[ part 1: warning warning warning warning ]
playlist: badman – b.a.p; big deal
– nu’est; the
mighty fall – fall out boys.
Le
strade bruciavano sotto un sole particolarmente intenso, segno
che l’estate si stava inesorabilmente avvicinando.
Al
riparo dal caldo, l’officina Kim aveva le saracinesche
abbassate,
togliendo al quartiere uno dei suoi pochi segni di vitalità.
Il suo
proprietario aveva deciso di prendersi un giorno di riposo, visti i
rari
clienti che gli avevano fatto visita nell’ultima settimana.
Il calore batteva
sul metallo facendolo diventare incandescente nonostante fosse ancora
mattina,
mentre dall’interno proveniva solo il silenzio. Di tanto in
tanto,
un’automobile o un abitante del quartiere passava di
lì, ma non prestavano attenzione
a quel locale, essendo per loro una vista quotidiana.
Con
i passi che scricchiolavano sul marciapiede, Jongup svoltò
l’angolo di un isolato e si addentrò in un
viottolo che aveva percorso ormai
innumerevoli volte. Porte chiuse di edifici e pareti tappezzate di
colorati
murales sfilarono ai suoi fianchi, mentre alcuni negozi di alimentari e
i bar
tentavano di scacciare l’aria viziata dal loro interno
tenendo l’ingresso
aperto.
Nella
frescura dell’ombra, tirò fuori il suo smartphone,
cercò un
numero nella sua rubrica e pigiò il tasto di chiamata.
Svoltò un altro angolo
mentre il cellulare suonò una, due, tre volte.
«Hey, hyung. Sono quasi
arrivato, dieci minuti ancora e sono lì. Youngjae hyung? No,
non lo sto
sentendo da un po’. Ma non aveva comunque detto che sarebbe
stato via per
qualche tempo? Se si tratta di lui, non penso che possa succedere
qualcosa. Non
essere tanto paranoico! Rilassati un po’. Dai, ne discutiamo
quando arrivo. A
dopo.»
Era
una delle rare volte in cui Yongguk era stato incaricato da
Himchan di tenere d’occhio la sua officina. In quella
tranquillità, tra una
motocicletta e il forte odore di gasolio, si chiese come se la stesse
cavando
Youngjae. Non aveva più avuto alcuna notizia da parte sua da
ormai diversi
giorni. Il ragazzo poteva certamente cavarsela, ma l’ansia di
Yongguk si faceva
sentire di più ogni ora che passava. Aveva cominciato ad
immaginarsi milioni di
scenari in cui era rapito, sbattuto in qualche stanza e lasciato senza
cibo né
acqua per diversi giorni, picchiato, e persino ucciso.
Il
pensiero gli faceva venire il voltastomaco. Così, dal
momento che
Himchan gli aveva solo chiesto di “non far casino con gli
strumenti e lasciare
l’officina sottosopra mentre era via”, aveva
chiamato Jongup per portarlo via
dalla noia, sperando che, in questo modo, avrebbe smesso di
preoccuparsi.
Yongguk
aprì il lucchetto che bloccava la saracinesca, e la
alzò
senza sforzo. La luce del sole penetrò subito
nell’atrio semivuoto, portando
con sé il caldo soffocante dell’esterno, che si
mischiò con il distintivo odore
di benzina del garage. Alla vista della strada deserta, Yongguk godette
per un
paio di minuti il silenzio primaverile sulla soglia
dell’entrata, sentendo
sulla pelle, di tanto in tanto, una leggera brezza dargli un
po’ di sollievo
dall’afa, fino a quando non individuò la figura di
Jongup avviarsi verso la sua
direzione. La sua bocca si allargò nel suo tipico sorriso,
mentre il più
giovane si avvicinava.
«Hey,»
si salutarono, stringendosi la mano e dandosi una pacca sulla
schiena. «E Himchan hyung?» chiese Jongup, piegando
la testa di lato e
sbirciando dentro l’officina.
All’interno, le luci erano spente, e la poca luce che
filtrava dalle finestre rivelava
il profilo di diverse auto e motociclette parcheggiate in delle
ordinate fila
negli spazi più interni. Incredibilmente, il meccanico
riusciva a tenere il suo
posto di lavoro piuttosto curato. La ringhiera della scala che
conduceva al
secondo piano, notò Jongup, era stata dipinta di rosso di
recente.
