha prenotato a Manchester. Ha preso il numero dalla riga sbagliata” spiegò Mere.

“Dannate catene di hotel! Hanno i siti peggiori del mondo”.

“Forse l’accento diverso ti poteva dare un indizio” le suggerì Elena.

“Sono tutti uguali per me. Come pretendi che distingua l’accento di Manchester da quello di Londra?” replicò.

“Ragazze non scaldatevi” intervenni nel battibecco “Vicino al mio campus c’è una pensioncina carina. Possiamo sentire se c’è posto. Ho finito adesso le lezioni, andiamoci subito” proposi.

Fortunatamente c’era ancora qualche camera libera. Presero una tripla e salirono subito a mettere le valigie e a darsi una rinfrescata.

Le portai nel mio baretto preferito: una graziosa teeria, vicino a Regent’s Park, anni ’20 e tremendamente inglese.

“Giuro, ancora non ci posso credere che siate venute fino qua a trovarmi” mi emozionai.

“Ci mancavi troppo, Bon” confessò Caroline “Noi abbiamo scelto college diversi, ma almeno siamo tutte negli States e durante le vacanze torniamo a Fell’s Church”.

“Sarei tornate anche io, ma ho solo tre giorni di pausa e il fuso orario è troppo stancante. Poi i voli costavano una follia”.

“Dovremo abituarci a non vederci più così spesso” osservò Elena.

“Mi rifiuto di accettare che la nostra sorellanza velociraptor finisca così. Dobbiamo stabilire un giorno a settimana e organizzare delle riunioni su Skype tutte e quattro”.

“Abbiamo tre fusi diversi, Care” le fece notare Meredith.

“Poco importa. Per voi posso stare sveglia per tutta la notte”.

“Non sei cambiata per niente” le assicurai, mentre aggiungevo il latto al mio tè.

“Sai Bonnie” incominciò Meredith “Onestamente mi hai sorpresa”.

“Per cosa?”.

“Credevo…beh, tutte lo credevamo, che saresti tornata per la laurea di Dam-” Mere si zittì di colpo e lanciò un’occhiata furante a Caroline che le aveva tirato un calcio sotto il tavolo.

Aveva provato a mascherarlo, ma io me n’ero accorta e anche Meredith sembrava decisa a non tacere.

“Che c’è? Mica è Voldemort. Posso ancora pronunciare il suo nome”.

Adesso anche Elena la stava guardando male.

“Va bene, allora la prenderò larga” si spazientì Mere “Credevamo di vederti alla laurea di Tu Sai Chi. Così va meglio? Precauzione inutile dato che abbiamo capito di chi sto parlando. E smettetela di guardarmi con quelle facce: lo volete sapere quanto me”.

“È  tutto ok, ragazze” le tranquillizzai “Non ho problema a parlare di Damon”.

“Oh, quando è così” si lasciò convincere immediatamente Caroline “Ora sei pronta a sputare il rospo: non ci hai ancora detto perché vi siete lasciati”.

“Non offenderti, Care, ma questo preferisco tenerlo per me” obiettai.

“Ma Elena lo sa!” si lamentò.

“Non l’ho detto io a Elena” mi difesi “Non arrabbiatevi. È una cosa tra me e lui e non mi va di alimentare pettegolezzi. So che non lo direste mai a nessuno, ma sento di fargli un torto a raccontare la nostra vita privata. Inoltre, solo lui sa una parte della storia”.

“Chissà perché sospetto che sia colpa sua” ipotizzò Meredith.

Non avevo tenuto per me la vera ragione solo per non buttare odio su Damon, ma anche perché non avevo voglia di sorbirmi i vari “Te l’avevo detto”.

“Diciamo che non ero pronta a mollare tutto per lui” mi giustificai “Non riuscivo a fidarmi totalmente”.

“E adesso qualcosa è cambiato?” domandò speranzosa Elena, la nostra fangirl numero uno.

“Io” risposi “E al momento non so se me la sento di ritentare. Non solo con Damon, con chiunque. Mi piace la persona che sono diventata”.

“Ben detto, Bonnie, tu meriti molto di più. Se penso che Damon ti ha costretto a lasciare il party che avevo organizzato per te, solo per godersi la sua festicciola privata”.

