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Autore: Rainie    11/08/2014    1 recensioni
[ Basato sull’MV di ‘One Shot’; OT6; cameo di altri artisti kpop ]
In una realtà che si srotola davanti a loro in modo ostile, sei ragazzi cercano riparo gli uni tra gli altri. I B.A.P sono una banda criminale di grande fama sia nel sottosuolo che nel mondo alla luce del sole, sebbene nessuno osi fare il loro nome. Velati dal mistero, sono sulle prime linee della criminalità organizzata, e primi nella lista dei ricercati dalla polizia.
Poi il mondo strappa via un loro compagno, e il resto sa che avrebbe fatto di tutto per riportarlo indietro. Qualunque fosse stato il costo di quell'azione.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Un po' tutti, Yongguk, Youngjae
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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[ part 1: warning warning warning warning ]

playlist: badman – b.a.p; big deal – nu’est; the mighty fall – fall out boys.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le strade bruciavano sotto un sole particolarmente intenso, segno che l’estate si stava inesorabilmente avvicinando.

Al riparo dal caldo, l’officina Kim aveva le saracinesche abbassate, togliendo al quartiere uno dei suoi pochi segni di vitalità. Il suo proprietario aveva deciso di prendersi un giorno di riposo, visti i rari clienti che gli avevano fatto visita nell’ultima settimana. Il calore batteva sul metallo facendolo diventare incandescente nonostante fosse ancora mattina, mentre dall’interno proveniva solo il silenzio. Di tanto in tanto, un’automobile o un abitante del quartiere passava di lì, ma non prestavano attenzione a quel locale, essendo per loro una vista quotidiana.

Con i passi che scricchiolavano sul marciapiede, Jongup svoltò l’angolo di un isolato e si addentrò in un viottolo che aveva percorso ormai innumerevoli volte. Porte chiuse di edifici e pareti tappezzate di colorati murales sfilarono ai suoi fianchi, mentre alcuni negozi di alimentari e i bar tentavano di scacciare l’aria viziata dal loro interno tenendo l’ingresso aperto.

Nella frescura dell’ombra, tirò fuori il suo smartphone, cercò un numero nella sua rubrica e pigiò il tasto di chiamata. Svoltò un altro angolo mentre il cellulare suonò una, due, tre volte. «Hey, hyung. Sono quasi arrivato, dieci minuti ancora e sono lì. Youngjae hyung? No, non lo sto sentendo da un po’. Ma non aveva comunque detto che sarebbe stato via per qualche tempo? Se si tratta di lui, non penso che possa succedere qualcosa. Non essere tanto paranoico! Rilassati un po’. Dai, ne discutiamo quando arrivo. A dopo.»

Era una delle rare volte in cui Yongguk era stato incaricato da Himchan di tenere d’occhio la sua officina. In quella tranquillità, tra una motocicletta e il forte odore di gasolio, si chiese come se la stesse cavando Youngjae. Non aveva più avuto alcuna notizia da parte sua da ormai diversi giorni. Il ragazzo poteva certamente cavarsela, ma l’ansia di Yongguk si faceva sentire di più ogni ora che passava. Aveva cominciato ad immaginarsi milioni di scenari in cui era rapito, sbattuto in qualche stanza e lasciato senza cibo né acqua per diversi giorni, picchiato, e persino ucciso.

Il pensiero gli faceva venire il voltastomaco. Così, dal momento che Himchan gli aveva solo chiesto di “non far casino con gli strumenti e lasciare l’officina sottosopra mentre era via”, aveva chiamato Jongup per portarlo via dalla noia, sperando che, in questo modo, avrebbe smesso di preoccuparsi.

Yongguk aprì il lucchetto che bloccava la saracinesca, e la alzò senza sforzo. La luce del sole penetrò subito nell’atrio semivuoto, portando con sé il caldo soffocante dell’esterno, che si mischiò con il distintivo odore di benzina del garage. Alla vista della strada deserta, Yongguk godette per un paio di minuti il silenzio primaverile sulla soglia dell’entrata, sentendo sulla pelle, di tanto in tanto, una leggera brezza dargli un po’ di sollievo dall’afa, fino a quando non individuò la figura di Jongup avviarsi verso la sua direzione. La sua bocca si allargò nel suo tipico sorriso, mentre il più giovane si avvicinava.