Yongguk
scrollò le spalle. «Ha detto che sarebbe andato a
comprare
dei nuovi pezzi di ricambio, ma sai com’è.
Sarà a divertirsi da qualche parte.»
Guardò Jongup ridacchiare per un secondo.
«Giusto,»
commentò.
Yongguk
stava per invitarlo dentro quando notò un movimento con la
coda dell’occhio. Riuscì appena a lanciare al
ragazzo che aveva di fronte uno
sguardo allarmato, e lo vide voltarsi e ricevere un colpo brutale sulla
tempia
destra da una mazza metallica, impugnata da un uomo dalla corporatura
robusta,
con gli occhiali da sole calati sugli occhi.
Il
silenzio venne spezzato dal gemito acuto di dolore che uscì
dalle
labbra di Jongup, mentre la sua espressione rilassata di prima venne
sostituita
da una smorfia di dolore atroce. Il più anziano
sentì il proprio capo pulsare,
come se fosse stato lui quello aggredito. Il livello di adrenalina nel
suo
sangue salì in pochi secondi mentre guardava Jongup
accasciarsi per terra,
avendo perso i sensi. Subito, Yongguk si inginocchiò a
fianco a lui e lo alzò
dal pavimento afferrandolo per le spalle, mentre tentava di
risvegliarlo
scuotendolo e chiamando il suo nome. Il corpo di Jongup non si mosse;
dai
graffi sul suo capo aveva cominciato ad uscire del sangue, e a Yongguk
sembrò
di aver dimenticato come si respirava.
Un
grugnito da sopra il suo capo gli fece alzare gli occhi. Il loro
aggressore aveva sul suo viso un ghigno soddisfatto, mentre la mazza,
ora
abbassata a terra, scricchiolò ostile sul ruvido terreno,
con la superficie
lucida che rifletteva, minacciosa, la luce del sole. La preoccupazione
di
Yongguk stava cominciando a trasformarsi in rabbia, le sue mani
tremavano al
desiderio di prendere a pugni quella disgustosa faccia, come
osava toccare un suo membro, con che coraggio aveva–
Sentì
qualcosa cadere vicino a lui. Ai suoi piedi, vide un pezzo di
plastica nero, di forma rettangolare, giacere sul ruvido terreno.
Yongguk lo
riconobbe come una chiavetta USB e, ancora con lo sguardo incredulo e
ostile,
tornò sulla figura scura dell’uomo che si
stagliava contro la luce del sole.
«Mi raccomando, se non vuoi che il tuo amichetto
muoia,» disse, sempre con quel
ghigno derisorio, e si allontanò dall’entrata
dell’officina come se niente
fosse successo.
Registrando
le parole appena pronunciate, Yongguk seguì con gli
occhi l’auto che, una volta accolto il suo passeggero, si
allontanò
dall’officina in un grave rombo, tra le risate sghignazzanti
dei membri
all’interno. Ancora una volta, quella strada
ritornò deserta e silenziosa, con
la sola afa a riempire il vuoto.
Ricordando
le proprie priorità, Yongguk ritornò con lo
sguardo su
Jongup. Vide il suo petto alzarsi ed abbassarsi, e sentì il
respiro corto passare
tra le sue labbra. Senza perdere altro tempo, lo portò
dentro l’officina, dove
era sicuro che Himchan teneva una cassetta per il primo soccorso da
qualche
parte. Cercò di sistemare il corpo del ragazzo
più delicatamente possibile sul
divano nell’atrio, e nel mentre si ricordò della
chiavetta lasciatagli
dall’assalitore.
Mentre
ritornava a recuperarla dall’ingresso, digitò il
numero del
suo più giovane membro sul cellulare, sollecitandolo ad
arrivare al più presto
ed affrettandolo a contattare gli altri loro compagni e, in
particolare,
Youngjae.
«Il cliente da Lei chiamato al
momento non è raggiungibile. La preghiamo di lasciare un
messaggio dopo il
segnale acustico.»
Himchan
abbassò il suo smartphone e terminò la chiamata.
Alzò gli
occhi sui suoi compagni, che lo guardavano in attesa, interrogativi.
«Niente da
fare,» riferì lui, scuotendo il capo e sospirando
con frustrazione, «Youngjae
ancora non risponde.»
