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Autore: Traumen    11/08/2014    1 recensioni
[...mi metterò a pregare, a supplicare qualsiasi entità divina per chiedere di non essere chiamata, perché non chiamino mia sorella e perché non chiamino i miei amici. Piegai la testa verso il basso portando le mani congiunte al viso: non ho mai saputo quello che stavo facendo, ma se ha funzionato gli anni passati, perché non dovrebbe funzionare adesso? ...]
La storia parla di Jade, una ragazza di 15 anni del Distretto 11 e di come la sua vita è cambiata in modo radicale.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo Due
Voglio piangere
Fummo portati al Palazzo di Giustizia per incontrare i nostri cari e salutarci, forse per l’ultima volta. Ero ancora sconvolta e non riuscivo a realizzare che da lì a poco sarei entrata nell’arena degli Hunger Games dove molto probabilmente sarei morta. Non mi sembrava reale: non avevo mai immaginato che sarebbe potuto accadere, pensavo solo “Dopo dobbiamo tornare a lavorare, devo impegnarmi per la mia famiglia”. Forse questa situazione avrebbe favorito la mia famiglia per un po’ di tempo, infondo tute le famiglie dei tributi avrebbero ricevuto dei doni, magari con un po’ di fortuna potrei vincere e garantire a tutti una vita meno faticosa, ma a quale prezzo. Ho sempre ritenuto questo reality show un’ingiustizia verso tutte le famiglie di Panem: tutti quei ragazzi che si recavano in piazza per la mietitura, quei 23 ragazzi la cui vita verrà portata via per uno stupido gioco di Capital City. Ero lì, ferma al centro di una stanza al Palazzo di Giustizia. Ad un certo punto vedo la porta aprirsi e mia sorella correre verso di me a gran velocità: mi abbraccia fortissimo inginocchiandosi a terra, appoggia la sua testa su una mia spalla e piange, piange tutte le lacrime che ha. Io ricambio l’abbraccio in modo gentile e premuroso, cerco di essere forte anche per lei e cerco di calmarla. Entrano anche i miei genitori e mio fratello: mia madre è in lacrime mentre mio padre cerca di consolarla; mio fratello ha lo sguardo basso ed evita un contatto visivo con gli altri per evitare di piangere. È sempre stata una persona molto forte e sicuramente non vuole farsi vedere debole in questo momento. Tutti e tre si avvicinano a me e mia madre mi appoggia una mano sulla testa e mi guarda con gli occhi pieni di lacrime “Jade, sei una ragazzina molto intelligente, sono sicura che troverai un modo per vincere. Io credo in te e non ti abbandonerò mai.” Mi rende felicissima sapere che mia madre pensa questo di me, ma so che la deluderò, non sopravvivrò nell’arena. Mio padre mi fa cenno con la testa ma non dice nulla. Sam, mio fratello, Si inginocchia vicino a Cally e cerca di tranquillizzarla per poi voltarsi verso di me: allunga una mano e mi porge una collana: ci metto un secondo per riconoscerla, è la collana che usano Sam, Cally e gli altri ragazzi all’interno delle piantagioni per richiamarsi a vicenda. La collana è formata da un laccio marrone e vi è legata un pezzo di pietra molto sottile a forma di foglia su cui sono presenti incisioni e forellini: se si soffia nel modo corretto si produce un suono simile a quelli dei passeri, oppure se si inclina la foglia in un certo modo si ottiene il suono di un altro uccello; i miei fratelli utilizzano questo tipo di richiamo quando mettono in atto il loro “piano” per rubare della frutta o della verdura dalle piantagioni. Prendo la collana con una mano e guardo il pezzo di pietra con molta attenzione: mio fratello si avvicina con un dito e indicando diversi punti della foglia pronuncia il nome di diversi uccelli. Ci metto un attimo a memorizzarli. Alzo lo sguardo verso di lui e lo ringrazio con tono calmo. Arrivano dei pacificatori e fanno uscire la mia famiglia ma Cally non vuole andarsene, non ancora. La strattonano per farla uscire e nel mentre mi urla qualcosa “Io credo in te, io so che ce la farai! Sei una ragazza molto forte e intelligente e so che ci renderai fieni di te…” fa appena in tempo a finire la frase che le chiudono la porta in faccia. Vorrei piangere e liberarmi di tutto, ma non ce la faccio, queste emozioni non mi appartengono, non sono una parte di me. Stringo forte la collana tra le mie mani e faccio dei respiri profondi per tranquillizzarmi. Vengono a prendermi: è tempo di partire. Il treno ci aspetta e non possiamo tardare nemmeno di un minuto, altrimenti ci saranno delle severe punizioni per tutti. Lì incontro per la seconda volta Trevor: ha gli occhi rossi, sicuramente non è come me ed è riuscito a sfogarsi e liberarsi di tutto, provo quasi invidia per lui. Distoglie lo sguardo molto velocemente, non vuole farsi vedere in quello stato, potrebbero etichettarlo come una persona debole e di certo non vuole dare questa idea di sé. Il treno parte appena l’ultima persona sale a bordo, e dopo neanche 20 secondi stiamo viaggiando ad altissima velocità verso Capital City, verso il luogo dove 23 di noi moriranno.
  
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