«Hey,» si salutarono, stringendosi la mano e dandosi una pacca sulla schiena. «E Himchan hyung?» chiese Jongup, piegando la testa di lato e sbirciando dentro l’officina.
All’interno, le luci erano spente, e la poca luce che filtrava dalle finestre rivelava il profilo di diverse auto e motociclette parcheggiate in delle ordinate fila negli spazi più interni. Incredibilmente, il meccanico riusciva a tenere il suo posto di lavoro piuttosto curato. La ringhiera della scala che conduceva al secondo piano, notò Jongup, era stata dipinta di rosso di recente.

Yongguk scrollò le spalle. «Ha detto che sarebbe andato a comprare dei nuovi pezzi di ricambio, ma sai com’è. Sarà a divertirsi da qualche parte.» Guardò Jongup ridacchiare per un secondo.

«Giusto,» commentò.

Yongguk stava per invitarlo dentro quando notò un movimento con la coda dell’occhio. Riuscì appena a lanciare al ragazzo che aveva di fronte uno sguardo allarmato, e lo vide voltarsi e ricevere un colpo brutale sulla tempia destra da una mazza metallica, impugnata da un uomo dalla corporatura robusta, con gli occhiali da sole calati sugli occhi.

Il silenzio venne spezzato dal gemito acuto di dolore che uscì dalle labbra di Jongup, mentre la sua espressione rilassata di prima venne sostituita da una smorfia di dolore atroce. Il più anziano sentì il proprio capo pulsare, come se fosse stato lui quello aggredito. Il livello di adrenalina nel suo sangue salì in pochi secondi mentre guardava Jongup accasciarsi per terra, avendo perso i sensi. Subito, Yongguk si inginocchiò a fianco a lui e lo alzò dal pavimento afferrandolo per le spalle, mentre tentava di risvegliarlo scuotendolo e chiamando il suo nome. Il corpo di Jongup non si mosse; dai graffi sul suo capo aveva cominciato ad uscire del sangue, e a Yongguk sembrò di aver dimenticato come si respirava.

Un grugnito da sopra il suo capo gli fece alzare gli occhi. Il loro aggressore aveva sul suo viso un ghigno soddisfatto, mentre la mazza, ora abbassata a terra, scricchiolò ostile sul ruvido terreno, con la superficie lucida che rifletteva, minacciosa, la luce del sole. La preoccupazione di Yongguk stava cominciando a trasformarsi in rabbia, le sue mani tremavano al desiderio di prendere a pugni quella disgustosa faccia, come osava toccare un suo membro, con che coraggio aveva–

Sentì qualcosa cadere vicino a lui. Ai suoi piedi, vide un pezzo di plastica nero, di forma rettangolare, giacere sul ruvido terreno. Yongguk lo riconobbe come una chiavetta USB e, ancora con lo sguardo incredulo e ostile, tornò sulla figura scura dell’uomo che si stagliava contro la luce del sole. «Mi raccomando, se non vuoi che il tuo amichetto muoia,» disse, sempre con quel ghigno derisorio, e si allontanò dall’entrata dell’officina come se niente fosse successo.

Registrando le parole appena pronunciate, Yongguk seguì con gli occhi l’auto che, una volta accolto il suo passeggero, si allontanò dall’officina in un grave rombo, tra le risate sghignazzanti dei membri all’interno. Ancora una volta, quella strada ritornò deserta e silenziosa, con la sola afa a riempire il vuoto.

Ricordando le proprie priorità, Yongguk ritornò con lo sguardo su Jongup. Vide il suo petto alzarsi ed abbassarsi, e sentì il respiro corto passare tra le sue labbra. Senza perdere altro tempo, lo portò dentro l’officina, dove era sicuro che Himchan teneva una cassetta per il primo soccorso da qualche parte. Cercò di sistemare il corpo del ragazzo più delicatamente possibile sul divano nell’atrio, e nel mentre si ricordò della chiavetta lasciatagli dall’assalitore.

Mentre ritornava a recuperarla dall’ingresso, digitò il numero del suo più giovane membro sul cellulare, sollecitandolo ad arrivare al più presto ed affrettandolo a contattare gli altri loro compagni e, in particolare, Youngjae.