Al
suo fianco, il meccanico sentì Daehyun gemere insofferente,
mentre affondava il suo corpo nel divano. Si erano radunati tutti e
cinque
nella sua officina, che fungeva anche da nido per le loro operazioni,
al riparo
dagli occhi indiscreti degli abitanti del quartiere. Himchan non era
del tutto
convinto che i suoi vicini fossero ancora all’oscuro di
ciò che succedeva
veramente lì dentro, eppure nessuno dei suoi clienti esitava
di fronte al suo ingresso.
Probabilmente, era il fatto di essere l’unico meccanico in
zona a far spingere
(letteralmente) i loro veicoli in quell’abitacolo. O forse
era solo a causa
dell’aria corrotta che albergava in quella città.
Himchan preferiva comunque
lasciare la faccenda al dubbio.
Infilò
il suo cellulare in tasca e, vedendo che il divano era
occupato da Junhong, Yongguk e Daehyun, si sedette su una motocicletta
vicina.
Era uno dei suoi ultimi gioielli, ed era impaziente di perfezionarlo e
farlo
correre sulle strade. Ma, in quel momento, aveva altro di cui
preoccuparsi.
Il
suo sguardo slittò su Jongup, stravaccato su una sedia sul
lato
opposto. La sua testa era stata fasciata come Yongguk meglio aveva
potuto, sul
suo viso vi era ancora una smorfia di dolore. Una chiazza rossastra si
stava
formando sulla garza immacolata, e Himchan gli offrì un
passaggio in ospedale,
in modo da poter essere trattato da mani più esperte di
quelle del loro leader.
In risposta, il più giovane rise amaramente, dicendo che una
scusa come
l’essere caduti dalle scale non sarebbe stato abbastanza,
dopodiché avrebbero
cominciato a far domande, avrebbero perso solo tempo. Il meccanico
annuì,
nonostante non fosse del tutto convinto della sua decisione.
«È
che sono preoccupato per quello che troveremo nella
chiavetta,»
ammise ai suoi compagni. La tensione gravò ancora di
più sui cinque, e Daehyun
decise di intervenire.
«Allora
non ci resta che scoprire di cosa si tratta. Magari ci hanno
regalato un altro viaggio a Manila,» disse, con il tono
impregnato di sarcasmo.
A
quel punto, Junhong tirò fuori il pezzo di plastica in
questione.
Lo fissò per qualche secondo, come se sperasse di riuscire a
capire cosa li
aspettava, mentre i suoi fratelli più anziani lo
attendevano, con uno sguardo
paziente. Diede una veloce occhiata a Yongguk, seduto a fianco a lui, e
lo vide
con gli avambracci poggiati sulle ginocchia, mentre gli occhi erano
attaccati
allo schermo del computer portatile sul tavolino di fronte, perso nei
suoi
pensieri. Ritornò a giocherellare con la chiave USB.
«Sapete,»
cominciò a dire, «ora che siamo di nuovo solo noi,
sento
come se fosse, uhm, diverso senza Youngjae hyung con noi.»
All’improvvisa
confessione del più giovane, Himchan ridacchiò
brevemente. «Colpa sua. Quando ritornerà, avremo
già finito di occuparci di
questo e si sarà perso tutto il divertimento,» gli
rispose, non del tutto
sicuro delle sue stesse parole. Non sapeva se stesse tentando di
convincere lui
o se stesso, dopo che Yongguk gli aveva spiegato la situazione al suo
ritorno
in officina. Anche Junhong sembrò di percepire come quelle
parole parevano
forzate, ma non disse niente, e abbassò il capo in un
silenzioso cenno di assenso.
Il
giovane passò la chiave al leader, che lo prese senza
proferire
parola. I cinque si strinsero attorno al notebook, Jongup avvicinando
la propria
sedia per una migliore visione e Himchan posizionandosi dietro al
divano, alle
spalle di Daehyun e Yongguk. Questi inserì il piccolo
dispositivo nella presa
apposita, e qualche secondo dopo una finestra si aprì sullo
schermo.
La
memory card conteneva due oggetti: la prima era un video di poco
più di un minuto, mentre la seconda era una nota che pesava
appena pochi
kilobyte. Entrambi erano etichettati con dei semplici
“000”. «Una gran
fantasia,» borbottò Daehyun.
Yongguk
aprì prima il video, considerandolo più
importante. I membri
restarono in attesa mentre si caricava, ma non meno nervosi di prima.
