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Autore: Aurelia major    12/09/2008    2 recensioni
“Avevo tutto e a molto altro avrei potuto aspirare ancora… sarebbe bastato un cenno e la mia vita sarebbe stata completamente diversa… ma io scelsi di non scegliere, ed è qui che comincia la mia storia.” Spin-off da “Ipotesi per un ritratto a colori”, chi era Alexandra van der Post prima di diventare Siddharta?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scoppietta il fuoco nel camino, fuori è gelo e buio, la neve cade in morbidi fiocchi, non un rumore disturba il suo posarsi lieve. Dentro la stanza è illuminata dal tenue bagliore delle fiamme e loro se ne stanno l’una di fronte all’altra godendo del silenzio e della reciproca compagnia. E’ singolare quanto siano simili, il colore dei capelli è il medesimo, la figura quasi gemella, gli occhi entrambi chiari, sebbene nessun legame di sangue le unisca.

Solo ad un esame più attento si potrebbe scoprire che lo sguardo verde dell’una si specchia in quello grigio dell’altra, che uno dei due profili, entrambi cesellati, è vivacizzato da una fossetta sul mento. Notevole invece è la difformità delle bionde chiome: una è essenziale, corta, aerodinamica  la definirebbe la sua stessa proprietaria, al di là del ciuffo scomposto, che consente agli sguardi di spaziare liberi sull’avvenenza del suo volto. Per contro l’altra è folta, ricorda un intrico di mangrovie, dove la luce penetra a sprazzi, e le cade sulle ossute spalle in ciocche sfrangiate e strinate dal sole.

In mezzo a loro un narghilè e di tanto in tanto ne aspirano una voluttuosa boccata che riempie l’aria d’aromi fruttati.

Una ha distese le longilinee gambe davanti a sé, come un impacciato puledro dalle zampe troppo lunghe, l’altra preferisce tenerle incrociate e i suoi occhi sono chiusi. A differenza della sua vicina che li tiene ben aperti invece, come se ancora non riuscisse a saziarsi della presenza di colei che le sta davanti.

E’ singolare il loro rapporto, un legame che nulla chiede, apparentemente sfilacciato e condizionato dalla distanza. Eppure è come se non si fossero mai separate, quantunque la bambina nel frattempo sia diventata assai diversa dalla proiezione della sua mentore, e la ragazza d’un tempo si sia spinta molto più in là di quanti potrebbero azzardare in una vita intera. Essenzialmente comunque restano sempre le stesse e quanto di comune avevano c’è ancora. In una forse l’amore l’ha un po’ addomesticato, mentre nell’altra è sempre vivido.

“Sai una cosa?” Chiede all’improvviso la più giovane, come se le fosse venuto in mente solo in quel momento. “Non mi hai mai raccontato niente della tua vita  prima che c’incontrassimo.”

“Non me l’hai mai chiesto.”

Tranquillamente l’interpellata lascia intravedere il suo sguardo cinereo posandole gli occhi addosso con affetto.

“Suppongo che sia perché per me sei sempre stata compiuta. Davvero non sarei stata in grado d’immaginarmi un passato per te, di vederti diversa da quel che eri. E poi ero una mocciosa con ben altre priorità!”

Ridono insieme, quantunque l’ilarità di una sia venata dal timore di venir considerata po’ meno dall’altra alla luce delle scelte borghesi che ultimamente ha fatto. Non ne hanno mai parlato, supinamente le ha accettate senza esprimersi in merito, senza darle alcun segno di biasimo. Ciò non toglie che così potrebbe essere, per questo ora, tutto ad un tratto, le si è risvegliato il desiderio di sapere riguardo a quel che ha sempre ignorato.

“Ti va d’illuminarmi?”

“Certo, ma devi scegliere. Posso liquidarla con due parole, o metterci tutto il tempo di cui ha bisogno.”

“Non sei mai stata un tipo loquace, immagino quindi che se tu ti debba dilungare, un motivo ci sia.”