“Devi ammettere che è stato un bel regalo” s’intromise Elena.

“Certo” concordò Caroline “Di tutti i modi che si è inventato per portarsi a letto le ragazze, questo è stato di sicuro il più carino”.

Le mie guance si tinsero di rosso “In realtà no. Non abbiamo fatto nulla quella sera”.

Le tre spalancarono la bocca.

“Davvero?” si sorprese Meredith “Noi non ti abbiamo mai chiesto niente perché sappiamo quanto tu sia riservata, ma pensavamo…sì, insomma, pensavamo che non ci avessi detto nulla perché non ti andava di parlare di cose così intime ma…”.

“Abbiamo dato per scontato che voi foste andati a letto assieme” concluse Caroline.

“No” negai “Mai fatto”.

“Sei ancora vergine?” si indignò Caroline.

“Non dirlo come se fosse una brutta parola” la ribeccai.

“Intendevo…” si corresse “Sei stata con Damon per tutto quel tempo e non avete mai…come cavolo hai fatto?”.

“Sai, Care, a qualcuno piace tenere le gambe chiuse ogni tanto” la stuzzicò Elena.

“Santo Cielo, Bonnie, quel ragazzo è pazzo di te” commentò Meredith “È un malato del sesso e se è riuscito a trattenersi per tutti quei mesi solo per aspettarti…penso che sia uno dei gesti più altruisti e sinceri di Damon”.

Grazie amiche, non fatemi sentire ancora più in colpa, mi raccomando.

 

Partirono dopo qualche giorno e ci furono fiumi di lacrime. Vennero a salutarmi in dormitorio di mattina e ci misero quasi mezz’ora a trovare la forza di andarsene.

Poco dopo qualcuno bussò alla porta della mia stanza: era sicuramente Caroline che si era dimenticata qualcosa, come al solito.

“Entra, Care, è aperto” dissi ad alta voce.

La porta si aprì e si richiuse. Io continuai a fare il letto senza preoccuparmi di voltarmi.

“Per una che deve avere sempre il controllo su tutto, sei abbastanza sbadata” considerai.

“Se è per questo, mi sto chiedendo come tu abbia fatto a sopravvivere tre mesi da sola senza di me, uccellino”.

Mollai di colpo il cuscino e gelai sul posto. Avevo le allucinazioni?

“Da quanto mi hanno raccontato non ti sei ancora persa in nessun bosco e non ti sei ubriacata fino a svenire” rincarò.

Mi voltai per accertarmi di non star sognando. Non potevo toccarlo, ma potevo vederlo e sembrava tremendamente reale.

“Damon” dissi con un filo di voce “Che cosa ci fai qui?”. Domanda intelligentissima.

Lui alzò le sopracciglia “Secondo te?” mi canzonò “Ti ho dato tre mesi di libertà, Bon Bon. Adesso basta, non potevi pretendere che me ne stessi lontano ancora a lungo”.

“Guarda che non mi sono trasferita qui per gioco!” lo avvertii “Hai sprecato soldi se sei venuto per riportarmi indietro”.

“Mi sono iscritto a un master qui a Londra” mi rivelò e io sgranai gli occhi.

“Perché?”. I miei interventi erano al limite del banale, ma non riuscivo a formulare altro.

“Per stare vicino a te” rispose semplicemente.

“Sei venuto a Londra per me?”.

“Non è un gran sacrificio: è una delle città più belle d’Europa, ci sono ottime università riconosciute a livello internazionale e poi c’è una certa rossa da cui proprio non riesco a staccarmi” mi confidò con il suo ghigno sbruffone.

“E se lei non fosse d’accordo?” lo sfidai, sollevando il mento.

“Sono un tipo persuasivo, saprò convincerla. Ci sono già riuscito una volta”.

“Ti avverto che sono diventata molto più testarda”.

“Anche io. E pensa un po’: il mio appartamento è proprio di fronte al tuo campus”.

“Sei uno stalker” lo apostrofai.

“Mi hai chiamato in modi peggiori”.

Il tempo delle battutine, per quanto mi riguardava, era finito.

