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Autore: Polaris_Nicole    11/08/2014    0 recensioni
E se Artemide avesse infranto il voto di castità? E se avesse avuto un figlio maschio?
Jonah Nighthief, figlio di un naturalista inglese, presto scoprirà di essere un mezzosangue e di essere anche il frutto del tradimento della dea della Luna.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gli Dèi, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Jonah … Jonah, svegliati!”
Queste parole continuarono a rimbombarmi nella testa senza che io potessi fare niente per fermarle.
Da quando era stato riconosciuto come figlio di Artemide, la vita al campo era totalmente cambiata, non ero in grado di stabilire se in meglio o in peggio.
Tutti mi ignoravano (mi avevano ignorato dal primo giorno, ma non vi avevo dato troppo peso … fino ad ora) tranne i figli di Afrodite che mi definivano “la prova che tutti possono essere innamorati”, i figli di Apollo con cui mi allenavo a tiro con l’arco, i satiri e le ninfe.
I satiri e le ninfe erano i peggiori, mi tormentavano dalla mattina alla sera con richieste assurde e insensate.
Soltanto il giorno prima avevo dovuto affrontare tre satiri che volevano per forza andare a fare una passeggiata in spiaggia con me e cinque ninfe che fecero a gara per sedersi accanto a me a pranzo.
“Jonah, so che sei sveglio, alzati!” esordì con maggiore intensità la voce sconosciuta alle mie orecchie.
Pensai che si trattasse dell’ennesima ninfa-stalker e provai ad ignorarli ma, ben presto, sentii uno strano respiro caldo e denso annebbiarmi la mente.
Aprii gli occhi controvoglia e mi ritrovai davanti il cervo più … cervo che avessi mai visto.
Arretrai di scatto col risultato che caddi dal letto dalle coperte splendenti e argentate (grazie mille iperattività!).
Vidi una mano affusolata accarezzare la testa dell’animale con una grazia che mai avrei paragonato ad un qualsiasi essere umano.
“amari estremi, estremi rimedi” si giustificò la voce, allora potei vedere a chi apparteneva la voce.
Era una donna, doveva avere una ventina d’anni, i suoi capelli erano ramati e raccolti in una treccia, indossava un jeans nero, una giacca di pelle e una maglietta di una vecchia band rock.
Poteva sembrare una persona comune, eppure vi era un’aura attorno a quella figura che lo costrinse a credere tutt’altro.
“t-tu chi sei?” chiesi cercando di mascherare il senso di confusione per quell’inaspettata visita.
“non riconosci tua madre neanche quando ce l’hai davanti?” chiese la donna, che identificai come Artemide, incrociando le braccia e guardando torva il cervo che si stava pappando il mio cuscino.
“Artemide? Sei … sei proprio tu” dissi stupidamente inchinandomi di fronte a lei, non sapevo perché, ma mi sembrava la cosa giusta da fare (dopotutto era una dea!).
“no, niente inchini, mi fai sentire così vecchia …” disse lei facendomi cenno di alzarmi.
Ero stupefatto, sapevo che probabilmente sarebbe venuta a farmi visita nel giro di qualche giorno, però non mi aspettavo che avesse quell’aspetto … anche se la trovavo assolutamente fantastica!
Rimanemmo a fissarci per un po’, non avevo mai pensato a cosa avrei fatto o detto se avessi finalmente incontrato mia madre e, considerando che ero il suo unico figlio, pensavo che neanche lei sapesse esattamente cosa fare.
“sono passata per casa tua ieri, ti ho portato un po’ di cose che pensavo potessero servirti. Ti aspetto nel bosco, non ti dimenticare che stamane abbiamo una battuta di caccia” disse con tono serio poggiando uno zaino sul mio letto e sparendo nel nulla.
Nello zaino, trovai alcuni miei vestiti (finalmente non avrei dovuto più mettere quell’orribile arancione scambiato!), dei libri di mio padre (che li avesse presi anche lei senza il suo permesso? Molto probabilmente sì), un vecchio panda di peluche (era nascosto sotto il letto, come cavolo aveva fatto a trovarlo?!) e qualche altra cosa utile.
Sistemai tutte le cose intorno al mio letto (soprattutto un poster degli Imagine Dragons che Artemide mi aveva portato da casa).
Rimisi finalmente i miei vestiti, la mia fedele felpa nera e il regalo di Artemide: non me ne separavo mai per nessun motivo.