 

«Il cliente da Lei chiamato al momento non è raggiungibile. La preghiamo di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.»

Himchan abbassò il suo smartphone e terminò la chiamata. Alzò gli occhi sui suoi compagni, che lo guardavano in attesa, interrogativi. «Niente da fare,» riferì lui, scuotendo il capo e sospirando con frustrazione, «Youngjae ancora non risponde.»

Al suo fianco, il meccanico sentì Daehyun gemere insofferente, mentre affondava il suo corpo nel divano. Si erano radunati tutti e cinque nella sua officina, che fungeva anche da nido per le loro operazioni, al riparo dagli occhi indiscreti degli abitanti del quartiere. Himchan non era del tutto convinto che i suoi vicini fossero ancora all’oscuro di ciò che succedeva veramente lì dentro, eppure nessuno dei suoi clienti esitava di fronte al suo ingresso. Probabilmente, era il fatto di essere l’unico meccanico in zona a far spingere (letteralmente) i loro veicoli in quell’abitacolo. O forse era solo a causa dell’aria corrotta che albergava in quella città. Himchan preferiva comunque lasciare la faccenda al dubbio.

Infilò il suo cellulare in tasca e, vedendo che il divano era occupato da Junhong, Yongguk e Daehyun, si sedette su una motocicletta vicina. Era uno dei suoi ultimi gioielli, ed era impaziente di perfezionarlo e farlo correre sulle strade. Ma, in quel momento, aveva altro di cui preoccuparsi.

Il suo sguardo slittò su Jongup, stravaccato su una sedia sul lato opposto. La sua testa era stata fasciata come Yongguk meglio aveva potuto, sul suo viso vi era ancora una smorfia di dolore. Una chiazza rossastra si stava formando sulla garza immacolata, e Himchan gli offrì un passaggio in ospedale, in modo da poter essere trattato da mani più esperte di quelle del loro leader. In risposta, il più giovane rise amaramente, dicendo che una scusa come l’essere caduti dalle scale non sarebbe stato abbastanza, dopodiché avrebbero cominciato a far domande, avrebbero perso solo tempo. Il meccanico annuì, nonostante non fosse del tutto convinto della sua decisione.

«È che sono preoccupato per quello che troveremo nella chiavetta,» ammise ai suoi compagni. La tensione gravò ancora di più sui cinque, e Daehyun decise di intervenire.

«Allora non ci resta che scoprire di cosa si tratta. Magari ci hanno regalato un altro viaggio a Manila,» disse, con il tono impregnato di sarcasmo.

A quel punto, Junhong tirò fuori il pezzo di plastica in questione. Lo fissò per qualche secondo, come se sperasse di riuscire a capire cosa li aspettava, mentre i suoi fratelli più anziani lo attendevano, con uno sguardo paziente. Diede una veloce occhiata a Yongguk, seduto a fianco a lui, e lo vide con gli avambracci poggiati sulle ginocchia, mentre gli occhi erano attaccati allo schermo del computer portatile sul tavolino di fronte, perso nei suoi pensieri. Ritornò a giocherellare con la chiave USB.

«Sapete,» cominciò a dire, «ora che siamo di nuovo solo noi, sento come se fosse, uhm, diverso senza Youngjae hyung con noi.»

All’improvvisa confessione del più giovane, Himchan ridacchiò brevemente. «Colpa sua. Quando ritornerà, avremo già finito di occuparci di questo e si sarà perso tutto il divertimento,» gli rispose, non del tutto sicuro delle sue stesse parole. Non sapeva se stesse tentando di convincere lui o se stesso, dopo che Yongguk gli aveva spiegato la situazione al suo ritorno in officina. Anche Junhong sembrò di percepire come quelle parole parevano forzate, ma non disse niente, e abbassò il capo in un silenzioso cenno di assenso.

Il giovane passò la chiave al leader, che lo prese senza proferire parola. I cinque si strinsero attorno al notebook, Jongup avvicinando la propria sedia per una migliore visione e Himchan posizionandosi dietro al divano, alle spalle di Daehyun e Yongguk. Questi inserì il piccolo dispositivo nella presa apposita, e qualche secondo dopo una finestra si aprì sullo schermo.

