Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Melian    10/08/2014    12 recensioni
"E quanta testarda forza, quanta vitalità, quanta sottile gioia aveva trasmesso Naruto?
Gli sembrava di aver acquisito un po' della sua luce, dell'immenso fuoco – la Volontà del Fuoco – che rendeva Naruto capace di distruggere ogni ostacolo e di cambiare il mondo e le persone che incontrava con una facilità disarmante, con un sorriso, una parola, la sua sola presenza.
Il cuore di Naruto, Gaara lo invidiava e, allo stesso tempo, ne era conquistato."
[Terza classificata e vicitrice del premio "Miglior Gaara" al "Godaime Kazekage contest" di supersara89]
[Terza classificata al contest "Thick As Thieves -Amici per la pelle" indetto da Jerkchester sul forum di EFP]
[Storia partecipante al contest Un amico è così indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sabaku no Gaara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PER IL MIO AMICO

 

 

Quando si prova e si vive lo stesso dolore, non si può essere divisi.”
(Gaara, episodio 261 di Naruto Shippuden)

"Perchè si sa, la forza dell’amicizia vince su ogni cosa. Anche sul male più oscuro e potente di tutti."


 

 

 

 

La folla lo accolse con un boato, come un mare increspato di onde turbolente che s'agita al vento di una tempesta imminente.
Di quel temporale si potevano persino immaginare le fitte nubi scure addensate all'orizzonte, il rombo di un tuono simile al rullio di tamburi che fa tremare i polsi, e assaporare il sottile fremito elettrico nell'aria: era la guerra e si annunciava come una signora pretenziosa, ammantata di cremisi.
Sulla terrazza, Gaara fu investito dalla luce abbacinante del sole che quasi gli ferì gli occhi e lo costrinse a socchiude le palpebre.
Il maelstrom di voci si arrampicava nel vento riecheggiava nella vallata e cresceva in un tumulto di odio, violenza, recriminazione.
La guerra, infine, già reclamava il suo tributo: il fratello che voleva annientare il fratello, il dolore che voleva generale altra sofferenza, l'odio che si tramutava in rabbia, in una spirale di vendetta e crudeltà che sembrava non potersi fermare, perseguita e costruita negli anni, con insospettabile dedizione da ogni singola nazione.
Il mondo in cui era nato, lo leggeva adesso chiaramente, altro non era che il risultato di un singolare gioco al massacro perpetrato per paura dello straniero, per conquistare il prestigio, la fama, il potere. Il potere: una sola parola per riassumere il senso di quell'ennesimo conflitto.
Gaara poteva annusare il lezzo della miseria umana ingabbiata nella bislacca convinzione di dover prevaricare gli altri pur di affermare se stessi, che sia maledettamente inebriante poter decidere della vita altrui, stringerla nel pugno e poterla liberare oppure impietosamente soffocare, per capriccio.
Osservava l'esercito con animo pesante: quanti sarebbe dovuti davvero morire? Era davvero disposto a condurli per mano al macello, verso un futuro incerto e contro un nemico senza scrupoli?
Il valore di una vita nelle sue mani... aveva distrutto esistenze e maciullato carni con un sorriso distorto e vacuo di chi non crede in nulla, di chi non possiede nulla, come una bestia senza altro istinto se non quello di bere il terrore delle vittime, così come il loro sangue.
Eppure, adesso, aveva paura, paura per ogni singola vita che avrebbe dovuto guidare e proteggere, stringere come un uccellino fragile in mezzo ad un ciclone.
Lui, comandante in capo di tutti gli eserciti ninja alleati, osservava quegli uomini divisi dal dolore, prigionieri di pregiudizi e feroci antagonismi: capì che il nemico stava già vincendo. Uno ad uno, li avrebbe colti come l'aratro fa con i purpurei papaveri nei cambi di grano.
L'occhiata di Kakashi che lo incoraggiava a prendere parola gli sembrava lontana, quasi estranea.