La trovai nella foresta a chiacchierare con una ninfa, non l’avevo notato, ma portava sulla schiena un arco d’argento e una faretra piena di frecce.
Quando mi avvicinai, la ninfa si dissolse imbarazzata (ormai ci ero abituato), Artemide invece mi guardò un po’ interdetta.
“perché non usi l’arco?” mi chiese indicandomi il polso.
“l’ho dimenticato, torno subito” dissi leggermente imbarazzato, come pretendevo di andare a caccia senza un’arma adeguata?! Per di più andando a caccia con la DEA della caccia.
“non usi quello che ti ho regalato? Pensavo ti trovassi bene …”
“un secondo! Mi hai regalato un bracciale non un arco”
“davvero? Una delle borchie è storta” mi fece notare leggermente infastidita, senza pensarci la sistemai, così mi ritrovai tra le mani un arco nero e, sulla schiena, una faretra con frecce dello stesso colore tranne che per le punte argentate.
“ok, questa non me l’aspettavo” ammisi osservando l’arco con interesse.
“è stato uno dei miei primi archi, ci tenevo che l’avessi tu” disse osservandomi con interesse “andiamo?” continuò.
“certo”
***
Era da almeno un’ora che giravamo per la foresta, se non due, eppure non avevamo trovato neanche un animale. Artemide continuava imperterrita nella ricerca, la stanchezza non sembrava scalfirla neanche minimamente, non potevo dire lo stesso di me.
Ben presto i miei pensieri migrarono altrove, cominciai a pensare che a quell’ora dovevano essersi svegliati tutti, che Tom era andato a svegliarmi nella capanna otto (non sono esattamente un mattiniero) e che non mi aveva trovato.
Forse avrei dovuto lasciargli un biglietto … certo, una cosa tipo “Ciao Tom, scusa ma Artemide ha fatto irruzione nella capanna mentre dormivo, quindi potresti non trovarmi. Se non torno verso sera non preoccuparti, vuol dire solo che mi hanno sbranato/macinato/rivoltato da dentro a fuori”.
“mi sono occupata personalmente di lasciare un biglietto sulla porta della capanna otto e, considerando la tua idea di biglietto, credo sia meglio così” disse risoluta, da quel momento tentai di convertire la mia mente ad un unico pensiero: NON PENSARE A NIENTE DI IMBARAZZANTE.
Artemide era … strana.
Quando la guardavo, mi sembrava molto simile a me, eppure quando parlava emanava una tale sicurezza e forza da farmi sentire totalmente inadeguato.
Avevo sentito al Campo parlare di una specie di gruppo con a capo Artemide, mi sembra che si chiamasse “le Cacciatrici”.
Le Cacciatrici erano un gruppo di ragazze che accompagnavano Artemide nelle sue battute di caccia, che fossero anche loro come lei? E poi perché solo ragazze?
Mi ero immaginato Artemide in tutti i modi possibili, ma di certo non me la sarei aspettata così … divina.
Ad un certo punto, però, i miei pensieri vennero spazzati via da un stana sensazione: qualcosa era vicino.
Artemide aveva già sfoderato l’arco senza che le dicessi niente, così feci lo stesso seguendo il sentiero invisibile che mi aveva indicato con un cenno.
Più andavo avanti, più avvertivo la presenza di qualcosa, non sapevo neanche da dove arrivasse tutta quella sicurezza, la trovavo innaturale.
Poi mi resi conto che, in realtà, la presenza che avevo avvertito era quella di un lupo o, almeno, a me sembrava un lupo.
Era più grande del normale, il manto era di un nero intenso e lucido e il volto di quell’animale non si poteva esattamente definire pacifico.
“mai vista una preda del genere” disse la Dea con una strana luce negli occhi “avanti, fammi vedere che sai fare” disse con tono di sfida.
Non sapevo che fare, non ero mai andato a caccia, come pretendeva che colpissi quell’animale?! Ad ogni modo, presi la mira puntando la punta d’argento della freccia al manto liscio del lupo.
Presi un respiro profondo, e scoccai la freccia.
L’animale emise un verso grottesco e si accasciò al suolo, un rivolo di sangue scendeva dal suo petto colorando di rosso il suolo.
“bel colpo! Hai sicuramente ereditato da me tutto quel talento con l’arco” disse soddisfatta Artemide, io però ero rimasto scioccato. Avevo ucciso, che fosse un animale o una persona non importava, avevo ucciso e mi sentivo un mostro.