La memory card conteneva due oggetti: la prima era un video di poco più di un minuto, mentre la seconda era una nota che pesava appena pochi kilobyte. Entrambi erano etichettati con dei semplici “000”. «Una gran fantasia,» borbottò Daehyun.

Yongguk aprì prima il video, considerandolo più importante. I membri restarono in attesa mentre si caricava, ma non meno nervosi di prima. Un paio di secondi dopo, nell’inquadratura apparve la faccia di un uomo mascherato. Si sentivano dei rumori nel sottofondo, dei passi, forse, e l’uomo in primo piano si spostò per rivelare cosa c’era alle sue spalle.

Un suo compagno era in piedi, anche lui con una maschera calata su naso e bocca, e guardava dritto nell’inquadratura. Alla sua destra, su una sedia, stava seduta una figura con il corpo piegato in avanti e le mani legate dietro la schiena. Solo dai capelli biondo scuro non poteva essere riconosciuto, ma Yongguk vide i suoi incubi realizzarsi quando il primo uomo gli afferrò delle ciocche sulla nuca e gli tirò indietro il capo per rivelarne l’identità.

Era Youngjae. Non aveva affatto un bell’aspetto, dal momento che il suo viso era ora costellato di lividi e linee sanguigne che percorrevano le sue guance.

Tutti e cinque i giovani guardarono con il respiro mozzato il loro compagno mentre gli veniva tirato un pugno sulla mandibola.

 

Nella stanza illuminata debolmente dalla finestra sbarrata, con la schiena appoggiata alla parete di pietra, Youngjae fissò il vassoio di cibo che gli avevano rifilato pochi minuti prima. Non era molto: una minestra, del pane, e un bicchiere d’acqua. Non che si aspettasse una cena da ristorante lussuoso; nessuna banda di strada come si deve offrirebbe un pasto normale a coloro che tengono in ostaggio.

Non aveva molto appetito, comunque. I lividi che gli avevano procurato ancora facevano incredibilmente male, si sentiva il corpo indolenzito (probabilmente aveva anche una costola fratturata), e se si fosse passato una mano sul viso, avrebbe tastato le croste di sangue che si erano formate sulle ferite. Restò in silenzio a riflettere su ciò che gli era accaduto.

La porta della stanza in cui era stato sbattuto si aprì, e Youngjae vide entrare un ragazzo che aveva più o meno la sua stessa età, uno dei primi che avevano cominciato a torturarlo. Non sapeva chi fosse (lo aveva solo sentito essere chiamato Sung), ma, da come i suoi membri sembravano seguire i suoi ordini, aveva intuito che era uno dei pezzi grossi della banda. In un certo senso, gli aveva ricordato se stesso, nonostante tra i suoi compagni non vi era una certa rigidità di posizioni. Ognuno faceva e si impegnava in ciò che poteva. Non gli erano mai piaciute le piramidi sociali.

Sung guardò il vassoio ancora pieno, poi lui. Youngjae sostenne saldamente il suo sguardo, senza avere intenzione di lasciargli vincere quella piccola sfida. Da come lo fissava il suo avversario, intuì che aveva delle notizie – probabilmente cattive, per lui.

Prima che potesse farsi un’idea di cosa gli avrebbe detto, l’altro lo precedette: «Giusto perché tu lo sappia, stamattina abbiamo incontrato uno dei tuoi amici, sai?» Non vedendo alcuna reazione da parte di Youngjae, il quale continuava a fissarlo senza proferire parola, Sung lasciò che un ghigno scivolasse sulle sue labbra, prima di continuare a parlargli. «Gli abbiamo fatto solo un po’ male. Il tuo leader non ha nemmeno mosso un dito. Gran bel capo, che ti sei scelto.»

Youngjae dovette resistere alla forte tentazione di roteare gli occhi e di ridergli in faccia. Restò in silenzio con un’espressione neutra, senza distogliere lo sguardo dal suo nemico.

«Non mi guardare in quel modo,» disse quello, alzando le mani in segno di resa, «è vero che ti abbiamo detto che non avremmo fatto niente ai tuoi compagni. Ma – ops – credo che il Boss si sia dimenticato di ricordarlo. Però non ti preoccupare, non penso che sia morto. Almeno così mi hanno raccontato.»