Un paio
di secondi dopo, nell’inquadratura apparve la faccia di un
uomo mascherato. Si
sentivano dei rumori nel sottofondo, dei passi, forse, e
l’uomo in primo piano
si spostò per rivelare cosa c’era alle sue spalle.
Un
suo compagno era in piedi, anche lui con una maschera calata su
naso e bocca, e guardava dritto nell’inquadratura. Alla sua
destra, su una
sedia, stava seduta una figura con il corpo piegato in avanti e le mani
legate
dietro la schiena. Solo dai capelli biondo scuro non poteva essere
riconosciuto, ma Yongguk vide i suoi incubi realizzarsi quando il primo
uomo
gli afferrò delle ciocche sulla nuca e gli tirò
indietro il capo per rivelarne
l’identità.
Era
Youngjae. Non aveva affatto un bell’aspetto, dal momento che
il
suo viso era ora costellato di lividi e linee sanguigne che
percorrevano le sue
guance.
Tutti
e cinque i giovani guardarono con il respiro mozzato il loro
compagno mentre gli veniva tirato un pugno sulla mandibola.
Nella
stanza illuminata debolmente dalla finestra sbarrata, con la
schiena appoggiata alla parete di pietra, Youngjae fissò il
vassoio di cibo che
gli avevano rifilato pochi minuti prima. Non era molto: una minestra,
del pane,
e un bicchiere d’acqua. Non che si aspettasse una cena da
ristorante lussuoso;
nessuna banda di strada come si deve offrirebbe un pasto normale a
coloro che
tengono in ostaggio.
Non
aveva molto appetito, comunque. I lividi che gli avevano
procurato ancora facevano incredibilmente male, si sentiva il corpo
indolenzito
(probabilmente aveva anche una costola fratturata), e se si fosse
passato una
mano sul viso, avrebbe tastato le croste di sangue che si erano formate
sulle
ferite. Restò in silenzio a riflettere su ciò che
gli era accaduto.
La
porta della stanza in cui era stato sbattuto si aprì, e
Youngjae
vide entrare un ragazzo che aveva più o meno la sua stessa
età, uno dei primi
che avevano cominciato a torturarlo. Non sapeva chi fosse (lo aveva
solo
sentito essere chiamato Sung), ma, da come i suoi membri sembravano
seguire i
suoi ordini, aveva intuito che era uno dei pezzi grossi della banda. In
un
certo senso, gli aveva ricordato se stesso, nonostante tra i suoi
compagni non
vi era una certa rigidità di posizioni. Ognuno faceva e si
impegnava in ciò che
poteva. Non gli erano mai piaciute le piramidi sociali.
Sung
guardò il vassoio ancora pieno, poi lui. Youngjae sostenne
saldamente il suo sguardo, senza avere intenzione di lasciargli vincere
quella
piccola sfida. Da come lo fissava il suo avversario, intuì
che aveva delle
notizie – probabilmente cattive, per lui.
Prima
che potesse farsi un’idea di cosa gli avrebbe detto,
l’altro
lo precedette: «Giusto perché tu lo sappia,
stamattina abbiamo incontrato uno
dei tuoi amici, sai?» Non vedendo alcuna reazione da parte di
Youngjae, il
quale continuava a fissarlo senza proferire parola, Sung
lasciò che un ghigno
scivolasse sulle sue labbra, prima di continuare a parlargli.
«Gli abbiamo
fatto solo un po’ male. Il tuo leader non ha nemmeno mosso un
dito. Gran bel
capo, che ti sei scelto.»
Youngjae
dovette resistere alla forte tentazione di roteare gli
occhi e di ridergli in faccia. Restò in silenzio con
un’espressione neutra,
senza distogliere lo sguardo dal suo nemico.
«Non
mi guardare in quel modo,» disse quello, alzando le mani in
segno di resa, «è vero che ti abbiamo detto che
non avremmo fatto niente ai
tuoi compagni. Ma – ops – credo che il Boss si sia
dimenticato di ricordarlo.
Però non ti preoccupare, non penso che sia morto. Almeno
così mi hanno
raccontato.»
Per
la prima volta in quei giorni, Sung vide Youngjae lanciargli un
sorriso beffardo. Strizzò gli occhi, fulminandolo con lo
sguardo. «Cazzo hai da
ridere?» gli ringhiò in tono basso. «Non
credo che tu sia nella posizione per
farlo.»