Gaara continuava a contemplare quella marea umana in silenzio e scorgeva la menzogna, la grande farsa a cui tutti, indistintamente, si erano prestati: che un uomo debba soffocare un altro uomo pur di sopravvivere, che le nazioni siano più grandi e potenti solo se annientano quella vicina, che la guerra sia lo strumento per la pace.
Ma quale pace può nascere da una terra martoriata che ha seppellito chi prima la calpestava? Quale pace si opera con le armi e si fonda sulla morte?
Prima lo credeva, credeva che avrebbe trovato pace nell'annientare quel mondo che lo aveva rinnegato, che si beffava di lui e che, in ultimo, lo aveva condannato ad essere il contenitore di un potere perverso che lo tormentava e lo divorava da dentro.
Il Demone Tasso si era preso tutto e lo aveva barattato con la solitudine e la pazzia.
Garra, da che riusciva a ricordare, aveva smesso di sperare, di inseguire l'idea della felicità dalla notte in cui Yashamaru, sotto l'abbacinante luna piena, aveva cercato di ucciderlo. Quanto è perverso il cuore degli uomini? Usare la promessa dell'amore per trarre in inganno non è forse la più atroce crudeltà?
Allora Gaara si era costruito il suo mondo perfetto: come il tasso che scava nelle viscere della terra, cieco e sordo ad ogni altro richiamo, aveva scavato fino al midollo della propria ferocia e aveva divorato se stesso.
Si era riscoperto potente, una potenza inaudita, vuota quanto il più assordante dei silenzi e in grado di fagocitare tutto ciò che lo circondava come un buco nero.
Rivedeva, adesso, i corpi immersi nel sangue e nel fluido interstiziale dei suoi nemici, le teste molli e deformate, gli arti ridotti a poltiglie sanguinolente mescolati alla propria sabbia che sciamava al suo comando.
E lui che rideva, rideva folle, gli occhi iniettati di sangue assurdamente sgranati. Rideva, ma non era la sua risata che gli usciva dalla bocca e faceva accapponare la pelle.
L'eco della violenta risata di Shukaku era uno schiocco di frusta: un urlio che gli rimbombava dentro, percuotendolo fino a piegarlo, fino a fargli desiderare di strapparsi le orecchie nel tentativo di non ascoltarlo, di non doverlo sopportare... ma era nella sua testa e pulsava dolorosamente, e lo trascinava nel baratro di una pazzia indomabile, vi penetrava come artigli affilati nella massa molle del cervello e ne ricavava piacere.
Uccidere lo avrebbe salvato, le urla di chi stritolava tra le sabbie riuscivano, per qualche istante fugace e miracoloso, a coprire il suono spregevole e distorto della voce del Demone: “Gaara, tu non sei nessuno. Tu non sei niente. Tu non esisti. Gaara, io sono te.”
Adesso, con un vago senso di orrore, sovrapponeva quelle immagini alla distesa di shinobi che aveva davanti: non voleva più rivedere un simile spettacolo, non voleva... non voleva altro sangue sulle proprie mani!
Le sue mani...
Aveva avuto persino paura di toccarle, le persone. Come se fossero state fatte di fragile vetro, aveva sempre creduto che il suo tocco le avrebbe frantumate. O avrebbe potuto frantumare lui.
Aveva ricavato piacere, un tempo, nell'annientare, schiacciare, soffocare, nel vivere attraverso l'ultimo respiro dei suoi nemici.
Poi aveva avuto orrore delle sue mani, della maestria con cui facevano danzare letalmente la sabbia, contrarla ed espandersi - un cuore palpitante, fauci fameliche.