Per la prima volta in quei giorni, Sung vide Youngjae lanciargli un sorriso beffardo. Strizzò gli occhi, fulminandolo con lo sguardo. «Cazzo hai da ridere?» gli ringhiò in tono basso. «Non credo che tu sia nella posizione per farlo.»

«Questo lo dovrei dire io,» replicò con estrema calma l’altro. «Credete che questo li spaventerà? Non conoscete bene Yongguk hyung. State certi che da ora dovrete fare molta più attenzione, se non desiderate che qualcuno di voi rimanga ucciso prima che il patto sia portato a termine. Non mi sembrate una banda tanto brillante.»

Sung digrignò i denti e schioccò la lingua, minaccioso. «Bada a come parli, bastardo. Posso ucciderti qui ed ora, e morirai di una morte agonizzante,» lo avvertì, mentre le mani tremavano, impazienti di colpire Youngjae ed insegnargli una lezione.

Questa volta, il ragazzo in questione non riuscì a non ghignare apertamente. «No, non puoi, sono un ostaggio troppo prezioso. Sai come fa quel detto?» Continuò a guardarlo per un secondo di troppo. «“Can che abbaia, non morde”. Ti descrive perfettamente.»

Poiché i suoi riflessi erano inibiti dalle torture precedenti, Youngjae non poté schivare il calcio sul bicipite. Ma quello non era niente, in confronto alle fitte che Sung gli procurò successivamente quando la punta dei suoi stivali fu tirato con forza nello stomaco e sul petto, innumerevoli volte. I grugniti di Youngjae riempirono la stanza per secondi interminabili, deciso a non dargliela vinta, fino a quando, infine, la suola della scarpa atterrò sulla sua tempia. A Youngjae sembrò quasi di essere diventato ormai immune al dolore, per tutti i colpi che aveva ricevuto nei giorni prima, mentre tentava di riprendere il fiato.

Dall’alto, Sung lo guardò con disprezzo. «Mi fai proprio incazzare, tu. Renditi conto che sei un uomo solo in mezzo ad un branco di lupi.» Youngjae sentì la pressione esercitata sul suo cranio aumentare notevolmente, ma serrò le labbra per non lasciar scappare alcun suono. «La prossima volta che apri quella fottuta bocca, pensaci bene.» E detto questo, Sung alzò la sua scarpa dal capo del biondo e tornò sui suoi passi, sbattendo la porta una volta uscito.

Quando Youngjae sentì la serratura scattare chiusa, rise mentalmente all’ingenuità mostrata da Sung. A differenza dei lupi, gli uomini possedevano una certa capacità: quella di usare il proprio intelletto per preparare le dovute precauzioni per gli imprevisti. Ed era certo che anche il resto dei B.A.P lo sapeva.

 

Un cartello su cui era stampato “10,000,000$” pendeva dal collo di un Youngjae sanguinante.

Il video era terminato, lasciando l’intero gruppo a processare le agghiaccianti immagini del loro amico essere brutalmente picchiato. Quanti giorni erano passati da quando quel video era stato filmato? Quante chiamate erano state fatte, quante volte si erano ritrovati in quell’officina senza la familiare presenza di Youngjae con loro?

Non era solo questo a turbare Jongup. Yongguk aveva ragione, e ora si sentiva in colpa per quello che gli aveva detto a proposito durante la telefonata di quella mattina. Non riusciva a capire come avesse potuto essere tanto sprovveduto da pensare che quei giorni di assenza non fossero tanto importanti. Avrebbe dovuto preoccuparsi. Avrebbe dovuto dargli ragione.

E ora aveva persino ridotto gli altri ad occuparsi di lui e della sua ferita. Jongup avrebbe voluto darsi un pugno in faccia per la poca attenzione che aveva prestato.

La sua occhiata atterrò sullo hyung seduto vicino a Junhong. Aveva sul viso un’espressione dura, pensosa, con le sopracciglia corrugate e le labbra strette in una sottile linea. Le sue mani non riuscivano a stare ferme e continuavano a torturarsi l’un l’altra, mentre il suo respiro era corto, arrabbiato. Jongup lo conosceva abbastanza per affermare che il loro capo stava già pensando ad una strategia per salvare Youngjae.