«Questo
lo dovrei dire io,» replicò con estrema calma
l’altro. «Credete
che questo li spaventerà? Non conoscete bene Yongguk hyung.
State certi che da
ora dovrete fare molta più attenzione, se non desiderate che
qualcuno di voi rimanga
ucciso prima che il patto sia portato a termine. Non mi sembrate una
banda
tanto brillante.»
Sung
digrignò i denti e schioccò la lingua,
minaccioso. «Bada a come
parli, bastardo. Posso ucciderti qui ed ora, e morirai di una morte
agonizzante,» lo avvertì, mentre le mani
tremavano, impazienti di colpire
Youngjae ed insegnargli una lezione.
Questa
volta, il ragazzo in questione non riuscì a non ghignare
apertamente. «No, non puoi, sono un ostaggio troppo prezioso.
Sai come fa quel
detto?» Continuò a guardarlo per un secondo di
troppo. «“Can che abbaia, non
morde”. Ti descrive perfettamente.»
Poiché
i suoi riflessi erano inibiti dalle torture precedenti,
Youngjae non poté schivare il calcio sul bicipite. Ma quello
non era niente, in
confronto alle fitte che Sung gli procurò successivamente
quando la punta dei
suoi stivali fu tirato con forza nello stomaco e sul petto,
innumerevoli volte.
I grugniti di Youngjae riempirono la stanza per secondi interminabili,
deciso a
non dargliela vinta, fino a quando, infine, la suola della scarpa
atterrò sulla
sua tempia. A Youngjae sembrò quasi di essere diventato
ormai immune al dolore,
per tutti i colpi che aveva ricevuto nei giorni prima, mentre tentava
di
riprendere il fiato.
Dall’alto,
Sung lo guardò con disprezzo. «Mi fai proprio
incazzare,
tu. Renditi conto che sei un uomo solo in mezzo ad un branco di
lupi.» Youngjae
sentì la pressione esercitata sul suo cranio aumentare
notevolmente, ma serrò
le labbra per non lasciar scappare alcun suono. «La prossima
volta che apri
quella fottuta bocca, pensaci bene.» E detto questo, Sung
alzò la sua scarpa
dal capo del biondo e tornò sui suoi passi, sbattendo la
porta una volta
uscito.
Quando
Youngjae sentì la serratura scattare chiusa, rise
mentalmente
all’ingenuità mostrata da Sung. A differenza dei
lupi, gli uomini possedevano
una certa capacità: quella di usare il proprio intelletto
per preparare le
dovute precauzioni per gli imprevisti. Ed era certo che anche il resto
dei
B.A.P lo sapeva.
Un
cartello su cui era stampato “10,000,000$” pendeva
dal collo di
un Youngjae sanguinante.
Il
video era terminato, lasciando l’intero gruppo a processare
le
agghiaccianti immagini del loro amico essere brutalmente picchiato.
Quanti
giorni erano passati da quando quel video era stato filmato? Quante
chiamate
erano state fatte, quante volte si erano ritrovati in
quell’officina senza la
familiare presenza di Youngjae con loro?
Non
era solo questo a turbare Jongup. Yongguk aveva ragione, e ora si
sentiva in colpa per quello che gli aveva detto a proposito durante la
telefonata di quella mattina. Non riusciva a capire come avesse potuto
essere
tanto sprovveduto da pensare che quei giorni di assenza non fossero
tanto
importanti. Avrebbe dovuto preoccuparsi. Avrebbe dovuto dargli ragione.
E
ora aveva persino ridotto gli altri ad occuparsi di lui e della
sua ferita. Jongup avrebbe voluto darsi un pugno in faccia per la poca
attenzione che aveva prestato.
La
sua occhiata atterrò sullo hyung seduto vicino a Junhong.
Aveva
sul viso un’espressione dura, pensosa, con le sopracciglia
corrugate e le
labbra strette in una sottile linea. Le sue mani non riuscivano a stare
ferme e
continuavano a torturarsi l’un l’altra, mentre il
suo respiro era corto,
arrabbiato. Jongup lo conosceva abbastanza per affermare che il loro
capo stava
già pensando ad una strategia per salvare Youngjae.
Dopo
momenti di silenzio, Himchan fu il primo ad avere il coraggio
di parlare, dopo l’orrore a cui avevano assistito.
