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Autore: TaliaAckerman    12/08/2014    2 recensioni
[Il superstite]
[Jan Forstner/Norbert Rauh]
Con la mano inguantata, Jan si chinò e spazzò via un po' della neve che era rimasta sul piano di levigata pietra grigia, e rimase lì, in silenzio. Un paio di volte, un brivido scosse le spalle dello psichiatra.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ AFTER THE END OF A STORY ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~








Era un gelido venerdì di inizio febbraio il giorno in cui Jan si decise finalmente a visitare la solitaria tomba di Norbert Rauh. 

Erano passate quasi due settimane dal giorno del funerale di Sven, e da allora Jan non aveva più rimesso piede nell'anonimo cimitero di Fahlenberg. 
Con tutto ciò che era successo, si poteva considerare quasi fortuna quella di Rauh, fortuna che gli aveva permesso almeno una degna sepoltura.

Il corpo dello psichiatra era stato rinvenuto nel bosco, poche ore dopo l'arresto di Raimund Fleisher, fra i detriti del vecchio bunker militare ormai esploso. Nonostante il cranio sfondato dalla pallottola 9mm con cui il direttore della clinica lo aveva omaggiato, il cadavere era stato riconosciuto in poco tempo. Per essere stato prima colpito da un proiettile di quelle dimensioni e subito dopo saltato in aria con tutto il resto dell'edificio, se l'era cavata piuttosto bene: solamente parte del lato sinistro del corpo - braccio, fianco e gamba - era rimasta ustionata riducendosi a quella pareva carta bruciata color nero cenere, mentre per il resto si era procurato solo  una dozzina di fratture in tutto il corpo: vista la colonna vertebrale spezzata, entrambe le gambe piegate con un'angolatura di circa 90 gradi e la postura del corpo, che pareva essere stato investito da un tram, Jan era sicuro che anche senza l'aiuto del dottor Fleisher le possibilità di sopravvivenza di Rauh sarebbero state ridotte a meno di zero. 
Eppure, all'obitorio era stato svolto un lavoro talmente accurato che, una volta visto il cadavere ricomposto, Jan aveva stentato a credere ai propri occhi, per rendersi conto subito dopo che - probabilmente - qualcuno doveva aver sborsato una cifra piuttosto considerevole in cambio di tale trattamento. Per quanto fosse possibile, il resti della pallottola che aveva colpito lo psichiatra in volto erano stati rimossi e i brandelli di cervello e organi interni asportati. Tramite chirurgia plastica, che Jan dedusse dovesse essere di massimo livello i medici avevano provveduto a rendere il volto un tempo affascinante di Norbert Rauh almeno come... "quasi riconoscibile."

Il corpo era stato lavato, gli arti rimessi in una posizione naturale e l'uomo era stato rivestito come se avesse dovuto recarsi alla più importante riunione dei primari della sua vita. 

Jan ricordava di aver pensato che Rauh probabilmente avrebbe preferito indossare uno dei suoi amati pullover per compiere quell'ultimo viaggio, al posto di quella giacca elegante e quella cravatta in tinta. 

Era stato così che Jan Forstner aveva detto addio al suo collega: da dietro il vetro della porta dell'obitorio, troppo preso dal senso di colpa per entrare insieme alla ex moglie Carmen e quei pochi parenti o conoscenti più stretti che avevano lavorato con lui alla Waldklinik. Immobile, non abbastanza coinvolto da potersi dire sofferente, ma neanche così poco per sentirsi indifferente. 

Sapeva che Norbert Rauh era morto a causa sua. 

Rauh lo aveva condotto nel bosco per assecondare la sua ricerca ossessiva, facendosi coinvolgere in una faccenda tanto intricata quanto pericolosa. 

Nella vita si dà e si ottiene, pensava Jan mentre si aggirava fra le tombe gelate, e alla fine Rauh aveva dato tutto. Era morto nel tentativo di aiutarlo a scoprire la verità su ciò che era accaduto a Sven ventitré anni prima, senza nemmeno riuscire a conquistarsi la sua completa fiducia. 
Ripensando a tutto questo, il senso di colpa tornava ad avvolgerlo, forte, spietato, vero. Come Rauh stesso aveva cercato di spiegargli, la morte di Sven non era stata colpa sua e alla fine, anche se per farlo aveva impiegato più di metà della sua vita, Jan aveva compreso che aveva ragione. Per Norbert era diverso: questa volta sapeva che senza la sua graziosa e accidentale collaborazione, Rauh non sarebbe morto in quel modo, in quel luogo dimenticato da dio, in quel giorno. 

Magari quel giorno no, ma quello dopo sì, o quello dopo ancora. Chi può dirlo? la voce ovattata di Rauh gli giunse da lontano, dai meandri della propria mente, e per un attimo Jan riuscì ad immaginare il sorriso disinvolto del terapeuta che, accomodato nella sua grande stanza rossa, gli porgeva una tazza di tè con la massima tranquillità. Non ne era sicuro, eppure aveva l'impressione che l'uomo avesse affrontato la propria morte con la medesima filosofia. 