Dopo momenti di silenzio, Himchan fu il primo ad avere il coraggio di parlare, dopo l’orrore a cui avevano assistito. «Non fare quella faccia, Bbang,» gli disse serio, dando una leggera pacca sulla spalla del suo coetaneo, «leggiamo prima cosa c’è scritto in quella nota, e poi decidiamo cosa fare, hmh?»

Alle parole dell’amico, Yongguk sembrò corrucciare ancora di più lo sguardo. Non di meno, una volta chiusa la finestra del video, cliccò sull’altro file che si aprì all’istante.

Era un avvertimento di poche righe.

 

“Speriamo che vi piaccia lo spettacolo che vi abbiamo preparato. Se lo volete vivo, portateci dieci milioni di dollari in contanti. Vi chiameremo noi per il luogo e l’ora. Sappiate che se non avete i soldi entro quella data, lo uccideremo. E non provate nemmeno a far passi falsi, altrimenti, sapete come finirà.”

 

Se Yongguk riusciva a trattenere il suo stato d’animo per sé, diversa era la situazione per Daehyun, che era livido in volto. Sbatté violentemente un pugno sul tavolo, preso dall’ira. Si voltarono tutti verso di lui, ma la sua furia non sorprese nessuno: oltre il leader, era il membro con cui Youngjae aveva più legato in quel periodo di tempo nella quale avevano lavorato insieme.

Daehyun si inumidì le labbra e digrignò i denti. «Bastardi,» ringhiò in tono grave, ma forte abbastanza da essere sentito da tutti i membri, «li farò pagare cento volte tutto quello che gli hanno fatto.»

Detto questo, si alzò dalla poltrona di scatto e cominciò ad avviarsi verso l’entrata dell’officina, bloccata di nuovo dalle saracinesche, con l’intenzione di uscire e tener fede a ciò che aveva detto. Lo sguardo truce non lasciò nemmeno per un secondo il suo viso solitamente sereno, mentre continuava ad imprecare in bassi sussurri, con la voce tremante per la rabbia: «Spaccherò la faccia al verme che è venuto qui stamattina e ha provato a toccare Jongup. Gli romperò le ossa di tutte e due le braccia e lo prenderò a calci in culo. E poi andrò nella loro fottuta tana e li farò fuori tutti, uno a uno, nel modo più atroce che mi verrà in mente. Figli di puttana, non devono neanche minimamente pensare di poterla passare liscia dopo che hanno–»

«Calmati, Daehyun.» L’interessato sentì la voce di Himchan interrompere il suo monologo, e subito si girò per vedere Junhong afferrargli il polso destro, con un’espressione tra il sorpreso e l’incredulo. Poche volte lo aveva visto tanto aggressivo, nemmeno durante le loro normali operazioni una tale ira aveva mai dominato la sua solita espressione concentrata. Con uno strattone, Daehyun si liberò dalla presa di Junhong. Lanciò un’occhiataccia prima al più giovane, poi all’altro, che si stava avvicinando con uno sguardo di avvertimento.

«Hyung, non abbiamo neanche un piano,» gli ricordò il maknae, corrugando le sopracciglia, «anzi, non abbiamo nemmeno idea di chi siano e dove possa essere la loro base. Non penso che andare alla loro caccia a caso sia una buona idea. Ti farai uccidere!»

Lo sguardo di Daehyun si fece ancora più torvo. «Sai quanto me ne frega!» gli ringhiò. «In questo momento, possono benissimo star torturando Youngjae, e io non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo. Sono disposto a setacciare ogni angolo di questa città, per trovare e fare a pezzi quegli infami e la loro banda di seconda categoria.»

Junhong stava per ribattere, quando Himchan parlò per lui. Cercò di mantenere il tono più calmo che poté, nella speranza di portare un po’ di buonsenso nella testa di Daehyun. «Proprio per questo dovremmo stare attenti a ciò che facciamo. Come hai detto tu, possono torturare Youngjae in qualsiasi momento, persino ora che stiamo parlando. Ma non ha senso mandarci questa roba e poi ucciderlo prima che abbiamo consegnato a loro i soldi. Dovremmo star tutti calmi e–»

«E come pensi di farlo ritornare vivo e vegeto per quel giorno, eh? Sorseggiando una tazza di tè e discutendo amabilmente? Col cazzo, che mi lascio fregare così! Nelle maniche avranno mille trucchetti nascosti e saranno pronti a far fuori Youngjae in qualsiasi momento, anche quando avremo tutti i soldi che vogliono.»