«Non fare quella faccia,
Bbang,» gli disse serio, dando una leggera pacca sulla spalla
del suo coetaneo,
«leggiamo prima cosa c’è scritto in
quella nota, e poi decidiamo cosa fare,
hmh?»
Alle
parole dell’amico, Yongguk sembrò corrucciare
ancora di più lo
sguardo. Non di meno, una volta chiusa la finestra del video,
cliccò sull’altro
file che si aprì all’istante.
Era
un avvertimento di poche righe.
“Speriamo
che vi piaccia lo spettacolo che vi abbiamo preparato. Se lo volete
vivo,
portateci dieci milioni di dollari in contanti. Vi chiameremo noi per
il luogo
e l’ora. Sappiate che se non avete i soldi entro quella data,
lo uccideremo. E
non provate nemmeno a far passi falsi, altrimenti, sapete come
finirà.”
Se
Yongguk riusciva a trattenere il suo stato d’animo per
sé,
diversa era la situazione per Daehyun, che era livido in volto.
Sbatté
violentemente un pugno sul tavolo, preso dall’ira. Si
voltarono tutti verso di
lui, ma la sua furia non sorprese nessuno: oltre il leader, era il
membro con
cui Youngjae aveva più legato in quel periodo di tempo nella
quale avevano lavorato
insieme.
Daehyun
si inumidì le labbra e digrignò i denti.
«Bastardi,» ringhiò
in tono grave, ma forte abbastanza da essere sentito da tutti i membri,
«li
farò pagare cento volte tutto quello che gli hanno
fatto.»
Detto
questo, si alzò dalla poltrona di scatto e
cominciò ad
avviarsi verso l’entrata dell’officina, bloccata di
nuovo dalle saracinesche,
con l’intenzione di uscire e tener fede a ciò che
aveva detto. Lo sguardo truce
non lasciò nemmeno per un secondo il suo viso solitamente
sereno, mentre continuava
ad imprecare in bassi sussurri, con la voce tremante per la rabbia:
«Spaccherò
la faccia al verme che è venuto qui stamattina e ha provato
a toccare Jongup.
Gli romperò le ossa di tutte e due le braccia e lo
prenderò a calci in culo. E
poi andrò nella loro fottuta tana e li farò fuori
tutti, uno a uno, nel modo
più atroce che mi verrà in mente. Figli di
puttana, non devono neanche
minimamente pensare di poterla passare liscia dopo che
hanno–»
«Calmati,
Daehyun.» L’interessato sentì la voce di
Himchan
interrompere il suo monologo, e subito si girò per vedere
Junhong afferrargli
il polso destro, con un’espressione tra il sorpreso e
l’incredulo. Poche volte
lo aveva visto tanto aggressivo, nemmeno durante le loro normali
operazioni una
tale ira aveva mai dominato la sua solita espressione concentrata. Con
uno
strattone, Daehyun si liberò dalla presa di Junhong.
Lanciò un’occhiataccia
prima al più giovane, poi all’altro, che si stava
avvicinando con uno sguardo
di avvertimento.
«Hyung,
non abbiamo neanche un piano,» gli ricordò il
maknae,
corrugando le sopracciglia, «anzi, non abbiamo nemmeno idea
di chi siano e dove
possa essere la loro base. Non penso che andare alla loro caccia a caso
sia una
buona idea. Ti farai uccidere!»
Lo
sguardo di Daehyun si fece ancora più torvo. «Sai
quanto me ne
frega!» gli ringhiò. «In questo momento,
possono benissimo star torturando
Youngjae, e io non ho alcuna intenzione di perdere altro tempo. Sono
disposto a
setacciare ogni angolo di questa città, per trovare e fare a
pezzi quegli
infami e la loro banda di seconda categoria.»
Junhong
stava per ribattere, quando Himchan parlò per lui.
Cercò di
mantenere il tono più calmo che poté, nella
speranza di portare un po’ di
buonsenso nella testa di Daehyun. «Proprio per questo
dovremmo stare attenti a
ciò che facciamo. Come hai detto tu, possono torturare
Youngjae in qualsiasi
momento, persino ora che stiamo parlando. Ma non ha senso mandarci
questa roba
e poi ucciderlo prima che abbiamo consegnato a loro i soldi. Dovremmo
star
tutti calmi e–»
«E
come pensi di farlo ritornare vivo e vegeto per quel giorno, eh?