Ed era per questo che Jan non aveva avuto il coraggio di presentarsi al funerale, che era avvenuto pochi giorni dopo quello di Sven. Sarebbe stato quasi insopportabile per lui rimanere immobile sotto le raffiche di vento gelido, consapevole di essersi irrimediabilmente sbagliato sul suo conto e di averne involontariamente provocato la morte. A quante disgrazie aveva assistito da quando era tornato a Fahlenberg! Come aveva già constatato in passato, sembrava che fosse lui ad attirare il male. Eppure ora, finalmente, sapeva che quel "male" aveva un nome, e che tutta la spirale di angoscia e violenza che aveva avvolto parte della sua vita finora derivava da un persona: Raimund Fleisher, direttore medico della clinica psichiatrica presso cui lui stesso lavorava. 

Dopo alcuni minuti di girovago fra le varie tombe, Jan trovò finalmente quella che cercava; le incisioni sulla lapide recavano il nome di Norbert Rauh, sotto il quale potevano leggersi nitidamente le date di nascita e di morte. Non era recata nessuna dedica, notò Jan con un poco di amarezza, ma in compenso sulla dura pietra tombale era appoggiato un grazioso e discreto vaso di orchidee fra il lillà e il bianco.  Jan si trattenne dal sorridere: se fosse stato lui a portare i fiori, sicuramente ne avrebbe scelti su qualche tonalità del rosso. Le orchidee erano le piante preferite da Carla, rammentò all'improvviso, e istintivamente si chiese se non fosse stata proprio lei a portargliele. Ma si ricredette molto in fretta: per quel poco che avevano avuto a che fare fra di loro, l'approccio fra Norbert Rauh e Carla Weller non era stato esattamente dei migliori. In realtà, la provenienza di quel piccolo omaggio non era un aspetto che lo interessasse più di tanto. 

Con la mano inguantata, Jan si chinò e spazzò via un po' della neve che era rimasta sul piano di levigata pietra grigia, e rimase lì, in silenzio. Un paio di volte, un brivido scosse le spalle dello psichiatra. 

Mi dispiace, Rauh, pensò sinceramente. Mi dispiace di averti coinvolto in questa storia. Io non... non avrei dovuto. Gli pareva di avere per la testa un migliaio di scuse e domande che avrebbe voluto rivolgergli, eppure per chissà quale motivo riuscì ad esprimere solo quello. Ma che importanza aveva? 
Jan rimase a scrutare la tomba del collega per molto, molto tempo. Infine quando, intirizzito dal freddo, finalmente si rialzò, estrasse dalla tasca interna del cappotto un sottile bigliettino ripiegato a bell'e meglio. Lo appoggiò proprio accanto ai fiori, l'orlo infilato sotto il vaso per impedire che il vento se lo portasse via. 
Diede un'ultima occhiata al luogo dove Norbert Rauh avrebbe riposato per sempre. Gli sarebbero mancate le sedute terapeutiche che avevano condiviso. 
Stringendosi nel proprio cappotto marrone, Jan Forstner voltò le spalle alla lapide e si avviò verso l'ingresso del cimitero. 

Il silenzio tornò calare nel campo santo. Non c'era traccia di visitatori a quell'ora. L'unica forma di movimento erano i mulinelli di neve che, sospinti dal vento, spaziavano fra le tombe come piccole nebulose cristalline. Una folata spiegò un poco il biglietto sulla tomba di Rauh; sopra erano recate tre semplici parole. 

Grazie di tutto.  














Sono deprimente, lo so. Insomma, con tutti gli argomenti che avrei potuto approfondire de "Il superstite" ho scelto una cavolo di tomba. Beh, ma la verità è che il finale del libro (tra parentesi, uno dei miei libri preferiti, me ne sono innamorata all'istante) mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca, non tanto per il finale in sé quanto per l'apparente fretta con cui Dorn ha steso le ultime pagine. Insomma... mancano dei tasselli al puzzle, a mio parere. Così, dato che alcuno spazio è stato dedicato al mio psichiatra preferito, ho deciso di regalarglielo io. Ho deciso di consolarmi inventandomi ciò che è accaduto dopo la morte di Rauh secondo me, in modo da delineare una situazione ben precisa. Spero di essere riuscita nel mio intento, vale a dire trasmettere un senso di malinconia, impotenza ma anche in un certo senso di calma silenziosa, elementi che nella mia testa danno origine ad un quadretto davvero delizioso ^^ Non so se saranno in molti a leggere questa fic, perché non so fino a che punto "Il superstite" sia famoso in Italia, ma per quelli che lo faranno, beh, spero ne valga la pena e please, lasciatemi una recensione! 
Alla prossima storia, TaliaFederer :3 
  
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