Era stato divertente, per un attimo, stuzzicarsi come una volta, mi aveva portata indietro. Damon aveva sempre avuto la capacità di risucchiarmi nel suo vortice.

Ritrovarlo non solo a Londra, ma proprio in camera mia aveva suscitato in me una tale confusione che faticavo a seguire un senso logico nelle parole e nei pensieri.

Centinaia di volte mi ero giurata di averla superata, di non sentire più il bisogno di averlo accanto, di poter tranquillamente andare avanti senza di lui.

La sua presenza mi aveva, invece, destabilizzato completamente e apprendere che si era iscritto a un master a Londra per starmi vicino mi aveva sciolto il cuore.

Non negavo che mi avesse fatto molto piacere e naturalmente avevo subito pensato che forse c’era ancora una speranza: mi aveva seguito fin lì, aveva lasciato tutto per venirmi a riprendere.

Stava cercando di dimostrarmi qualcosa. Cercava di riguadagnarsi la mia fiducia, il mio rispetto. E io avrei dovuto apprezzare. Apprezzavo, giuro.

Eppure c’era qualcosa che mi martellava in testa e che mi teneva con i piedi ben piantati a terra: ero così orgogliosa di me stessa per essermela cavata anche senza di lui. Ero disposta a rinunciare a tutto e ripartire da zero?

“Perché devi essere sempre così impulsivo e complicato?!” sbottai “Ti ho detto che mi serviva spazio, che mi serviva un cambiamento. E tu prendi un aereo e vieni qui?”.

“Ho resistito tre mesi” disse “Sei partita e volevo seguirti il giorno dopo ma ho resistito…tre mesi. Speravo di vederti alla mia laurea”.

“Non mi hai invitato” gli ricordai.

“Non mi hai nemmeno scritto un messaggio” mi accusò.

Congratulazioni per la tua laurea? Quanto sarebbe stato patetico?”.

“Avevo capito che volevi trovare la tua strada. Non credevo che mi avresti cancellato completamente dalla tua vita” s’infervorò.

“Io non ti ho cancellato dalla mia vita. Tu mi hai mentito!” gli rinfacciai.

“Mi dispiace!” si sfogò “Mi dispiace. Non so più come ripeterti che mi dispiace, ma non posso…io non voglio perderti per uno sbaglio, non lo sopporterei”.

“Ci potevi pensare prima”.

“Avrei dovuto dirtelo prima” mi concesse “Chiamami pure pazzo ma lo rifarei, perché quello è stato l’inizio di tutto. Avrei lasciato comunque Katherine. Anche se non avesse baciato mio fratello, l’avrei lasciata. Mi sono innamorato di te, non di lei”.

“Non continuare a ripeterlo per piacere” lo pregai.

“È vero. Non posso spegnere i miei sentimenti. Tu ci sei riuscita?”.

“Certo che no” risposi di getto “Quello che provo per te non è cambiato”.

“Allora?”.

“Non sono convita, però. Me ne sono andata da Fell’s Church per una ragione. È troppo presto, è semplicemente troppo. Tu sei troppo! Ogni volta che sei nei dintorno mi sento sopraffare”.

“Questa la considero una buona cosa”.

Lo fulminai con uno sguardo.

“Bonnie, io non ti voglio mettere in gabbia, ostacolarti. Non voglio prenderti in giro, farti stare male, divertirmi e basta. Sono qui perché voglio affidarmi completamente a te, voglio darti affetto, sostegno, passione, desiderio. Voglio darti i brividi, l’amore. Me stesso. È un tipo di legame che posso condividere solo con te. E voglio darti tutto questo perché è ciò che inconsapevolmente mi restituisci tu”.

Gli occhi mi pizzicavano. Non avevo pianto fino a quell’istante, ma il mio autocontrollo cominciava seriamente a vacillare.

“E se non fossi in grado di darti ciò che desideri?” mormorai.

“Non è mia intenzione costringerti, uccellino. A Fell’s Church stavo impazzendo, dovevo tentare fino alla mia ultima possibilità. Non m’importa quanto dovrò aspettare. Sei la parte migliore della mia vita. Sarei matto a non lottare fino alla fine”.