Le mani...
Naruto gliele aveva stretto tante e tante volte, le mani stesse dell'anima. E non si era spezzato. Era stato ferito in battaglia, certo, ma non era andato in mille pezzi come Gaara temeva e sperava, non aveva avuto paura di lui. Naruto gliela aveva strette e l'aveva tirato via dal pozzo in cui Gaara si era confinato, lo aveva tratto dal ventre della terra e lo aveva restituito a se stesso.
Il calore delle mani di Naruto, il calore fraterno delle loro mani unite...
Il calore di un essere umano che ti guarda con l'ostinazione di chi la vita la ama, la prende a morsi, la desidera come un affamato, un disperato che però, nella sua straordinaria, esaltante e vivace follia, ha trovato la risposta al buio, al verme che ti rosica dentro e lo ha sconfitto.
Naruto Uzumaki lo aveva salvato.
Gaara guardava la massa litigiosa di shinobi e provò pietà, la stessa pietà che aveva provato per se stesso quando, guardandosi indietro, aveva rivisto il bambino invasato e sadico, il ragazzino solo e braccato come una bestia nociva, che non voleva essere l'ospite del Demone Monocoda e che, però, troppo stanco, lo lasciava libero di aggirarsi nel Villaggio come un boia.
La più grande lezione della sua vita era venuta con quel primo contatto umano dopo tanti anni, in quella battaglia nelle foreste che costeggiavano la Foglia, con quell'andarsi incontro.
Naruto Uzumaki era diventato suo amico.
Ora che non era più una Forza Portante, Gaara aveva abbandonato la bugia che si raccontava per convincersi di quanto la vendetta fosse gustosa, cioè che la solitudine gli fosse dovuta, che fosse un mostro impuro e intoccabile, che disseminare terrore e dispensare la morte gli avrebbero fatto guadagnare coscienza di sé.
Ma i fiori della menzogna non hanno colore e appassiscono in fretta quando il bagliore del sole rischiara i pozzi più fondi e fa sbocciare nuovi semi, i germogli della verità.
E poi Gaara l'aveva voluto davvero: aveva accompagnato con la sua sabbia impalpabile la mano di Naruto a stingere la sua, sulle soglie del proprio Villaggio. Aveva desiderato ardentemente quella stretta di mano.
E quanta testarda forza, quanta vitalità, quanta sottile gioia aveva trasmesso Naruto?
Gli sembrava di aver acquisito un po' della sua luce, dell'immenso fuoco – la Volontà del Fuoco – che rendeva Naruto capace di distruggere ogni ostacolo e di cambiare il mondo e le persone che incontrava con una facilità disarmante, con un sorriso, una parola, la sua sola presenza.
Il cuore di Naruto, Gaara lo invidiava e, allo stesso tempo, ne era conquistato.
Naruto Uzumaki lo aveva sempre capito.
Erano talmente simili, che le loro solitudini non avevano fatto altro che cercarsi, per poter darsi pace. Quanto turbamento gli donava quella consapevolezza? Sapere che c'era qualcuno che davvero lo comprendeva e che no, non lo giudicava?
Guardare negli occhi azzurri del suo amico, era per Gaara rivedere se stesso e, allora, aveva deciso di essere migliore. Voleva somigliare a Naruto.
Voleva essere amato e si sarebbe adoperato perché il suo cuore indurito e sofferente avesse potuto finalmente conoscere la gioia, l'amore, la condivisione. Era diventato Kazekage.
E si era sentito più leggero, aveva scoperto che il vento che spirava dal deserto e fischiava tra le alture del suo Villaggio sapeva di buono e cantava, che aveva smesso di portare le urla strazianti di spiriti inquieti nascosti tra le dune.
Aveva scoperto che lasciarsi sfiorare dagli altri gli dava un intimo brivido di piacere, una felicità che in passato era stato un lusso che non si era mai preso.
Per la prima volta, quando il Demone era stato estratto, Gaara aveva anche provato la beatitudine del silenzio mentre passeggiava tra i propri pensieri e il lume della ragione con cui nessuno avrebbe più potuto giocherellare. Per la prima volta riuscì a dormire, un lungo sonno sereno e senza sogni osceni e sanguinosi.
Shukaku era nelle mani del nemico, certo, ma adesso Gaara non avrebbe dovuto portare il peso di quella presenza ingombrante da solo, non avrebbe dovuto impiegare ogni più piccola stilla di chackra pur di incatenare quella belva e azzittirla. Non sarebbe più stato un vuoto fantasma in balia di una volontà aliena che muggiva la sua rabbia.
Adesso era solo Gaara del Deserto. Era semplicemente se stesso.