«Ma questo non vuol dire che devi buttartici dentro senza alcuna precauzione! Non importa quante pistole ti porti o quante persone ucciderai, ti farai ammazzare se non ti prepari un piano d’azione perlomeno decente. Perché, secondo te, ogni volta dovremmo passare tanto tempo a progettare le nostre operazioni in ogni minimo dettaglio?»

«Himchan hyung ha ragione. Non puoi salvare Youngjae hyung se prima non salvi te stesso. Ora come ora, siamo noi quelli in svantaggio, e se facciamo un passo falso, è la fine.»

«Appunto, proprio perché siamo in svantaggio dobbiamo muoverci subito. Se vuoi vincere contro persone del genere, ti devi abbassare al loro livello, o non arriverai mai da nessuna parte, Junhong.»

Himchan grugnì irritato, certo che Daehyun non avrebbe dato ascolto né a lui, né al maknae. Mentre Junhong, rifiutandosi di lasciare all’altro l’ultima parola, continuò a il suo tentativo di persuadere Daehyun a non fare niente di avventato, il meccanico si girò verso il leader, che stava assistendo alla scena in silenzio, così come faceva Jongup. Li guardò come se volesse chiedere “Riuscite a crederci?”, mentre sollevava una mano in direzione di Daehyun. Jongup evitò il suo sguardo, in imbarazzo (non sapeva mai cosa dire in situazioni del genere, lui era più portato per l’azione, che per i discorsi); Yongguk, invece, colse il messaggio, e finalmente decise di prendere parte a quella discussione. Himchan gliene fu eternamente grato.

«Daehyun,» lo chiamò, interrompendo quel che Junhong stava dicendo. Entrambi si voltarono verso il loro leader. «Hai ragione quando dici che per vincere dobbiamo stare al loro livello,» cominciò a dire, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Himchan, «la penso in questo modo anch’io. Ma non per questo motivo dobbiamo essere meno cauti del solito. Dobbiamo arrivare preparati. Questa faccenda mi puzza, dubito che vogliano solo dei soldi. Se hanno degli uomini che sanno fare il loro lavoro, possono procurarseli benissimo da soli.»

Daehyun guardò il suo leader, senza dare segni di cedimento. Yongguk aspettò per qualche secondo, cercando una qualche reazione, ma quando vide che non ve ne sarebbe stata alcuna, riprese a parlare. «Sono quasi del tutto sicuro che vogliono ucciderci tutti comunque. Per questo voglio evitare di attaccarli nel loro nascondiglio: da quanto ho visto stamattina, dubito che possa essere solo un gruppetto di dieci persone ad aver preso Youngjae. Non è così ingenuo da farsi prendere tanto facilmente. E non vorrei vedere nessuno di voi essere ferito… o peggio.» A quell’ultimo commento, la sua voce si era abbassata di qualche tono. Tutti quanti stavano trattenendo il fiato a quella spaventosa realtà. Ne avevano già le tasche piene.

«Quindi, aspettiamo che ci dicano cosa fare. Quando li incontreremo, sicuramente eviteranno di portare l’intera banda appresso. Dubito siano tanto stupidi. Per ora, lascia che credano di averci in pugno, e che Youngjae se la cavi da solo per questi giorni, dato che non penso lo uccideranno prima che diamo i soldi che vogliono. Ti prometto che ne usciremo tutti vivi.»

Alle parole di Yongguk, Daehyun esitò qualche momento, mordendosi il labbro inferiore, e sospirò in segno di sconfitta. Ognuno degli altri membri tirò un sospiro di sollievo. Lo guardarono lasciarsi cadere pesantemente per terra, poggiando le braccia sulle ginocchia e strofinandosi il viso con le mani. Il suo gemito frustrato fu smorzato dai palmi.