Mi mossi senza neanche accorgermene. Realizzai che cosa stavo veramente facendo quando avvertii tra le mie dita la stoffa del suo maglione e la strinsi possessivamente mentre nascondevo il viso nell’incavo del suo collo.

Ero così concentrata sulla famigliare sensazione di tranquillità che il suo corpo, tra le mie braccia, mi dava che quasi non percepii le sue mani circondare la mia schiena.

Mi era mancato come l’aria.

Non mi ero arresa a lui, alle sue parole. Non mi sarei subito gettata ai suoi piedi. Avevo ancora bisogno del mio tempo e del mio spazio, ma nel contempo avevo bisogno di riassaporare quel contatto.

Un piccolo momento di debolezza che mi ero concessa per svuotare la mente e abbandonarmi totalmente.

Perché per quanto fossi cresciuta, per quanto fossi divenuta sicura, indipendente e forte, comunque restavo in parte una semplice ragazza in cerca del suo amore.

Sciolsi quell’abbraccio e mi asciugai in fretta una lacrima che era scappata dal mio occhio. Mi allontanai da Damon e ridacchiai imbarazzata.

“Perdonami per questo slancio”.

“Accetto volentieri questo e altri slanci” ridacchiò. All’ennesima occhiataccia, corresse il tiro e sollevò le spalle in segno di resa “Per oggi ho tirato fin troppo la corda”.

“Sei sul filo del rasoio” confermai.

“Dato che dobbiamo ricominciare con calma, che ne dici di vederci domani per un caffè?”.

“Dato che dobbiamo ricominciare con calma, che ne dici se rimandiamo il caffè a settimana prossima e ti prendi il tuo tempo per ambientarmi”.

Damon sospirò rassegnato “Me la renderai difficile, vero?”.

“Non ho ancora deciso se ti concederò una seconda possibilità o no”.

“Fai pure la dura, uccellino, ma ricordati che abito qui di fronte e ti osservo” mi avvertì con un mezzo sorriso prima di lasciare la mia stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Era difficile prevedere come sarebbe andata a finire: eravamo come trottole traballanti sull’orlo di un precipizio. Una leggera inclinazione e saremmo rotolati giù.

Eppure, in un luogo lontano da Fell’s Church, dove non eravamo la sfigata o l’amica di qualcuno, il playboy o il teppista, dove eravamo solamente Bonnie e Damon, in un tempo lontano da quello del liceo, delle ripicche e delle scommesse, quel noi appariva più reale che mai e così giusto come non era stato prima.

Liberai una risatina isterica e scossi la testa ripensando a quanto fosse stata poco credibile la mia ultima frase, perché dopotutto una seconda possibilità gliel’avevo appena data.

 

Il mio spazio:

Posso mettere la parola fine anche a questa storia.

Avrei preferito aggiornare ieri sera, ma alla fine sono venute a trovarmi delle mie amiche tornate dalla vacanze e non ho avuto tempo.

Non so se a tutte voi soddisferà questo finale. È una di quelle conclusioni un po’ a metà, ma sinceramente mi sembrava la maniera più giusta di terminarla. Ci sono ancora delle questioni irrisolte tra Damon e Bonnie e un capitolo non poteva esaurirle in modo appropriato.

È sempre stata mia intenzione lasciare il finale un po’ in sospeso, aperto alle vostre teorie. Onestamente io sono per il lieto fine e confido che questi due troveranno la strada uno verso l’altra fuori dal tempo della mia storia.

A questo punto non so davvero come ringraziarvi per avermi seguito fino a qui, per la vostra pazienza e il vostro supporto.

Se penso soprattutto ai primi capitoli e a come avete accolto calorosamente questa storia…spero solo di aver fatto un buon lavoro e avervi restituito almeno in parte il vostro tempo e affetto.

Avviso per coloro che seguono anche Would you hold it against me?: purtroppo per il prossimo capitolo dovrete aspettare fino a settembre, perché settimana prossima parto e starò via fino a fine agosto. Comunque una volta ripresa, la finirò in fretta, promesso!

Non mi resta che ringraziarvi ancora una volta e augurarvi delle buone vacanze.

Divertitevi e riposatevi. Io vi aspetterò a settembre.

Un abbraccio grande,

Fran;)

  
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