Ora che ascoltava le urla degli shinobi, appiccate qua e là tra le fila dell'esercito come incendi dolosi, sapeva di non poter permettere che, di nuovo, tutto fosse perduto e che la stessa menzogna risuonasse ancora a mo' di canzone stonata: la verità era che non c'erano nemici tra loro, perché tutti erano uniti dallo stesso destino e dalla stessa sofferenza, che la stessa guerra aveva colpito tutti e non avrebbe fatto distinzioni.
La verità era che il dolore non divide, il dolore unisce.
La grande bugia cadeva definitivamente dai suoi occhi: colui che è stato ferito, non potrà mai guarire ferendo.
Davanti a sé non aveva più Villaggi arroccati dietro solitarie e solide mura, covando il proprio potere e il rancore e la propria paura; vedeva un'anima sola, un cuore solo. Vedeva solo, semplicemente, shinobi.
Gaara aveva bisogno di loro. Non era alcuna onta o debolezza nel chiedere aiuto. Perché Gaara adesso amava, con una tenacia tipica di chi ha riscoperto la vita e se stesso dopo averla masticata e sputata per anni. Perché aveva qualcosa da difendere ad ogni costo, perché ci credeva davvero.
Ora, in quel momento, toccava a lui allungare la mano e stringere quella di Naruto e salvarlo.
Gaara del Deserto chiuse gli occhi e seppe cosa avrebbe dovuto dire, capì come avrebbe arringato quell'esercito e che loro, tutti loro, lo avrebbero seguito, perché in fondo erano tutti figli dello stesso mondo.
Naruto lo ispirava anche in quel momento: strano a dirsi, sembrava gli avesse davvero trasmesso la Volontà del Fuoco.
Gaara li avrebbe infiammati, avrebbe trasformato quei focolai di rabbia in un autentico, travolgente incendio di vita e di unione, un grido di battaglia. Avrebbe creato un legame tra quelle anime, come quello che vincolava la sua e quella di Naruto.
Avrebbe infranto le mura di ogni Villaggio, le roccaforti di ogni odio. Avrebbe mostrato la sua verità, si sarebbe offerto loro senza ombre e senza bugie. E intimamente sapeva che la guerra avrebbe smesso di trasformare gli uomini in bestie sciagurate, che tutti insieme avrebbero costruito un ponte verso il domani.
Lo avrebbe fatto, per il suo amico.






_________________________

Note dell'autrice

La storia è ambientata durante l'episodio 261 di Naruto Shippuden (il titolo della storia è una citazione del titolo di quell'episodio, infatti), con riferimenti anche alla puntata 32, e si configura come un missing moment prima dell'arringa di Gaara all'Esercito Alleato degli shinobi.

Trovo che Gaara sia un personaggio estremamente affascinante e complesso, colmo di contraddizioni. Un cattivo suo malgrado che riesce a riscattarsi e che matura, divenendo una persona nuova e autentica.
Merita ampio spazio, è un personaggio che avrebbe molto da dire e io spero di averlo tratteggiato degnamente in questa piccola one shot. Desideravo che risaltasse proprio il cambiamento operato in lui da Naruto, che è molto significativo.

Il racconto è stato scritto per il contest “Godaime Kazekage contest” si supersara89, indetto sul forum di EFP.
Il pacchetto scelto è: “Rubino: Quando ho stretto la mano di Naruto.”

Spero vi piaccia.


Melian

   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Melian