«D’accordo, avete vinto,» borbottò poco dopo. «Cosa si fa?»

A quel punto, Yongguk si alzò dal divano, seguito da Jongup. L’espressione prima pensosa era ora scomparsa. «Tu e Himchan provate a vedere se riuscite a scoprire con chi abbiamo a che fare. Trovate più informazioni che potete su di loro: chi è il loro capo, le loro attività, i rapporti con altri gruppi e simili. Solitamente, siete bravi, in cose del genere.» Daehyun si era rialzato in piedi aiutato da Himchan, ed entrambi fecero un cenno di assenso, seppure il primo tentennasse ancora un po’. Yongguk si voltò verso Jongup. «Anche tu Jongup, se ti va, altrimenti pensa a riposarti. Ad ogni modo, state all’erta tutti e tre. Non sappiamo cosa abbiano intenzione di fare ancora.»

Dopodiché, spostò gli occhi sul maknae. «Io e Junhong facciamo un salto in farmacia per trovare qualcosa per Jongup. Lasciatelo dire, Himchan: la tua cassetta per il primo soccorso fa davvero schifo.» A quelle parole, l’interpellato roteò gli occhi, e preferì affrettare il suo compagno di ricerca a cominciare a svolgere il loro compito.

Yongguk si rivolse di nuovo a Jongup. «Tutto bene con la ferita?» gli chiese con una punta di preoccupazione nel tono. Il più giovane si toccò la fasciatura, annuendo. «Vorrei semplicemente averti dato ascolto, questa mattina, quando mi hai chiesto di Youngjae hyung,» ammise, un po’ nervoso. «E poi mi sono fatto anche colpire da quel tizio. Avrei dovuto far più attenzione. Dovremmo tutti pensare a salvare Youngjae hyung, e invece sto causando ancora più problemi. Mi dispiace.»

Jongup era all’oscuro di quello che stava passando nella mente di Yongguk. «Volevo… volevo solo dirti questo, tutto qui,» concluse grattandosi la nuca, incerto su cosa gli avrebbe detto il leader. Tuttavia, non fu esattamente sorpreso di vederlo sollevare un lato della bocca e lanciargli un mezzo sorriso. Forse aveva pensato di nascosto che, conoscendo il carattere di Yongguk, probabilmente avrebbe reagito in questo modo.

«Non importa,» replicò effettivamente l’altro, «non scusarti. Ci conosciamo da anni, Jongup, siamo come una famiglia. In una famiglia non ci sono colpe, per questioni del genere. Piuttosto, pensi di riuscire ad unirti a noi in questa operazione?»

«Non credo di poter star fermo in queste circostanze, hyung,» rispose lui, annuendo alla vista di Junhong che, furtivamente, gli lanciò un ghigno. La tensione di prima, in qualche modo, si allentò un poco. «Lo sai meglio di me.»

Yongguk fece un cenno, mentre il sorriso si fece più largo. Diede una pacca sulla spalla di Jongup. «Fantastico, perché non credo che potremmo cavarcela senza il nostro miglior giocatore. Andiamo a riprenderci nostro fratello.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N/A: è da tantissimo che non pubblico fanfictions, ed è anche la prima volta che ne pubblico una su persone veramente esistenti. AIUTO.

Ho visto pochissime (leggasi: letteralmente due, di cui non trovo più una sobs to the eternity) storie sull’MV di One Shot che erano solamente e completamente e genuinamente OT6, ma erano davvero corte sob why nessuno scrive su OT6 aaahh. Ergo, ho deciso di scriverne una io. AIUTO DI NUOVO.

Giuro che è una delle migliori storie che ho scritto fino ad ora. Ed è anche quella la quale ho fatto più ricerche; credetemi quando vi dico che ci sto lavorando sin da inizio giugno. Ed è anche piena di riferimenti ai B.A.P! (il titolo stesso è uno di questi ohohohoho.) È solo che ho un sacco di feels per questi sei dorks aaaghhhh. One Shot ha il miglior MV di tutto il pianeta. Spero che il loro prossimo comeback sarà altrettanto epico sigh CAN U FEEL ME

Aggiornerò presto! Si spera che il mio punto di vista sull’MV vi sia gradito.

Rainie

   
 
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