“Come in tutto.” Risponde pacata accarezzandola con un prolungato sguardo. Quanto sono simili, eppure, allo stesso tempo, assolutamente dissonanti.

“Voglio raccontartelo per bene sì. Principalmente per darti modo di assimilare quel che sentirai. Ti apparirò così diversa, talmente lontana dalla persona che conosci, che vedrai, avrai bisogno di tutta la tua lucidità per capire.“

“Avanti Sid, mi hai sempre lasciato pensare con la mia testa, perché stavolta dovrebbe essere altrimenti?”

“Giusto, perché?” Chiede sorridendole di rimando. Prende una prolungata boccata e pare, ispirando il fumo e saturandone l’aria attorno a loro, che da quella nebbia si possano schiudere le porte del passato. E infine comincia.

“Avevo tutto e a molto altro avrei potuto aspirare ancora,  sarebbe bastato un cenno e la mia vita sarebbe potuta essere completamente diversa… ma io scelsi di non scegliere, ed è qui che inizia la mia storia.”

 

 

 

 

 

                                                     Preludio

 

 

 

Era un Martedì d’inizio Settembre, una giornata alquanto atipica per la verità, poiché, volendo speculare sul calendario, avrebbe dovuto far caldo, tuttavia l’aria non era affatto estiva.

La città era avvolta da una cappa insolita ed era spazzata da una brezza fredda che stava incrementando la forza del mare e creando, laddove fino a poco prima c’era stata l’immota distesa sabbiosa, tanti piccoli mulinelli, che vorticando senza posa, avevano praticamente costretto alla  fuga gli  ultimi  coraggiosi  bagnanti.

Statici invece apparivano gli animali, i quali, nel loro istinto primordiale, erano come bloccati,  quasi  immobilizzati in una morsa, timorosi persino di respirare. Tant’è che persino l’usuale concerto  pomeridiano del frinire dei grilli aveva subito un’improvvisa battuta, per poi arrestarsi del tutto.

Qua e là, persistente, ancora s’udiva l’occasionale vociare dei turisti che normalmente in questo periodo affollavano il litorale, ma nel giro di pochi minuti l’incipiente mutare del bel tempo aveva spinto anche questi ultimi a riparare al coperto.

Finanche gli onnipresenti piccioni erano svaniti nel nulla, normalmente volavano tutt’intorno, raggruppandosi nelle piazze o sulle guglie della cattedrale, ma oggi no. Se ne stavano rintanati nei propri cantucci in attesa che il cielo sempre più  plumbeo  cedesse  nuovamente posto al sole.  

C’era un’aria come d’un indistinta minaccia, come se un predatore avesse preso a volteggiare nell’etere sovrastante, come se la cittadina stessa  fosse stata afferrata  da due possenti mani nere. Poi, prima che l’acquazzone estivo scaricasse la  tensione elettrostatica e rasserenasse uomini e animali, il vento rinforzò ulteriormente la sua sferza, quasi che non volesse concedere alcuna tregua, neppure momentanea.

Non era una semplice corrente d’aria fredda e non raggelava esclusivamente il corpo, ghiacciava penetrando, strato  dopo  strato, fino a giungere in fondo, giù, alla  fonte  delle emozioni, dando una netta  sensazione svuotamento e provocando una gran voglia di piangere.

Sulla stessa rotta percorsa da quel vento viaggiava un aereo della compagnia di bandiera tedesca e, man a mano che si avvicinava al suo obiettivo, risentiva degli  sbalzi che quelle forti correnti d’aria provocavano sulla fusoliera. A bordo, mescolata  tra  gli  altri  passeggeri, ma  inconfondibile anche per chi l’avesse vista una sola  volta, c’era una bionda adolescente, la quale non prestava molta attenzione a ciò che la circondava. Neppure i frequenti vuoti d’aria che l’aereo subiva riuscivano a  scuotere la sua aria pensosa, concentrata com’era nel ricordo dell’ultimo scambio di opinioni avute, tra le tante prima della sua frettolosa partenza, con sua madre.