Che fosse questo il motivo per cui tutti temevano la mia esistenza? Sarei diventato un assassino? No, non era possibile, come poteva anche solo essere possibile?!
“Qualcosa non va?” chiese Artemide rivolgendomi uno sguardo preoccupato, solo allora mi resi conto di non aver mai staccato gli occhi da quella che Artemide definiva “preda”. Io le rivolsi solo uno sguardo, e lei sembrò capire all’istante.
“andiamo! Non puoi prendertela per essere andato a caccia, e poi l’hai visto quel coso? Non era mica normale e poi …”
“MA DAVVERO NON RIESCI A CAPIRE?!” le urlai, non capii da dove avevo trovato tutta quella forza, sapevo solo che ne avevo abbastanza di quella Dea e dei suoi modi.
“cosa?!” disse lei leggermente infastidita.
“forse per te sarà una cosa da niente certo, uccidere un animale, che senso ha se sei una Dea e sei immortale?! Scommetto che quelle Cacciatrici del cavolo che ti porti sempre dietro seno identiche a te. Sai qual è la cosa che mi dispiace di più in tutta questa storia? Che in tutti questi anni ce l’ho avuta a morte con mio padre per colpa tua. E poi ti presenti così, come se nulla fosse, e mi tratti peggio di una delle tue prede. Perché allora ti sei data tutto questo disturbo di incontrarmi, se potevi startene con quelle ragazzine o da qualsiasi altra parte sull’Olimpo?!” avrei anche potuto continuare, se solo due braccia sottili ma forti non mi avvolsero fino ad abbracciarmi.
Non me lo sarei mai aspettato, ma Artemide mi stava abbracciando, e la cosa non mi dispiaceva poi così tanto a dire la verità.
“vieni con me” disse alla fine facendomi un cenno, io la seguii, e lei mi portò fino a dove si ergeva il corpo dell’animale. Io la guardai mentre si sedeva a gambe incrociate e accarezzava il manto della bestia.
Io mi sedetti sul lato opposto e la guardai, sembrava emanare una strana energia, una specie di scia d’argento sul manto dell’animale steso ai suoi piedi, non capivo cosa stava succedendo, fino a quando non vidi l’animale aprire gli occhi.
“nonostante tu creda il contrario, sappi che io tengo molto alla vita di tutte le creature, vorrei ricordarti che sono anche la Dea protettrice degli animali” disse accarezzando il muso del lupo, solo allora mi resi conto che qualcosa era cambiato. Il lupo era tornato di dimensioni normali, provai ad avvicinarmi, ma quest’ultimo scappò via.
“questo andava abbattuto per forza, sembra una specie di maledizione, ma non sembra grave” continuò lei, mi sembra inutile dire che mi sentii davvero molto stupido.
“mi dispiace per prima, non credevo che …”
“è tutto ok, a volte posso risultare un po’ dura, e poi mi ricordi molto tuo padre” disse con un sorriso che, almeno per una volta, non mi fece accapponare la pelle.
“ah, questa prendila tu, in memoria della giornata” disse porgendomi uno strano vello di pelliccia nera che, al contatto con le mie mani, divenne una giacca di pelle nera.
“non dirmi che …”
“trofeo di battaglia” disse lei con noncuranza provocandomi una risata nervosa.
***
“ancora non mi hai detto perché sei qui, non rifilarmi scuse del tipo “sentivo l’esigenza di passare del tempo con mio figlio” perché non ci credo neanche morto” dissi addentando uno dei panini che Artemide aveva preparato dato che avremmo saltato il pranzo (ma gli dei pranzano?). La giornata era volata, e non mi ero mai sentito così bene, Artemide alla fine si era rivelata molto simile a me.
“è complicato, vuoi un po’ di limonata?” chiese.
“no, grazie. Preferirei piuttosto che  non cambiassi argomento, che succede? ci sono problemi in vista?” chiesi con superficialità ma, appena vidi il viso di Artemide rabbuiarsi, mi resi conto di aver detto qualcosa di grave.
“non avrei voluto dirtelo, ma credo che tu abbia il diritto di sapere. Sull’Olimpo sono successi molti … guai da quando gli altri Dei sono venuti a conoscenza della tua esistenza” disse e, per la prima volta, vidi la sua sicurezza vacillare.
“come ben sai, io sono una delle tre Dee vergini, significa che non posso avere figli” continuò.
“mi spiace contraddirti, ma sono la prova vivente del contrario” ribattei.