Sorseggiando una tazza di tè e discutendo amabilmente? Col
cazzo, che mi lascio
fregare così! Nelle maniche avranno mille trucchetti
nascosti e saranno pronti
a far fuori Youngjae in qualsiasi momento, anche quando avremo tutti i
soldi
che vogliono.»
«Ma
questo non vuol dire che devi buttartici dentro senza alcuna
precauzione! Non importa quante pistole ti porti o quante persone
ucciderai, ti
farai ammazzare se non ti prepari un piano d’azione perlomeno
decente. Perché,
secondo te, ogni volta dovremmo passare tanto tempo a progettare le
nostre
operazioni in ogni minimo dettaglio?»
«Himchan
hyung ha ragione. Non puoi salvare Youngjae hyung se prima
non salvi te stesso. Ora come ora, siamo noi quelli in svantaggio, e se
facciamo un passo falso, è la fine.»
«Appunto,
proprio perché siamo in svantaggio dobbiamo muoverci
subito. Se vuoi vincere contro persone del genere, ti devi abbassare al
loro
livello, o non arriverai mai da nessuna parte, Junhong.»
Himchan
grugnì irritato, certo che Daehyun non avrebbe dato ascolto
né a lui, né al maknae. Mentre Junhong,
rifiutandosi di lasciare all’altro
l’ultima parola, continuò a il suo tentativo di
persuadere Daehyun a non fare
niente di avventato, il meccanico si girò verso il leader,
che stava assistendo
alla scena in silenzio, così come faceva Jongup. Li
guardò come se volesse
chiedere “Riuscite a crederci?”, mentre sollevava
una mano in direzione di
Daehyun. Jongup evitò il suo sguardo, in imbarazzo (non
sapeva mai cosa dire in
situazioni del genere, lui era più portato per
l’azione, che per i discorsi);
Yongguk, invece, colse il messaggio, e finalmente decise di prendere
parte a
quella discussione. Himchan gliene fu eternamente grato.
«Daehyun,»
lo chiamò, interrompendo quel che Junhong stava dicendo.
Entrambi si voltarono verso il loro leader. «Hai ragione
quando dici che per
vincere dobbiamo stare al loro livello,» cominciò
a dire, guadagnandosi
un’occhiataccia da parte di Himchan, «la penso in
questo modo anch’io. Ma non
per questo motivo dobbiamo essere meno cauti del solito. Dobbiamo
arrivare
preparati. Questa faccenda mi puzza, dubito che vogliano solo dei
soldi. Se
hanno degli uomini che sanno fare il loro lavoro, possono procurarseli
benissimo da soli.»
Daehyun
guardò il suo leader, senza dare segni di cedimento. Yongguk
aspettò per qualche secondo, cercando una qualche reazione,
ma quando vide che
non ve ne sarebbe stata alcuna, riprese a parlare. «Sono
quasi del tutto sicuro
che vogliono ucciderci tutti comunque. Per questo voglio evitare di
attaccarli
nel loro nascondiglio: da quanto ho visto stamattina, dubito che possa
essere
solo un gruppetto di dieci persone ad aver preso Youngjae. Non
è così ingenuo
da farsi prendere tanto facilmente. E non vorrei vedere nessuno di voi
essere
ferito… o peggio.» A quell’ultimo
commento, la sua voce si era abbassata di
qualche tono. Tutti quanti stavano trattenendo il fiato a quella
spaventosa
realtà. Ne avevano già le tasche piene.
«Quindi,
aspettiamo che ci dicano cosa fare. Quando li incontreremo,
sicuramente eviteranno di portare l’intera banda appresso.
Dubito siano tanto
stupidi. Per ora, lascia che credano di averci in pugno, e che Youngjae
se la
cavi da solo per questi giorni, dato che non penso lo uccideranno prima
che
diamo i soldi che vogliono. Ti prometto che ne usciremo tutti
vivi.»
Alle
parole di Yongguk, Daehyun esitò qualche momento, mordendosi
il
labbro inferiore, e sospirò in segno di sconfitta. Ognuno
degli altri membri tirò
un sospiro di sollievo. Lo guardarono lasciarsi cadere pesantemente per
terra,
poggiando le braccia sulle ginocchia e strofinandosi il viso con le
mani. Il
suo gemito frustrato fu smorzato dai palmi.
«D’accordo,
avete vinto,» borbottò poco dopo. «Cosa
si fa?»