Le erano state rivolte frasi sentite, ma che di amorevole non avevano affatto traccia. Senza dubbio la sua interlocutrice era una retore eccellente, soprattutto quando si trattava di formulare parole dure, di congedo e di condanna, senza contare che quella non era neppure la prima volta che le declamava una filippica di  tal fatta.

Ad ogni modo aveva ascoltato tutto e non aveva battuto ciglio,  neanche quando infine sua madre aveva concluso amara:

“Va pure Alexandra, la totale indipendenza era l’unica cosa che non avevi ancora provato. Mi pare chiaro, ovviamente, che se fosse dipeso solo da me, da qui non ti saresti  mai mossa.”

Sarah era furente, l’aria serafica di sua figlia aveva il potere di stizzirla oltre ogni immaginazione e lei, nemmeno per un minuto, era stata tentata di chiedersi il  perché del suo agire sconsiderato.  La guardò a lungo combattuta, ma com’era possibile? Una ragazza così bella, dotata d’un intelligenza acuta, perché quella crisi di rigetto verso quanto, per nascita e meriti, le spettava di diritto?

Non era una semplice rivolta adolescenziale quella, ne era certa e, a lasciar sedimentare quell’enzima pericoloso, la situazione, da arginabile che era, sarebbe diventata insostenibile. Pure il decano della famiglia, all’ennesimo disastro combinato da quella ribelle, aveva in tal senso sentenziato. Doveva partire e i suoi timori materni potevano pure andare a farsi benedire, ché la parola del Conte era legge e Alexandra obbediva solo a quella.

Sospirò rassegnata, con la mente invasa da foschi presagi e riprese, nella speranza che il suo velato monito sortisse qualche effetto.

“Comunque sia, anche se sono certa che non mi credi, mi auguro che almeno stavolta ti riesca di trovare un  barlume di normalità. Nei limiti dei tuoi difetti, s’intende. Del resto il sangue di tuo padre scorre dentro di te, e solo se riuscirai a sopprimerlo potresti farcela.”

Anche innanzi a quest’ultima sortita non aveva raccolto la provocazione e, fissando deliberatamente  colei la quale l’aveva tenuta, un tempo ormai immemore, nel suo caldo grembo, ancora una volta si ritrovò a chiedersi perché mai non riuscissero a capirsi. Tra  di  loro non c’era comunione, di nessun tipo, come se neppure fossero carne della stessa carne. La cosa l’aveva sempre ferita, ma era inutile indugiarci ancora, soprattutto alla luce di quanto stava per andare a fare. Ché solo allontanandosi da lei, e da tutto quanto rappresentava, avrebbe potuto finalmente uscire dal bozzolo opprimente nel quale si sentiva ingabbiata. Quindi, perché non fingere di dar poco peso alle sue esortazioni? E dunque, ad ostentazione della sua noncuranza, le rispose con aria annoiata. 

“E’ una questione di punti di vista mater. E quelli che ritieni essere difetti, per me non sono altro che nitide manifestazioni di unicità. Naturalmente puoi essere d’accordo oppure no, ma in fin dei conti non interessa a nessuna delle due. Non temere comunque, se è per me ti assolvo completamente dall’obbligo di preoccuparti.  Anche se dubito che tu l’abbia mai avuto. Arrivederci, se ne avrò il tempo mi  sforzerò  di  telefonarti. In caso contrario potrai rivolgerti al Conte, se e quando, vorrai avere notizie.”

Così aveva concluso, abbozzando un gesto di saluto con un dolente e imbarazzato abbraccio, prima di salire sull’auto di famiglia con aria triste, ma distaccata. Eppure era tutt’altro che infelice.

La libertà finalmente.

In tal modo Sarah van der Post osservò andarsene, senza sapere quando avrebbe fatto ritorno, la sua unica figlia. Si era agli sgoccioli dell’estate e mancavano poco meno di sei mesi al  momento in cui Alexandra van der Post, diciassettesima in linea di successione per il titolo nobiliare cui si fregiavano da secoli, avrebbe raggiunto la maggiore età.

 

   
 
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