“fammi finire. In ogni caso, la tua nascita è stata vista da Zeus come una specie di tradimento e mi ha offerto una sola possibilità per non scatenare una guerra”.
“e … quale sarebbe?” avrei tanto voluto non chiederglielo, ma la curiosità era troppa e non riuscii a frenare la mia curiosità.
“la tua morte …” disse con un filo di voce. “ma io mi sono rifiutata! Ho lasciato l’Olimpo per sempre, qualunque cosa succeda, non gli permetterò di farti del male come ha fatto con Nico e Bianca!” aggiunse notando il mio viso preoccupato.
“un secondo: Nico e Bianca?” chiesi, pensai subito che si riferisse a Di Angelo, ma chi era questa Bianca?
“è una lunga storia, e poi, penso che tu ne abbia già passate troppe per oggi. Sarà meglio che vada” disse semplicemente.
“un secondo! Perché tutta questa fretta?” chiesi.
“è quasi il tramonto, e Apollo mi ha promesso un passaggio, quindi io vado. Non fare stupidaggini mentre non ti osservo” disse affondando una mano nei miei capelli scuotendoli un po’, e inoltrandosi nel bosco.
 Rimasi seduto a gambe incrociate per un po’ nel bel mezzo del bosco, non avevo mai notato quanto quel posto fosse silenzioso, specialmente quando non c’erano ninfe o satiri che mi rincorrevano per tutto il campo.
Allungai una mano e presi una giacca di pelle nera, un piccolo trofeo di caccia, un altro regalo di Artemide … Artemide …
Ripensai alle parole della dea della luna “Zeus mi ha offerto una sola possibilità per non scatenare una guerra … la tua morte”. Ci sarebbe stata una guerra, tutto per colpa mia, per la mia nascita e per quell’idiota di Zeus. Non arrivai neanche a terminare quel pensiero che il rombo di un tuono echeggiò poco lontano da dalla mia postazione.
Dovevo fare qualcosa … qualsiasi cosa.
Ripensai ad alcune parole dette da Chirone il primo giorno che arrivai al Campo: “i semidei non se ne stanno certo tutto il tempo qui al Campo. Molti ci passano tutto l’anno, altri invece preferiscono restare solo d’estate. Alcuni Mezzosangue poi possono lasciare il Campo per compiere delle missioni o imprese, soprattutto quando si tratta di problemi tra gli Dei. Forse non ci crederete, ma gli Dei sono potenti quanto volubili”.
Un’impresa! Era la risposta a tutti i miei problemi, in fondo, se l’alternativa era una guerra, dovevano per forza permettermi di lasciare il Campo!
Cominciai a correre come una furia, dovevo trovare Chirone e parlargli della mia idea, dovevo assolutamente aiutare mia madre, era un mio dovere.
“Ciao Jonah! Ti vanno un po’ di fragole?” mi chiese un satiro porgendomi una cesta piena di quei frutti rossi e saporiti, mi fermai e ne presi una, giusto per educazione … e perché amavo le fragole.
“grazie, sai dove posso trovare Chirone? È urgente” dissi con urgenza, il satiro mi sorrise e si avvicinò con ancora il cestino in mano.
“nella Casa Grande, in genere la mattina va a fare una passeggiata nei Campi di fragole, ma per il resto della giornata gioca a carte col Signor D.” Io gli feci un cenno di assenso e rubai qualche altra fragola infilandole nella tasca della felpa prima di allontanarmi.
Appena entrai nella Casa Grande, trovai Chirone con un mazzo di carte in mano intento a sfidare un altro semidio, proprio come aveva detto il satiro.
“Chirone, devo parlarle, è piuttosto urgente” dissi avvicinandomi, molti si voltarono verso di me o, almeno, i voltarono coloro che non l’avevano fatto quando avevo varcato la porta …
“allora parla pure, ti ascolto volentieri” disse con un sorriso gentile sul volto,certo, come se io volessi davvero ammettere che sarebbe scoppiata una guerra solo per colpa mia.
“non … non potremmo parlarne in privato?” chiesi sperando in un suo consenso ma, appena vidi la sua espressione mutare in un’espressione dura e seria, feci le condoglianze a me stesso.
“se è qualcosa di importante, gradirei che la condividessi anche con gli altri, non ci piace avere segreti qui al Campo” precisò lui.
“Bene. Volevo solo dirle che ho bisogno di un’impresa” dissi tutto d’un fiato, Chirone mi guardò allibito.