A
quel punto, Yongguk si alzò dal divano, seguito da Jongup.
L’espressione prima pensosa era ora scomparsa. «Tu
e Himchan provate a vedere
se riuscite a scoprire con chi abbiamo a che fare. Trovate
più informazioni che
potete su di loro: chi è il loro capo, le loro
attività, i rapporti con altri
gruppi e simili. Solitamente, siete bravi, in cose del
genere.» Daehyun si era
rialzato in piedi aiutato da Himchan, ed entrambi fecero un cenno di
assenso,
seppure il primo tentennasse ancora un po’. Yongguk si
voltò verso Jongup.
«Anche tu Jongup, se ti va, altrimenti pensa a riposarti. Ad
ogni modo, state
all’erta tutti e tre. Non sappiamo cosa abbiano intenzione di
fare ancora.»
Dopodiché,
spostò gli occhi sul maknae. «Io e Junhong
facciamo un
salto in farmacia per trovare qualcosa per Jongup. Lasciatelo dire,
Himchan: la
tua cassetta per il primo soccorso fa davvero schifo.» A
quelle parole,
l’interpellato roteò gli occhi, e
preferì affrettare il suo compagno di ricerca
a cominciare a svolgere il loro compito.
Yongguk
si rivolse di nuovo a Jongup. «Tutto bene con la
ferita?»
gli chiese con una punta di preoccupazione nel tono. Il più
giovane si toccò la
fasciatura, annuendo. «Vorrei semplicemente averti dato
ascolto, questa mattina,
quando mi hai chiesto di Youngjae hyung,» ammise, un
po’ nervoso. «E poi mi
sono fatto anche colpire da quel tizio. Avrei dovuto far più
attenzione.
Dovremmo tutti pensare a salvare Youngjae hyung, e invece sto causando
ancora
più problemi. Mi dispiace.»
Jongup
era all’oscuro di quello che stava passando nella mente di
Yongguk. «Volevo… volevo solo dirti questo, tutto
qui,» concluse grattandosi la
nuca, incerto su cosa gli avrebbe detto il leader. Tuttavia, non fu
esattamente
sorpreso di vederlo sollevare un lato della bocca e lanciargli un mezzo
sorriso. Forse aveva pensato di nascosto che, conoscendo il carattere
di
Yongguk, probabilmente avrebbe reagito in questo modo.
«Non
importa,» replicò effettivamente
l’altro, «non scusarti. Ci
conosciamo da anni, Jongup, siamo come una famiglia. In una famiglia
non ci
sono colpe, per questioni del genere. Piuttosto, pensi di riuscire ad
unirti a
noi in questa operazione?»
«Non
credo di poter star fermo in queste circostanze, hyung,»
rispose lui, annuendo alla vista di Junhong che, furtivamente, gli
lanciò un
ghigno. La tensione di prima, in qualche modo, si allentò un
poco. «Lo sai
meglio di me.»
Yongguk
fece un cenno, mentre il sorriso si fece più largo. Diede
una pacca sulla spalla di Jongup. «Fantastico,
perché non credo che potremmo
cavarcela senza il nostro miglior giocatore. Andiamo a riprenderci
nostro
fratello.»
N/A: è da tantissimo che non
pubblico fanfictions, ed è anche la
prima volta che ne pubblico una su persone veramente esistenti. AIUTO.
Ho
visto
pochissime (leggasi: letteralmente due, di cui non trovo
più una sobs to the
eternity) storie sull’MV di One Shot che erano solamente e
completamente e
genuinamente OT6, ma erano davvero corte sob why nessuno scrive su OT6
aaahh.
Ergo, ho deciso di scriverne una io. AIUTO DI NUOVO.
Giuro
che è una
delle migliori storie che ho scritto fino ad ora. Ed è anche
quella la quale ho
fatto più ricerche; credetemi quando vi dico che ci sto
lavorando sin da inizio
giugno. Ed è anche piena di riferimenti ai B.A.P! (il titolo
stesso è uno di
questi ohohohoho.) È solo che ho un sacco di feels per
questi sei dorks
aaaghhhh. One Shot ha il miglior MV di tutto il pianeta. Spero che il
loro
prossimo comeback sarà altrettanto epico sigh CAN U FEEL ME
Aggiornerò
presto! Si spera che il mio punto di vista sull’MV vi sia
gradito.
Rainie