“mi dispiace Jonah, ma non posso affidare imprese senza la giusta motivazione, ti spiace illustrarmi la tua?” continuò, certe volte mi veniva da odiarlo, sembrava sempre che sapesse tutto di tutti, e che ti facesse tante domande solo per metterti in imbarazzo.
“si tratta di mia madre, Artemide. Lei … se n’è andata dall’Olimpo e verrà scatenata una guerra se non interveniamo subito!”
“e ti lamenti? È colpa tua se l’Olimpo è sotto sopra! Tua e di quel deficiente di tuo padr…”
“NON TI AZZARDARE A DIRE UNA SOLA PAROLA CONTRO MIO PADRE!” urlai ad un figlio di Atena che si era intromesso nella questione.
“Ragazzi! State calmi!” urlò Chirone, ma nessuno lo ascoltò, ero pronto a farlo fuori quel tipo, nessuno poteva offendere la mia famiglia e sperarla di farla franca! Stavo per sferrare il primo pugno, quando uno schiocco di dita echeggiò per tutta la stanza aprendo una voragine tra me e il semidio. Mi voltai e incontrai due occhi neri come la pece. Nico di Angelo, figlio di Ade, stronzo di natura.
Chirone si voltò verso di me approfittando del silenzio “se si rischia una guerra, Jonah, allora mi sento obbligato ad affidare a qualcuno l’impresa. Te la cedo dato che ti riguarda in prima persona, ma devi scegliere due persone da portare con te”.
“sicuramente Tom, figlio di Ermes” dissi quasi subito, solo allora mi resi conto che Tom era sempre stato presente ad osservare le mie mosse, mi voltai verso di lui. “conta pure su di me” fu tutto ciò che disse, e mi bastava.
 “va bene, ma devi scegliere un’altra persona, è una tradizione che si parta in tre per un’impresa” esordì Chirone.
Cominciai a pensare a chi avrei potuto portare con me, non ero simpatico a molti, anzi, quasi a nessuno, e mi serviva qualcuno di molto forte per la missione! Poi però venni assalito da un pensiero, le parole di Artemide: “non gli permetterò di farti del male come ha fatto con Nico e Bianca!”.
Che si riferisse davvero a quel Nico? Al depresso figlio di Ade che si divertiva ad aprire voragini a caso? Non ne ero sicuro, ma era l’ultima possibilità che mi restava.
“ehm … so già che me ne pentirò, ma scelgo Nico di Angelo, figlio di Ade” Chirone sembrò stupito dalla mia scelta, ma la appoggiò incondizionatamente.
“cosa?! E io dovrei aiutare proprio te?! Preferirei affogare per mano dello stesso Poseidone!” esclamò il figlio di Ade, ma non aveva scelta, doveva seguirmi nel bene o nel male.
“neanche io impazzisco all’idea, di Angelo” feci presente al ragazzo che, prontamente, mi ignorò.
“adesso basta voi due! Nico, tu andrai con Jonah, e tu, Jonah, vedi di non strangolare nessuno fino a domani mattina”.
Decisi di tornare alla capanna numero otto ignorando le varie minacce di morte che mi venivano rivolte non solo da Nico …
Non sapevo cosa fare, non sapevo come reagire, sapevo solo che dovevo agire il prima possibile e risolvere tutti i problemi che attanagliavano la mia mente impedendomi di dormire.
 
Note dell’autrice ritardataria: so di non aggiornare da ormai due mesi, quindi mi limiterò a spiegare il capitolo sperando nella vostra clemenza.
Allora, Artemide forse è uscita fuori un po’ più fredda e distaccata di quanto avrei voluto, ma credo che in questo modo rispecchi di più l’Artemide descritta nel libro da Rick Riordan.
Nico può sembrare un po’ … molto … antipatico e fastidioso (visto dal punto di vista di Jonah) ma questa loro rivalità mi ispira parecchio, e poi, verrà spiegato abbastanza presto il motivo di questo comportamento da parte del mio dolce orsacchiotto degli Inferi.
Comunque, adesso Jonah, Tom e Nico hanno ricevuto la loro impresa! Cosa succederà? Jonah riuscirà a far cambiare idea al Signore dei Cieli? E Nico riuscirà a trattenersi dallo strangolare Jonah prima della fine della storia? Per quanto riguarda l’ultima domanda … probabilmente il nostro figlio di Ade preferirebbe allearsi a Zeus e farlo fuori.
Tanti saluti, Polaris_Nicole
 
 
  
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